Il tempo e il luogo dell’actio prima della sua riduzione
a strumento processuale
Il cippo arcaico del Foro romano scoperto sotto il Niger Lapis  nella sua attuale collocazione

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di Raimondo Santoro
in: Annuali del seminario giuridico dell'Università di Palermo (AUPA),
XLI, 1991, pp. 300 ss.


1. Qualche tempo fa ho sostenuto l'idea che la nozione di actio non si situi, alle origini, sul terreno processuale, ma su tutto il terreno dell'esperienza giuridica. (1)
I dati del vocabolario sono già di per sé eloquenti. Oltre ai significati processuali, actio indica, da un lato, anche il negozio, lo schema negoziale e, dall'altro, l'iniziativa del magistrato o la sua proposta dinanzi all'assemblea popolare, al punto che egli è chiamato actor.
Qualcuno ha detto che si tratta di significati tecnici (2). In nome di che? Della nozione di processo, che dovrebbe essere l'unico referente della nozione di actio. Ma, per i rilievi terminologici fatti, è proprio tale nozione che va messa in discussione. Ciò che è da accertare è se essa sia risalente alla più antica esperienza giuridica. (3)
A me è parso che la nozione di processo nasca solo in progresso di tempo, a misura che il diritto va separandosi dall'azione. (4) E ciò è tanto vero che in origine si parla di legis actio, ossia, nel significato più risalente dell'espressione, di pronunzia di verba sollemnia, unilaterale, costitutiva, potenzialmente esente da limiti di operatività. (5) Perciò in questo significato il termine actio si impiega, al di fuori del processo, proprio nel campo dell'agere negoziale e nel campo dell'agere cum populo, nei quali si riscontrano pronunzie aventi gli stessi caratteri. Né a tale larghissimo impiego fanno ostacolo le nozioni di attività legislativa, elettorale,giudiziaria, negoziale, poiché anche esse, come la nozione di attività processuale, sono frutto dello svolgimento storico. (6)
Ora, io vorrei cercare una conferma della tesi dell'originaria unità dell'actio, indagando sulle sue modalità di tempo e di luogo e mi propongo di dimostrare che ordinariamente il tempo ed il luogo dell'actio coincidono in tutte le manifestazioni. Non voglio dire, beninteso, che tale coincidenza si debba sempre riscontrare. In certe manifestazioni l'actio può svolgersi in ogni luogo e, almeno a partire da una certa età, in ogni tempo. (7) Ma la coincidenza si verifica nella normalità dei casi. La spiegazione del fenomeno è data, appunto, dalla originaria unità dell'actio.


2. Tempo dell'actio. E’ noto che la legis actio processuale si svolgeva ordinariamente nei dies fasti (Varr. 1.1. 6, 29 30 ). Ma, alle origini, è negli stessi dies   e non nei dies comitiales   che si svolgeva 1'agere cum populo. Ne dà notizia

Liv. 1,19,7: Idem (Numa) nefastos dies fastosque fecit, quia aliquando quando nihil cum populo agi utile futurum erat.

Si spiega così come, quando furono introdotti, i dies comitiales non costituirono un insieme a sé stante, ma solo una parte (195 su 237) (8) dei dies fasti. In questo senso va inteso

Varr. l.l. 6, 29 ... Dies fasti, ... comitiales dicti, quod tum ut <ad>esset populus constitutum est ad suffragium ferendum (i dies fasti, ... sono detti comitiales, dal momento che si stabilì che il popolo fosse presente per votare)

da cui risulta che l'introduzione dei dies comitiales è da porre in rapporto al riconoscimento della partecipazione del popolo all'attività comiziale mediante il voto.
Analogamente è nei dies fasti che si doveva svolgere normalmente l'attività negoziaIe. Ciò vale, ovviamente, dato l'originario identificarsi dei dies comitiales con i dies fasti, per quelle forme negoziali che richiedono la riunione dell'assemblea popolare, come il testamento calatis comitiis, la adrogatio((9) (e la detestatio sacrorum). Ciò vale, d'altra parte, almeno per la in iure cessio e la manumissio vindicta, poiché le fonti dicono esplicitamente che si tratta di legis actiones (non di negozi o di finti processi), Ciò vale inoltre per la solutio per aes et libram, alla quale si doveva ricorrere per la liberazione del iudicatus o del confessus nei giorni delle nundinae, nei quali l'attore doveva portarlo, per tre volte di seguito, nel comizio, dinanzi al pretore e dichiarare solennemente (praedicare) per quale somma era stato iudicatus. (10) Originariamente le nundinae dovevano cadere, infatti, nei giorni fasti. (11)
Un altro indizio, più diretto, che la solutio per aes et libram fosse una legis actio è dato dalla presenza nel suo formulario dell’espressione ‘secundum legem publicam (Gai. 3, 174). Questa espressione ricorre anche nella formula pronunziata dal familiae emptor nel testamentum per aes et libram (Gai. 2, 104) e deriva dal testamentum calatis comitiis. In essa lex publica significa pronunzia solenne dinanzi ai testimoni (originariamente dinanzi al popolo), come ha intuito lo Stein (12) e come può dimostrarsi al confronto con il tenore della successiva nuncupatio (ita do ita lego ita testor itaque vos quirites testimonium mihi perhibetote). Perciò tanto la solutio per aes et libram che il testamentum calatis comitiis erano legis actiones e si dovevono compiere nel tempo in cui è fas.

3. Infatti il testamentum calatis comitiis si compiva, secondo la congettura del Mommsen, (13) nella parte in cui è fas dei due dies QRCF (il 24 marzo ed il 24 maggio).
L'analisi di questi dies consente una verifica della tesi qui sostenuta. La loro definizione è in

Varr. l.l. 6,31 ... Dies qui vocatur sic `quando rex comitiavit fas', [s]is dictus ab eo, quod eo die rex sacrific[ilulus dicat ad comitium, ad quod tempus est nefas, ab eo fas: itaque post id tempus lege actum saepe.

Ho riportato la lezione, comunemente accolta, di Goetz e Schoell. Nessuna difficoltà fa la correzione di ‘fassis in ‘fas is’.
Molto più dubbia è, invece, la restituzione ‘sacrific[i]ulus, poiché il manoscritto utilizzato reca ‘sacrificiolus’, anche se essa si appoggia in qualche modo su

Fest. Paul. 311, 1 3 ‘Quandoc rex comitiavit fas’, in fastis notari solet, et hoc videtur significare, quando rex sacrificulus divinis rebus perfectis in comitium venit.

Varr. 1.1. 6,31 direbbe: Il dies che è chiamato `quando rex comitiavit fas ' è così detto perché in quel giorno il rex sacrificulus rivolge pronunzie (dicat) al comizio. Fino a quel tempo è nefas da quel tempo in poi è fas. E perciò dopo quel tempo si è svolta spesso 1'attività del ‘lege agere

Come nel dies QSDF, del quale Varrone parla immediatamente dopo ( 6, 32 ), (14) nei dies QRCF è nefas all'inizio e fas a partire da un certo momento. Similmente, nei dies intercisi, dei quali Varrone parla immediatamente prima (6, 31, prima parte) (15) è nefas all'inizio e alla fine, è fas tra due momenti di un sacrificio (l'uccisione della vittima e l'offerta degli exta).

