REICHSRECHT, VOLKSRECHT, PROVINZIALRECHT
VECCHI PROBLEMI E NUOVI DOCUMENTI*


di Mario Amelotti

in: SDHI, LXV, 1999, pp. 211-215.

II titolo di questa mia relazione è palesemente ispirato, nelle prime due parole, al famoso libro di LUDWIG MITTEIS, Reichsrecht und Volksrecht in den östlichen Provinzen des römischen Kaiserreichs,edito a Leipzig nel 1891. Libro ben definito «pionieristico», che apre la problematica sui rapporti tra diritto romano e diritti locali. Ma naturalmente, dopo oltre un secolo dalla sua pubblicazione, esso presenta i suoi limiti. Anzitutto riguardo alle fonti, perché utilizza per il periodo imperiale, accanto ai testi di provenienza romana, quasi soltanto dei papiri egizi. In questo ambito il Mitteis inizia veramente la papirologia giuridica, ma al di fuori poteva conoscere assai poco. In secondo luogo riguardo alle concezioni che sono alla base della sua trattazione e che sono quelle del suo tempo. Con particolare riferimento al diritto privato, diritto romano e diritti locali sono da lui visti rigidamente come ordinamenti giuridici, cui i singoli individui appartengono. Ma stando a Gai. 1.1 ciò può essere vero per la civitas romana come per le altre civitates dell'impero. La massa dei sudditi delle ex monarchie ellenistiche non sono civesné hanno un proprio ius civile:a parte le disposizioni loro imposte dall'alto, si potrà tutt'al più parlare di usanze, di tradizioni giuridiche.

Comunque nei primi tempi del principato l’eventuale conflitto tra diritto romano e diritti locali riveste poca importanza per il minimo numero di cittadini romani in Oriente: governatori e funzionari inviati da Roma, militari di diverse provenienze. Il numero dei cittadini andrà poi crescendo per funzionari che vengono scelti sul posto; per veterani che si fermano in provincia, ma si tratta pur sempre di una stretta minoranza.

Per precise esigenze, spesso più pubblicistiche che privatistiche, interviene il Provinzialrecht, cioè un diritto emanato dall'autorità romana specificamente per una provincia. Non saprei dire quando è nata questa terminologia, ma essa esprime con efficace sintesi un problema complesso, reso ancora più arduo dalla commistione con quello del cosiddetto edictum provinciale. La possibilità che i governatori provinciali, all'atto dell'ingresso in carica, emanassero un programma cui si sarebbero attenuti nella loro attività giurisdizionale, programma modellato sull'editto urbano, ma con aspetti suoi particolari, è più che plausibile per l'età tardo repubblicana e magari ancora dopo per le province senatorie, ma lascia assai perplessi per le province imperiali (1).

Certo è che in queste province i governatori, in particolare il prefetto d'Egitto che meglio conosciamo, operavano a colpi di editti specifici, in gran parte di contenuto fiscale, ma con riflessi politici o invece privatistici. Ad esempio è con esenzioni fiscali che il prefetto d'Egitto differenzia nella cèra dalla massa dei contadini egizi le élites greche, facendone dei notabili fedeli al potere di Roma (2). Nella creazione di questo diritto romano locale egli poteva giovarsi di norme del diritto romano, introdurre nuove norme o anche recuperare norme dei precedenti signori, i Lagidi. Mi piace ricordare al riguardo il § 37 del Gnomon dell'Idios Logos   il noto regolamento fiscale di età romana  non solo perché esso mi rimanda ad una ricerca svolta or sono cinquant'anni con Bingen e la compianta Lenger, ma perché l'interpretazione che allora sostenemmo ha ora ricevuto definitiva conferma. Dice il § 37: «Coloro che hanno trasgredito i prost£gmata basilšwn À ™p£rcwn,agendo in maniera non conforme alle prescrizioni, furono multati, chi della quarta parte dei beni, chi della metà, chi dell'intero». I prost£gmata ™p£rcwn sono senza dubbio gli editti dei prefetti d'Egitto, ma che cosa sono i prost£gmata basilšwn ? Noi traducemmo come ordinanze dei re (sc. Lagidi), ma altri pensarono a costituzioni imperiali o, in un senso comprensivo di re e imperatori, ad atti del potere sovrano. Tutte interpretazioni possibili finché del Gnomon avevamo solo un papiro della seconda metà del II secolo d. C., ma adesso che ci è pervenuto un frammento in cui figura con identica formulazione il § 37, frammento risalente alla prima metà del I secolo d. C., quei basile‹j non possono essere che i Tolemei. Né più meraviglia allora che un giudice romano in una sua sentenza, richiamando analoghi precedenti, venga a fondarsi su ordinanze tolemaiche (3). Altri casi di leggi dei monarchi ellenistici fatte proprie dall'autorità romana sono testimoniati per altre province d'Oriente da testi epigrafici (4).

