DIRITTO ROMANO E DIRITTI LOCALI
NEI DOCUMENTI DEL VICINO ORIENTE

di Livia Migliardi Zingale

in: SDHI, LXV, 1999, pp. 217-231.


Questo mio intervento, che si affianca alla relazione di M. Amelotti, sarà specificamente incentrato sulla documentazione papirologica, quale preziosa fonte di cognizione della prassi giuridica antica: sono infatti i documenti, a noi pervenuti in grandissimo numero dall'Egitto soprattutto e da poche altre zone del Vicino Oriente, che hanno permesso allo storico dei diritti antichi ed al giusromanista in particolare di affrontare più concretamente il tema assai complesso e delicato del rapporto tra diritto romano e diritti stranieri.

E proprio sulla base di queste fonti già è stato possibile dare alcune risposte alle molte domande che L. Mitteis (1) si poneva alla fine del secolo scorso:  quale è la posizione di Roma nei confronti delle tradizioni giuridiche vigenti nei territori da lei occupati? Persistono quelle tradizioni oppure vengono da Roma abrogate? Quale situazione si instaura dopo il 212 d.C., quando attraverso la Constitutio Antoniniana la cittadinanza di Roma è conferita a tutti gli abitanti liberi dell'impero?

Ma da quegli anni ormai lontani, nei quali le nostre conoscenze sulla prassi documentale nelle province romane d'Oriente erano rappresentate pressoché esclusivamente dai materiali ritrovati nei siti degli antichi villaggi della chora egiziana, dove accanto alle migliaia e migliaia di documenti confezionati e conservati in Egitto era venuto alla luce anche qualche rarissimo esemplare scritto in altre località orientali - Side in Panfilia, Myra in Licia, Pompeiopolis in Paflagonia, Seleucia in Pieria, Rodi, Antiochia, Apamea, ecc. -, la situazione appare oggi alquanto mutata e lo studioso del diritto di Roma ha ora a disposizione numerose altre testimonianze, che sono venute e vengono tuttora alla luce direttamente da quelle zone d'influenza romana (2).

Esse sono costituite dai ritrovamenti fatti a partire dalla prima metà di questo secolo fino ai giorni nostri nelle province romane di Syria, Judaea, Mesopotamia, Arabia, dove si sono incontrate ed anche scontrate con Roma popolazioni, tradizioni, diritti, scritture e lingue diverse: basti pensare alla significativa compresenza, già sul piano meramente formale, di due o più lingue non soltanto in gruppi omogenei di documentazione, quali sono gli archivi, ma addirittura all'interno di uno stesso documento: latino e greco nei ritrovamenti di Dura; ebraico, aramaico e greco oppure nabateo, aramaico e greco nelle carte venute alla luce nel deserto della Giudea; greco e siriaco nei testi della Mesopotamia; greco ed arabo nei papiri di Nessana.

Alcuni di questi documenti sono invero già conosciuti da qualche decennio sia attraverso isolate pubblicazioni sia poi nella loro edizione critica complessiva, come per i materiali recuperati sul sito dell'antica Dura Europos (3) o nella località di Nessana (4), e già sono stati oggetto di indagini se pur parziali (5). Si tratta nel primo caso di una ricchissima documentazione, gran parte della quale è rappresentata dagli archivi latini di una coorte romana, la vicesima Palmyrenorum, stanziata in quella importante città carovaniera ai confini del deserto siro-iracheno tra la fine del II secolo d.C. e la metà del III secolo d.C., e la cui presenza ha certamente influito sulla progressiva romanizzazione della zona. Si sono così conservati, insieme con un calendario delle festività militari - il cosiddetto Feriale Duranum – e con moltissimi esemplari di corrispondenza ufficiale, di pridiana, di deposita e seposita, anche i testi, se pur frammentari e lacunosi, di alcune decisioni in materia civile pronunciate nel 235 d.C. dal comandante della cohors, il tribuno Laronio Secundiano: preziosa testimonianza, che conferma esplicitamente come gli alti ufficiali dell'esercito di Roma esercitassero spesso in provincia le funzioni di iudices dati, talvolta in virtù di una delega permanente da parte del governatore, come avviene per i documenti qui ricordati (P. Dura 125 126).

Ma sempre da Dura, località di origine assira  che poi è divenuta colonia macedone e poi punica, prima di essere occupata dopo il 165 d.C. dai Romani,  insieme all'archivio militare sono state pure restituite numerose pergamene greche di contenuto negoziale - mutui anticretici, donazioni, compravendite, depositi, atti di divorzio - risalenti sia a questo stesso periodo sia all'età precedente ed attestanti quella particolare Doppelbeurkundung, che già caratteristica delle scritture private greche dell'Egitto tolemaico trova probabilmente la sua più antica origine proprio nella tradizione giuridica orientale e più propriamente semitica, anche se per alcuni casi, dove agiscono cives romani, c'è chi ha pensato invero ad una mediazione attraverso la testatio romana (6): una doppia scritturazione - interior chiusa e sigillata ed exterior invece accessibile -  atta a preservare in questo modo il documento da possibili alterazioni e manipolazioni (7).

Per quanto attiene ai ritrovamenti di Nessana nel deserto del Negev anch'essi già pubblicati da tempo, si tratta di materiale papiraceo, pressoché esclusivamente in lingua greca, appartenente invece ad una età assai più tarda e costituito da archivi diversi venuti alla luce nei magazzini di alcune chiese cristiane. Così in un caso sono riuniti i documenti che attestano tutta una serie di atti negoziali - mutui di denaro, divisioni di proprietà, compravendite, contratti di matrimonio, ecc. - che riguardano alcuni soldati appartenenti al numerus Theodosiacus, stanziato a Nessana a partire dal 505 o poco prima fino alla fine del VI secolo, quando il campo fu abbandonato sotto la pressione persiana. Un secondo gruppo, databile agli inizi del VII secolo, è rappresentato dal piccolo archivio dell'abate Patrizio, figlio di Sergio, che restituisce documenti di natura contabile e finanziaria. Più numerosi e di data più recente - siamo infatti ormai nella seconda metà del VII secolo - sono i papiri appartenenti a Giorgio, figlio di Patrizio e a suo figlio Sergio, anch'egli abate e soprattutto grande proprietario terriero: esso raccoglie testi diversi che rispecchiano le varie attività economiche di questi due personaggi e i loro rapporti da un lato con gli esponenti della comunità locale e dall'altro con il governatore provinciale. Un ultimo archivio è costituito da papiri bilingui, di età araba, la più gran parte dei quali riguardano questioni amministrative,  in particolare la tassazione e i servizi liturgici. Ad essi si possono aggiungere alcuni testi letterari, tra i quali mi interessa segnalare due frammenti giuridici, databili paleograficamente al VI/VII secolo d.C. e fino ad oggi del tutto ignorati dagli studiosi (P. Nessana II, 11 e 12). Nel primo caso si è conservata, insieme ad alcuni frustuli minori, una parte abbastanza ampia di una pagina di codex, relativa - sembra - a tematiche di diritto ereditario, mentre nel secondo caso è rimasto di un codex un solo ampio frammento di pagina, contenente anch'esso alcuni passi di diritto successorio (8).

