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Appunti su alcuni aspetti della storia del diritto soggettivo
di Bernardo Albanese
Pubblicato in: Scritti in onore di A.C. Jemolo, 4 (Milano 1963), 1-13

1. La natura del presente scritto - volto ad onorare un maestro di diritto e di costume, cui tutti noi siamo debitori di pensieri e di esempi - valga a chi scrive la comprensione del lettore, per la rapidità con la quale si è affrontato qualche aspetto d'uno dei più dibattuti problemi delle nostre scienze e la connessa mancanza quasi totale di riferimenti espressi alla imponente dottrina, cui, peraltro, nella misura. in cui la conosco, attribuisco doverosamente e volentieri un peso determinante nella formazione delle convinzioni qui sommariamente espresse.



2. Uno dei risultati più sicuri - se non anche più largamente diffusi - cui abbia condotto il pensiero giuridico attuale, nello sforzo costante di prendere sempre migliore consapevolezza di sè, è costituito senza dubbio dalla persuasione, ormai radicata, della insignificanza ed insufficienza di una considerazione meramente dogmatica (come si dice) del fenomeno giuridico; e, parallelamente, della inopportunità, o addirittura impossibilità, d'una considerazione meramente empirica del medesimo.

Fermo restando il convincimento di fondo, per cui nota essenziale e chiave per una retta intelligenza del diritto sia l'avvertenza della sua natura storica (di fatto, cioè, umano nel tempo), è chiaro che di « dogmatica » in senso proprio e tecnico è assurdo parlare. Nel contempo, però, è altrettanto chiaro come, nella scienza del diritto, sia necessario sempre far luogo ad uno schema logico, artificiale, voluto, entro cui sistemare, ed alla cui luce confrontare, i dati storici.


Sicchè costruzione sistematica ed esperienza storica, nel diritto, sono entrambe mezzi inseparabili di conoscenza, prospettive - come pur si usa dire - l'una e l'altra per l'impostazione e l'analisi dei fenomeni; e prospettive necessariamente concorrenti.


Però, è da osservare che il rischio d'una considerazione prevalentemente empirica (o, se fosse possibile, esclusivamente empirica) della fenomenologia giuridica si può considerare in pratica inesistente - checch'è se ne pensi, in contrario, da alcuni. Ciò, perchè l'esperienza mostra che anche i più antidogmatici dei giuristi necessariamente si servono di schemi logici per inquadrare il loro lavoro (pur potendosi, naturalmente, a torto o a ragione, secondo i casi, lamentare che gli schemi adoperati siano erronei, insufficienti, mal aggiornati e via dicendo). Il rischio opposto appare, al contrario, assai più grave, in pratica. In effetti, ancora l'esperienza mostra come una considerazione prevalentemente dogmatica (o, se fosse possibile, esclusivamente dogmatica) possa tendere ad una mortificazione grave della realtà storica. L'amore per lo schema, la passione dell'astratto ragionare, la tendenza a far forza alla materia risultante dall'esperienza e dai documenti con l'applicazione di categorie cui si attribuisce un valore metastorico, assoluto, sono altrettante tentazioni gravi, che possono dar luogo a cecità e apriorismi, a danno della verità storica, prima, e poi anche a danno della stessa logica.


Diciamo a danno della stessa logica, giacche è facile vedere come tutti gli schemi logici che si è soliti applicare alla fenomenologia giuridica sono, a buon conto, elaborati per astrazione sulla base di dati ricavati dall'esperienza storica, sicchè sono anch'essi - sebbene in modo diverso e riflesso - dato storico. Sopravvalutarli, in conseguenza, ed assolutizzarli, come purtroppo avviene di continuo, equivale a servirsi con piena fiducia, e a ritenerli assoluti, di valori, che per natura loro sono legati a dati che possono ben essere superati proprio nel momento in cui - per una specie di vischiosità degli schemi - si continua ad adoperare i valori che ne son derivati.

La logica ferrea che si vuol basare su strumenti di tal fatta è, quindi, una logica sbagliata, come quella che rifiuti di prender coscienza della pur innegabile relatività delle sue premesse.


