Salvatore Riccobono

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Salvo Randazzo

 

Tradizione romanistica e diritto statunitense:

il Riccobono Seminar of Roman Law a Washington

 

 

 

1. ‘Upon completion of a course of lectures by Dr. Salvatore Riccobono at the Catholic University of America during the year 1928-1929, a seminar was organized, of which he was elected Honorary Magister ad vitam’*. Così, nel Preambolo dello Statuto del Riccobono Seminar of Roman Law [1] si rendeva conto dell’intitolazione della nuova Istituzione allo studioso italiano voluta dalla Catholic University of America di Washington D.C., nata con l’approvazione del pontefice Leone XIII nel 1887, a seguito del corso di Esegesi tenutovi da Riccobono.

Nel 1928 Riccobono aveva sessantaquattro anni[2] e aveva constantemente insegnato nell’Università di Palermo – anche se di lì a poco, nel 1932, sarebbe stato chiamato presso l’Università di Roma – ed era al culmine di una straordinaria carriera con circa sessanta pubblicazioni al suo attivo[3]. Non era comunque nuovo al mondo accademico angloamericano: nel 1924 aveva tenuto un ciclo di conferenze presso l’Università di Londra e quella di Oxford[4], mentre nel 1925 erano stati pubblicati negli Stati Uniti i suoi Outlines of the evolution of Roman Law[5], breve sintesi destinata ad avere una grande diffusione nelle Università americane[6]. In diciannove densissime pagine Riccobono sintetizza la vicenda evolutiva del diritto romano, dalle origini a Giustiniano, ed offre al lettore americano alcuni spunti di riflessione che si insinuano, come nuclei problematici di pensiero, fra le categorie tecniche e mentali dei giuristi anglosassoni. Gli ‘outlines’ di Riccobono sono semplici nel loro schematismo: dalle dodici Tavole a Diocleziano appaiono divergenti, per curvare l’uno verso l’altro e gradualmente convergere in un’unica linea da Costantino a Giustiniano; in questa prospettiva ius civile, ius gentium e ius honorarium, vivificati dall’opera della giurisprudenza, avrebbero segnato l’evoluzione del diritto romano sino all’avvento del quarto elemento evolutivo, lo ius novum, frutto dell’incontro fra nuove leggi, senatusconsulta, costituzioni e decreti imperiali e, ‘above all, of decisions on matters referred to various magistrates, (Cognitio extra ordinem), who felt that they were not bound by the ordinary rules of law’[7].

Nell’idea di Riccobono, il Seminar avrebbe dovuto ospitare prevalentemente professori provenienti da Università americane – con alcune felici eccezioni, come nel caso della conferenze di Leopold Wenger del 5 ottobre 1936[8] – che si occupassero di temi giusromanistici sulla scorta di un comune denominatore: ‘ricercare le tracce più o meno notevoli di Diritto Romano nei vari paesi dell’Unione’[9]. A fronte di una tradizione individuata nel pensiero dei ‘germanisti’ che, a partire dal XIX secolo, formularono una serie di ricerche volte ad affermare la prevalenza del diritto germanico rispetto a quello romano nella formazione tanto dei sistemi giuridici continentali quanto di quelli angloamericani, Riccobono dichiaratamente si propone di stimolare una ricerca che colga spunti storici ed elementi di diritto per affermare, al contrario, come il diritto romano avesse inciso profondamente nella formazione dei sistemi giuridici moderni, al punto da renderne utile e producente lo studio anche in un paese, come gli Stati Uniti, retto da un diritto estremamente composito ma rispetto al quale, osserva Riccobono, ‘i giuristi dell’America sentono vivamente questi problemi; e basta questo per spiegare come le loro indagini si vadano orientando verso le origini del diritto vigente nei vari Stati dell’Unione’[10].

In altri termini, nelle finalità dello studioso, la riflessione sull’esperienza giuridica di Roma avrebbe dovuto dimostrare in primo luogo il debito che con quell’esperienza avevano i moderni sistemi giuridici, ivi compreso quello statunitense[11] ed altresì l’utilità anche pratica del diritto romano per il giurista americano, utilità che ne avrebbe giustificato la diffusione capillare nelle Università dell’Unione, presso le quali era anche in circolazione una traduzione del Corpus Iuris a cura dello Scott, opera che Riccobono non riuscì a consultare e del cui autore confessa candidamente ‘non so se giurista o filologo’[12]. Osserva Riccobono come una tale utilità pratica appaia ancora più evidente per quei giuristi che si trovino ad operare in un sistema di diritto non codificato a base fortemente consuetudinaria, con grande spazio per il valore normativo della prassi giurisprudenziale, in un sistema cioè in cui di fronte a situazioni anomale o nuove, l’operatore pratico del diritto potrà trovare lumi nella sapienza giuridica romana che ‘con la tecnica di una scienza esatta’[13] offra al giurista moderno una vasta casistica dalla quale attingere per risolvere il caso concreto.

Con queste forti premesse scientifiche ed ‘ideologiche’ Riccobono varava a Washington il suo Seminar, affidando alle pagine del Bullettino dell’Istituto di Diritto Romano le cronache dei lavori[14], per raggiungere la finalità statutaria (art. II) di favorire ‘the study and dissemination of the knowledge of Roman Law’[15]. Al primo meeting del ‘Committee on Research with reference to Roman, canon and Civil Elements in the American Legal System’[16], svoltosi l’11 novembre 1934, al di là del dibattito sugli aspetti organizzativi, come quelli relativi alla creazione di una biblioteca ed al supporto per gli studiosi che volessero contribuire al Seminar, sembra però trasparire una prima questione, su cui non si riesce a raggiungere una posizione unitaria. Nel verbale di quell’incontro[17] si legge infatti ‘there was a division of opinion among the members as to the scope of the work of the Committee. Some thought that the classical Roman Law should be emphasized, while others believed that it would be better to include comparative law, from the modern angle. But no decision was made on this point’.

E, in certa misura, il problema che sorge fra gli studiosi del Seminar è il riflesso di un più ampio dibattito scientifico, ma anche di politica normativa, che investiva con sempre maggiore urgenza i giuristi statunitensi. In quegli anni una rinnovata sensibilità per gli studi di diritto romano si andava infatti diffondendo nelle Università americane[18], presso le quali gli insegnamenti romanistici non erano comunque nuovi: già nel XVIII secolo era stata avviato a Yale un corso su ‘Jus civile or Ancient Roman Law, Pandects, and Ecclesiastical or canon law’ (1792) e sempre Yale, nel 1863, aveva ospitato un corso di diritto romano tenuto da James Hadley[19] non soltanto nel Yale College ma, com’era naturale che fosse, nella Law School di quella Università, per essere poi dallo stesso Hadley ripetuto anche alla Harvard Law School[20]. Sarà sempre l’Ateneo di New Haven ad ospitare importanti corsi romanistici tenuti da studiosi di grande spessore scientifico, da Simeon E. Baldwin[21] ad Albert S. Wheeler[22] a Charles P. Sherman[23] e da lì l’insegnamento del diritto romano si sarebbe diffuso nelle altre università dell’Unione.

