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IL COLOSSO DI BARLETTA
ED IL CODICE DI TEODOSIO II

La statua del Colosso di Barletta, prima del recente restauro. E' probabile che originariamente brandisse un labaro cruciforme che poggiava al suolo.

di Gianfranco Purpura

Una statua di bronzo, alta oltre 5 metri e raffigurante un imperatore in abito militare, si erge oggi dinnanzi alla chiesa del S. Sepolcro a Barletta, in Puglia. Si trova in questa cittadina almeno dal 1309, come dimostra un editto di Carlo d'Angiò con il quale si concedeva religiosis viris fratribus predicatoribus in Manfredonia morantibus seu ipsorum nunciis ymaginem de metallo existentem in dohana Baroli... in subsidium campanae della chiesa in costruzione presso Siponto (1). Nonostante la distruzione prevista della statua per la fabbricazione della campana, essa è giunta fino a noi sostanzialmente integra, essendo stato accertato in occasione di un recente restauro che almeno la testa ed il busto sono coevi e fanno parte della stessa originaria fusione (2).

La sempre più accurata attenzione degli studiosi non è valsa tuttavia a lacerare definitivamente “il velo tenacissimo in cui si avvolge questo monumento, sotto certi aspetti unicum fra quanti in Oriente ed in Occidente, nella tarda antichità, si eressero a celebrazione dell'Imperium”. Come per molti problemi artistici insoluti, periodicamente l'acume degli studiosi si è rivolto o verso la prospettiva focale di un avvenimento storico, o verso qualche dettaglio iconografico o attributo dell'immagine. Talvolta addirittura è stata ritenuta sufficiente una mera valutazione di carattere storico artistico e solo di recente una puntualizzazione complessiva dei problemi sollevati dal Colosso ha contribuito a far chiarezza ed a sgombrare il campo da datazioni inaccettabili o da proposizioni assertive senza fondamento (3). Una successiva e penetrante indagine è valsa a confermare ulteriormente l'attribuzione della statua alla prima metà del V sec. d. C. e a chiarire il quadro storico al quale il monumento va ascritto (4).

Incerte, tuttavia, restano l'esatta identificazione del personaggio raffigurato e del centro urbano dal quale il monumento fu tolto, l'originaria collocazione e destinazione, unitamente all'occasione per la quale la statua era stata eretta; ed inoltre è ignoto da chi e attraverso quali vicende la straordinaria immagine è stata asportata e come è pervenuta in Puglia. Desta soprattutto particolare curiosità quella che si dichiara essere una "antica tradizione", raccolta intorno al 1600 dal padre gesuita Giovan Paolo Grimaldi (5). Costui affermava essere stati i Veneziani a prelevare a Costantinopoli la statua raffigurante l'imperatore Eraclio, modellata da un tal Polifobo. II successivo ipotetico naufragio nei pressi di Barletta della nave veneziana che la trasportava avrebbe determinato una così insolita presenza nel centro pugliese. Pur prendendo decisamente le distanze da questa spiegazione che è stata considerata “una storiella di carattere umanistico, escogitata forse anche dallo stesso Grimaldi o da qualcuno del suo tempo” (6), è stato tuttavia ammesso che dovrebbe sussistere almeno un nucleo di veridicità in questa storia, che vanta a proprio conforto solo il fatto che essa appare essere in realtà l'unica giustificazione finora proposta (7).

In altri termini, se è stata fermamente respinta l'identificazione con Eraclio, campione della fede, che è valsa al Colosso le popolaresche denominazioni di Erà, Aré, Aracco, Eracco, non è stata altrettanto decisamente rifiutata l'altra parte dell"'antica tradizione". E' quindi divenuta opinione consolidata ritenere che dopo la presa di Costantinopoli nel 1204 il doge Dandolo abbia fatto trasportare verso Venezia questa statua colossale, al pari dei cavalli di bronzo dell'Ippodromo di Costantinopoli o dei leoni del Pireo, utilizzati per custodire le porte dell'Arsenale; ed anzi si è pensato che i dogi veneti, divenuti “seigneurs d'un quart et demi de l'Empite Romain” ed impegnati verso la fine del XIII sec. in una espansione verso Ravenna e Padova contrastante con le mire della Repubblica di Genova, possano aver voluto addirittura ornare Ravenna, ghibellina come Venezia, di un arco di trionfo in onore dell'imperatore Onorio, fondatore dell'ultima capitale dell'impero romano d'Occidente, ove la statua avrebbe potuto essere collocata (8).