Non posso indugiare oltre su questi ultimi materiali di età bizantina, su alcuni dei quali tornerò peraltro tra breve, per i collegamenti che essi presentano con i papiri giustinianei trovati di recente a Petra, e passo invece ai ritrovamenti fatti alla metà di questo nostro secolo nel deserto della Giudea e risalenti al periodo delle due sanguinose rivolte ebraiche, quella che si concluse a Masada nel 74 d.C. con la caduta della fortezza nelle mani degli occupanti romani e quella che prende il nome da Bar Kokhba, il protagonista di una seconda estenuante guerra contro Roma negli anni 132-135 d.C., e che ebbe drammaticamente termine con la morte dei rivoltosi rifugiatisi nelle numerose grotte di Nahal Hever, sulla sponda occidentale del mar Morto.

Anche in questo caso mi è possibile fare soltanto qualche rapido accenno a questi preziosi documenti, dei quali voglio almeno ricordare l'archivio di Babatha figlia di Simon, che è stato ripubblicato (9), dopo l'edizione preliminare di alcuni isolati documenti. Si tratta delle carte appartenenti a questa donna ebrea, che insieme con la famiglia aveva lasciato il suo villaggio di Maoza nella provincia romana d'Arabia, dove sempre aveva vissuto, e si era rifugiata in Giudea al tempo della rivolta di Bar Kokhba, trovandovi probabilmente la morte: i papiri per la più gran parte in greco ma con sottoscrizioni in aramaico e nabateo appartengono agli anni 93-132 d.C. e conservano atti di compravendita, mutuo ipotecario, deposito, donazione, contratti di matrimonio, tutti redatti in doppia scritturazione, come i ritrovamenti di Dura più sopra menzionati.

Ma accanto a questi documenti negoziali Babatha ha anche conservato in tre copie la formula greca di un'azione processuale (10), che si collega strettamente ad altri papiri dello stesso archivio, attinenti ad una delicata e lunga controversia nella quale sono coinvolti la donna e i tutori di suo figlio orfano (11).

Siffatta formula, a parte la prima clausola, inter actorem quem et reum quem usque ad MMD denariorum iudices peregrini sunto (12), da intendersi plausibilmente - secondo l'interpretazione qui da me accolta -  come delega di giurisdizione da parte del governatore provinciale ai giudici peregrini competenti per cause fino a 2500 denari, essa corrisponde perfettamente alla formula edittale dell'actio tutelae che recita « iudex esto. quod Numerius Negidius Auli Agerii tutelam gessit, qua de re agitur, quidquid ob eam rem Numerium Negidium Aulo Agerio dare facere oportet ex fide bona, eius iudex Numerium Negidium Aulo Agerio condemnato. si non paret, absolvito».

Già oggetto di un'edizione preliminare, questo interessantissimo documento aveva subito attirato l'attenzione degli studiosi (13) e questo mi esime ora dal riproporre tutti gli interrogativi che allora erano stati formulati ed ai quali A. Biscardi (14) in particolare aveva già dato alcune risposte piuttosto convincenti, che qui vengono in parte seguite: mi limito soltanto a ricordare come nella sua puntuale indagine lo studioso, anziché suggerire un'applicazione in provincia dell'ordo iudiciorum per lui alquanto improbabile, avesse preferito collocare questa formula processuale nell'ambito ormai della cognitio, cui ora sembra ricondurre il procedimento della paraggelia, esplicitamente attestato negli altri documenti dell'archivio a quel tempo inediti. E concludeva il Biscardi che la formula in questione poteva essere intesa come `paradigma d'istruzione materiale' del governatore d'Arabia (15) ai giudici da lui stesso delegati, cioè a quegli xenokritai della città di Petra ivi menzionati e dei quali è precisata la relativa competenza. Ma ad un'altra domanda aveva ancora risposto A. Biscardi, quando di fronte all'ipotesi da alcuni (16) avanzata che la formula in questione fosse stata trascritta e tradotta dall'albo edittale del governatore, dagli stessi tenuto distinto dall'editto pretorio -  ma qui non voglio toccare il tema assai spinoso dell'esistenza o meno di un editto provinciale (17) -, più semplicemente aveva pensato che essa potesse appartenere ad un qualche prontuario o repertorio `destinato all'uso forense', che ben doveva circolare negli uffici del praeses provinciale e per le mani non soltanto di avvocati e giudici, ma anche -  si può ora aggiungere -  di coloro che approntavano materialmente i documenti processuali.

Oggi infatti su questo specifico punto sappiamo molto di più: numerosi papiri dell'archivio di Babatha allora inediti, tra i quali rientrano specificamente alcune citazioni in giudizio relative a quel processo in tema di tutela che coinvolge la donna, sono stati redatti da un tal Germano figlio di Giuda (18), che appone la propria sottoscrizione ai documenti da lui confezionati in una particolare formulazione egraphe dia Germanou Ioudou, assai interessante per chi abbia dimestichezza con la prassi notarile di età bizantina. In alcuni casi poi, accanto al suo nome ed al suo patronimico, compare l'epressione librarius, che ne qualifica più esattamente le funzioni - forse svolte in qualche ufficio amministrativo -  come suggeriscono sia alcuni papiri di provenienza egiziana, nei quali compare lo stesso vocabolo (19), sia una recentissima testimonianza, di cui parlerò più avanti.

Uno scriba dunque, almeno bilingue se non trilingue, che poteva anche lavorare nell'ufficio del tribunale provinciale e che, insieme ad altri come lui (20), nell'ambito dei propri compiti di tipo notarile, aveva l'opportunità di conoscere e di accedere a questi prontuari processuali.