Ma il grande impegno scientifico ed accademico dei romanisti americani, in quegli anni, era finalizzato ad un progetto ambizioso: il diritto degli Stati Uniti era congestum in una molteplicità di sistemi statali di Common Law (circa 46) – un sistema le cui ascendenze inglesi[24] e la cui tendenziale contrapposizione al civil law[25], cominciavano a stridere col diverso modo di pensare e con l’esigenza di trovare supporti normativi adeguati a sostenere la ben diversa concezione dell’economia e del progresso propria degli americani[26] – ulteriormente complicati dal difficile coordinamento ad una Federal Common Law, corpus di decisioni giurispudenziali delle Federal Courts americane, spesso caotica, e tutto ciò nel quadro di una selva inestricabile di norme non scritte e consuetudinarie, statutes locali e regole giurisprudenziali, individuali o riunite in ponderose raccolte: ogni anno oltre 20.000 nuove decisioni e statuti modificavano il quadro normativo di riferimento per il giurista statunitense[27].

In una tale situazione i romanisti americani pensavano sempre più ad un diritto la cui ipotizzata uniformità non fosse lesiva dei principi di self-governement dei singoli Stati ma che consentisse un’evoluzione sistematica del diritto americano, affinché questo da congestum divenisse digestum, un obbiettivo che emerge dalle parole pronunciate da Charles P. Sherman in occasione del Congresso Internazionale di Bologna del 1933: ‘… the progress made towards the realization of the second and third phases of the world-mission of Roman Law since Justinian: witness the spread of the movement towards uniformity of the American Common Law, and witness the beginnings of embodying American common law in the permanent and salutary form of a codification’[28]. L’idea, per altro, non era nuova, si pensi al progetto di un dibattutissimo[29] ‘so-called’ Civil Code elaborato intorno al 1860[30] da David Dudley Field[31] per lo Stato di New York. e per questo meglio noto come Mr. Field’s Code, fieramente contestato, ancora ventanni dopo, in un’appassionata nota inviata al direttore dell’Albany Law Journal il 22 marzo 1882[32], da Theodore W. Dwight, professor of Law nella Columbia University. Dunque nell’articolato dibattito che, già dall’inizio del XIX secolo[33], appassionava gli studiosi europei e quelli americani, in bilico fra tradizioni di common law e forti spinte codicistiche, frutto dell’imperante clima positivistico del tempo, è proprio sulla tradizione romanistica che si fonda la querelle, teorica e pratica, in ordine all’opportunità dell’introduzione di un sistema codificato nel diritto di Stati che, come nel caso dello Stato di New York, apparivano retti da un diritto non codificato, con argomentazioni che in tal senso finivano per superare gli ambiti geografici, riflettendosi sulla situazione di quasi tutti gli Stati dell’Unione che, ad eccezione della Louisiana e, in certa misura, della California, non erano disciplinati da Codici.

Tutto ciò avrebbe dovuto trovare spazio in una volontà politica e legislativa di riforma del diritto degli Stati Uniti che, fra gli anni ’20 e ’30 sembrava un obbiettivo possibile per raggiungere il quale si riteneva indispensabile promuovere una sensibilizzazione generale che solo all’istruzione universitaria si sarebbe potuto affidare, per abituare gli studenti delle Law Schools a ragionare sul diritto in termini scientifici e non soltanto a ricercare induttivamente la soluzione di specifici ‘cases’. O quantomeno quest’ultimo approccio formativo avrebbe dovuto essere preceduto da uno studio di textbooks che dessero allo studente il dominio di principi-base, dal diritto delle persone e di famiglia ai diritti reali[34], alle obbligazioni, alle succesioni[35], allo stesso diritto processuale, come chiave di volta di un nuovo sistema di diritto sostanziale che armonizzasse le preziose regulae iuris romane con la duttilità di un sistema giurisprudenziale certamente più flessibile e rassicurante se ancorato a precisi e forti cardini di diritto sostanziale.

 

 

2. è dunque in questo contesto che Riccobono ‘approda’ in America. Lo studioso italiano intuisce che il momento è storicamente propizio, spendendo nel suo corso di Esegesi alla Catholic University of America di Washington prima e nel Seminar poi, tutta la sua volontà di incidere scientificamente su un processo evolutivo in corso, con la febbrile consapevolezza dello storico che vede il ‘farsi’ degli eventi e sa di potervi incidere: sono in gioco la scienza del diritto romano in quel paese, ma anche l’insegnamento di quella disciplina e, soprattutto, il diritto stesso degli Stati Uniti.

Ripercorrere l’andamento dei primi lavori del Seminar non è impresa agevole poiché, nonostante le dettagliate cronache pubblicate da Riccobono sul Bullettino, sembra emergere, scorrendo i lavori fra il 1934 ed il 1935, una qualche difficoltà a trovare il bandolo di un percorso che, come abbiamo visto, nasceva già con alcuni contrasti metodologici fra gli studiosi facenti capo alla nuova istituzione accademica. Alla presenza del Magister il 31 maggio 1935 Fr. Cleary interviene su The Jurisprudential basis of Roman Law muovendo da un’analisi comparativa fra le Novelle di Giustiniano e le Decretales di Gregorio IX, in materia di alienazione di beni ecclesiastici. La specificità dello spunto proposto non impedisce a Riccobono di guidare una fitta discussione che tocca punti-cardine dell’esperienza giuridica romana: i rapporti fra riflessione giurisprudenziale, influssi del cristianesimo e filosofia greca, lo ius gentium ed il diritto naturale, la fides, come categoria paradigmatica della storia del diritto romano. La lecture di H. Milton Colvin dell’8 novembre ’35 (Lardone magister pro tempore) consente di entrare nel vivo del problema che costuituiva il presupposto della stessa creazione del Seminar come lo stesso Riccobono rileverà in quella seduta[36]: Roman and Civil law Elements in Sources of the Law of the United States. Le attività proseguono con scansioni regolari, toccando punti nevralgici della disciplina, caratterizzati da un’articolata riflessione di confronto col diritto vigente: se A. K. Ziegler si sofferma su Isidoro di Siviglia, nella seduta successiva Dorsey riferisce dei suoi studi sulla condizione nel diritto romano e nel sistema giuridico anglo-americano, saldando una riflessione ‘concreta’ su una questione classica della dommatica continentale, con una ricognizione attenta di dottrina e di cases e nello stesso senso si sviluppa la riflessione di Charles Sumner Lobingier, studioso in prima linea sul fronte dello studio antropologico-comparatistico del diritto romano[37], su Salient Features of the Lex Rhodia de Iactu – Jettison and General Average e, in una successiva seduta, su The Roman law in Thirteenth Century England, with a New Interpretation of the Baron’s Reply at Merton. Quel che si coglie con evidenza dalle minute delle riunioni è un dibattito vivacissimo fra gli studiosi presenti che sezionano gli argomenti, esaminando gli istituti nei minimi dettagli, ma senza mai perdere di vista le più generali finalità dell’Istituto.