Ma la lezione di Goetz e Schoell va incontra a due difficoltà: 1) `dicat ' è senza oggetto (e le proposte di emendarlo di Ursinus, (16) di Mommsen (17) e di Hirschfeld (18) non soddisfano); 2) se fino alla pronunzia del rex è nefas, tale pronunzia cadrebbe nel nefas.
Il Paoli (19) ritiene questa una mostruosità giuridica, che Varrone avrebbe compiuto per affermare la sua nozione di giorni fasti e nefasti. Questi ultimi non sarebbero stati quelli nei quali non è consentito di lege agere nel senso di pronunziare i verba legitima, ma ma sarebbero le feriae. Basta tuttavia dare uno sguardo alla successione dei giorni nefasti nel calendario, (20) per scartare la tesi del Paoli.
Per il Magdelain (21) non si tratterebbe, invece, di mostruosità giuridica, poiché il rex presiedeva (questo sarebbe il senso di ‘comitiare’) una assemblea non deliberante, come quella delle nonae, che possono cadere nei giorni nefasti, in cui, secondo Varr. 1.1. 6, 28, (22) faceva 1'editio delle feriae menstruae. Ma, anche se l'assemblea non è deliberante, una pronunzia del rex (dicat) v'è sempre (e, come vedremo, si tratta di pronunzia di ius) e non può cadere nel nefas, poiché le pronunzie del magistrato sono legate al fas. Varr. 11. 6, 29-30 dice, infatti, che i dies fasti sono quelli nei quali è consentito ai pretori di dire omnia verba, mentre i dies nefasti sono quelli nei quali non possono pronunziare i verba legitima (6,53) della iurisdictio e per ciò non si può agire, perché la legis actio è pronunzia di verba. (23)
Quanto alle nonae, vedremo che v'è traccia nelle fonti di un regime analogo a quello dei dies QRCF, (24) per cui 1'editio feriarum può ricondursi alla parte fasta del giorno.

4. Ogni difficoltà scompare se si accolga la lezione di Varr. l.l. 6, 31 contenuta in tutti i codici seriori (tra i quali il più antico, il cod. Laurentianus 51, 5 del 1427) e difesa dal von Blumenthal. (25)

Varr. 1.1. 6, 31 ... Dies qui vocatur `quando rex comitiavit fas' is dictus ab eo quod eo die rex <ex> sacrificio ius dicat ad comitium, ad quod tempus est nefas, ab eo fas: itaque post id tempus lege actum saepe.

In effetti, Varr. l.l. 6, 31 deve avere menzionato un sacrificio, come risulta dal confronto con Fest. 346, 27, ove, nel contesto della voce `Regifugium', si legge ‘ ... ficium(26) ; con Ovid. Fast. 5,727 s., che spiega la sigla del calendario dicendo: Quattuor inde notis locus est, quibus ordine lectis / vel mos sacrorum vel fuga regis inest; e con lo stesso Fest. Paul. 311,1 3, ove `rebus divinis perfectis' allude al sacrificio. C'è solo da integrare prima di ‘sacrificio’ un ‘ex’ ( caduto per una di quelle aplografie che sono frequenti nel manoscritto archetipo del De lingua latina) e che regge un complemento di tempo (dal momento del sacrificio). (27)
Ora, accolta questa diversa lezione di Varr. 11 6, 31, risulta che `dicat' ha un oggetto (ius) e che la pronunzia del rex cade nel fas, poiché il momento del tempo che segna il passaggio dal nefas al fas è dato dal sacrificio e la pronunzia del rex avviene dopo il sacrificio.
Una cosa sola è da aggiungere all'analisi formale del testo. `Dicat', che non c'è bisogno di correggere in `dicebat ', come vuole il von Blumenthal, può essere forma di `dicare', piuttosto che di `dicere', come attesta il confronto con un altro brano di

Varr. 1.1. 6, 61 ... Ennius: `dico qui hunc dicare'; hinc indicare, quod tunc ius dicatur; hinc iudex, quod iu(s) dicai accepta potestate, id est quibusdam verbis dicendo finiti sic enim aedis sacra a magistratu pontifice prae<e>unte dicendo dedicatur. Hinc, ab dic[a]<e>ndo, indicium; hinc illo indicit illum, indixit funus, prodixit diem, addixit iudicium…


5. E passiamo alla interpretazione del testo. La prima questione è: chi è il rex? Può trattarsi del rex sacrorum come del rex politico (e in 1.1. 6,28 (28) lo stesso Varrone usa il termine rex per indicare la prima volta il rex politico e la seconda volta il rex sacrorum). A me sembra certo che si tratti del rex politico, anzitutto perché la sua pronunzia ha per oggetto il ius e, inoltre, perché la sigla del calendario QRCF risale al cosiddetto calendario numano.
La seconda questione è: che cosa fa il rex? Secondo la sigla egli svolge l'attività del `comitiare', secondo la spiegazione di Varrone egli `dicat ius'. E allora il Santalucia (29) pensa che il re tenga un comizio a scopo di giurisdizione (e si tratterebbe di giurisdizione criminale), dopo di che si svolgerebbe il leggi agere.
Ma la lezione corretta di Varr. 1.1. 6, 61, che anche il Santalucia segue, impone una importantissima conseguenza. Poiché `post id tempus' si riferisce al sacrificio (e non alla pronunzia del rex), non c'è alcuna ragione di separare temporalmente la pronunzia del re dal lege agere. E, infatti, anche la pronunzia del re rientra nella parte fasta del dies. Ciò è dovuto al fatto che la stessa pronunzia del rex era legis actio. La conferma è data dalle fonti più recenti, (30) che parlano non solo di legis actio apud magistratum, ma anche di legis actio del magistrato (in questa consiste la pronunzia dei verba legitima, che sono i verba della legis actio). Ma, in particolare, ciò risulta anche dallo stesso contesto. Varr, 1.1. 6, 31 parla di un ` ius dicare' del re. Ma lo stesso Varrone, in 6, 29 30, come si è visto, definendo i giorni fasti e nefasti, ha legato il ius dicere del magistrato alla definizione del lege agere. Il `ius dicare' del re era, come il ius dicere del magistrato, pronunzia solenne che si deve compiere nel fas e, perciò, legis actio.((31)


6. Se però vogliamo determinare con precisione che cosa fa il rex, dobbiamo distinguere l'attività del ‘comitiare, di cui alla sigla, dal ‘ius dicat’ della spiegazione di Varrone.
In effetti, altro è il ` comitiare', altro ciò che Varrone indica con l'espressione 'ius dicat'.
`Comitiare', come denominativo di comitium, significa `provocare un comizio', `convocare un comizio'. (32) E ciò fa capire perché nella spiegazione di Varrone si parli di un sacrificio. Anche se ciò è poco noto, risulta infatti dalle fonti che il sacrificio è un momento del rito di convocazione dei comizi. Basta citare, fra i numerosi testi che lo provano,

Macr. Sat. 1,15,10: Itaque sacrificio a rege et minore pontifice celebrato idem pontifex calata, id est votata, in Capitolium plebe iuxta curiam Calabram..., quot numero dies a kalendis ad nonas superessent pronuntiabat... (33)

relativo all'assemblea nella quale il pontifex minor (e in origine, forse, il re politico) con una pronunzia solenne (praedicabat) fissava le nonae e, soprattutto, la fondamentale testimonianza di

Liv. 1,8,1 (Romulus) Rebus divinis rite perpetratis vocataque ad concilium multitudine, quae coalescere in populi unius corpus nulla re praeterquam legibus poterat, iura dedit...

relativa alla prima convocazione dei comizi curiati da parte di Romolo.