Tornando un'ultima volta sulla formula processuale dell'actio tutelae, conservata nell'archivio in esame e qui così interpretata anche alla luce degli altri papiri ad essa collegabili, va peraltro detto che vi è oggi un tentativo di riportare invece il documento nuovamente al processo per formulas e di intendere conseguentemente gli xenokritai ivi citati quali recuperatores (21): una tesi che almeno a chi vi parla sembra poco probabile, se si pensa sia all'età in cui ci troviamo, cioè l'età adrianea, sia alla zona di provenienza, una provincia imperiale, sia anche alle parti coinvolte nel processo, che non sono cittadini romani ma peregrini, per i quali appare assai più ovvio il ricorso a giudici locali a ciò delegati dal governatore provinciale, abitualmente residente nella lontana fortezza di Bostra, piuttosto che nella metropoli di Petra, dove soltanto annualmente egli tiene il suo conventus giudiziario.

Quale che sia la tesi da accogliere riguardo al tipo di procedimento formulare o cognitorio  , nel quale ha trovato utilizzazione questo `prontuario processuale', che è e resta indubbiamente romano, non è comunque questo l'unico riferimento al ius di Roma presente in questo archivio, proveniente da una zona, che prima di diventare parte nel 106 d.C. della nuova provincia romana d'Arabia era rimasta piuttosto ai margini del mondo greco, anche se ne aveva comunque recepito la lingua per evidenti ragioni commerciali: non bisogna infatti dimenticare che il greco è stato per secoli la lingua franca di tutto l'emporium mediterraneo. Una zona dunque che, diversamente da altri territori come l'Egitto e la Siria, che prima della conquista romana avevano vissuto l'esperienza plurisecolare del dominio delle monarchie ellenistiche, più facilmente aveva mantenuto accanto a pur inevitabili influenze greche le proprie tradizioni giuridiche nabatee.

Ma all'arrivo dei Romani, attraverso la loro amministrazione, le loro forze armate e soprattutto i loro tribunali, ai quali ora ci si rivolge per ottenere giustizia, molti elementi propri del diritto di Roma -  e questo avviene ben prima della Constitutio Antoniniana -  penetrano nella prassi locale e si esplicitano nei documenti, alla pari della datazione consolare e del calendario romano, che sono costantemente utilizzati nell'archivio in questione, accanto alla menzione dell'era locale.

Significativa è al riguardo la testimonianza di quel procedimento tipicamente romano, adoperato per l'ottenimento di documenti pubblici, noto con la formula descriptum et recognitum, cui corrisponde nell'archivio di Babatha l'espressione greca equivalente, eggegrammenon kai antibeblemenon: esso si trova sia in un estratto dagli atti del senato municipale di Petra, affissi nel tempio di Aphrodite (22), sia nella copia di un'apographe di proprietà trascritta dall'albo delle dichiarazioni censuali, esposto anch'esso pubblicamente (23). Vi è poi una presenza piuttosto consistente di vocaboli latini, semplicemente traslitterati in caratteri greci tribounalios per tribunal, akta per acta, praisidion per praesidium, miliarios per miliarius, kollegas per collega, basilike per basilica (24), oltre al sopra menzionato librarios per librarius (25), che già di per sé riflettono ovviamente la corrispondente realtà romana. E soprattutto c'è l'uso di clausole proprie del ius di Roma, se pur tradotte in greco, quali la clausola stipulatoria kai eperotetheis homologhesa (26), utilizzata nei documenti contrattuali di questo archivio di età adrianea assai prima di quando essa appaia nei documenti di Dura, dove è presente in un atto di divorzio del 204 d.C. (27), o nei papiri d'Egitto, dove sarà attestata soltanto in anni posteriori alla Constitutio Antoniniana (28): una clausola che, posta usualmente a chiusura del contratto, dichiara in sintesi l'avvenuta adesione di una parte alla richiesta rivolta dalla controparte di accettare tutto quanto è stato tra loro convenuto e riversato nel documento stesso.

Ed è interessante notare che proprio in questa clausola, che sembra costituire un significativo esempio di «mimetismo» giuridico, e quasi a rafforzarla sia menzionata costantemente la pistis (29), cioè la fides, che diventa kale pistis, cioè bona fides, nella formula di giuramento presente in quella dichiarazione di beni fondiari, più sopra ricordata (30): ma quale funzione può avere in questi casi l'uso di un vocabolo, dal significato così pregnante, presente anche in numerosi documenti contrattuali di provenienza egiziana di età ben più tarda (31), se non quella di dare protezione giuridica ai negozi dei peregrini, anche attraverso il ricorso alla lealtà e alla correttezza reciproca? Può qui valere, se pure in termini speculari, quanto già aveva osservato A. Biscardi a proposito della formula processuale dell'actio tutelae, dove è proprio “grazie alla bona fides (kale pistis)...” che “...istituti nazionali come la tutela pupillare si trasformano da istituti di stretto ius civile in istituti suscettibili di applicazione al di fuori delle anguste barriere di questo e tendono in qualche misura a fondersi con i corrispondenti istituti di altri popoli e di altre civitates”.

Accanto all'archivio di Babatha, vorrei ancora segnalare tra i documenti ritrovati nel deserto della Giudea un altro piccolo gruppo di carte di recentissima individuazione e pubblicazione (32)   appartenenti a Salome Komaise figlia di Levi, una donna ebrea anch'essa originaria dello stesso villaggio di Maoza, nella provincia romana d'Arabia, che -  come Babatha -  era fuggita verso nord durante gli anni della rivolta di Bar Kokhba, portandosi dietro i preziosi documenti, rinvenuti nelle grotte di Nahal Hever, dove probabilmente morì.

Datati agli anni 125 131 d.C., questi papiri scritti in greco, con sottoscrizioni in aramaico e nabateo, presentano anch'essi le caratteristiche formali che già avevamo evidenziato nell'altro archivio, e cioè la Doppelbeurkundung, il sistema di datazione consolare romano affiancato all'era locale della nuova provincia istituita nel 106 d.C., e la clausola stipulatoria, nella quale è presente quell'esplicito riferimento alla fides, di cui già abbiamo discusso in relazione all'archivio di Babatha.