Il 18 marzo 1936 il Seminar ospita un ospite di riguardo: Fritz Schulz, che affonta un problema centrale della romanistica con un titolo evocativo: Invention of the Science of Law at Rome. La logica dei giuristi, l’attività creativa, il loro ruolo nella dialettica fra verba e voluntas suscitano l’interesse dei presenti ed il dibattito si snoda ampio, consentendo a Francesco Giuseppe ‘Franz’ Lardone[38], magister pro tempore, di encomiare Schulz per il suo essere ‘primarily a lawyer, only secondarily an historian in the matter of Roman law; and … the seminar also approved this point of view’[39]. Anche la conclusione dei lavori del Seminar per l’anno accademico 1935/1936, affidata a Frederick J. de Sloovere – che avrebbe assunto le funzioni di magister per il successivo anno accademico – si muove in una linea di sostanziale coerenza con le finalità dell’Istituto. Lo studioso si pone di fronte al problema dell’interpretazione degli statutes, seguendo il processo mentale che muove dall’individuazione della norma, prosegue con la sua interpretazione e culmina nella applicazione concreta di essa al caso in esame; in questo iter ermeneutico-applicativo de Sloovere coglie un processo gerarchico che presiede all’interpretazione delle norme civilistiche moderne e che vede, invocabili, nell’ordine: Natural Law; Roman Law; Legal Reasoning; Customary Law; Usages; Custom of judicial decision ‘and so on including reasoning by analogy’[40].

Le 55 fitte pagine con cui il Bullettino[41] rende conto dell’attività del Seminar nell’anno accademico 1936-37 si aprono con la cronaca della conferenza di Wenger su The importance of Greek Papyrology in the study of roman law, dotta occasione per fare il punto sugli studi di papirologia giuridica in Europa , e proseguono con incontri che scandiscono i temi del rapporto fra common law e tradizione romanistica con aperture anche nei confronti di altri sistemi giuridici: Custom in the Justinian Law and its influence on Canon law è infatti il tema con cui Merlin Joseph Guilfoyle si addentra nel diffficile campo della consuetudine nel diritto giustinianeo, attraverso un esame del rapporto fra la definizione di Iust. Inst. 1.2.9 (Ex non scripto ius venit quod usus comprobavit. Nam diuturni mores consensu utentium comprobati legem imitantur) e la progressiva assimilazione del concetto nel diritto canonico. E se le relazioni di James B. Thayer su Iusta causa in traditione e di Cormack e Brown su Stoic Philosophy and the Roman Law assumono un interesse più spiccatamente storico, importanti riflessioni vengono dedicate a temi strettamente connessi al rapporto fra diritto romano e sistemi di common law. La fortunata combinazione fra l’esperienza di insegnamento di diritto romano presso la Brooklyn Law School e l’attività di avvocato danno così modo a Franklin F. Russel di trattare un tema di disarmante concretezza: The Pratical Value of the Study of Roman Law. Russel, nel riferire della sua attività ‘promozionale’ della storia del diritto, tanto sul piano accademico, sulla scorta dell’esperienza dell’università di Oxford in cui l’organizzazione dei programmi appare organizzata affinché ‘from one quarter to one third of the legal curriculum be devoted to the study of Roman Law’, quanto su quello praticistico, con una digressione sull’utilità della conoscenza dei principi di diritto romano per la preparazione alla ‘New York Bar Examination’.

Ciò perché la frequenza con cui l’avvocato di New York può entrare in contatto con problemi in cui si richiede una conoscenza di regole romanistiche appariva ancora più urgente, proprio per la peculiare ricchezza di interessi e di contatti con il diritto europeo con cui doveva confrontarsi un giurista pratico operante a New York o nello stesso New Jersey. Osserverà nel dibattito Murdock come ‘a composite picture of law is necessary. The study of Roman Law affords a «relative» approach to the Common law, and dispels the erroneous idea that the Common law is «absolute»’[42]. Per altro, l’intersecarsi di principi teorici tratti dall’esperienza giuridica di Roma con regole di common law appariva sempre più emergere nei lavori del Seminar: ne è un esempio la trattazione di Roscoe I. C. Dorsey su Roman Sources of some English Principles of Equity and Common Law Rules, del 20 aprile 1937, in cui la disciplina dei fedecommessi e del danno aquiliano nel diritto romano e nei sistemi anglosassoni offre allo studioso lo spunto per marcare le relazioni fra i due sistemi giuridici sulla scorta del rapporto fra i concetti di aequitas e di equity. E la prospettiva si apre ancora di più nell’ultima conferenza di quell’anno in cui lo stesso de Sloovere (1886-1945), primo magister pro tempore non residente a Washington[43], parla su Teaching Roman Law as a basis for Comparative Law[44]: la relazione è densissima ed è forse il vero ‘manifesto’ del Riccobono Seminar of Roman Law, nel suo articolato scorgere fra tutti i sistemi giuridici e dunque anche oltre la prospettiva, sia pure ambiziosa, del rapporto fra roman e common Law, il ruolo straordinario che il diritto di Roma può assumere quale ‘paradigma’ del diritto, quale categoria generale a cui fare capo per studiare comparatisticamente qualunque altra esperienza giuridica.

Le conferenze washingtoniane proseguono fitte nel successivo anno accademico 1937-1938. L’istituzione della CUA oramai è nota in tutto il mondo, l’eco della profondità e della vivacità dei suoi 24 densissimi incontri, la modernità della metodologia adottata dai relatori, la profonda incidenza programmatica sul diritto vigente fanno sì che del Seminar e dell’impulso da questo offerto agli studi di diritto romano in America[45] si parli con ammirazione ovunque[46]. Eppure, da alcuni passaggi di Riccobono, sembrerebbe cogliersi l’eco di qualche sotterranea riserva sulla ortodossìa scientifica degli studi romanistici ivi coltivati, anche se lo studioso non sembra risentirne affatto ed anzi scuote un ambiente accademico sonnecchiante ed incline talvolta a critiche siffatte, quasi sfidandolo con l’autorevolezza delle sue parole: ‘alcuno’ scrive lo studioso nel Bullettino ‘forse potrebbe desiderare una maggiore attività nella analisi dei testi di legge, specie rispetto alle fonti romane … questa esigenza tuttavia io non la ritengo imprescindibile’ osservando, a proposito della diffusione del diritto romano, che ‘quando si voglia promuoverne lo studio, ed eccitare la curiosità e l’interesse degli studiosi, quel che occorre è, in primo luogo, dimostrare la utilità immediata, anzi la necessità imprescindibile di una preparazione sintetica per la intelligenza del diritto vigente’. ‘Di analisi minuta, di critica dei testi’ è sempre Riccobono, un Riccobono di insospettabile vivacità che parla ‘se n’è fatta molto in Europa negli ultimi 50 anni. Direi troppo’[47].