7. Il rito di convocazione dei comizi consta, tuttavia, di varie fasi. In quale momento si pone il sacrificio?

Per i comizi centuariati le varie fasi sono descritte da

Varr. l.l. 6, 88 In commentariis consularibus scriptum sic inveni: Qui exercitum imperaturus erit, accenso dicit hoc: `Calpurni, voca in licium omnes quirites huc ad me'. Accensus dicit sic: `Omnes quirites, in licium visite huc ad iudices'. `C. Calpurni', cos. dicit, ‘voca ad conventionem omnes quirites huc ad me’. Accensus dicit sic: `omnes quirites, ite ad conventionem huc ad iudices'. Dein consul eloquitur ad exercitum: `impero qua convenit ad comitia centuriata'.

La prima fase è la in licium vocatio. Il console rivolge all'accensus il comando: ‘Calpurni voca in licium omnes quirites huc ad me'. E 1'accensus dice: ` Omnes quirites in licium visite huc ad iudices'. Dopo che i quirites si sono riuniti in licium, inizia la seconda fase, la vocatio ad con(ven)tionem. Il console ordina all'accensus: ` C. CaLpurni, voca ad conventionem omnes quirites huc ad me' e 1'accensus dice: `Omnes quirites, ite (non visite!) ad conventionem hunc ad iudices'. Si apre così la conventio (concio). La terza fase è la vocatio ad comitiatum, che prelude alla deliberazione. Ora soltanto l’assemblea deve essere ordînata. E perciò il magistrato comanda: `Impero qua convenit ad comitia centuriata'.
L'antichità presumibile della in licium vocatio (il termine `licium' è oscuro e frainteso dallo stesso Varrone, che usa la forma sostantivale `inlicium') (34) e il fatto che i comitia curiata non siano ordinariamente una assemblea deliberante (35) fa ritenere che le prime due fasi di questo rito di convocazione, ed esse sole, siamo comuni ai comitia curiata. E allora, poiché Liv. 1,8,1 si riferisce ad un concilium non deliberante (il rex `iura dedit'), la vocatio di cui si parla in questo testo deve essere ad conventionem e il sacrifico deve porsi prima della vocatio ad conventionem.
È infatti probabile che esso avvenisse dinanzi ad una assemblea e che questa. fosse il `licium'. Così si spiega l'altrimenti incomprensibile 'visite ' di Varr. 1.1. 6, 88, che significa letteralmente ` venite a vedere' (per la vocatio ad conventionem si dice solo `ite' ). La vocatio in licium è una vocatio ad un'assemblea a scopo sacrale, nella quale si assiste al sacrificio che apre la contio. È possibile che `licium' indichi anche, in un primo più concreto significato, il recinto e che questo corrisponda al templum. (36)


8. Dopo il sacrificio avviene la vocatio ad con(ven)tionem e la con(ven)tio.
La conventio è la forma dell'assemblea propriamente assunta dai comitia curiata. Gli atti che ricadono nella competenza di questi comizi si concludono, infatti, in concione, poiché non richiedono, fuorché la adrogatio, una deliberazione dell'assemblea. (37)
Essi consistono in pronunzie unilaterali, rispetto alle quali l'assemblea svolge una funzione di testimonianza, ma nel senso antico, per cui non è mezzo di mera prova o di pubblicità dell'atto, ma adprobatio, cioè approvazione dello stesso da parte del corpo soci, destinata a rafforzarlo, anche se questa approvazione si manifesti in modo tacito o con l'acclamazione (suffragium). Questa è la funzione svolta dai quirites, come ha intuito il Magdelain, (38) commentando l’espressione ‘ex iure quiritium e ricostruendo sotto questo riguardo la funzione di Quirinus come ` dio della comunità' dei quiriti riuniti in assemblea.
È perciò che la pronunzia unilaterale dinanzi ai comizi curiati, tanto se promani dal rex che se promani dal privato, si risolve in una lex publica, nel senso più antico, già visto, giacché avviene davanti al popolo testimone.


9. Tale pronunzia, nella con(ven)tio, doveva costituire un agere. Solo quando l'assemblea assume funzione deliberante, 1'agere (cum populo) viene ad identificarsi, come vuole Messala apud Gell. N.A. 13,16, (39) con la vocatio ad comitiatum e la successiva presentazione della rogatio all'assemblea da parte del magistrato. E ciò avviene nella terza fase del procedimento comiziale, dinanzi ai comizi centuriati.
La pronunzia unilaterale del magistrato non costituisce più, di per sé, lex, ma richiede l'assenso dell'assemblea, che esercita funzioni che tendono a diversificarsi (legislativa in senso moderno, ristretto; elettorale; giudiziaria). La pronunzia del privato, che non richiese mai, tranne che nel caso dell'adrogatio, l'assenso dell'assemblea, non è più una lex publica, ma tende ad assumere una funzione negoziale (e, corrispondentemente, dà luogo, in taluni casi, a negozi bilaterali). Così, parallelamente, nel processo civile si sviluppa 1'agere cum adversario. Ma è significativo che in tutti questi casi sopravviva l'antico residuo terminologico per cui, sia che si tratti di attività legislativa o elettorale o giudiziaria o negoziale, si continua a parlare, come nel processo civile, di actio.

10. Dopo lo sviluppo della funzione deliberante dell'assemblea popolare, `comitiatus' è solo l'ultima parte dell'agere cum populo. Ma un `comitiare', di cui il comitiatus è il risultato, si aveva anche nei comitia curiata.
A tacer d'altro, ciò risulta dall'espressione `calatis comitiis in populi concione', usata a proposito del testamento comiziale e dal fatto che Labeone parli di comitia calata per l'inaugurazione del re e dei flamini. (40) `Comitium ' è, d'altra parte, propriamente il luogo della riunione, non della deliberazione, e così si doveva chiamare già anticamente, quando vi si riunivano i soli comitia curiata. E’ significativa, del resto, la simmetria tra comitium (da comire) e con(ven)tio (da convenire).
La differenza è che il `comitiare' dei comitia curiata è provocare la formazione di quella assemblea deliberante che è la contio.