Nel servirci, quindi, di qualunque concetto, categoria o costruzione giuridica, tutte le volte che appaia necessario farlo, per la sistemazione dei dati interessanti lo studio giuridico, è indispensabile tenerne presente la natura di comodo e relativa, la storia particolare, ed inoltre il rischio continuo di ipostasi.


Come e quanto, in pratica, un tale atteggiamento di cautela sia possibile è difficile precisare in generale; ne potrebbe apparire utile, se pur possibile, una valutazione, a questa luce, delle correnti dominanti nell'odierna letteratura giuridica. Meno difficile, ma parimenti inutile in questa sede, sarebbe l'attardarsi nell'analisi delle tappe - spesso aspramente polemiche, sempre fruttuose - attraverso le quali si è pervenuti, in linea di massima, a quella persuasione della necessità d'una considerazione assai cauta e attenta delle prospettive dogmatiche intese nel loro giusto valore storico. Del resto, il relativo processo di chiarificazione si può ormai ben considerare compiuto, e le esasperazioni in senso unilaterale - cui o particolari temperamenti e formazioni intellettuali, o passionali prese di posizioni hanno dato, e talora ancor dànno, non lodevole occasione – si possono, sostanzialmente, ben considerare superate (1). Meglio è, piuttosto, constatare come esistano, non poche ormai, ricerche particolari, le quali si possono, a buon diritto, considerare modelli validi o abbozzi felicissimi dell'accennata, equilibrata impostazione che non sacrifica indebitamente le ragioni dell'esperienza né quelle della concettualizzazione.


Ne vi è giurista, credo, sollecito del fondamento stesso del proprio indagare che non vada spontaneamente, a questo punto, con il pensiero, a quegli storici del diritto, a quei filosofi del diritto ed a quei cultori del diritto positivo vigente cui la nostra scienza è debitrice di queste acquisizioni. Naturalmente, tra gli scritti cui alludiamo un posto particolarmente degno occupano i contributi degli storici del diritto a quella che si può a ragione chiamare la storia della dogmatica giuridica: quell'atteggiamento, cioè, della storia giuridica che si volge particolarmente al difficile compito di stabilire gli antecedenti remoti, meno remoti e recenti dei concetti generali con cui operano i giuristi contemporanei.


3. Le ricerche sulla storia della dogmatica giuridica son state particolarmente feconde, di recente, nel settore del c.d. diritto soggettivo (2).

Anche questa categoria dogmatica - cosi centrale nella speculazione giuridica, e cosi, in essa, strettamente connessa a tanti altri temi fondamentali (diritto oggettivo, ad esempio, soggetto di diritto, azione, successione, negozio giuridico, e via dicendo) - si è venuta sempre meglio chiarendo come strumento logico, elaborato in tempi abbastanza recenti, sotto l'influsso di determinati fattori storici.

Più che riecheggiare, qui, anche di volo, i risultati di coloro che hanno dedicato al tema dotti ed acutissimi saggi, vorrei invece, sulla loro medesima traccia, cogliere un aspetto non privo di interesse nella storia della nozione di diritto soggettivo, nella speranza che ne possano derivare ulteriori considerazioni utilizzabili da parte di chi - anche, e specialmente - nell'ambito del diritto vigente, si trova ad operare di continuo con quella nozione.


Le più antiche intuizioni di cui abbiamo notizia, in ordine ad una precisa presa di coscienza da parte dei giuristi rispetto all'esistenza di ciò che si dice diritto soggettivo, sono unanimi nel rilevare, come nucleo concettuale di questa categoria, un valore di potere, di facoltà, di libertà, di interesse, di disponibilità, e via dicendo: in sostanza, un valore di vantaggio per il titolare del diritto soggettivo stesso. Escogitata, poi, la categoria di rapporto giuridico, fu unanime e spontaneo coordinare ad essa la nozione di diritto soggettivo, intendendo quest'ultimo come il lato attivo, di favore per dir così, del rapporto.


Tali intuizioni, in sostanza, si mantengono, immutate, anche nell'odierna speculazione quale che sia la sfumatura che, poi, ciascun autore è venuto fornendo per precisare la sua nozione di diritto soggettivo; e costituiscono, tra le tante divergenze che, al riguardo, dividono la dottrina, un punto, l'unico punto, fermo. Cosi, il diritto soggettivo, per tutti - e, per quanto sembri paradossale, anche per coloro che ne hanno negato la sussistenza o l'ammissibilità - è una attribuzione positiva d'un soggetto garantita dall'ordinamento giuridico.