Dunque la linea del Seminar appare ancora più chiara: occorre tornare, secondo l’intendimento del magister ad vitam, alla dommatica, alla sintesi, contro una tendenza alla frammentazione erudita dei problemi per assolvere ad un impegno storico imprescindibile che grava innanzitutto sui romanisti: ‘se il mondo è oggi chiamato a rivedere e ricostruire i suoi istituti, in tutti i rami del diritto, pubblico e privato e dell’economia, la necessità di abili costruttori è evidente’[48]. E non posso quindi che astenermi dal ripercorrere le cronache del 1937-38, rinviando alla cronaca che nel quarantacinquesimo volume del Bullettino lo stesso Riccobono fa, in prima persona delle conferenze di quel terzo anno di attività del Seminar, magister A. Arthur Schiller, che mi limito perciò ad enumerare: A. Arthur Schiller, De consuetudine in iure romano; Clement Bastnagel, De aequitate in iure romano; Roscoe I. C. Dorsey, The Roman Concept of Res, Francis de Zulueta, P. Ryl. III, 474, fr. b. recto=L. 1.1 Dig. 12, I De rebus creditis; J. B. Thayer, Report de culpa lata et diligentia in iure romano; Ernest Levy, Statute and Judge in Roman Criminal Law; Charles Sumner Lobingier, The Natural History of the Artificial Person; Judge Blume, The Code of Justinian and its Value.

Tracciando il bilancio dell’attività del Seminar per il successivo anno accademico 1938-1939, è un Riccobono consapevole della gravità del momento a sottolineare comunque il valore delle iniziative dell’Istituzione americana che ‘mentre il volto del mondo è duro e arcigno’[49] accoglie ben undici importanti conferenze. Magister Roscoe J. C. Dorsey, Hans Julius Wolff, allora trentaseienne professore dell’Università di Panama[50], inaugura i lavori del Seminar trattando il tema The lex Cornelia de captivis and the Roman law of successions. Franciszek Bossowski si accosterà invece ad un argomento particolare: Roman law and Hebrew private law, trattazione letta da Brendan F. Brown, scriba della seduta del 26 gennaio 1939, mentre Roman private law in Russia sarà il successivo argomento su cui verrà chiamato a riferire Vladimir Gsovsky, in una seduta che si apre con la commemorazione di Paul Collinet, appena scomparso. I temi eterogenei del Seminar del 1938-39 non sfuggono a trattazioni più tradizionalmente connotate, come la relazione di James B. Thayer su The Position of Corporations in Roman Private Law, lecture che, muovendo da un recente scritto di Duff sulle persone in diritto romano[51], affronta sotto i suoi vari aspetti il problema della capacità giuridica delle corporazioni e nella stessa seduta viene discusso un breve studio di F. Bossowski sull’In iure cessio. Sarà Lobingier a trattare, il 25 aprile 1939, il tema The Trial Authority in Roman Administrative Procedure in cui vengono affrontati temi processuali che per la verità erano sino allora rimasti un po’ in ombra nei lavori del Seminar, particolarmente proteso all’esame di temi di diritto sostanziale, più agevolmente confrontabili con istituti e norme di diritto vigente.

Il resoconto di tre di queste conferenze svoltesi in un’unica riunione l’11 maggio 1939, quella di Jolowicz su I precedenti nel diritto greco e romano, di de Sloovere su La dottrina dei precedenti nel diritto anglo-americano e di Evans su Consuetudine e precedenti negli scrittori letterari, viene svolto dallo stesso Riccobono, che dalle pagine del Bullettino forse per la prima volta in termini tanto articolati interloquisce con gli studiosi ospiti del Seminar e prende posizione personale sul problema[52].

Con la conferenza di Dean Wigmore, su Reminiscence of Fifty Years of Legal Teaching i lavori del Seminar per l’anno accademico 1938-39 si concludono.

 

3. Negli anni a venire l’attività venne comunque proseguita ed i resoconti pubblicati sino al 1955/56[53] su ‘Seminar’, numero speciale annuale di ‘The Jurist’, pubblicazione a cura della School of Canon Law della Catholic University of America, mentre nel Bullettino dell’Istituto di Diritto Romano, a partire dal 1940, in conseguenza degli eventi bellici[54], non vi è più un resoconto dettagliato delle attività del Seminar, salvo un accenno di Riccobono ad una relazione dallo stesso svolta il 16 maggio 1940[55] – sarà l’ultima volta in cui il Magister ad vitam parteciperà direttamente ai lavori dell’Istituto – nel corso di lavori del Seminar, sul Compenso per spese fatte da possessori su cose altrui[56], in cui non mancano cenni di raffronto fra il sistema romano, le moderne codificazioni e il diritto angloamericano. Dunque ancora nell’anno accademico 1939-1940 e fino alla metà degli anni ’50 l’Istituto di Washington svolge le sue attività che trovano spazio in una breve rubrica fissa per ciascuno dei tredici volumi di Seminar, che al momento della prima uscita, nel 1943, è praticamente la sola rivista prevalentemente dedicata al diritto romano ed ai diritti dell’antichità negli Stati Uniti. Ma nella rivista americana la cronaca dei lavori del Riccobono seminar si riduce prevalentemente all’elenco delle conferenze ed all’indicazione dei Magistri e del Concilium per l’anno accademico in corso; sono soltanto poche relazioni a venire pubblicate per esteso.

Riccobono ne segue dall’Italia, in qualche modo, l’attività. Nell’autunno del 1944 invia una lettera[57] ad Ernst Levy, magister per quell’anno accademico, da cui lo stesso Riccobono dice di avere appreso della vitalità dell’Istituto americano, osservando come la ricostruzione postbellica dovesse passare anche attraverso una rinnovata coscienza storico-giuridica che potesse fornire un valido strumento per sostenere il nuovo ordine internazionale, utilizzando la duttile funzionalità degli strumenti giuridici romani, quella medesima funzionalità che aveva consentito a quel sistema normativo di passare attraverso momenti storici di crisi altrettanto drammatici[58]. La lunga lettera di Riccobono a Levy è vitalissima, ricca di proposte scientifiche e vi si ipotizza la ripresa delle pubblicazione sul Bullettino quantomeno delle principali conferenze del Seminar[59]. Con entusiasmo rinnovato il Magister guarda ad un panorama di relazioni interdisciplinari che sembrava essersi interrotto, collocando la rinnovata  attività di studio del diritto romano negli Stati Uniti in un contesto di politica internazionale finalmente pacificato e le sue parole sono piene di fiducia nel futuro: ‘in this new community of nations living together in peace’ osserva Riccobono ‘new needs will arise in the organisation of social and international relationships, and hence new institutions, structures and legal forms, which will have to be worked out with enlightened wisdom. In this constructive labor, the Roman sources can be used as the most precious heritage of legal experience and technique’[60].