11. Ora finalmente possiamo dire di avere spiegato il significato del termine `comitiavit' della sigla QRCF.
Ma ora abbiamo colto definitivamente anche la portata, già individuata, della spiegazione di Varrone, per il quale il rex `ius dicat'. Con queste parole Varrone non spiega il termine `comitiavit' della formula. L'ha fatto, sia pure implicitamente, con quel cenno alla convocazione che è contenuto nel riferimento al sacrificio e che si completa con il riferimento all'assemblea già riunita (ad comitium), come destinataria della pronunzia.
Con le parole `ius dicat ' Varrone spiega il termine ` fas '. E, infatti, per lui il fas, come si è visto, regge la pronunzia solenne, in particolare del magistrato. Poiché, dopo che il rex ha `comiziato ', è fas, il rex può, per Varrone, compiere la sua pronunzia di ius, che è un lege agere. Per ciò ancora Varrone parla della consuetudine, sopravvissuta fino ai suoi tempi, di lege agere dopo il sacrificio nei dies QRCF (itaque post id tempus lege actum saepe), anche se egli con queste parole allude all'attività giurisdizionale in senso stretto del magistrato, poiché ai suoi tempi il lege agere si è ristretto al campo del processo.
Ma, originariamente, nel lege agere consentito nella parte fasta dei dies QRCF (e, in genere, in ogni giorno interamente fasto) poteva rientrare qualsiasi pronunzia solenne dei privati come del rex.
Il lege agere del rex non riguardava, infatti, la sola funzione giurisdizionale, ma anche la repressione criminale (v., ad esempio, la lex horrendi carminis emanata dal rex, come dice Liv. 1,26,5, ` concilio populi advocato', che è un atto di investitura dei duoviri e un incarico di condannare). (41) Il lege agere del rex comprende anche atti di investitura dello stesso rex (lex curiata de imperio) o dei suoi ausiliari (v., oltre la lex horrendi carminis, il presumibile archetipo della optima lex in magistro populi faciundo). (42) Esso comprende, infine, pronunzie a carattere più propriamente legislativo (alcune delle leges regiae; cfr. l'iscrizione del cippo arcaico del comizio, sulla quale torneremo). (43)
Forse perché ha questa ampia portata il lege agere del rex è indicato con l'espressione `ius dicat'. Certo, Varrone non poteva usare l'espressione `ius dicit', che avrebbe ristretto la rappresentazione dell'attività del rex alla moderna funzione giurisdizionale. Perciò egli non ha trovato di meglio che usare il termine `dicare', che ha il pregio di accentuare la ritualità della pronunzia.
Un riscontro di tutto quello che si è detto è fornito da Liv. 1,8,1, che occorre ancora una volta leggere

Liv. 1,8,1 (Romulus) Rebus divinis rite perpetratis vocataque ad concilium multitudine, quae coalescere in populi unius corpus nulla re praeterquam legibus poterat, iura dedit...

Qui, come si è visto, (44) con riferimento al primo atto di convocazione dell'assemblea da parte di Romolo, si dice che esso avviene dopo un sacrificio. L'assemblea non è deliberante. È solo un concilium, al quale il rex comunica le sue pronunzie (iura dedit). In questa espressione, per quel che è detto in seguito, prevale certamente la considerazione dell'aspetto legislativo dell'attività del rex. Ma `iura dare, reddere' sono espressioni usate in altri luoghi, riguardo al rex, per indicare ogni suo atto normativo (compresa la giurisdizione). (45) Può darsi che Livio abbia trovato l'espressione ` iura dedit ' nelle fonti cui attingeva e nelle quali essa doveva assumere questa più ampia portata.

12. Solo ora possiamo leggere il lemma QRCF di Festo, che ci fornirà una conferma di quanto abbiamo detto. Riproduciamo anche il lemma `Quadruplatorem', che precede, e i corrispondenti lemmi di Paolo Diacono, seguendo l'edizione di Lindsay e indicando in tondo le nostre integrazioni. Fest. L. 308, 32 36; 310, 1 21.

308,

33 <Quadruplatorem dictum ait Aelius G>allus
34 < qui eo quaestu se tuebatur, ut eas res persegue>
35 < retur, quarum ex legibus quadrupli erat > actio
36                                                                              <actio>nibus

310,

1                                                                               <testa>menta
2                                                                               <testimo>nio est
3                                                                               abant
4                                                                       ab eo
5                                                                       es in
6                                          <divinis rebus per>fectis
7                                                                       que licto
8 r                                                                     populo
9                                                                       <comi>tia ca
10 <lata>                                                        omen legum
11                                                                     populi do
12                                                                       <Q. R. C. F. Quandoc Rex co>mitia sit
13 <fas>                                                          <i>n honorem
14                                                                     <feriis> menstruis scrip
15 <tis>                                                            Rege dicuntur.
16                                                                     <scriptori>bus traditae sunt.
17                                                                     r pars ante
18 <rior>                                                         Posterior
19                                                                     si quis alius pro Rege
20 <sacr a  faciat  ut  pon>tifex,  tum  is dies
21 <F. est.>


Fest. Paul. L. 309, 11 13; 311, 1 3.

309,

11 Quadruplatores dicebantur, qui eo quaestu se tuebantur,
12 ut eas res persequerentur, quarum ex legibus quadrupli
13 erat actio.

311,

1 Quandoc rex comitiavit fas, in fastis notari solet, et boc
2 videtur significare, quando rex sacrificulus divinis rebus
3 perfectis in comitium venit.


Il lemma `Q. R. C. F. ' non comincia, come vuole Lindsay, in 310, 12, ma in 308, 36, poiché il lemma `Quadruplatorem' finisce con la parola ` actio ' del rigo precedente, come mostra il confronto con l'epitome di Fest. Paul. 309, 13. Del resto, in 310, 6 `...fectis' corrisponde a `perfectis' di Fest. Paul. 311, 2. Si possono ipotizzare le seguenti integrazioni:

308,36: probabilmente <actio>nibus; 310,1: <testa>menta
310, 2 : <testi>monio est; 310,6 <divinis rebus per>fectis
310, 7  8 : licto<r>


Poiché qui si parla di lictor, in 310,8 e in 310,11 di populus e in 310,10 di leges, si può integrare anche

310,9 10: <comi>tia ca<lata>


Fino a questo punto Festo doveva svolgere il lemma con riferimento alle actiones, e specialmente, ai testamenta, come pronunzie consentite nel fas dei dies QRCF e doveva spiegare il significato di `comitiavit' in rapporto alla convocazione, previo sacrificio, dei comitia curiata, che sono `calata' mediante il lictor curiatus. (46) Di questi comizi doveva ricordare anche l'attività legislativa. Nel seguito

in 310,12 è errata l'integrazione di Lindsay <QRCF Quandoc co> e si può integrare solo <co>mitia sic (che si legge invece di `sit');
in 310,13 si può integrare solo <i>n honorem;
in 310,14 <feriis> menstruis scrip<tis>;
in 310,15 si legge, infatti, ` rege': si ricordi la notizia di Varr. l.l. 6,28 sulla editio delle feriae menstruae, da parte del rex, in sacris nonalibus;
in 310,16 si può accogliere l'integrazione <scriptori>bus traditae sunt;
in 310,17 18 si può integrare ante<rior>;
in 310,19 21 si quis alius pro rege <sacra faciat ut pon>tifex, tum is dies <F. est.>.