Interessante è poi il contenuto di alcuni di questi documenti, in particolare una donazione di terreni e parte di una casa, fatta dalla madre Salome Grapte alla propria figlia Salome Komaise, oppure il contratto di matrimonio della stessa Salome Komaise con Iesus figlio di Menahem.

Anche se mancano elementi più espliciti, è probabile che i due documenti siano in qualche modo collegati tra loro e che la donazione sia stata fatta in relazione alle nozze, che sappiamo essere per la donna le seconde. Al riguardo è stato notato da chi ha ora pubblicato il piccolo archivio (33) che il diritto successorio, quale traspare più in generale nei documenti ritrovati in Giudea, non garantiva alla donna di ereditare dai genitori, quando ad esempio fossero presenti i figli dello zio paterno, e questo potrebbe spiegare l'utilizzazione di queste donazioni inter vivos. Per quanto riguarda invece il contratto di matrimonio, pur avvicinabile nella sua forma strutturale alla ketubba ebraica, è stato suggerito che esso rispecchi piuttosto la tradizione giuridica greca dell'agraphos gamos  qui convertito attraverso il ricevimento della dote da parte dell'uomo  in un eggraphos gamos (34).

Anche nell'archivio di Babatha or ora ricordato, accanto ad una vera e propria ketubba aramaica tuttora inedita (35) è conservato un contratto di matrimonio (P. Yadin 18), che parrebbe inquadrarsi nella tradizione giuridica greca, cui esplicitamente sembra riferirsi attraverso l'espressione, due volte ripetuta, helleniko nomo, piuttosto che in quella ebraica: ma come spiegare questo con l'isolamento nabateo e con l'influenza puramente formale dell'ellenismo in questa zona del Vicino Oriente, che alcuni degli studiosi che hanno esaminato con attenzione questi documenti per altri versi piuttosto convincentemente ipotizzano?

Lasciando per ora aperti questi interrogativi, ai quali si potrà forse dare qualche risposta meno incerta, quando si avranno a disposizione anche le edizioni di tutti i materiali non greci conservati negli stessi archivi, voglio soltanto menzionare, prima di passare ai recentissimi ritrovamenti di Petra, un gruppo di papiri e pergamene, provenienti dal medio Eufrate e risalenti alla metà del III secolo d.C. (36), dei quali sta uscendo via via l'edizione.

Già è stata pubblicata, pochi anni or sono, una piccola serie di istanze indirizzate all'autorità giudiziaria romana (37) tra le quali assai significativa è una domanda rivolta da alcuni abitanti di un villaggio della zona al governatore di Celesiria, Giulio Prisco, perché in attesa della sentenza che dovrà risolvere una controversia in tema di proprietà, faccia sì che panta en akeraio terethenai kai bian koluthenai, cioè che tutto rimanga in integrum e che sia proibita la vis: una richiesta di tutela del possesso che suggestivamente richiama l'interdetto uti possidetis. Il documento contiene anche la subscriptio del governatore, con la quale egli delegherà la questione alla giurisdizione locale competente.

In un'altra petizione, indirizzata ad un altro governatore di Celesiria, Marcello, il ricorrente chiede di rientrare nel possesso di un vigneto da lui ereditato dal padre ed ora occupato abusivamente e con violenza da altri: il caso è poi complicato dalla presenza di una vecchia creditrice del padre, per garantire la quale il terreno in questione era stato a suo tempo ipotecato e che ora lo perseguita. Anche in questo caso la richiesta fa eco ad un interdetto, più precisamente l'interdictum de vi, con il quale era ordinata la restituzione della cosa a chi ne era stato spogliato violentemente.

Appartengono alle stesse carte una richiesta, in duplice esemplare, di comparizione in giudizio di fronte al governatore romano, presentata da chi è stato vittima di alcuni atti di violenza, ed infine una petizione rivolta ad un centurione, perché quest'ultimo certifichi una deposizione fatta in un caso di omicidio e di usurpazione di beni.

Recentissima è poi la pubblicazione di un altro piccolo gruppo di documenti, facenti parte di questi stessi archivi e consistenti questa volta in contratti di compravendita (38), il cui oggetto è costituito da giovani schiavi e, in un caso soltanto, da animali. Sono pergamene redatte in greco con sottoscrizioni in siriaco e presentano tutte la duplice scritturazione e la formulazione oggettiva, secondo lo schema bilaterale apedoto X venditore epriato Y acquirente. Datati secondo il sistema dell'eponimato consolare, cui si affianca l'era locale seleucide, essi presentano significativamente abbinate la clausola di garanzia contro l'evizione e la clausola cosiddetta di 'katharopoiesis' sulla quale tornerò tra breve, che garantisce ulteriormente il titolo di proprietà dell'acquirente contro eventuali future contestazioni, cui segue la clausola redibitoria contro i vizi occulti della cosa, con specifico riferimento alla 'hiera nosos', il morbo sacro di edittale memoria.

Ancora interessante è la presenza della clausola stipulatoria, accompagnata da quel riferimento alla pistis già segnalato nei documenti di età adrianea appartenenti all'archivio di Babatha. Ma soprattutto è la sottoscrizione al documento, apposta da chi lo ha materialmente confezionato, ad attirare l'attenzione di chi esamina la prassi documentale antica non soltanto sotto il profilo del contenuto ma anche negli aspetti più propriamente formali. In alcuni casi il redattore è un nomikos, termine ben noto a chi ha studiato gli instrumenta notarili di età bizantina, in altri è un librarius, termine invece assai più raro, ma suggestivamente già presente più di un secolo prima nei papiri della Giudea, per il quale era stata avanzata l'ipotesi   ora pienamente confermata   di identificare in costui uno scriba di professione: vocaboli diversi per designare quella figura che i Romani più consuetamente chiamano tabellio e la cui attività svolta nel foro e negli archivi consiste appunto nell'instrumenta formare, libellos concipere e testationes consignare (39).

Ma veniamo finalmente ai papiri di età giustinianea, ritrovati nel 1993 a Petra, una località che già ho citato in relazione all'archivio adrianeo di Babatha, nel quale più volte è fatto riferimento al suo senato locale ed al suo tribunale: allora Petra era capoluogo della provincia romana d'Arabia da poco istituita, ora invece Petra appartiene da tempo, cioè dalla riorganizzazione amministrativa attuata da Diocleziano, alla Palaestina Tertia Salutaris, di cui fa parte anche Nessana, l'altra importante località che ci ha restituito quei preziosi archivi del VI/VII secolo, di cui sopra ho fatto menzione.