Ma da quel momento in poi la vita del Seminar non sembra interagire col suo fondatore, anche se il sodalizio accademico della CUA appare sempre affettuosamente legato al suo Magister ad vitam, come nel messaggio in latino per i novantanni di Riccobono, inviatogli il 29 gennaio 1954, antivigilia del suo genetliaco[61]. Così per molti anni e sino alla chiusura, la rivista Seminar pubblica articoli di elevato valore scientifico e spesso problematicamente connessi alle finalità originarie dell’Istituto, nel loro guardare al common law come ad un sistema permeabile dalle riflessioni giusromanistiche. Studiosi di altissimo profilo, spesso rifugiati per ragioni politiche o razziali negli Stati Uniti, si succedono sulle pagine della rivista americana, animando spesso i dibattiti[62] del Riccobono Seminar[63], da Buckland a Rabel, a Levy, a Kuttner, a Berger, da Schulz a Schiller, da Wolff a Prinsheim a Coing, a Finley a Jolowicz.

Con la pubblicazione del suo XIII numero Seminar interrompe le sue pubblicazioni ed una sintetica comunicazione[64] ne spiega le ragioni: nel momento dell’avvio del supplemento di The Jurist nel 1943, in pieno conflitto bellico, non vi erano altre riviste che ospitassero in America studi di storia giuridica, né la situazione rendeva possibile la pubblicazione presso riviste europee e tutto ciò, singolarmente, proprio in un momento di speciale ripresa di quegli studi negli Stati Uniti, dovuto anche ‘to the presence of many distinguished refugee scholars-Hitler’s backhanded gift to American education’. La mutata situazione, le rinnovate opportunità per i romanisti americani rendono, si osserva, non più necessaria la pubblicazione del fascicolo annuale. Da quel momento in poi anche le tracce dei lavori del Riccobono Seminar fatalmente si stemperano[65].

Per altro era già da molti anni,  contestualmente all’ultima pubblicazione delle cronache sul Bullettino, che la dimensione internazionale dell’Istituzione era sembrata destinata ad un ridimensionamento, mentre la guerra, oramai nel pieno del suo svolgimento, ampliava oltre i limiti dell’Oceano le distanze fra l’Italia e gli Stati Uniti e bruscamente interrompeva un flusso scientifico di studiosi e di idee fra il vecchio ed il nuovo continente: vi erano tutti i presupposti perché il Seminar affievolisse la propria attività[66] che sino ad allora aveva costantemente tratto dal confronto con gli studiosi europei, oramai obbiettivamente difficile, linfa vitale.

Dell’esperienza del Seminar rimangono le fittissime cronache sui fogli ingialliti del Bullettino e sulle  pagine di Seminar, da cui affiorano i confronti appassionati, le dispute e gli entusiasmi di una felice stagione in cui uomini d’ingegno, superando sterili particolarismi, avevano compreso come alla vitalità del diritto romano fosse indissolubilmente legata la vitalità del diritto stesso, di ogni diritto, che da quella esperienza poteva trarre enormi stimoli a migliorarsi, ad aderire sempre di più ai bisogni di una società civile e avanzata, quella stessa società civile che con tanta fatica stava per emergere da uno dei suo incubi più bui. Alla nostra sensibilità di giuristi e di storici è affidato il compito di contribuire, per quanto nelle nostre possibilità, affinché il pericolo che quegli incubi riemergano venga definitivamente scongiurato.


Note


* Questa ricerca  viene contemporaneamente pubblicata, in inglese, nel primo fascicolo di Roman Legal Tradition, rivista diretta da Michael Hoeflich (University of Kansas, School of Law). Ho infatti ritenuto, trovando in ciò conforto nella sensibile disponibilità  del prof. Mario Talamanca, direttore del Bullettino, che la contestuale pubblicazione fosse ‘in linea’ con lo spirito della nuova iniziativa editoriale americana e con la stessa tradizione della prestigiosa Rivista italiana le cui vicende, come vedremo, si intrecciano strettamente con l’esperienza del Riccobono Seminar. Spero che ciò sia di auspicio al dialogo fra giuristi continentali ed americani, premessa per un confronto fra sistemi normativi la cui diversità può essere rimeditata e forse composta anche attraverso una comune riflessione sull’esperienza giuridica di Roma. Con Thomas McGinn e Roger Bagnall ho discusso di taluni di questi problemi e sono loro grato per lo scambio di idee in un momento in cui eventi drammatici hanno scosso ma non abbattutto la nostra ostinata fiducia nella forza del diritto.

  [1]Constitution of the Riccobono Seminar of Roman Law in America, in BIDR. 43 (1935) 325 ss. Il testo dello Statuto è riportato anastaticamente in appendice.

[2] Era nato il 31 gennaio 1864 a S. Giuseppe Jato, in provincia di Palermo.

[3] Baviera, Salvatore Riccobono e l’opera sua, in Studi in onore di Salvatore Riccobono 1 (Palermo 1936) CIII ss.

[4] Vinogradoff e de Zulueta vi invitano Riccobono a tenere una lecture il 24 giugno 1924 su Formulae ficticiae. A normal means of creating new law, poi pubblicata in RHD. 9 (1929) estr.

[5] University of Pennsylvania Law Review 74.1 (1925) 1 ss.

[6] Cfr. la motivazione, dovuta a Pietro Bonfante, con cui nel 1932 si ammetteva Riccobono a Socio della Reale Accademia d’Italia, in Baviera, Salvatore Riccobono cit. XXV nt. 3.

[7] Outlines cit. 3.

[8] The importance of Greek Papyrology in the study of roman Law, in BIDR. 44 (1936-1937) 421 ss. Lo studioso nel 1936 aveva tenuto altre conferenze ad Harvard, a Yale ed alla Columbia University di New York. Le suggestioni e le valutazioni critiche derivanti da questa esperienza americana di Wenger appaiono compendiate tre anni dopo nello studio su Römisches Recht in America, in Studi in onore di E. Besta I (Milano 1939) 151 ss.

[9] Il Diritto Romano negli Stati Uniti di America, in BIDR. 43 (1935) 314.

[10] Ibid. 317.

[11] Non a caso si deve a Howard Milton Colvin, uno dei più impegnati componenti del gruppo di lavoro che gravitava attorno al Riccobono Seminar, una delle più approfondite ricerche su questo aspetto: Roman and Civil law elements in sources of the Law of the United States, in Studi in memoria di A. Albertoni III (Padova 1938) 113 ss. Mi dispiace constatare come il catalogo on line della Law School della Catholic University of America di Washington ignori questo contributo del Colin che di quella Università fu docente.