Il tratto probabilmente riguardava una equiparazione, in ragione della carica del rex, ai dies QRCF delle nonae, secondo l'opinione tradita da scriptores per i quali in quei giorni, destinati alla editio delle feriae menstruae, la pronunzia del rex dinanzi all'assemblea, dopo il sacrificio dei sacra nonalia, doveva cadere nel fas nella parte posterior del dies. Ecco la traccia, cui avevamo accennato, (47) di un regime delle nonae analogo a quello dei dies QRCF. Analogamente, anche nelle kalendae, delle quali parla Varr. 1.1. 6,27 (cfr. Macrob. Sat. 1,15,10), (48) il sacrificio doveva ritenersi il momento del passaggio dal nefas al fas e poichè in questo caso la successiva pronunzia delle nonae dinanzi all'assemblea è fatta dai pontefici (o dal pontifex minor), si può spiegare come il lemma di Festo si concluda con l'equiparazione del sacrificio compiuto dal pontifex (cui haec provincia delegabatur) a quello compiuto dal rex.


13. Luogo dell'actio. Anche il luogo generalmente coincide in tutte le manifestazioni dell'actio.
Un indizio è dato dal nome che indica il sita occupato dal magistrato. Questo è detto tribunal tanto per l'attività giurisdizionale che per 1'agere cum populo (oltre che per le attività connesse al comando militare) (49)
II tribunal è costituito da un luogo elevato, da un suggesto: fino ad età relativamente recente da quelli che, a partire dal 338 a.C., furono chiamati rostra e che furono la sede del magistrato nell'agere cum populo. Era vicino il puteal di Atto Navio, che le fonti indicano come la prima sede destinata alla iurisdictio. (50)
Può darsi che si tratti dello stesso sito. (51) In ogni caso, secondo la tradizione, il rex prendeva posto anche per lo svolgimento dell'attività giurisdizionale nel luogo nel quale si svolgeva l'agere cum populo.
La notizia si trae da Dion. Hal. 2,29,1, che dice che Romolo fissò il tribunale, dove sedeva in giudizio, nel più visibile luogo del comizio (en toi phanerotatoi tes agoras). (52) Lo stesso Dionigi (2,50,2) indica questo luogo: (Romolo e Tito Tazio) `costruirono il comizio... qui (i Romani) tenevano le assemblee, trattando gli affari (chrematizontes) nel piccolo tempio di Efesto, che si trova sopra il comizio' (v. Gell. N.A. 4,5,1 5 locus editus), vicino ai rostra (Dion. Hal. 1, 87, tes agiras…en toi kratistoi chorioi para tois embolois). Nello stesso sito Dionigi dice che era stata eretta una stele (3,1,2), la stessa, forse, recante un'iscrizione in caratteri greci, di cui parla in un altro passo (2,54,2). (53)
In conclusione, secondo la tradizione, il tribunal dovette avere originariamente sede su un rialzo naturale della zona dove fu costruito il comizio, nel luogo in cui fu situato il Volcanal, vicino ai rostra, e nel quale sorgeva una stele con iscrizione in caratteri, probabilmente latini arcaici.
In questo luogo Dionigi dice che il re svolgeva l'attività giurisdizionale, ma usa anche una espressione (chrematizontes) che lascia aperta la possibilità che ivi si compissero anche le attività negoziali. E, infatti, noi abbiamo visto come nel comizio si compissero almeno la adrogatio, il testamentum calatis comitiis, la solutio per aes et libram; la manumissio vindcta e la in iure cessio. (54) V'è qualche indizio nelle fonti che ivi si compissero anche il nexum e la confarreatio (e l'atto contrario). (55) Ma nel comizio, come vedremo, (56) si compivano probabilmente tutti gli atti che richiedono la testimonianza dei quirites.

14. La tradizione è confermata dalla archeologia. Sulla base delle ricerche del Coarelli, (57) si può stabilire con certezza il luogo in cui si svolgeva generalmente l'actio, in tutte le manifestazioni, e si possono individuare i monumenti eretti in questo luogo in vista, appunto, di questa funzione.
Consideriamo la zona sud orientale del comizio (Fig. 1 e, per i particolari, Fig. 2), ove si trovano il niger lapis e i monumenti sottostanti, collegabili alle più antiche pavimentazioni del comitium. Al pavimento II (databile per il Coarelli (58) intorno alla metà del VI secolo o poco prima) si connette il cippo arcaico con l'iscrizione (Fig 2; A). È coeva la stipe votiva.
Al pavimento III (fine VI sec.   metà V sec.) si collegano il suggesto C, corrispondente ai più antichi nostra e la piattaforma D, che doveva già ospitare un monumento simile a quello (G) che lo sostituì sul pavimento IV (seconda metà del IV sec.).
La situazione attuale (Fig. 3) mostra il monumento G e, da un lato, dietro un tronco di colonna, l'adiacente cippo, dall'altro la zona dei rostra.
Il monumento G è un'ara e un'ara doveva essere il monumento precedentemente esistente al suo posto. (59)
Dunque, nella prima metà del VI sec. (sotto il regno di Servio Tullio, secondo le date tradizionali), in questo luogo del comizio sorgeva un santuario (il cippo e la stipe votiva sono da collegare alla sua fondazione).

15. I monumenti considerati costituiscono un complesso unitario. È chiara la connessione dell'ara con la piattaforma adiacente e del cippo con l'ara. Lo si desume non solo dalla contiguità spaziale, ma anche dalla conservazione del cippo al momento della ricostruzione dell'ara e dal fatto che l'ara ha mantenuto la posizione precedente.
Alla unità strutturale deve corrispondere l'unità funzionale.
La tradizione indica non solo l'unità strutturale (poiché connette il tempio sul comizio   il Volcanal   ai rostra e ricorda in esso una stele), ma anche l'unità funzionale.
Dion. Hal. 6,67,2 dice infatti che il Volcanal serviva da tribunal e in 6,17,2 e 11,39,1, in particolare, per convocare l'assemblea. (60) Ed è perciò che nel comizio (che era forse un templum per il suo orientamento e le tracce di una forma quadrilatera circoscritta), (61) vicino alla piattaforma poi detta rostra, da cui il rex doveva indirizzare i comandi al suo aiutante, esisteva un'ara. Era l'ara che serviva al sacrificio necessario per la convocazione.
16. Se anche il cippo si connette funzionalmente all'ara, la conferma dovrebbe essere data da quel che può decifrarsi dai residui dell'iscrizione.
Vediamo ciò che è certo, ciò che è probabile e ciò che è semplicemente possibile riguardo alla lezione del testo e alla sua interpretazione.