E pure un siffatto modo di intendere, alla radice, il diritto soggettivo - per naturale che appaia ormai a tutti noi, che siamo stati da secoli abituati ad una siffatta nozione, e che ad essa abbiamo conformato il nostro linguaggio tecnico e, quel che più conta, anche il nostro parlare comune - solo che lo si osservi un istante sotto un profilo meno consueto, presenta almeno una stranezza.

Questa stranezza - certo altre volte rilevata, ed anzi utilizzata per costruire categorie diverse - consiste, come è facile intendere, nella non piena corrispondenza (e convertibilità) che viene a stabilirsi logicamente - e questa volta « logicamente » si vuol riferire alla logica, per dir così assoluta, generale, derivante dal comune modo di operare intellettualmente - tra il diritto soggettivo in tal modo concepito ed il c.d. diritto oggettivo.


La logica vorrebbe, infatti che - come, nelle locuzioni “diritto oggettivo” e “diritto soggettivo”, varia soltanto l'aggettivo, fermo restando, in entrambe, il sostantivo (diritto) - il diritto soggettivo si concepisse come un quid del tutto identico al diritto oggettivo nella sostanza e differente da esso solo nel punto di vista (subiective positum, invece che obiective positum); sì che dovesse bastare, per dir così, di sommare tutti i diritti soggettivi esistenti in un determinato momento, in base ad un determinato ordinamento, per realizzare automaticamente il diritto oggettivo, cioè l'ordinamento medesimo.


Ora, che - in base alla concezione corrente di diritto soggettivo questa identità di sostanza tra le due positiones del diritto esista, è da ammettersi senz'altro, anche tenendo presenti i rilievi, notissimi e da tutti condivisi, circa la circolarità logica tra il diritto soggettivo e quello oggettivo, circa la subiettivazione (come è stato detto) del diritto oggettivo rappresentata dal diritto soggettivo, circa la generalità e astrattezza del diritto oggettivo e l'individualità e concretezza del diritto soggettivo, e via dicendo.

Ma questa identità di sostanza - generalmente ammessa - non è, nelle concezioni odierne, identità di tutta la sostanza. In effetti, al diritto oggettivo appartengono, in concreto, non solo le attribuzioni positive (i diritti soggettivi, appunto, secondo le concezioni moderne) dei soggetti, ma anche le attribuzioni, o meglio le determinazioni negative. Oltre che poteri, facoltà, libertà, disponibilità, etc., dei soggetti, ineriscono al diritto oggettivo limiti, doveri, divieti, imposizioni etc. per i soggetti.


Ora, limitandosi all'armonia formale che ha fatto distinguere diritto oggettivo e diritto soggettivo (come facce d'una medesima medaglia, secondo quanto usa dire), e seguendo la logica che vorrebbe una piena convertibilità tra questi due aspetti, si dovrebbe pretendere che anche le determinazioni negative dei soggetti venissero pleno iure chiamate diritti soggettivi.


Il fatto che, nelle teoriche correnti in ordine al rapporto giuridico, all'esigenza logica ora vista si ovvii, formalmente, con l'introduzione della categoria dogmatica - per vero non molto diffusa di «situazione giuridica soggettiva», tanto più ampia del vulgato concetto di diritto soggettivo; e, sostanzialmente, con il rilievo intuitivo, per cui nel concetto stesso di diritto soggettivo è implicita la considerazione del dovere o dei doveri corrispondenti a carico di soggetti diversi dal titolare dei diritto soggettivo medesimo, non modifica l'innegabile non piena corrispondenza concettuale e terminologica rilevata, tra diritto oggettivo e diritto soggettivo.