Questo salto di secoli dall'età romana all'età tardobizantina peraltro non meraviglia più di tanto lo studioso della disciplina papirologica antica, perché i ritrovamenti di materiale scritto, fatta eccezione per l'Egitto che presenta pur con qualche lacuna una sua straordinaria continuità, sono del tutto casuali e questa casualità, per quanto attiene in particolare il Vicino Oriente, lascia purtroppo ancora scoperte molte zone e molti periodi.

Fatta questa necessaria precisazione, vorrei dare anche qualche rapida informazione su questa eccezionale scoperta, che consiste in una cinquantina di rotoli, venuti alla luce in un magazzino adiacente ad una chiesa del V secolo, devastata da un incendio, scoppiato probabilmente poco tempo prima del grande terremoto che distrusse la zona nel 551 d.C.: qui essi sono stati rinvenuti insieme con altri diversi oggetti ed il loro stato di conservazione è purtroppo alquanto precario, dal momento che si presentano carbonizzati e solo per l'abilità di un'esperta équipe di studiosi alcuni di essi già sono stati svolti, fotografati e trascritti (40).

Ne è stata anche data una prima parziale lettura al Congresso Internazionale di Papirologia, che si è tenuto a Firenze alla fine d'agosto di quest'anno (1998), e proprio sulla base di queste edizioni preliminari e delle descrizioni del restante materiale vorrei concludere questo mio intervento. Si tratta di documenti tutti negoziali, redatti in lingua greca e datati o databili all'età giustinianea, per i quali allo stato parziale delle edizioni si può presumere che rientrino nello stile redazionale bizantino, ben conosciuto attraverso le testimonianze egiziane, ma che certamente presentano aspetti nuovi.

Segnalo innanzitutto una divisione tra fratelli di beni ereditari   vigneti, terreni arabili, schiavi e case site in Petra stessa e nei dintorni  , il cui testo se pure incompleto occupa ben 208 righi di scrittura per una lunghezza di oltre 3 metri (P. Petra inv. 10) (41). Per quanto riguarda la fattispecie, questa diairesis si avvicina alle analoghe divisioni di proprietà, conservate numerosamente nei papiri dell'Egitto bizantino, ma con alcune peculiarità che la avvicina maggiormente ai coevi papiri di Nessana: è il caso di quella particolarissima procedura di assegnazione dei diversi lotti, la cosiddetta pessobolia, che consiste nel lancio dei dadi, peraltro meramente fittizia ed il cui significato sembra piuttosto quello di una conferma rituale della divisione, fatta invece con estrema scrupolosità. Un segno soltanto, ma inequivocabile, del legame con la tradizione locale, cui appartengono quelle sortes biblicae, alle quali era affidata in un tempo ormai lontano l'assegnazione delle terre tra le tribù d'Israele oppure la divisione del bottino di guerra (42).

Significativa in questo documento è poi la presenza, accanto alla clausola di bebaiosis, cioè di mutua garanzia contro l'evizione, di un'altra clausola  quella di katharopoiesis per mezzo della quale le parti, con specifico riferimento ad un nomos ton katharopoieson, garantiscono ulteriormente il titolo di proprietà: ma se la prima è piuttosto frequente anche nei papiri egiziani (43), la seconda sembra invece peculiare di queste zone, dal momento che essa appare, oltre che nei coevi papiri di Nessana (44) sia nei più risalenti documenti del medio Eufrate (45), di Dura (46), e della Giudea (47), sia addirittura in un documento proveniente dall'Avroman, nel Kurdistan persiano, datato al I secolo a.C. (48).

Piuttosto interessante è pure la formula di giuramento, fatto in nome della Trinità e della salus imperiale e così attestato anche a Nessana (49): un binomio assai pregnante che formulato un po' diversamente nei papiri d'Egitto della stessa età, dove alla 'soteria' dell'imperatore è sostituita la sua nike (50), riconduce chiaramente a quell'ideologia giustinianea, ben nota a chi ha studiato la complessa personalità di questo imperatore, che non è stato soltanto un legislatore ma anche un appassionato teologo (51).

Un altro papiro di notevole rilievo è costituito da un documento del 537 d.C. (P. Petra inv. 68 (52)), che attiene ad alcune disposizioni patrimoniali, collegate ad un precedente contratto di matrimonio, peraltro non conservato nell'archivio: il testo si presenta molto frammentario, ma l'analogia delle clausole qui adoperate con quelle presenti in alcuni coevi papiri egiziani permette di avvicinarlo a quel tipo di documentazione, che spesso si accompagnava al contratto scritto di matrimonio e che serviva a meglio precisare quei punti di natura patrimoniale non sufficientemente regolamentati nell'eggraphos gamos. Nel papiro in questione Teodoro figlio di Obodianos e lo zio materno Patrophylos, alla cui figlia Stephanous egli è sposato, concludono tutta una serie di specifici accordi in merito alla dote e ad altri beni, in caso di morte sia di Teodoro, sia di Patrophylos, sia di Stephanous.

Lo stesso Teodoro e lo stesso Patrophylos, rispettivamente marito e padre di Stephanous, compaiono poi in un altro documento (P. Petra inv. 63+65 (53)), di due anni successivo, che sembra in qualche modo collegarsi alla stessa vicenda matrimoniale: anche in questo caso la convenzione -  il cui testo è conservato in modo frammentario proprio nelle clausole decisive per una sua maggiore comprensione -  riguarda aspetti specificamente patrimoniali e più in particolare l'aumento della dote e dei beni parafernali. L'asphaleia in questione è confermata dal giuramento in norne della Trinità e della soteria imperiale ed è completata dalle sottoscrizioni di entrambi e dalle hypographai dei fideiussori: significativa è anche la presenza in ciascuna sottoscrizione della clausola stipulatoria, che nei documenti di età precedente compariva solitamente in calce al testo del documento, prima delle subscriptiones delle parti.

Ultimo interessante esemplare qui ricordato è costituito da un papiro (P. Petra inv. 83 (54)), che conserva il testo di una mesiteia relativa ad una controversia assai complessa, di cui è protagonista ancora una volta il già citato Teodoro figlio di Obodianos insieme ad un certo Stefano figlio di Leonzio. Il documento che si stende per più di 500 linee di scrittura   è uno dei rotoli più lunghi ma anche meglio conservati tra questo materiale  , è datato al 544 (o 574) d.C., secondo il sistema della triplice indicazione dell'anno   imperiale, consolare e dell'indizione   cui si affianca l'era locale dell'antica provincia d'Arabia, conformemente a quanto è ormai stabilito dalla Nov. 47 (55).