Il momento di incontro e scontro del diritto romano con i diritti locali è generalmente individuato nel 212 con la constitutio Antoniniana, che con­cesse la cittadinanza romana a tutti gli abitanti dell'impero con scarse e discusse eccezioni. Sulle conseguenze del provvedimento abbiamo nella dottrina due diverse posizioni, opposte nel contenuto ma che muovono dalla stessa rigida concezione di appartenenza degli individui agli ordinamenti giuridici. Risale al Mitteis l'opinione che i cittadini romani, vecchi e nuovi, sarebbero stati ormai tenuti ufficialmente all'osservanza del diritto romano, mentre i diritti locali sarebbero degradati ad usanze formalmente illegali: opinione ripresa da altri studiosi, come l'Arangio Ruiz, che attenuano però la visione di una lotta drammatica tra diritto romano e di­ritti locali. Primeggia invece lo Schónbauer nel sostenere la permanenza perfettamente legale, accanto al diritto romano, dei diritti locali, in quanto i neocittadini manterrebbero l'appartenenza alla città d'origine: è la dottrina della cosiddetta doppia cittadinanza. II problema va ripreso nel quadro di una visione complessiva della politica severiana. Appartiene a Settimio Severo la municipalizzazione dei centri abitati di una qualche importanza. Se gli abitanti di Alessandria possono gioire per vedere resti­tuita alla loro illustre pÒlij già soppressa dai tempi di Augusto, al contempo possono gioire i capoluoghi dei nomo… della cèra egiziana, che da grossi villaggi si vedono elevati a municipi. Ma questi sono ormai comunità amministrative. Non è più discorso di vere pÒleij, di civitates con un loro ius civile, anche se certamente tali comunità avranno una loro prassi giuridica. Sono ancora i giuristi dell'età severiana ad elaborare il concetto di consuetudo come fonte sussidiaria rispetto alla legge, proprio in riferimento al fenomeno, cui la constitutio Antoniniana ha dato pregnante at­tualità, degli usi locali. Nei limiti in cui essi servivano ad integrare local­mente il sistema romano, furono in questo assorbiti. È significativo che al­la stessa interpretazione dei diritti locali nel senso ormai di usi siano arri­vati il Modrzejewski e il Gallo, muovendo dai diversi punti di vista del diritto praticato in Egitto e dell'elaborazione giurisprudenziale a Roma (5). Di fronte agli usi locali l'atteggiamento dei Severi è per lo più d'indifferenza o, se vogliamo, di tacito consenso. Ma ripetutamente essi fanno propri quegli usi. È del tempo l'inserimento nel diritto romano della longi temporis praescriptio. Parimenti viene accettata la pratica, diffusa nelle pro­vince orientali, dei chirografi nel senso di semplici dichiarazioni di debito, ai cui inconvenienti si porge rimedio mediante quei mezzi processuali della cognitio che si richiamano alla nozione di non numerata pecunia. È Alessan­dro Severo che soccorre gli smarriti provinciali, dell'Egitto se non di tutto l'impero, permettendo loro di far testamento in lingua greca (6). Al periodo severiano l'opinione comune attribuisce pure la clausola stipulatoria, nella forma kaˆ ™prwthqeˆj çmolÒghsa, che permette di assumere le più diverse contrattazioni sotto l'egida della stipulatio romana, salvo poi a discutere se derivi da disposizione normativa o da interpretazione giurisprudenziale o da esperienza della prassi. Ma stando alla nuova documentazione orientale, di cui si dirà in seguito, quella clausola stipulatoria appare già attestata in età adrianea, mentre nei papiri egizi figura solo dopo la constitutio Antoniniana. Naturalmente i romani non possono che respingere quelle usanze provinciali che loro maggiormente ripugnano: è il caso in Egitto delle unioni endogamiche, cui dopo il 212 venne solo concessa un'eccezionale transitoria prosecuzione (7).