4. I precedenti rilievi - va detto subito - non son proposti affatto per avanzare minimamente una nuova « definizione » o « nozione » del diritto soggettivo. Sebbene io sia convinto della maggior logicità d'una nozione più ampia quale sarebbe quella conseguente ai rilievi or ora fatti - di più: dell'innegabile convenienza d'una simile, più ampia, nozione ad ordinamenti diversi da quelli, in un modo o nell'altro, ispirati alla tradizione romanistica; e particolarmente ad ordinamenti futuri pensabili, nell'ipotesi di diversa considerazione dei capisaldi che fondano quella tradizione: il rilievo della persona singola, ad esempio, o il diritto di proprietà privata, o i canoni dell'ordinamento giudiziario, e via discorrendo - sebbene, dunque, io sia convinto della maggiore rigorosità logica e delle possibili, future fortune d'una siffatta, più ampia, nozione di diritto soggettivo, sono il primo a riconoscere l'impossibilità di applicarla all'attuale sistema della scienza giuridica.


Se, quindi, ho avanzato il rilievo che precede, è stato solo al fine di rafforzare le premesse del presente discorso. Cioè, al fine di cogliere un esempio vistoso della natura relativa e di comodo dei concetti giuridici. Un ulteriore rilievo permette di cogliere, altresì, particolarmente, la natura storica di quei medesimi concetti.


Le indagini storiche sul dogma del diritto soggettivo, cui ci riferivamo più su, hanno messo in luce - ed è questo un merito particolarissimo del Villey e dell'Orestano - come le formulazioni di quel concetto, emerso a piena chiarezza e divenuto oggetto di speculazione espressa solo a partire dal XVII secolo, si sian nutrite di sostanza politica, ed abbiano seguito, con alterne fortune, le vicende dell'idea che, in modo sommario ed approssimativo, potremmo chiamare individualista e moderna. All'affermazione crescente del valore sociale e politico dei singoli, in contrapposto a concezioni « corporative » e autoritarie, più o meno illuminate, corrisponde, nel campo della scienza giuridica, un progressivo affinamento (ed una progressiva utilizzazione) del concetto di diritto soggettivo, inteso come attribuzione positiva dei singolo.


Decisivo, su entrambi i piani - quello giuridico e quello politico e sociale - è l'influsso del pensiero giusnaturalistico, e, più tardi, quello dell'ideologia liberale vera e propria. Sarebbe possibile anche, ma in altra sede, mostrare come le flessioni e i regressi di quelle idee filosofiche, politiche e sociali abbian trovato, e trovino ancora, in sede giuridica, un'eco puntuale, che si esprime subito con avversioni e ritrosie per la categoria stessa del diritto soggettivo tradizionale.


Tutto questo che, per necessità, così sommariamente s'è accennato, ed altro ancora che potrebbe soggiungersi dal punto di vista della storia parallela delle idee e delle strutture economiche e forse da altri ancora, è, comunque, decisivo per la comprensione della storia del concetto corrente di diritto soggettivo, sotto il profilo della determinazione delle ragioni del fenomeno. E’ decisivo, cioè, per la determinazione delle cause che hanno portato ad un'intensificata considerazione del fenomeno giuridico dall'angolo visuale delle situazioni giuridiche subiettive, intese, in particolare, come situazioni di «vantaggio» del soggetto.

5. Il rilievo che ora vorrei aggiungere tende a spiegare, invece, come - dal punto di vista formale, esteriore, cioè - la scienza giuridica abbia trovato, nella tradizione romana, gli appigli tecnici più adatti per costruire quel concetto di diritto soggettivo inteso come potere, oggi così diffuso.


E’ notissimo come, nella tradizione romana, non si rinvengano elementi d'una elaborazione, anche embrionale, delle posizioni giuridiche soggettive sotto il profilo del «diritto soggettivo». Cè stato addirittura chi ha negato che mai i Romani abbiano, in tutta la loro storia giuridica, adoperato la parola ius in senso puramente soggettivo (Villey). Noi, per conto nostro, non condividiamo questa opinione. Non ci sembra discutibile un ricorrere del termine ius in senso subiettivo nelle fonti, anche se non isolato linguisticamente da un piu ampio senso, o valore, attributivo. Ci avviciniamo alquanto alla posizione accennata ora nell'affermazione dell'utilizzazione sistematica limitata e relativamente tarda di questa accezione soggettiva. Essa, per noi, si è operata sulla fine della Repubblica in connessione ad un processo graduale di autonomizzazione di specifiche situazioni soggettive (diritti soggettivi, nel senso corrente: diritto di credito, di successione, diritti reali frazionari) da un'originaria, indifferenziata situazione soggettiva di prevalenza (meum esse) (3).