Oggetto principale della lite, la cui soluzione è stata demandata ad un arbitro scelto concordemente dagli stessi litiganti, è costituito dai diritti reclamati da entrambi, kata ton palaion nomon, di sfruttare l'acqua di una fonte e di condurla alle case di loro proprietà, con relativa costruzione dei canali necessari a questa opera. In calce al lunghissimo documento sono apposte le sottoscrizioni dei due contendenti, i quali dichiarano di aver accolto il giuramento della controparte e di essere pronti a sottostare alla decisione arbitrale, la cui inosservanza è sanzionata con una multa pecuniaria.

Con quest'ultimo documento, che attesta chiaramente come in questa età ed in queste zone dell'impero bizantino, analogamente all'Egitto, il ricorso alla giustizia arbitrale fosse frequente ed in certi casi forse preferibile alla giustizia ordinaria, anche se ciò non significa la totale inesistenza di tribunali per la discussione delle cause civili, come taluni hanno forse troppo rigorosamente sostenuto (56), si conclude il mio intervento.

Spero con esso di aver offerto qualche elemento in più ad una discussione sui rapporti tra diritto romano e tradizioni giuridiche locali, che si presenta ancora assai vivace tra gli studiosi giusromanisti, come dimostrano le relazioni di questo convegno.


© Livia Migliardi Zingale
Università degli Studi di Genova
Istituto di Diritto Romano


Note:

1 1 L. MITTEIS, Reichsrecht und Volksrecht in den östlichen Provinzen der römischen Kaiserreichs, Leipzig 1891, rist. Hildesheim 1963.

2 Un utilissimo elenco è riportato nel contributo di H. M. COTTON   W. E. H. COCKLE - F. G. B. MILLAR, The Papyrology of the Roman Near East: A Survey, in, JRS, 85 (1995) 214 235.

3 P. Dura = The Excavations at Dura Europos. Final Report V.I: The Parchments and Papyri, ed. C Bradford Welles   R O. Fink   J. Frank Gilliam, 1959: i papiri latini, tutti appartenenti alla cohors vicesima Palmyrenorum, sono stati ripubblicati in Chartae Latinae Antiquiores (Ch.L.A.), VI 1X­.

4 P. Nessana = Excavations at Nessana (Auja Nafir, Palestine), II: Literary Papyri, ed. L. Casson E. L. Hettich, Princeton 1950; III: Non literary Papyri, ed. C. J. Kraemer, Princeton 1958.

5 Si veda in particolare H. J. WOLFF, Der byzantinische Urkundenstil Ägypten im Lichte der Funde von Nessana and Dura, in RIDA, 8 (1961) 115 154, cui si possono aggiungere dello stesso studioso, Le droit provinzial dans la province romaine d’Arabie, in RIDA, 23 (1976) 271 290 e, con alcune modifiche ed aggiornamenti, Römisches Provinzialrecht in der provinz Arabia (Rechtspolitik als Instrument der Beherrschung), in ANRW. 2.13 (1980) 763 806.

6 Sul tema della duplice scritturazione in età romana, accanto alle significative pagine di H. J. WOLFF, Die kaiserzeitliche Testatio, nel suo Das Recht der griechischen Papyri Agyptens in der Zeit der Ptolemaeer und des Prinzipats, 2, München 1978, 78 ss., vedi anche M. AMELOTTI ( L. MIGLIARDI ZINGALE), Osservazioni .sulla duplice scritturazione nei documenti, in Symposion 1985, Köln Wien 1989, 305 309 (= Scritti giuridici, Torino 1996, 124 128), con ampia bibliografia.

7 Significativo al riguardo è quel passo del senatoconsulto neroniano in tema di chiusura e sigillazione delle tabulae negoziali, conservato nelle Pauli Sententiae (5.25.6), dove si legge una chiara spiegazione di siffatta Doppelbeurkundung nei documenti: “... ut exteriori scripturae fidem interior servet”.

8 Cfr. P. Nessana II, 11 e 12: gli editori si limitano ad una assai sommaria descrizione del contenuto e solo per il primo dei due testi richiamano un'analogia, peraltro sul piano meramente formale e non contenutistico, con P. Ryl. 475.

9 The Documents from the Bar Kokhba Period in the Cave of Letters. Greek Papyri (= P. Yadin), a cura di N. Lewis, Jerusalem 1989.

10 Si tratta di P. Yadin 28 30, che hanno avuto un' ed. princ. già nel 1967, a cura di H. J. Po­lotsky , e sono stati successivamente ripresi in SB X 10288.

11 Vedi ora H. M. COTTON, The guardianship of Jesus son of Babatha: Roman and local law in the province of Arabia, in JRS. 83 (1993) 94 113.

12 È questa la traduzione proposta da A. Biscardi nel suo studio infra citato alla n. 13 e qui accolta. Sempre di A. Biscardi si legga anche la voce Xenokrilai in NNDI 20 (1975) 1087 1090.

13 Accanto a E. Seidl e M. Lemosse che per primi hanno indagato questo documento, si veda più specificamente H. J. WOLFF, Le droit provincial dans la province romaine d’Arabie, in RIDA. 23 (1976) 271 290 e con alcune modifiche ed aggiornamenti, Römisches Provinzialrecht in der provinz Arabia (Rechtspolitik als Instrument der Beherrschung), in ANRW. 2.13 (1980), 763   806; ma soprattutto A. BISCARDI, Nuove testimonianze di un papiro arabo giudaico per la storia del processo provinciale romano, in Studi in onore di G. Scherillo, 1, Milano 1972, 111 152.

14 Cfr..Nuove testimonianze cit. supra alla nt. 13.

15 In due papiri dell'archivio di Babatha (P. Yadin 14 e 15, datati al 125 d.C.), è citato Giulio Giuliano, nella sua qualità di eparchos/heghemon della nuova provincia d'Arabia, di cui Petra -  dove si tenevano le annuali assisi giudiziarie, alle quali si fa specifico riferimento nei documenti appena ricordati -  era il capoluogo: su Petra e su Bostra, nel cui campo fortificato risiedeva abitualmente il governatore provinciale, vedi anche infra, nt. 36.