Altra politica seguono altri imperatori. L'attenzione cade particolarmente su Diocleziano, che si oppone a molte pratiche provinciali nel quadro del suo tentativo di restaurazione dell'antico impero, romano e pagano, e in nome di una più rigorosa osservanza del diritto ufficiale. Ma i suoi risultati vanno poco oltre un limitato ritorno al latino e un esteriore adeguamento a requisiti formali. Alle volte deve cedere egli stesso, come ebbi occasione di sottolineare in mie lontane ricerche. Così in tema di adozione, di esposizione degli infanti, di tutela e cura. Né sa riportare a nuova vita il decrepito testamento librale, salvo ad insistere sulla presenza dei testimoni (8).

Costantino introduce un atteggiamento assai più aperto alle istanze provinciali e alla realtà dei nuovi tempi. Sfuggono però i termini della coesistenza del diritto ufficiale con gli usi locali nel periodo postclassico, per l'insufficienza delle testimonianze periferiche e l'intrinseca contraddittorietà della stessa legislazione imperiale. Né qui si può entrare nel terreno minato delle pretese influenze elleniche sul diritto romano. Progressivamente l'ordine si viene a ristabilire, nel corso del V secolo e definitivamente con Giustiniano, nelle sembianze tanto regolari quanto anonime della documentazione, nella quale ogni negozio di un certo rilievo ormai si riversa. Aderendo allo stile che il Wolff ha esattamente individuato come costantinopolitano, i notai provinciali redigono i loro documenti nell'enfatica e ridondante prosa bizantina con sistematica ripetizione di formule e clausole, con obbediente ossequio, ma non senza fraintendimenti, alle prescrizioni imperiali. Se all'inizio, dopo i consueti simboli cristiani, collocano la datazione nella triplice forma voluta da Giustiniano, alla fine riportano completio e absolutio. Nel caso del testo la descrizione che offrono dei vari negozi poco o nulla fa capire del sottofondo di concezioni e pratiche con le quali i provinciali svolgono i loro affari giuridici (9). Qualcosa tuttavia affiora. La preponderanza rispetto ai testamenti di atti paratestamentari   donazioni tra vivi e dopo morte, divisioni d'ascendente, patti successorii autonomi o inseriti in altri negozi   denota una preferenza per disposizioni di validità immediata e non revocabile, che non diano adito a futura incertezza (10). L'abbondanza di atti diretti alla pacifica conciliazione di liti prospetta una realtà di transazioni private che lo Schiller ha esasperato negando per l'epoca in Egitto ogni ricorso ai tribunali (11). Se invece guardiamo agli interventi imperiali provocati da usanze locali, vediamo Giustiniano accusare gli abitanti del villaggio di Sindys e gli ebrei di Tiro di unioni incestuose, tollerarle al presente contro pagamento di sostanziose multe, comminare altrimenti pene durissime; lo vediamo rivolgere analoghe accuse alle popolazioni di Mesopotamia e Osroene, indulgendo sul passato ma minacciandoli dell'estremo supplizio. Aspre parole l'imperatore riserva pure agli abitanti dell'Armenia, che hanno le barbare usanze di comprare le mogli e di escludere le figlie dalla loro successione. Sono naturalmente solo degli esempi (12).