CIL I            1 quoi hon[
                  2 ] sakros es 
                  3 ed sord[
      II          4 ]a ias
                  5 recei io[
                  6 ] evam
                  7 quos re[
     III           8 ]m kalato 
                  9 rem hab[
                10 ]tod iouxmen-
                11 ta kapia do tau[
                12 m i ter pe[
     IV        13 ] m quoi ha
                14 velod neq(.)u[
                15 ]iod iovestod
      V        16 loivqviod qo[

Quanto alla lezione, è certo, in l.1: quoi (= qui); in ll. 2 3 sakros esed (= sacer sit); in 1.5: recei (= regi); in ll. 8 9: kala torem ( = calatorem); in ll. 10 11: iouxmenta ( = iumenta); in l.13 quoi ( = qui); in l.15 : iovestod (= iusto).
E’, invece, probabile in l. 1: hon (= hunc); in 1.3: sord (= sor des); in ll. 9 10: habetod (=habeat); in l.16 (per me certo o, almeno, altamente probabile): loiuquiod (= licio). (62)
E’, invece, possibile in l. 6: devam (= divinam); (63) in l. 11: kapia do taura (= capita duo taura); (64) in ll. 13 14: havelod (= avillo: agno recentis partus); (65) in l. 16: qo (come prime lettere di una forma verbale da 'comitiare' con la quale si chiude il testo).
Quanto alla interpretazione, risulta chiaro che il testo, nel suo complesso, costituisce una lex arae. Essa contiene, nella parte iniziale (ll. 1 3,4) la minaccia della sanzione della sacertà per chi violi il cippo o il luogo e, probabilmente una sanzione diversa per chi lo insozzi. Segue (11.5 14) una serie di disposizioni relative alle modalità del sacrificio (res divina). E’ probabile che esse abbiano per destinatario il re stesso (perciò il dativo ‘recei’), (66) del quale si dice che deve avere un calator, che avrà proceduto alla convocazione dell'assemblea in vista dell'esecuzione del sacrificio. (67) Riguardo a questo sono indicati gli animali da sacrificare (una coppia aggiogata di tori: iouxmenta duo tanta e forse un giovane agnello). Tutto questo in vista del risultato dell'atto compiuto ritualmente, che è un comitiare, ossia un riunire i quirites mediante un'assemblea (litio), che è qualificata giusta (iusto) proprio per il compimento delle formalità rituali. (68)
La conferma è data da ciò che sappiamo dalla Lex arae Dianae in Aventino. Essa è coeva (essendo stata dettata da Servio Tullio) e Dionigi (4,26,3 5) dice che era scritta in caratteri greci (rectius: latini arcaici), come quelli della stele sita nel Volcanal.
Il testo conteneva prescrizioni relative alla convocazione e allo svolgimento successivo di attività giurisdizionali. Del resto, anche le leges arae a noi pervenute, alle quali la lex arae Dianae in Aventino servì da modello, contengono prescrizioni relative ai sacrifici.


17. Un'ultima conferma può essere data dal fatto che, secondo la tradizione, la tomba di Romolo è localizzata nei (o vicino ai) rostra, mentre un'altra tradizione, che si collega alla scomparsa di Romolo, considera il niger lapis un luogo funesto, come destinato alla morte di Romolo. La scomparsa di Romolo avviene, d'altra parte, durante un'assemblea popolare, tenuta nel comizio (o nel Campo Marzio) e Romolo si trasforma in Quirino. (69)
Questa è forse la chiave per intendere la ragione per cui il ricordo di questi luoghi ritorna insistentemente nel racconto leggendario. Quirino è, secondo l'etimologia più probabile (co-virinos), il dio dei quirites (co-virites), ossia degli uomini delle curie, che formano il populus riunito in assemblea (anche l'umbro Vofonius è il dio della comunità).
È perciò che Romolo, secondo Liv. 1,8,1, trasforma la `multitudo' `in unius populi corpus', dandole iura, dopo averla chiamata ad concilium, previo il compimento di un sacrificio. Romolo è il fondatore, della comunità, che ha chiamato in assemblea dal tribunal (poi rostra) neI comitium, previo un sacrificio compiuto nel Volcanal. Quirino, in cui Romolo si trasforma, sublima la funzione di creatore della comunità organizzata e ne tutela la funzione (70)


18. Questa funzione   il Magdelain l'ha visto (71)   non riguarda solo il diritto pubblico, ma anche i1 diritto privato ed il processo. Qui è evocata nell'espressione `ex iure quiritium'. I quirites, come si è visto, sono chiamati come testimoni dell’atto e perciò, nel senso più antico, per approvarlo, sia pure tacitamente, oltre che per assicurarne la prova e la pubblicita. (72)
Il Magdelain (73) si accorge che questa funzione di garanzia dei quirites nel processo e nell'attività negoziale è analoga a quella esplicata nelle assemblee popolari e arriva a sostenere che, al limite, la comunità deve ritenersi presente (come lo è, ad es., durante il processo di Virginia, cui assiste la civitas in foro), poiché teoricamente la partecipazione all'assemblea in tutti questi casi è necessaria.
Questo è ancora più vero per le origini, quando la comunità può partecipare sempre, perché è convocata, a tutte le manifestazioni dell'actio.
Vi partecipa, perché 1'actio è pronunzia rituale dinanzi ai testimoni (nuncupatio), che sono i quirites. La lex, che è questa pronunzia, poiché avviene dinanzi al popolo, è publica, nel senso antico, più su visto, (74) di pronunzia resa davanti al popolo, anche se promani dal privato. L'atto è unilaterale, ma è compiuto agli occhi di tutti. Se nessuno si oppone, la comunità deve garantirlo.


19. Ora appare chiaro come le modalità di tempo e di luogo dell'actio non siano espressione di un'esigenza imposta da mero formalismo, ma valgano ad assicurare un requisito fondamentale della pronunzia: che essa si compia dinanzi all'assemblea. Il momento individuale (lex) e il momento sociale (publica) si saldano nella dimensione temporale e spaziale del rito comiziale. Dalla convocazione dell'assemblea, più precisamente dal sacrificio, si apre, nel luogo dell'assemblea, il comitium, il tempo in cui è fas, in cui, perciò si può procedere alla pronunzia di una lex publica.
Questo tempo, questo luogo sono comuni a tutte le manifestazioni dell'actio. Esse costituiscono un'esperienza unitaria. Il comitium e il fas rappresentano il focus spaziale e temporale di questa esperienza.