16 Si veda in particolare E. SEIDL, Ein Papyrusfund zum klassischen Zivilprozessrecht, in Studi in onore di G. Grosso, II, Torino 1968, 345 ss.

17 Tra gli autori che propendono per la sua esistenza, mi limito a citare H. ANKUM, La Iégislation des préfets d’Egypte et l'edictum provinciale, in Anamnesis. GdSchr. Leeemans, Gand 1970, 63 ss. e G. PURPURA, Katholikon diatagma, in Studi Biscardi, 2 507 ss. e tra quelli che la negano J. MODRZEIEWSKI, La règle du droit dans l’Egypte romaine in Proc. XII Congr. Congr. Papyr., 431 ss. e R. KATZOFF, Sources of law in roman Egypt, in ANRW 2.13 (1980) 809 ss. Altra bibliografia in H. A. RUPPRECHT, Kleine Einfuhrung in die papyruskunde, Darmstadt 1994, 101 ss., di cui uscirà tra breve, per i tipi di Giappichelli, una traduzione italiana a cura di chi scrive.

18 Alcuni di questi documenti   P. Yadin 20, 45; 21, 33; 22, 39; 27, 19 sono atti negoziali, mentre P. Yadin 23, 25; 25, 68 e 26, 21 sono invece documenti processuali e più in particolare sono citazioni in giudizio di fronte al tribunale del governatore.

19 Si veda BGU II 423; P. Mich. III 166; SB X 10530.

20 In altri documenti contrattuali dello stesso archivio   P. Yadin 15, 39; 17, 43 e 18, 73   compare un Theenas figlio di Simon, anch'egli qualificato come librarius.

21 Accanto a D. MANTOVANI, Le formule del processo privato romano, Como 1992, 50 e nt. 162 e a K. HACKL, Der Zivilprozess des frühen Prinzipats in den Provinzen, in ZSS. 114 (1997) 141 159 (più spec. 155 ss.) -  una versione italiana di questo articolo è stata presentata al Convegno internazionale di Diritto Romano dedicato a Gli ordinamenti giudiziari di Roma imperiale   Princeps e procedure dalle leggi Giulie ad Adriano (Copanello Lido 5 8 giugno 1996, in corso di stampa -  si vedano soprattutto gli articoli più specifici di D. NORR, in ZSS 112 (1995), spec. 54 ss. e in Israel Law Rev. 29 (1995) 83 ss. Questi studiosi accolgono l'identificazione xenokritai = recuperatores anche sulla base di P. Oxy. 42, 3016 del 148 d.C., dove l'editore, P. J. Parsons, ipotizzava appunto che gli xenokritai ivi menzionati fossero un collegio di recuperatores, senza peraltro dimostrarlo in modo convincente. Ma lo stesso A. Biscardi in un altro suo meno noto contributo (Sulla identificazione degli ‘xenokritai' e sulla loro attività in P. Oxy. 3016, in Festschrift für Erwin Seidl, Köln 1975, 15 24), aveva cercato di dimostrare l'infondatezza di tale identificazione, sostenendo che nel processo provinciale romano il collegio giudicante nominato dal governatore -  era sua discrezionalità cognoscere in persona oppure iudicem dare - ben poteva essere composto da cittadini romani, `purché chiamati a giudicare fra non romani', senza scomodare per questo i recuperatores: è questo il tribunale di xenokritai, cioè di giudici estranei rispetto alle parti in causa, tra le cui competenze rientrano le cause civili relative allo status personarum. Altri dubbi su questa identificazione nella fonte ossirinchita solleva oggi anche H. HORSTKOTTE, Xenokritai beim Praefectus Aegypti (P. Oxy. 3016), in ZPE. 112 (1996) 192 196. Per quanto attiene alle altre testimonianze   alcune delle quali di età ben precedente  , ritenute importanti da chi sostiene siffatta identificazione, non posso qui soffermarmi e pertanto rinvio ad altra sede e ad altro momento la relativa discussione: su di esse si veda comunque D. Nörr supra cit. alla nt. 21.

22 Cfr. P. Yadin 12, 1 e 4.

23 Cfr. P. Yadin 16, 1 e 3, dove apprendiamo che tale albo   così credo debba intendersi opportunamente il termine pittakion  era affisso en te enthade basilike, cioè nel tempio del luogo: sul termine basilike vedi nota immediatamente successiva. Per quanto ancora riguarda la formula eggegrammenon kai antibeblemenon, essa è ancora presente in P. Yadin 33,1 e 4 e in P. Yadin 34, 1, ma la lacunosità dei testi non permette ulteriori precisazioni.

24 Il termine, che si trova adoperato in P. Yadin 16 2 e 4 è sicuramente la traslitterazione del termine latino basilica, in quanto è usato nella clausola introduttiva del documento dove apprendiamo che esso è una copia trascritta dall'albo delle dichiarazioni censuali ivi affisso: sulla formula greca eggegrammenon kai antibeblemenon, che corrisponde al latino descriptum et recognitum, vedi supra nel testo.

25 Cfr. P. Yadin 15, 38; 20, 45; 21, 34; 22, 39.

26 Cfr. P. Yadin 17, 16 e 38; 18, 27 e 66; 20, 16 e 40; 21, 27; 22, 29; 37, 14: si tratta in tutti i casi di documenti contrattuali, e più precisamente un deposito, un contratto di matrimonio, una concessione di diritti, due compravendite ed un altro contratto matrimoniale.

27 Cfr. P. Dura 31.

28 A questo sembrano fare eccezione alcuni documenti contrattuali della metà del II secolo d.C., che contengono già la clausola stipulatoria, ma in relatà si tratta di documenti finiti in Egitto ma confezionati altrove e più specificamente in località dell'Asia Minore: vedi ad es. P. Turner 22 del 142 d.C., una compravendita di schiavi redatta a Side, dove la clausola in questione è per di più preceduta dalla menzione della pistis, su cui vedi immediatamente nel testo le relative osservazioni. Secondo alcuni studiosi tale clausola sarebbe stata introdotta in Egitto, nella prassi documentale, attraverso un'ordinanza prefettizia: sul punto cfr. specificamente D. SIMON, Studien zur Praxis der Stipulationsklausel, München 1964, 17 e 25.