Questa mia esposizione continua a presentare dei limiti. Limiti soggettivi, nel senso che molte sono le semplici opinioni che potranno trovare critici dubbiosi od avversi. Limiti oggettivi   in fondo ancora quelli del Mitteis   nel senso che i dati per la prassi provinciale sono attinti quasi esclusivamente ai papiri d'Egitto, perché ben poco finora è stato tratto e discusso dalle scarne, frammentarie notizie relative alle altre province orientali. Ma questo è sempre vero? Non abbiamo nuovi documenti per quelle province su cui si debba riflettere? Sono interrogativi ai quali adesso cercherà di rispondere, sulla base delle sue ricerche, Livia Migliardi.


© Mario Amelotti
Università degli Studi di Genova
Istituto di Diritto Romano



Note:
1Vengono qui di seguito pubblicati i contributi di M. Amelotti e di L. Migliardi Zingale al Congresso della Società italiana di storia del diritto su Diritto generale e diritti particolari nell'esperienza storica, Torino, 19 21 novembre 19913.
Si ringrazia il Prof. U. S. Pene Vidari per la cortese autorizzazione a pubblicare. Sul problema vedi per tutti R. Katzoff, Sources of Law in Roman Egypt: The Role of the Prefect, in Aufstieg und
Niedergang der römischen Welt, 2. Principat, 13. Recht, Berlin New York 1980, 825 ss.
2 Vedi J. MÉLÈZE MODRZEJEWSKI, Entre la cité et le fisc: le statut grec dans l'Égyple romaine, in Symposion 1982, Valencia 1985 e Köln Wien 1989, 241 ss. (ristampa in Droit impérial et traditions locales dans l’Agypte romaine, Aldershot 1990, I).
3 Vedi L. MIGLIARDI ZINGALE, Ancora sui Prostagmata Basileon nella provincia romana d'Egitto, in Symposion 1997 (in corso di pubblicazione).
4 Vedi M. Amelotti, Leggi greche in diritto romano, ancora in Symposion 1997.
5 Per il Modrzejewski fondamentale è il saggio La règle de droit dans l'Egypte romaine (État des que­stion et perspectives de recherches), in Proceedings of the Twelfth International Congress of Papyrology, Toronto 1970, 317 ss., integrato da successivi studi e ripreso nella sintesi Diritto romano e diritti locali, in Storia di Roma 3.2, Torino 1993, 985 ss. Per F. Gallo rimando al suo volume Interpretazione e formazione consuetudinaria del diritto, Torino 1993, 177 ss.
6 Vedi M. AMELOTTI, Il testamento romano attraverso la prassi documentale, Le forme classiche di testamento Firenze 1966, 217 ss.
7 Vedi O. MONTEVECCHI, Endogamia e cittadinanza romana in Egitto, in Aegyptus 59 (1979), 137 ss.
8 Rimando al mio libro Per l’interpretazione della legislazione privatistica di Diocleziano, Milano 1960, e in materia testamentaria al citato Testamento romano, 240 ss.
9 La redazione del documento bizantino è da me analizzata in M. AMELOTTI - G. COSTAMAGNA Alle origini del notariato italiano, Roma 1975 (ristampa Milano 1995), 49 ss.; 85 ss,
10 Rimando al mio scritto Testamenti ed atti paratestamentari nei papiri bizantini, in RIDA. 16 (1969) 211 ss., ripreso in Scritti giuridici, Torino 1996, 452 ss. Vedi pure la voce Testamento (diritto romano), in ED. 44 (1992) 467 s.
11 Mi riferisco allo scritto di A. A. SCHILLER, The Courts are No More, in Studi Volterra, 1, Milano 1971 469 ss., le cui drastiche affermazioni hanno sollevato diffuse perplessità.
12 Esempi tratti dalle Novelle 139, 154 e 21 e dall'Editto 3, su cui vedi G. LANATA, Società e di diritto nel mondo tardo antico. Sei saggi sulle Novelle giustinianee, Torino 1994, 39 ss.