© Raimondo Santoro
Dipartimento di Storia del Diritto
Università di Palermo


Note:
1 Queste pagine costituiscono il testo della conferenza tenuta nell'Institut de droit romain de l'Université de Paris il 16 dicembre 1988. Esse sono destinate agli Studi in onore di Salvatore Puleo, la cui pubblicazione è stata ritardata da ragioni varie: Ho aggiunto qualche nota, rinviando ad altra occasione la dimostrazione più estesa delle tesi qui proposte.
Actio in diritto antico, Poteri Negozia Actiones nella esperienza romana arcaica, Atti del 1 Convegno di diritto romano (Copanello, 12 15 maggio 1982) 201 ss.
2 Così TALAMANCA, Enciclopedia del diritto XXXVI (1987), 5, nt. 29 e già Atti Copanello I (1982), 248 ss., che non tiene conto della mia replica, ivi, 259.
3 E, invece, la tendenza è a fare del processo una nozione metastorica, con la conseguenza che, come non si intende l'esperienza originaria, nella quale tale nozione non è ancora percepita, così non si coglie il senso dell'esperienza successiva, nella quale essa comincia ad operare come momento della trasformazione. Rappresentazione non meno falsa danno quanti restano legati all'idea che il processo sarebbe nato dal superamento del regime originario della violenza privata. Contro l'una, come contro l'altra teoria sarebbe già decisiva la considerazione dei caratteri della cultura primitiva, quale si è sviluppata in un sistema di oralità primaria. In questo quadro, sul quale basta qui rinviare ad Ong, Oralità e scrittura. Le tecnologie della parola (tr. ital., 1986), si spiega l'atteggiarsi dell'actio secondo le connotazioni indicate nel testo e la connessa impossibilità di un originario manifestarsi, come momenti distinti dell'esperienza giuridica, del diritto e del processo.
4 V. già quanto scrivevo in Potere ed azione nell'antico diritto romano, Ann. Palermo 30 (1967), 103 ss., passim e, specialmente, 610; Actio, cit., 201; 215 ss.
5 Su questi caratteri della legis actio v. Potere ed azione, cit., 308 ss.; Actio, cit., 214 s.
6 Actio, cit., 216 ss.
7 Ciò deve ammettersi, per il luogo, in ragione, almeno, della manus iniectio vocati, se costituisce una legis actio (per altre leges actiones estragiudizialí v. Potere ed azione, cit., 201 [200], nt. 21); per il tempo, in ragione della legis actio per pignoris capionem. Ma qui può trattarsi di possibilità riconosciuta in via interpretativa solo in progresso di tempo: v. il mio intervento sulla relazione tenuta da Bona al IV Convegno di diritto romano (Copanello, 1988).
8 Secondo i risultati dei calcoli della KIRSOPP MICHELS, The Calendar of the Roman Republic (1967), 34 s.
9 È in questo atto che emerge la funzione di partecipazione attiva del popolo. Sul compimento dinanzi al popolo degli atti nel cui formulario è contenuta l'espressione ‘ex iure quiritium’ v. infra, § 18. Per la presenza di tale espressione nella formula pronunziata dal familiae emptor v. Potere ed azione, cit., 391 (389), nt. 4.
10 Gell., N.A. 20,1,46 47.
11 Si può argomentare in questo senso anche da Dion. Hal. 7, 58, 3 e Rutil. ap. Macr. Sat. 1, 16, 34. Successivamente le nundinae dovettero essere dichiarate dies nefasti (v. Fest. 176, 24, s.v. nundinas), per poi tornare ad essere riconosciute come dies fasti (nel più ristretto senso moderno) dalla lex Hortensia.
12 STEIN, St. Volterra, 2 (1971), 313 ss.; cfr., per la solutio per aes et libram, Liv. 6, 14, 5: rem creditori palam populo solvit libraque et aere liberatum emittit.
13 MOMMSEN, Die roem. Cronologie (1859), 241 ss. V. Gai 2, 201: ... aut calatis comitiis bis in anno testamenti f aciendis destinata erant.
14 Varr. 1.1. 6,32 Dies qui vocatur `quando stercum delatum fas', ab eo appellatus, quod eo die ex aede Vestae stercus everritur et per Capitolium clivum in locum defertur certum.
15 Varr. 11 6,31: Interci[n]si dies sunt per quos mane et vesperi est nefas, medio tempore inter hostiam caesam et exta proiecta fas; a quo quod fas tum intercedit aut eo[s] intercisum nefas, intercisi[m]...
16 URSINUS: ` itat'. Ma il significato di ` itat' è ` viene spesso' e non si accorda bene con ` venit' di Fest. Paul. 311, 1 3, su cui dovrebbe appoggiarsi.
17 MOMMSEN: `it', che però è troppo lontano paleograficamente.
18 HIRSCHFELD: `litat'. La correzione è meglio fondata su 'divinis rebus perfectis' di Fest. Paul. 311, 1 3. Ma il 'comitiavit' della sigla può richiamare semplicemente l'idea di un momento del sacrificio come la litatio ? Cfr. CIPRIANO, Fas e nefas (1978), 110 s.
19 PAOLI, REA 56 (1954), 125 ss. e già RHD 30 (1952), 293 ss.
20 La distribuzione dei giorni nefasti nei diversi mesi (0 in gennaio; 14 in febbraio; 1 in marzo; 14 in aprile; 4 in maggio; 10 in giugno; 9 in luglio; 0 in agosto e solo 6 nel resto dell'anno, secondo la Kirsopp Michels) non corrisponde alle pratiche agrarie.
21 MAGDELAIN, RHD, 58 (1980), 5 ss.
22 Varr. l.l. 6, 28 Nonae appellatae aut quod ante diem nonum idus semper, aut quod, ut novus annus kalendae Ianuariae ab novo sole appellatae, novus mensis (ab) nova luna nonae; eodem die [enim] in urbe(m) (qui) in agris ad regem conveniebat populus. Harum rerum vestigia apparent in sacris nonalibus in arce, quod tunc ferias primas menstruas, quae futurae sint eo mense, rex edicit populo.
23 Varr. l.l. 6, 29: ... dies fasti, per quos praetoribus omnia verba sine piaculo licet fari; ... contrarii horum vocantur dies nefasti, per quos dies nefas fari praetorem `do, dico, addico '; itaque non potest agi: necesse est aliquo uti verbo cum lege quid) peragitur; 6,53 Hinc fasti dies, quibus verba certa legitima sine piaculo praetoribus licet fari; ab boc nefasti, quibus diebus ea tari ius non est et, si fati sunt, piaculum f aciunt.
24 V. infra, § 12.
25 VON BLUMENTHAL, Rhein. Mus. N.F. 87 (1938), 271 ss.
26 Il testo, per quel poco che si può ancora leggere, doveva contenere la critica dell'opinione secondo cui la sigla QRCF doveva svolgersi in ‘quando rex comitio fugerit
27 VON BLUMENTHAL, op. cit., 272.
28 V. il testo supra, nt. 22.
29 SANTALUCIA, Atti del II convegno di diritto romano (Copanello, 1984), 247 ss.
30 V. i testi in PALMIERI, Synteleia Arangio Ruiz 1 (1964), 521 ss. (che li considera interpolati) e in FERNANDEZ DE BUYAN, Est. Iglesias I (1988), 197 ss.