[12] Riccobono si riferisce a Samuel Parsons Scott (1846-1929) ed alla sua The Civil Law, including the Twelve tables, the Institutes of Gaius, the Rules of Ulpian, the Opinions of Paulus, the Enactments of Justinian, and the Constitution of Leo (Cincinnati 1932). L’opera di Scott  ― purtroppo per molti versi discutibile ― in 17 volumi, la cui scarsa diffusione viene lamentata da Riccobono (Il Diritto Romano negli Stati Uniti cit. 318), per la verità appare oggi facilmente consultabile, essendo nei cataloghi delle biblioteche delle Law Schools di molte Università americane, da Yale ad Harvard alla Vanderbilt, dalla University of Pennsylvania alla Fordham, alla Boston, alla Brooklyn, alla Columbia ed alla New York University. Allo Scott, studioso e traduttore anche di fonti giuridiche medievali (specialmente spagnole, sua una History of Moorish Empire in Europe [Philadelphia-London 1904] ed una traduzione e commento delle Siete Partidas, importante codificazione del sovrano castigliano Alfonso X ‘El sabio’, opera fortemente ispirata dal diritto giustinianeo: Las Siete partidas [Chicago-New York 1931]), si deve un’altra traduzione di interesse romanistico: The Visigothic code. Forum juridicum (Boston 1910, repr. Littleton, Colo. 1982).

[13] Il Diritto Romano negli Stati Uniti cit. 324.

[14] Riccobono diviene ‘Segretario perpetuo’ dell’Istituto di diritto romano dell’Università La Sapienza di Roma e assume la direzione del Bullettino dopo la scomparsa di Vittorio Scialoja, intervenuta il 19 novembre 1933. Sulle complesse vicende della prestigiosa rivista e su quelle, strettamente connesse, dell’Istituto romano, cfr. la densa ricostruzione di Mario Talamanca, Un secolo di ‘Bullettino’, in Bidr. 91 (1988) IX ss. e spec. LXXIX ss.

[15] Cfr. infra la riproduzione dell’atto costitutivo.

[16] Presenti Colvin, Dorsey, Lardone, Lobingier, McGuire, Roelker, Wheatley e Brown.

[17] BIDR. 43 (1935) 327 s.

[18] Sul punto Sherman, Roman law in the United States of America: the present revival of Roman Law study its effects of the American Common Law and on American law schools and legal education, in Atti del Congresso Internazionale di Diritto Romano. Bologna e Roma 1933, II (Pavia 1935) 321 ss. Il Congresso romano venne all’attenzione del Seminar nella seduta dell’11 aprile 1935, in cui Shaaf, Dean della School of Canon Law della CUA riferì dei lavori ai membri dell’Istituto; la minuta della seduta è conservata presso la Biblioteca dell’University of Michigan Law School.

[19] Cfr. la sua Introduction to Roman Law (New York, pubblicato in diverse edizioni, da me consultate, a partire dal 1873 e sino al 1890 e dunque, per quanto a mia conoscenza, tutte postume, essendo morto l’autore nel 1872) .

[20] Sherman, Roman law, cit. 327 ss. e Baldwin, Study of Roman Law in American Law Schools, in Am. Law School Review (1911) 28.

[21] Baldwin (1840-1927) avrebbere riversato la sua esperienza scientifica e didattica anche nelle sue funzioni di Chief Justice e di Governatore dello Stato del Connecticut.

[22] A Wheeler (1832-1905) è intitolata la Yale Collection of Roman Law, costituita anche grazie ad un suo lascito testamentario.

[23] Professore a Yale dal 1905 al 1917.

[24] Per altro non è forse qui inopportuno riflettere su taluni profili di penetrazione del diritto romano in Inghilterra. Questo processo si sviluppa in Inghilterra a partire dal 1066 allorché, a seguito della conquista normanna, il nuovo sistema giuridico si innesta su quello romano, preesistente sin dal VII secolo d. C., epoca della cristianizzazione dell’isola. L’unità politica imposta a quel territorio (ad eccezione della Scozia, sulla cui autonoma realtà normativa cfr. Watson, The Rise of modern Scots Law, in La formazione storica del diritto moderno in europa. Atti del terzo congresso internazionale della Società italiana di Storia del diritto [Firenze 1977] 1167 ss.) da Guglielmo il Conquistatore ebbe dunque come riflesso la creazione di un composito ‘common law’ che veniva a sostituirsi ai vecchi diritti particolari; sul punto v. Milsom, Historical Foundations of the Common Law (London 1969) passim. e Kiralfy, Law and Right in English Legal History, in La formazione storica cit. 1069 ss. In tal modo si andò sviluppando un particolarissimo sistema di evoluzione consuetudinaria del diritto a matrice, per così dire, non popolare ma giurisdizionale. Infatti, le decisioni giudiziali che scaturivano dal lavorìo delle Inns of Court, le quattro organizzazioni dei giuristi della curia regis (e cioè: Inner Temple; Middle Temple; Gray’s Inn e Lincoln’s Inn), venivano a determinare la consolidazione di un sistema giurisprudenziale omogeneo e gelosamente legato alla propria peculiarità, difeso ad oltranza contro i tentativi di inserimento di norme prettamente romane, operati soprattutto dai Tudor e dagli Stuart. Così l’omogeneità corporativa del ceto dei giuristi inglesi fece sì che il Common Law venisse puntualmente applicato dai tribunali come longa manus della curia regis ‘of Common Pleas’, legge da applicare ai sudditi inglesi, in vittoriosa contrapposizione ai tribunali che tentavano di applicare la legge di Roma. Osserva Mario Losano (I grandi sistemi giuridici [Torino 1978] 134 s.) non senza una ‘nuance’ di ironia, come paradossalmente in queste Corti nazionalistiche si utilizzasse il latino e soprattutto, nei dibattimenti, il francese. La giustificazione di ciò era rinvenuta, ancora dai giuristi inglesi del ‘700, nella circostanza che l’inglese non sarebbe stato idoneo ad esprimere il tecnicismo del diritto, ma, a mio modesto modo di vedere, le vere ragioni di una tale singolarità vanno rintracciate nell’eterna tendenza del ceto dei giuristi a fare del proprio linguaggio un linguaggio oscuro, inaccessibile ai più, e dunque utile puntello per conservare un potere corporativo che possa venire in qualche modo garantito da un linguaggio idoneo a consolidare un sapere giuridico che doveva restare geloso appannaggio di pochi. Che questa tendenza sia antica lo dimostra l’atteggiamento del collegio dei pontefici, i primi giuristi in Roma, volto a rendere un sapere giuridico oracolare, orale, estremamente formalistico: cfr. Bretone, Storia del diritto romano (Bari 1987) 107 ss. e, da ultimo, Randazzo, Leges mancipii, cit. spec. 135 ss.