Comunque, anche gli autori che si sono opposti tanto alla radicale tesi dell'assenza, quanto a quella, assai più limitata, or ora accennata, non hanno mai negato l'inesistenza d'una elaborazione teorica del concetto di diritto soggettivo, presso i Romani, o l'assenza d'un qualunque compiuto “sistema” romano di diritti soggettivi (4).


E’ diffusissimo, e fondato, invece, il rilievo che i Romani abbiano spesso operato classificazioni e distinzioni giuridiche sotto il profilo processuale, dell'actio, cioè.


Or senza voler qui approfondire alcuno dei problemi, assai complessi, che si possono presentare al riguardo (rapporto tra actio e posizione giuridica soggettiva; rapporto tra actio ed il diritto soggettivo inteso nel senso tecnico moderno; rapporto tra actio ed il diritto oggettivo, ad esempio), appare certo che, nell'ambito della tradizione di studi derivati dall'esperienza giuridica romana - dal Medioevo, almeno, alla Pandettistica - la distinzione tra actiones in rem e actiones in personam ha sempre assunto un'importanza fondamentale.

Come all'assunzione di importanza accennata abbian concorso varii fattori - ad esempio, l'assoluta preminenza dell'elaborazione del diritto privato (nell'ambito del quale la distinzione in parola era sorta), sia nell'esperienza giuridica romana che in quella ad essa ispirata; ovvero, l'indipendenza relativa della distinzione stessa da particolari forme processuali, e quindi la sua permanenza anche in sistemi lontanissimi da quelli, pur varii, romani; ovvero, ancora, la rispondenza del concetto di actio in rem ad ogni sistema, anche moderno, che, come quello romano, facesse centro sulla proprietà privata (la prima e la fondamentale delle actiones in rem, a Roma, è la reivindicatio), e la parallela adattabilità dell'actio in personam ad un sistema di sviluppate relazioni obbligatorie, caratteristico delle civiltà sempre più dense di traffici che si son seguite in Europa dal Medioevo in poi - non mette qui conto di rilevare in dettaglio.

Quel che, invece, occorre qui rilevare è che il riferimento alla nozione di actio, con la distinzione tra actio in rem e actio in personam, ha fornito la base, nell'elaborazione verificatasi appunto, a partire dal secolo XVII, alla formazione della distinzione capitale tra diritti soggettivi personali, che, poi - precisata e allargata in quella tra diritti assoluti e diritti relativi - ha assunto il ruolo di summa divisio nei moderni sistemi di diritti soggettivi. E, ancor più, che appunto il riferimento all'actio e alla distinzione tra actio in rem e actio in personam ha avuto un peso determinante - formalmente - proprio sulla concezione del diritto soggettivo della scienza giuridica degli.ultimi secoli.

E’ facile intendere, in effetti, come il riferimento a quella nozione e a quella distinzione processuale abbia reso possibile, senza (almeno apparentemente) soluzione di continuità con la tradizione romana, il sorgere di un sistema di diritti soggettivi come l'attuale. Infatti, è essenziale, prima di tutto, intendere come il riferimento all'actio e, in conseguenza, fondamentalmente, alla distinzione processuale romana abbia consentito di riassumere in forme tradizionali quelle profonde ragioni - che già altri ha sapientemente messo in luce e noi stessi, poco più su, abbiamo richiamato - di ordine politico, sociale ed economico che sollecitavano la costruzione d'un concetto di diritto soggettivo inteso in funzione del vantaggio del titolare. D'altra parte, altrettanto essenziale è comprendere come il riferimento a quelle categorie romane abbia necessitato - cosa che vale la pena di sottolineare particolarmente - il sorgere ed il tenace persistere della concezione del diritto soggettivo inteso come potere.


Non occorre ricordare a chi legge le difficoltà logiche - insormontabili ad onta d'ogni subtilitas - che questa concezione del diritto soggettivo come potere ha determinato nella scienza giuridica, al contatto con la realtà della necessaria ammissione di diritti soggettivi in soggetti incapaci di potere alcunchè (infanti, pazzi, etc.). Queste difficoltà - e quelle più generali, d'ordine logico, già rilevate a proposito della mancata piena corrispondenza tra il diritto oggettivo ed il diritto soggettivo considerato solo come attribuzione positiva del soggetto - erano inevitabili, proprio a cagione della derivazione storica del sistema moderno del diritto soggettivo dall'antica distinzione romana tra actiones in rem e actiones in personam.