29 Sulla pistis cfr. specificamente H. D. SCHMITZ, H pistis in den Papyri, 1964 D. Simon nella sua monografia, Sludien zur Praxis der Stpulationsklausel, München 1964 (specificamente 49), cita pochi altri casi, nei quali ricorre il termine pistis e si tratta sempre e comunque di documenti provenienti da queste stesse zone del Vicino Oriente BGU III, 887, scritto a Side in Panfilia; P. Dura 26; 29 e 31.

30 Cfr. P. Yadin 16, 34.

31 Si veda orientativamente anche se ormai datato, l'elenco riportato da R. TAUBENSCHLAG nel suo The Law of Greco roman Egypt in the Light of the Papyri. 332 B. C.   640 A.D., Warszawa 1955, 44 nt. 168.

32 Sull'archivio ricostruito da H. M. Cotton, si veda il relativo contributo, The Archive of Salo­me Komaise daughter of Levi: Another Archive from the `Cave of Letters', in ZPE. 105 (1995) 171 208: di questo archivio fa parte P. Yadin 37, che conserva il contratto di matrimonio di Salome Komaise.

33 Cfr. specificamente H. M. COTTON, The Archive, cit. 185.

34 Si veda ancora H. M. COTTON, The Archive cit., 206 s., che respinge l'interpretatio hebraica proposta insieme con altri studiosi da N. Lewis, primo editore del documento in questione (P. Yadin 37), ma nuovamente all'istituzione rabbinica del matrimonio per giovani minorenni orfane si ricollega da ultimo R. Katzoff nella sua relazione al Congresso Internazionale di Papirologia (Firenze 1998), di cui sono stati pubblicati anticipatamente gli Abstracts (ibid., 47).

35 Il testo sarà pubblicato nel secondo volume dell'archivio, insieme con gli altri testi aramaici.

36 Cfr. D. FEISSEL – J. GASCOU, Documents d'archives romains inédits du Moyen Euphrate (III siècle après J. C.), in CRAI 1989, 535 ss. Dagli stessi studiosi saranno anche pubblicati due documenti del III secolo d.C., provenienti dal territorio di Bostra: dalla loro edizione potranno derivare altri preziosi elementi, tanto più se si tiene conto che nel campo fortificato di Bostra, piuttosto che nel capoluogo Petra, aveva la sua residenza abituale il governatore della nuova provincia d'Arabia.

37 Cfr. D. FEISSEL – J. GASCOU, Documents d'archives romains inédits du moyen Euphrate (IIIe s. après ]. C.). I. Les pétitions (P. Euphr. 1 à 5), in Journal de Savants 1995, 65 119.

38 Cfr. D. FEISSEL – J. GASCOU   J. TEIXIDOR, Documents d'archives romains inédits du moyen Euphrate (IIIe s. après J. C.). II. Les actes de vente achat (P. Euphr. 6 à 10), in Journal de Savants 1997, 3 57.

39 Cfr. D. 48.19.9.4 7 (Ulp. 10 de off. proc.). Sul punto vedi M. AMELOTTI (  G. GOSTAMAGNA), Alle origini del notariato italiano. Parte prima. L'età romana, Roma 1975 (rist. Milano 1995), 15 e nt. 38.

40 Non è questo il solo caso di papiri carbonizzati: accanto ai famosi rotoli filosofici trovati ad Ercolano, posso citare anche gli analoghi casi dei papiri di Thmuis e Bubastos, nel Delta nilotico, oppure quelli di Derveni in Grecia.

41 L. KOENEN, First Observations on Legal Matters in the Petra Archive(s).

42 Su questa particolare procedura, che fino ad oggi era attestata soltanto in P. Nessana III 21, 20 e 22, 10, vedi ibid. il commento dell'editore, che cita utilmente molti esempi biblici, ma anche preislamici.

43 Sulla clausola di bebaiosis nei papiri d'Egitto rinvio specificamente ad H. A. RUPPRECHT, Die ‘Bebaiosis’ zur Entwicklung und den räumlich zeitlichen varianten einer Urkundsklausel in den graecoägyptischen Papyri, in Studi in onore di Cesare Sanfilippo, 3, Milano 1983, 611 626.

44 Cfr. specificamente P. Nessana III, 22, 32   una divisione di proprietà già sopra segnalata per quel suo singolare riferimento alla pessobolia. Nel VI secolo la clausola appare anche in alcuni papiri egiziani.

45 Cfr. P. Euphr. 6 21 e 7 15 del 249 d.C., su cui più in generale si veda supra nel testo.

46 Cfr. P. Dura 25 (180 d.C.) e P. Dura 26 (227 d.C.).

47 Cfr. P. Yadin 20, 15 e 38 (42 in versione aramaica); P. Yadin 22, 20 entrambi del 130 d.C.

48 Questo dato potrebbe trovare conferma in P. Avroman 1 del I secolo a.C., dove in un contesto del tutto simile è usato il verbo katharopoiesis.

49 Cfr. specificamente P. Nessuna III, 21, 22; 22, 12; 30, 13. 

50 Oltre che nei papiri d'Egitto il giuramento sulla Trinità e sulla vittoria imperiale è presente significativamente anche in quel documento costantinopolitano ben noto ai giusromanisti nell'edizione dei.Negotia, che va sotto il nome di contractus cum exsecutore litis de principis rescripto ad exitum perducendo (FIRA III, 179).

51 Mi sia permesso rinviare a M. AMELOTTI L. MIGLIARDI ZINGALE, Scritti teologici ed ecclesiastici di Giustiniano (= Subsidia III), Milano 1985, introd.

52 A. ARJAVA, A Settlement Concerning Family Property.

53 T. GAGOS, Settlements out of Court in Byzantine Petra and Elsewhere.

54 Cfr. M. KAIMIO, P. Petra inv. 83: A Settlement of Dispute.

55 Se fosse il 544 d.C., se ne potrebbe dedurre che a Petra l'applicazione alla nuova normativa giustinianea è pressoché contemporanea, mentre nei coevi documenti di Nessana e d'Egitto il nuovo sistema di datazione non pare attestato prima del 550/551 d.C.: sul punto vedi H. j. WOLFF, Der byzantinische Urkundenstil cit., Anhang I. Zur Geschichte der Datumsformel, 144 150.

56 Vedi su questo A. A. SCHILLER, The Courts are No More, in Studi in onore di E. Volterra, 1, Milano 1971, 469 ss.