Dopo il 1100 il paese si regge totalmente a legge comune, salvo la Scozia, in cui continua ad applicarsi il roman law. I giudici itineranti, però, nell’applicare il diritto comune utilizzavano un modello procedurale di impronta romana. Così, per dare giustizia, dovevano richiedere ed ottenere un ordine scritto del re (writ) che intimasse al convenuto di presentarsi in giudizio. Ma un tale writ doveva corrispondere esattamente alla pretesa vantata dall’attore, per cui, ‘no writ no remedy’. Con le Provisions of Oxford del 1258, Enrico III blocca i tipi di writs e li cristallizza (ed una suggestione immediata ed ‘acritica’ farebbe pensare a quel che fece Adriano nel codificare l’editto pretorio). Di lì a poco, nel 1285, Edoardo I riapre, ma in senso più limitato, la possibilità di prevedere nuovi writs e con la sua decisione, definita emblematicamente ‘in consimili casu’, schiude la strada al common law, ma dando ad esso un assetto più equilibrato (ed ‘equitativo’: Armanno, Formazione e cultura giuridica nella tradizione del common law dall’aequitas all’equity, in Scritti in onore di Guido Capozzi [Milano 1982] 62 ss.) fra conservazione ed evoluzione, reso appunto nella logica del precedente giurisprudenziale, con una sempre maggiore considerazione per il diritto dei contratti e la responsabilità extracontrattuale da atto lecito (torts). La configurazione giuridica di questa materia, per la sua complessità concettuale, non poteva non risentire della tradizione romana (specie per i negozi e la responsabilità aquiliana), pur dovendo necessariamente essere derivata da un Writ of Trespass che, sia pure risalente ad un epoca in cui la giurisprudenza inglese non riusciva a distinguere fra responsabilità civile e responsabilità penale, veniva a rappresentare ‘the fertile mother of actions’. In questo quadro il sistema di common law si evolve in una prospettiva in cui il diritto romano assume comunque, direi per necessità pratica onde supplire alle approssimazioni dei vecchi writs, un suo peso preponderante, per quanto mai riconosciuto espressamente e oltremodo complicato dai funambolismi del precedente giurisprudenziale.

[25] A sistema compiuto, per civil law ‘si intende la tradizione giuridica del continente europeo di derivazione romana, caratterizzata principalmente da una codificazione di carattere generale e da una particolare tecnica normativa ed interpretativa’: così de Franchis, Dizionario giuridico (1984) 23-24; il civil law è considerato ‘the oldest, most widely distributed and most influential: Merryman, The civil law tradition (Stanford 1985). Il ‘common’ law è invece ‘un termine praticamente intraducibile la cui accezione principale è, letteralmente, quella di legge comune a tutto il paese’: de Franchis, Dizionario, cit. 493. Apparentemente si tratta di due sistemi tra loro inconciliabili, tant’è che il giurista di matrice anglosassone definisce il sistema di civil law come ‘rigido, astratto, incapace di evolversi e basato su di una applicazione automatica delle norme giuridiche’: Armanno, Formazione e cultura giuridica, cit. 31. Ma è ben chiara ai giuristi di entrambi i sistemi come si assista ad una progressiva evoluzione di essi. In effetti il common law angloamericano e il diritto europeo continentale tendono ad avvicinarsi (ma si tratta di un avvicinamento che ha radici antiche: Stein, Continental Influences of English Legal Thought, 1600-1900, in La formazione storica cit. 1105 ss.) : il common law sta conoscendo un espandersi degli statutes e delle consolidations, a scapito del puro ‘judge made law’, mentre la giurisprudenza va assumendo importanza crescente in molti paesi di civil law: ad esempio, in quelli che hanno una corte costituzionale il diritto costituzionale tende sempre più a divenire un diritto giurisprudenziale stricto sensu. Nella cultura del civil law la legge, espressa in termini astratti e generali, deve poter prevedere se non qualsiasi ipotesi almeno quelle più ricorrenti, perché scopo della legge è quello di raggiungere la certezza del diritto.

Il common law, al contrario, essendosi sviluppato verificando caso per caso le analogie presenti nelle controversie sottoposte all’attenzione dei giudici, non ha mai ricevuto una configurazione di tipo sistematico. Infatti i giuristi di common law, non ritenendo di poter formulare con precisione dei principi generali, ‘preferiscono appellarsi alla autorità degli esempi del passato piuttosto che impegnarsi in ragionamenti astratti’: Stein, I fondamenti del diritto europeo (Milano 1987) 114. Ciò spiegherebbe perché i giuristi che operano nei sistemi di common law, contrariamente a quelli di civil law, ritengono che il loro diritto sia flessibile e capace di evolversi con rapidità. Ma questa concezione che i giuristi angloamericani hanno del proprio diritto non significa però che nella tradizione del common law non si avverta l’esigenza della continuità del diritto; il punto è che tale fine, nei paesi di cultura anglosassone, viene realizzato con la dottrina dello ‘stare decisis’, cioè attribuendo forza vincolante al precedente, il quale non è certamente espressione della volontà del legislatore ma è una creazione della giurisprudenza. Per altro, nella misura in cui essa opera in questo senso, viene ad assumere funzioni pratiche di creazione del diritto, diventando essa stessa ‘legislatore’ e, direi, con una forza ed una cogenza della norma probabilmente persino maggiore di quella del legislatore stricto sensu, dal momento che il giudice crea la norma e la applica, seduta stante e senza intermediazioni, al caso in esame. In definitiva, la certezza del diritto nel common law viene raggiunta riconoscendo forza di legge alle decisioni dei giudici. Ma, se da un lato l’accumularsi delle decisioni giurisprudenziali nel corso degli anni ha offerto una varietà di concreti e dettagliati precedendi cui fare riferimento ai fini della risoluzione delle controversie, è altrettanto vero che il case-law ha raggiunto un così alto livello di complessità da richiedere un intervento legislativo che miri ad una sistemizzazione organica delle regole giurisprudenziali. Sicché anche nei paesi di cultura anglosassone emerge in qualche misura l’esigenza di fare ricorso ai ‘codici’, così come nei paesi di civil law si avverte la necessità di una maggiore flessibilità del diritto alle mutevoli esigenze della realtà. Esiste dunque un indizio ben preciso: il processo di accostamento tra le due culture è già in atto ed è più rapido di quanto si possa immaginare.

[26] Radin, Roman Law in the United States, in Atti del Congresso internazionale cit. 346 ss.

[27] Sherman, Roman law, cit. 330.

[28] Ibid. 329.

[29] Cfr. Strong, An analysis of the reply of Mr. David Dudley Field to the Bar association of the City of New-York (New York 1881).

[30] Assembly Bill N. 215.

[31] Field (1805-1894), giurista poliedrico (autore di saggi che vanno dal diritto cile e penale a quello processuale, dal diritto marittimo a quello internazionale) è anche autore di un Codice di procedura civile accolto dallo Stato di New York e di un progetto di Codice penale.