L'idea invece che la statua possa essere stata sin dall'origine sita in Ravenna e l'interesse per un presunto relitto nei pressi di Barletta dal quale il Colosso avrebbe potuto essere stato recuperato hanno polarizzato all'inizio la mia attenzione. Non è infatti pensabile, come osserva Testini (9), che la statua si sia salvata dal naufragio ed approdata sul litorale barlettano, “quasi fosse un'assiceIla di legno”, ma neppure è credibile l'ipotesi di una imbarcazione, squassata dalla tempesta e rifugiatasi nel porto di Barletta, che abbia ripreso senza alcuna esitazione il viaggio dopo aver scaricato sul molo un bronzo di tale pregio e valore (10). Recuperi sottomarini nell'antichità di statue da relitti non sono da escludere, come dimostra ad esempio un rilievo romano di Ostia dell'aruspice C. Fulvius Salvis, che raffigura il rinvenimento in mare di una statua. E dunque il caso di Barletta è stato indicato come un possibile rinvenimento sottomarino effettuato in un passato piuttosto remoto (11). Ma in realtà non solo non sussiste il ben che minimo indizio di un relitto e di un recupero, ma il recente restauro del Colosso non ha evidenziato alcuna traccia di permanenza della statua in mare.

E' evidente che i problemi relativi alla provenienza, trasporto e collocazione originaria sono strettamente connessi all'identificazione del personaggio e dell'avvenimento storico che ha determinato l'erezione della statua.

Per quanto concerne l'identificazione del personaggio, inizialmente è stata proposta una grande varietà di ipotesi. L'imperatore Eraclio, come espressamente indicato nell'antica tradizione, è stato evocato per il collegamento con la grande croce che il Colosso originariamente brandiva come un labaro (12). Eraclio (610-641) infatti per primo aveva vendicato l'offesa della profanazione della tomba di Cristo ed il 21 marzo del 630 aveva effettuato un pellegrinaggio a Gerusalemme per restituire il sacro legno della Croce, riconquistato ai Persiani (13). Se il nome di Eraclio, come è stato sostenuto, era ben noto e ricorrente nella propaganda religiosa delle Crociate, era facile associare il Colosso “alla chiesa del S. Sepolcro, dove i canonici gerosolimitani o, come vuole la tradizione, il patriarca Rodolfo (un domenicano consacrato da Celestino V nel 1294), aveva portato la Croce patriarcale con una reliquia della vera Croce ed altri cimeli” (14). Tra il 1442 ed il 1459 si costruì nei pressi della Chiesa del S. Sepolcro una loggia goticheggiante, dinnanzi alla quale avrebbe potuto essere collocata la statua. Se dunque nel 1442 e nel 1481 si concedeva un giorno franco di mercato in loco di Aracho, già in questo periodo, si è sostenuto, il Colosso avrebbe dovuto ornare la piazza con braccia e gambe rifatte (15). Ancora una volta è smentita la tradizione riferita dal Grimaldi, che fissava successivamente, al 1491 (16), la data del trasferimento della statua dal molo alla chiesa del S. Sepolcro e del contemporaneo rifacimento delle parti mancanti della statua da parte di un tal Fabio Albano. E' però probabile che agli inizi del Cinquecento la statua fosse ancora collocata nella piazza all'interno del castello, ove fu vista da Leandro Alberti e dove avrebbe potuto essere tenuto il mercato (17).

Come si è detto, le ipotesi più varie sono state avanzate per l'identificazione del Colosso. Haseloff ha addirittura sospettato senza alcun fondamento una origine carolingia; Bernoulli ha sostenuto l'identificazione con Teodosio il grande; Gurlitt con Arcadio; Koch e Cecchelli con Valentiniano I sulla base di una suggestiva, ma non probante, descrizione di questo imperatore da parte di Ammiano Marcellino (18); per Delbrück e Kollwitz si tratterebbe di Marciano, anche se per quest'ultimo l'età di Teodosio II e di Valentiniano III sarebbe in realtà da preferire a quella di Marciano; per Picozzi infine il Colosso raffigurerebbe Giustiniano (19). Le più recenti e complete indagini di Testini e di Demougeot significativamente convergono verso la prima metà del V sec. ed in particolare sulla figura di Onorio. Le loro argomentazioni meritano di essere prese in più attenta considerazione.