31 Ciò non è contraddetto dal fatto che, come vedremo (infra, § 11), Varrone, nel dire ` itaque post id tempus lege actum saepe' si riferisce alla legis actio successivamente sviluppatasi in funzione di processo civile. Questa caratterizzazione non gli impediva di pensare che la pronunzia del rex si immettesse in un più ampio concetto di legis actio, intesa come pronunzia solenne anche non giurisdizionale, il che spiega il comune legame con il fas della pronunzia del rex e di quella del magistrato giurisdizionale.
In Varrone v'è una tensione tra il valore più ampio di lege agere (aliquo uti verbo; ius dicare del rex) e il valore più ristretto, compreso nel primo, di lege agere; (pronunzia dei tria verba legitima; ius dicere del magistrato; forse, definizione dei giorni fasti come di quelli che attengono alle res privatae: Varr. ap. Macr. Sat. 1,16,27).
La stessa tensione si manifesta nel contrasto tra i plerique che riconoscono alla pignoris capio la natura di legis actio e 1a minoranza che la nega (Gai. 4,29). Anche la minoranza, in fondo, ammette il valore di legis actio come pronunzia solenne e, infatti, se nega tale qualifica alla pignoris capio, lo fa per ragioni diverse (mancanza di contraddittorio; del magistrato; del tempo fasto) che riguardano l'assenza di caratteri ‘processuali’. In seno alla legis actio si individua un valore più propriamente processuale.
32 Cfr. CIPRIANO, op. cit., 115.
33 Cfr. Varr, 11 6,27 ...Primi dies mensium nominati kalendae, quod bis diebus calantur eius mensis nonae a pontificibus, quintanae an septimanae sint futurae, in Capitolio, in curia Calabra sic dicto quinquies `kalo Iuno Covella' (Novella?), septies dicto `kalo Iuno Covella'.
34 V. Varr. l.l. 6, 94 Quare non est dubium, quin hoc inlicium sit... Tale forma avrebbe come esito un insostenibile doppio accusativo nella formula ... voca in licium omnes quirites... di Varr. l.l. 6, 88. Cfr., del resto, il parallelismo con l'espressione ' voca ad conventionem ', su cui v. anche, quantunque imprecisa, la testimonianza di Fest. Paul. 100, 11 In licium vocare antiqui dicebant ad conventionem vocare.
35 V, infra, § 8.
36 Per tracce della recinzione del templum nella zona del comizio (è il comizio, come vedremo, fondamentalmente il luogo dell'actio) v. COARELLI, Il foro romano, I (1983), 140 s.; II (1985), 126 ss., con lett. Per il termine licium, v., tuttavia, in senso non conforme, le analisi linguistiche in ERNOUT MEILLE.T, Dictionnaire étymologique de la langue latine4 (1959), 347, s.v. lanx.
37 Le fonti riportano il primo intervento di un cittadino addirittura agli inizi della repubblica, con Sp. Lucrezio, suocero di Collatino (o C. Minucio): v. Dion. Hal. 5,11,2; Plut. Publ. 3,3. Sul punto v. BOTSFORD, The Roman Assemblies (1909), 145. L'episodio precedente di Giulio Proculo (Liv. 1,16,5; Cic. rep. 2,10,20) ha carattere diverso, trattandosi di un annuncio all'assemblea (ciò contro BOTSFORD, op. cit., 145, nt. 4).
38 MAGDELAIN, MEFRA 96 (1948), 219 ss.; cfr. infra, § 18.
39 Sul testo v. Actio, cit., 208 s.
40 Gell. N.A. 15,27,1. In libro Laelii Felicis Ad Q. Mucium primo scriptum est Labeonem scribere ` calata' comitia esse quae pro conlegio pontificum habentur, aut regis aut flaminum inaugurandorum causa. 2. Eorum autem alia esse curiata, alia centuriata; curiata per lictorem curiatum calari, id est convocari; centuriata per cornicinem. 3. Isdem comitiis, quae `calata' appellata diximus, et sacrorum detestatio et testamenta fieri solebant. Tria enim genera testamentorum fuisse accepimus: unum, quod calatis comitiis in populi concione fieret, alterum in procinctu, cum viri ad proelium faciendum in aciem vocabantur, tertium per familiae emancipationem, cui aes et libra adhiberetur. Sul primo punto v. specialmente ALBANESE, Atti Copanello I (1982), 112 ss.
41. V. Actio, cit., 212 ss.
42 Op. cit., 214.
43 V. in fra, § 16.
44 V. supra, § 6.
45 V. GIOFFREDI, Diritto e processo nelle antiche forme giuridiche romane (1955), 69 ss.
46 Sull'impiego del lictor curiatus v. Gell. N.A. 15,27,2 (supra, nt. 40).
47 V. supra, § 3.
48 V. supra, p. 291 e nt. 33.
49 V. PERNICE, ZSS 14 (1893), 138 ss.
50 V. GIOFFREDI, SDHI 9 (1943 ), 246 ss.
51 Sul punto v. diversamente GIOFFREDI, op. cit., 249 ss.; COARELLI, Il foro romano II (1985), 28 ss.
52 Dionigi si riferisce alla giurisdizione criminale, ma per lui la distinzione tra giudizi pubblici e privati è successiva.
53 Su questi testi v. COARELLI, Il foro romano, I (1983), cit., 162 ss.
54 V. supra, § 2.
55 Quanto alla confarreatio, si può argomentare dal fatto che essa richiedeva un sacrificio e la presenza del flamen dialis e del pontefice; quanto al nexum, dal fatto che vicino al puteal di Atto Navio, in età più recente, svolgevano la loro attività i faeneratores (v. GIOFFREDI, op. cit., 259 ss.).
56 V. infra, § 18.
57 V. COARELLI, op. cit., 161 ss.
58 COARELLI, op. cit., 130; 172..
59 COARELLI, op. cit., 172, con riferimento ai risulti del Castagnoli.
60 Su questi testi, nel senso riferito, v. COARELLI, op.cit., 163 s.
61 V. ultimamente COARELLI, op. cit., 140, con lett. precedente; cfr. ante, p. 293 e nt. 36
62 La prima ‘v’ reca un segno nel mezzo, che incide il lato destro. Essa è da ritenere una indicazione di cancellatura dell'erronea anticipazione della seconda ‘v’: v. GOIDANICH, Mem. Acc. It.: serie VII, vol. III, fasc. 7 (1943), 428, con lett. 63 CECI, Notizie degli scavi (maggio 1899), 28, 38 s.
64 PALMER, The King and the Comitium (1969), 10 ss.
65 PALMER, op. cit., 24
66 Potrebbe alludervi la notizia di Tac. Ann. 3,26,4 Sed praecipius Servius Tullius sanctor legum fuit, quis etiam reges obtemperarent.
67 Giusta, da un lato, l'etimologia del termine e, dall'altro, le funzioni residuali in età storica. Può essere significativo, a quest'ultimo riguardo, Serv. ad Georg. 1,268 …pontifices sacrificaturi praemittere calatores suos solent. Sulla funzione del calator e sul suo rapporto con il lictor curiatus v. MAZZARINO, Dalla monarchia allo stato repubblicano (1945), 206 ss.
68 Su questo significato di iustus v. Potere ed azione, cit., 153 ss.
69 Argomenta da ciò COARELLI, op. cit., 188 ss.
70 Cfr., con richiamo a Liv. 1,8,1, PORTE, ANRW 17,1 (1981), 324.
71 MAGDELAIN, MEFRA 96 (1984), cít., 221 ss.
72 Su questa funzione globale originaria della prova, già richiamata supra, § 8, v. Potere ed azione, cit., 357, con lett.
73 MAGDELAIN, op. cit., 223.
74 V. supra, § 2.