[32] Defects of the proposed Civil Code for the State of New York. A critical examination of the proposed Chapter on ‘Servitudes’ (New York 1882). La polemica con l’estensore del progetto di Codice aveva preso le mosse da una memoria di Field in sette punti sull’opportunità dell’accoglimento di un Codice Civile per lo Stato di New York, cui aveva fatto seguito una replica di Dwight, pubblicata dall’Evening Post il 22 marzo 1882.

[33] Cfr. la celebri lettere di Bentham ‘to the Citizens of the several American United States’, ed in particolare quella dedicata alla Codification of the Common Law (repr. New York 1882) in connessione al Report con cui l’apposita Commissione nominata per la codificazione della Common Law del Massachusetts, indicava al Governor of the Commonwealth of Massachusetts come auspicabile la percorribilità della strada verso una codificazione (ib. 24 ss.) che desse ordine al sistema normativo ancora legato alle consuetudini dei primi coloni: cfr. The Perpetual Laws of the Commonwealth of Massachusetts (Worcester 1788, repr. cur. Cushing, Wilmington 1981).

[34] Vero punctum dolens dei sistemi di common law; v., ad esempio, sull’utilità del concetto romano di dominium, Radin, Roman Law in the United States, cit. 355.

[35] Cfr. Dorsey, The Roman and Common Law origins of certain anomalies now existing in those rules of law and principles of equity governing precedent and subsequent conditions contained in wills and testaments and imposed upon devises and besquets, in Atti del Congresso internazionale cit. 361 ss.

[36] BIDR. 43 cit. 333.

[37] Ne fanno fede le sue ricerche; cfr., in particolare, The people's law, or, Popular participation in law-making : from ancient folk-moot to modern referendum: a study in the evolution of democracy and direct legislation. With An Introduction By George Elliott Howard (New York 1909, repr. Holmes Beach, Fla. 2001); The Evolution Of The Roman Law : From Before The Twelve Tables To The Corpus Juris (Omaha 1923); The Beginnings Of Law : A Summation Of Results In Legal Anthropology (Washington 1934).

[38] Lardone, professore alla CUA di Washington, è certamente uno dei più attivi ed entusiasti collaboratori del Seminar ed uno dei più legati a Riccobono, cui offrirà un importante contributo pubblicato negli Studi dedicati al Maestro siciliano: The Imperial Constitutions in the Institutes of Gaius, in Studi in onore di S. Riccobono I cit. 653 ss.

[39] BIDR. 43 cit. 356.

[40] BIDR. 43 cit. 368.

[41] BIDR. 44 (1936-1937) 419 ss.

[42] Ibid. 450.

[43] de Sloovere insegnava alla New York University Law School; fra i suoi interessi la disciplina dei torts e l’ermeneutica: cfr. The functions of judge and jury in the interpretation of statutes (Cambridge Ma. 1933).

[44] Ibid. 463 ss.

[45] Cfr. Wenger, Römisches Recht in America, cit. passim.

[46] è questa l’entusiastica constatazione dello stesso Riccobono, in pagine da cui affiora la sodisfazione per la vitalità scientifica del Seminar: BIDR. 45 (1938) 335 ss.

[47] Ibid. 336 s.

[48] Ibid. 337.

[49] BIDR. 46 (1939) 328.

[50] Nato nel 1902, Wolff è un importante nome della storiografia romanistica, Dr. Jur. utr. nel 1932 nell’Università di Berlino, professore di Storia del Diritto nell’Università tedesca di Friburgo, è noto in America specialmente per il suo Roman law: an historical introduction (Norman 1951) e comunque frequentò gli ambienti accademici americani, come dimostra la circostanza che venne accolto nella School of Historical Science dell’Institute for Advanced Study presso l’Università di Princeton

[51] Duff, Personality in Roman Private Law (Cambridge 1938).

[52] Consuetudo, exemplum nelle fonti giuridiche romane, in BIDR. 46 (1939) 329 ss.

[53] Noterà Vincenzo Arangio-Ruiz (in Arangio-Ruiz - de Francisci, Salvatore Riccobono e il ‘Bullettino’, in BIDR. 42 [1959] VIII) come la pubblicazione di Seminar cessino proprio in singolare coincidenza con la morte del magister ad vitam, intervenuta il 5 aprile 1958.

[54] Seminar 1 ( 1943) 2.

[55] Vi è un lieve contrasto fra questa data, ricordata da Riccobono in BIDR. 47 (1940) 1 nt. 1, e quella del 12 maggio, menzionata dal medesimo studioso in BIDR. 49-50 (1947) 1 ss.  

[56] BIDR. 47 cit. 1 nt. 1.

[57] A Message by Professor Salvatore Riccobono, in Seminar 3 (1945) 69 s. La lettera, datata 30 ottobre 1944, è pubblicata in italiano in BIDR. 49-50 (1947) 1 ss.

[58] Ibid. 70.

[59] A message cit. 69.

[60] Ibid. 71.

[61] An Exchange of Messages on the occasion of the Birthday of Professor Salvatore Riccobono, February 5, 1954, in Seminar 12 (1954) 67.

[62] Resi coinvolgenti dalla prassi di inviare in anticipo ai membri dell’Istituto un dettagliato calendario della seduta successiva, a cura dello Scriba, con l’indicazione del relatore, dei temi che sarebbero stati trattati ed anche con una succinta indicazione dei problemi oggetto della lecture e del dibattito conseguente. Un prezioso documento attestante ciò è conservato presso la Biblioteca dell’University of Michigan Law School: si tratta di una convocazione autografa di Brendan F. Brown, scriba, per la seduta del 24 febbraio 1943 presso la Georgetown University Law School

[63] La Rivista è consultabile nelle principali biblioteche universitarie statunitensi ed in Italia in più biblioteche, fra le quali segnalo quella dell’Istituto di diritto romano dell’Università ‘La Sapienza’ di Roma. L’ultimo fascicolo (1955-56, pagg. 75 ss.) pubblica un utile indice-sommario dei tredici numeri.

[64] Seminar 13 (1955-56) III.

[65] Lo stesso The Jurist non pubblicherà notizie del Riccobono Seminar dopo la chiusura del supplemento annuale. L’ultima comunicazione attinente l’Istituto è nel vol. XV (1955) 124 e si riferisce ad una conferenza del magister pro tempore Edgar Bodenheimer, cui succederà, per l’anno accademico 1955-56, Hessel E. Yntema, dell’Università del Michigan e, per l’anno successivo, l’ultimo di cui sono a conoscenza, Martin R. P. McGuire (CUA). Dunque le ultime notizie sono quelle pubblicate sul XIII volume di Seminar.

[66] Talamanca, Un secolo di ‘Bullettino’ cit. LXXXIII.