Secondo Testini per un orientamento cronologico dell'opera “poco o nulla giovano le monete per la tendenza... alla astrazione e al convenzionalismo che le rende poco utili sul piano comparativo” (20). Elemento più sicuro è rappresentato dalla pettinatura che non sembra anteriore alla fine del 1V, ma “passata di moda verso la fine del V secolo”; in particolare però “la terminazione breve e curva dei capelli sulla nuca ha riscontri significativi nel presunto Valentiniano II del Museo di Costantinopoli assegnato al 380 circa e in due teste marmoree del Louvre attribuite a Valentiniano III e a Teodosio II del 440 circa”. Anche la barba, breve ed incolta, richiama da vicino il volto del presunto Valentiniano III appena citato (21). La forma del diadema non è di età giustinianea, come è stato sostenuto, ma della prima metà del V secolo; in particolare i pendenti “richiamano il gusto della cascata di perle che si nota sulle immagini di Licinia Eudoxia, sposa nel 437 di Valentiniano III” (22). In generale, “si sentono... superati modi e forme dell'arte teodosiana..., ma è ancora contenuta la tendenza alla tipizzazione e stilizzazione così marcate nei prodotti artistici a partire dal tardo V sec.” (23). Per quanto concerne una precisa identificazione, non vi è anzitutto dubbio che si tratti di un “ritratto fisiognomico; e l'attribuzione non avrebbe suscitato tante insormontabili difficoltà senza le note carenze dell'iconografia imperiale” (24). Orientandosi verso il primo quarto del V sec. e supponendo che si tratti di uno degli imperatori della pars occidentalis, l'aspetto adulto escluderebbe che possa trattarsi di Valentiniano III, nato nel 419. Anche il collega orientale Teodosio II, nato nel 401, era a quella data ancora giovanetto. Quindi Onorio, nato nel 384 e morto nel 423 all'età di trentanove anni, avrebbe maggiori possibilità per Testini di essere identificato nell'immagine del Colosso di Barletta, che può essere confrontata con la figura del medesimo imperatore, ma di aspetto diverso, sul dittico di Probo del 406. In ultima analisi “il problema dell'identificazione resta tuttora aperto alla discussione ed all'approfondimento critico” (25).

Anche per Demougeot si tratterebbe di Onorio, tuttavia si osserva che il diadema del Colosso è impreziosito da un singolare gioiello goto in oro e smalti che ornava il diadema di Aelia Eudoxia, figlia del generale Bauto, sposa di Arcadio e madre di Teodosio II. «Il est significatif de retrouver sur le diadème du Colosse de Barletta cette orfèvrerie utilisée à la cour d'Arcadius et de son   jeune fils, mais qui ensuite ne réapparaît plus sur les figurations connues des empereurs des V(e) et VI(e) siècle» (26). Anche la grande croce, originariamente brandita dal Colosso, si collegherebbe a Teodosio II. In seguito all'apparizione nel 419 di Cristo a Gerusalemme, sarebbe stata eretta una grande croce sul Golgota per ordine di Teodosio II che si preparava ad una guerra contro Bahram V, persecutore dei cristiani (27). Nel 422 si celebrarono i vicennalia di Teodosio II ed il trionfo sui Persiani e così la grande croce del Golgota, tempestata di gioielli, divenne nelle monete il simbolo della salvezza e della vittoria imperiale sui persecutori barbari, sostituendosi definitivamente dal 425 sui solidi al labaro (28). Tutto ciò induce Demougeot a credere che «le colosse de Barletta fut exécuté sur I'ordre de Théodose II, peut étre dans quelque atelier constantinopolitain, selon les indications de la cour orientale», ma la statua raffigurerebbe il trentottenne o trentanovenne Onorio tra il 422, data dei primi solidi con la grande croce del Golgota, ed il 15 agosto 423 momento della sua morte (29), «puisque son neveu Theodose II, l'àiné de Valentinien III, en 425, n'avait alors que vingt trois o vingt quatre ans». E' difficoltoso giustificare, tuttavia, l'erezione di una statua di Onorio da parte di Teodosio II in un periodo successivo al clima di estrema freddezza determinato dalla nomina l'8 febbraio del 421 dell'Augusto Costanzo III, non riconosciuto dalla corte orientale (30). Anche se l'improvvisa morte di Costanzo, il 2 settembre 421, potrebbe aver determinato un relativo miglioramento dei rapporti, indicato dal fatto che nel 422 i due imperatori furono consoli insieme, resta del tutto inspiegabile un presunto omaggio orientale. Per questa ragione Demougeot è costretto ad ipotizzare l'erezione, in alternativa, nel 425 di una statua di Onorio da parte di Teodosio II a titolo postumo, per confermare il riavvicinamento con la parte occidentale dell'impero, conseguente alla nomina ad Augusto di Valentiniano III (31).