Che, in sede processuale, in realtà, venisse in considerazione esclusiva il vantaggio dell'attore, ed il suo potere, è di per se evidente. Altrettanto evidente è che, stabilitasi artificialmente una corrispondenza piena tra actio e diritto soggettivo e tra actio in rem e diritto assoluto da un lato, e actio in personam e diritto relativo, dall'altro, era inevitabile concepire il diritto soggettivo (assoluto o relativo che fosse) come un vantaggio e un potere.


Che poi questa costruzione « logica » risultasse profondamente illogica - e determinasse, per ciò, tutte, o quasi, le difficoltà che ancor oggi si oppongono ad una pacifica considerazione del sistema dei diritti soggettivi - appare fatale: la simmetria corretta tra diritto soggettivo e diritto oggettivo, da un lato, e la realtà quotidiana determinata dai moderni sistemi di diritto, dall'altro, non son dati che possano piegarsi ad un manchevole schema. D'altra parte, a sua volta, questo schema appare necessitato dalla sua storia, che abbiamo indagata sotto il profilo sostanziale della crescente affermazione - politica, sociale ed economica - del singolo, e sotto il profilo formale della derivazione espressa da uno schema processuale romano.


Come le precedenti osservazioni giovino a porre in luce diversa in luce storica, appunto - alcuni gravi problemi che si son dibattuti, anche di recente, tra i giuristi non storici (e alludo ai notissimi, e pregevolissimi, lavori italiani, specialmente, di Balladore Pallieri, di Barbero, di Allorio e altri) appare chiaro. Qui, conformemente alla natura del presente scritto, sia consentito di non affrontare problemi specifici; e di ribadire soltanto il convincimento della natura storica di tutti i concetti operativi della dogmatica giuridica, ed in particolare, per quel che se ne è detto, del concetto corrente di diritto soggettivo.


Pretendere soluzioni logiche assolute per i connessi problemi equivale a condannarsi ad un inutile lavoro; e ciò tanto più in quanto - senza pretesa alcuna di fare il profeta - è assai probabile che gli sviluppi storici della società in cui viviamo, e a cui è indissolubilmente legato ogni ordinamento giuridico, e, con esso, ogni dogmatica giuridica, ben presto obbligheranno i giuristi a modificare in profondità il corrente concetto di diritto soggettivo, e forse la stessa considerazione, fin qui centralissima delle posizioni giuridiche soggettive.


© Bernardo Albanese

Note:
1 Citiamo al riguardo la testimonianza di uno storico del diritto non romanista, e quindi estraneo alle note polemiche svoltesi quasi esclusivamente tra romanisti: F. Calasso, Il negozio giuridico 2, Milano, 1959, p. 17 e ss., con considerazioni equilibrate e bibliografia essenziale; cfr. anche la «scoperta» umanissima del SATTA - indagatore del diritto vigente - di cui alla prefazione al suo recente Commentario al cod. di proc. civ., I (Milano, 1959).
2 Rinviamo - per una vastissima indicazione bibliografica e per preziose osservazioni - al corso (litografato) di R. Orestano, Le fondazioni nel diritto romano, Torino, Giappichelli, 1959, pp. 220 ss. Assai importanti sono gli studi del Villey, raccolti nelle Leçons d’histoire de la philosophie du droit, Paris, 1957.
3 Ci permettiamo rinviare ad Ann. Palermo, XX, 1949, pg. 352 e ss. e ad uno scritto specifico che speriamo di pubblicare presto.
4 Cfr., per tutti, Pugliese, Res corporales e res incorporales e il problema del diritto soggettivo, in Studi in onore di V. Arangio-Ruiz, vol. III, Napoli, 1953, pp. 225 ss. Questo studioso mi attribuisce una opinione che non corrisponde alla vera: cfr. la mia precisazione in Ann. Palermo, XXIII, 1953, pp. 214 e ss., in nota. Lo stesso rilievo devo fare per il cenno di Bonifacio, Ius quod ad actiones pertinet, in Studi Betti, p. 17, n. 40 (estr.).

 


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