Ma è ancora più incomprensibile che Teodosio II, proprio nel momento in cui si accordava con Galla in un clima di ritrovata concordia e si apprestava a far finalmente prevalere la sua superiorità sull'Occidente, avesse voluto rendere un tardivo e certamente inopportuno onore a chi per lunghi anni aveva fatto pesantemente pesare la propria anzianità e non si era evidentemente fatto apprezzare né dalla corte orientale, né dalla nuova corte occidentale, adesso composta da Galla e Valentiniano, che da Onorio erano stati costretti a rifugiarsi esuli a Costantinopoli. E' probabile che da Galla, dopo la morte di Onorio e l'usurpazione di Giovanni, siano state fornite garanzie precise e stipulati dettagliati accordi, volti ad assicurare il trono al figlioletto sotto la sua reggenza. Sul contenuto dei medesimi occorre soffermarsi con attenzione, visto che sembrano connessi strettamente alle vicende relative all'erezione della statua.

Cedendo sulla spinosa questione territoriale dell'Illirico, che addirittura aveva sotto Onorio determinato il profilarsi di un conflitto armato tra Oriente ed Occidente, Galla si impegnava ad accettare la superiorità di Teodosio ed un più o meno dissimulato controllo nella persona di alcuni emissari orientali, posti al suo fianco (32). Accoglieva i progetti di ritrovata concordia imperiale, che avrebbero potuto estendersi ad un riordino della legislazione passata e ad un raccordo previsto, già da allora, della futura. E' significativo che l'importante legge occidentale, nota per una parte come legge delle citazioni e volta alla determinazione delle fonti del diritto, sia stata emessa il 7 novembre del 426, quando ancora non doveva essere completamente sopito l'eco dei torbidi trascorsi e le condizioni obiettive della cancelleria ravennate non dovevano essere certamente tali da giustificare un progetto di tale portata (33). Un ulteriore indizio che la legge ravennate rappresenti quasi un'anticipazione ed una sperimentazione di un progetto concordato con l'Oriente e come tale rientrante in tali accordi è stato intravisto nella presenza del magister officiorum Elione a Roma il 23 ottobre del 425 per l'incoronazione ad Angusto del fanciullo di sette anni Valentiniano (34). Costui per la sua posizione specifica avrebbe potuto intrattenere i colleghi della cancelleria occidentale anche sui problemi dell'amministrazione della giustizia (35). Altre indicazioni in tal senso sono soprattutto offerte dalla concordanza con il progetto del 429 del Codice di Teodosio ove si parla di un coniunctissimum imperium((36)), dalla consonanza della legislazione occidentale a temi cari a Teodosio ed ancora ribaditi dopo la pubblicazione del CTh. (37) e in una successiva legge orientale del 446, nella quale si regolava l'iter per la promulgazione della lex generalis con l'unanime consenso dei proceres palatii, già richiamato nella legge del 426 di Valentiniano (38).

Ma soprattutto la pacifica accettazione, per non dir quasi indifferenza, da parte di Valentiniano dei tagli operati dai commissari di Teodosio all'atto dell'inserzione dell'oratio del 426 nel CTh., che fu immediatamente promulgato in Occidente, rivela l'inconsistenza della presunta autonomia del progetto ravennate.

La celebre dichiarazione del figlio Valentiniano relativa alla sottoposizione del principato alle leggi, rilasciata a Ravenna a distanza di circa tre mesi dal precedente ordine di Teodosio padre di redazione a Costantinopoli del Codice Teodosiano (39), appare quasi, in questa prospettiva, il segnale dell'accettazione di un progetto, da tempo concordato e concepito da parte di chi si trovava ormai in una riconosciuta posizione di superiorità, di un'unica legislazione generale per entrambe le parti dell'impero. Infine è possibile che sia nata precocemente in Teodosio l'idea di un riordinamento della legislazione se si valutano gli attriti tra le due parti prima della morte di Onorio e si osserva che già nel febbraio del 425 si provvide alla importante riforma della scuola di Costantinopoli ed alla riorganizzazione degli studi con il dichiarato intento autoritario della composizione dei dissidi (40). Si è d'altro canto osservato che la legislazione di Galla, soprattutto nella fase iniziale, non manifestò alcun segno di autonomia dalla politica di Bisanzio, ma al contrario era intesa a conciliare all'Augusta e all'erede le correnti cattoliche integraliste, assumendo atteggiamenti conformi allo spirito di Teodosio e della devotissima Pulcheria (41), e ricalcava quasi disposizioni già prese in Oriente (42). E' possibile rilevare una completa sintonia tra atti ed eventi in Oriente, immediatamente riflessi in Occidente. E' questo un dato particolarmente significativo poiché svanisce ogni divario in questo momento tra la posizione della cancelleria ravennate e quella costantinopolitana.

La rinuncia da parte di Teodosio II alla prospettiva di una diretta riunificazione dell'impero nella sua persona in favore di Galla e di suo figlio fu determinata dalla purezza della discendenza teodosiana di Galla, dalla sopravvenuta usurpazione di Giovanni, ma soprattutto dalla sicurezza delle garanzie offerte, che determinarono la concessione di un esercito orientale sotto la guida dei generali alani Ardarbur ed Aspar ed il fidanzamento del bambino Valentiniano con la figlia di Teodosio, Licinia Eudoxia, nata nel 422 (43).

Vinto l'usurpatore e proclamato Augusto, Valentiniano III avrebbe potuto far erigere, per ben più fondati motivi, una statua in onore di Teodosio II dinnanzi al palazzo imperiale nei pressi di S. Croce, a Ravenna, ove Galla aveva fissato la propria residenza (44). In questo caso però, poiché non vi è dubbio che si tratti di un ritratto fisiognomico, la statua avrebbe raffigurato un individuo ventiquattrenne o venticinquenne, essendo Teodosio nato i1 10 aprile del 401. Giustamente invece Demougeot ha sostenuto di recente che l'età del Colosso sembra aggirarsi intorno ai trentotto o trentanove anni, spiegando anche le ragioni per le quali taluni sono stati indotti a pensare ad un'età superiore alla quarantina (45).

Questa piuttosto è l'età di Teodosio II in un altro momento molto importante della vita di Valentiniano e dell'Impero; quando cioè, in esecuzione degli accordi del 424 5 (46), l'imperatore occidentale, ormai diciottenne, aveva sposato e condotto a Ravenna Licinia Eudoxia, la figlia di Teodosio. Nonostante il matrimonio venisse celebrato a Costantinopoli il 29 ottobre del 437, la partenza da Tessalonica degli sposi per l'Occidente non avvenne prima della primavera del 438 (47).

Sembra che questo indugio sia stato determinato dalla necessità di ultimare i lavori del Codice Teodosiano, completato il 15 febbraio 438 (Nov. Theod. 1), per la consegna e pubblicazione in Occidente. L'ultima legge di questo codice, inserita dai commissari dopo il 16 marzo 437, costituisce un esplicito omaggio al dominus ac filius noster Valentinianus semper Augustus, rappresentando una conferma espressa da parte di Teodosio di una legge del futuro genero concedente privilegi (48).

Ancora una volta fu ripresa e definitivamente risolta la questione dell'Illirico, essendosi il fidanzamento risolto con il matrimonio previsto. Il 31 gennaio 438 Teodosio proclamava l'imperatore tutore della religione (49) e subito dopo la partenza degli sposi l'imperatrice Aelia Eudoxia si recava in Terrasanta, quasi per propiziare con il suo pellegrinaggio il matrimonio e distrarsi dalla nostalgia della figlia (50). L'8 luglio del medesimo anno Valentiniano, giunto a Ravenna, emetteva un provvedimento di condono fiscale per la recentium pariter votorum sacra festivitas (51). E’ probabile che in questa data, se non già poco tempo prima, venisse disposta la costruzione o ristrutturazione di un palazzo imperiale ad Laureta nel sobborgo di Cesarea fuori Ravenna e residenza della nuova coppia imperiale (52). La decorazione di una stanza particolare dell'edificio, diverso dal palazzo dell'Augusta madre che era prossimo al Monastero di S. Croce ed al celebre mausoleo, è descritta dal poeta di corte Merobaude. Si tratta proprio della stanza della prima figlia di Valentiniano e Licinia Eudoxia nata dal matrimonio, ove nel tetto insieme alla coppia imperiale era raffigurato in segno di omaggio lo stesso Teodosio II, indicato come praeside nostro (53). Il 25 dicembre del 438 a Roma veniva solennemente pubblicato il CTh., che entrava così contemporaneamente in vigore con efficacia preventivamente concordata tanto in Oriente che in Occidente il 1° gennaio del 439 (54). Da allora in poi i problemi dell'uniformità legislativa tra le due partes dell'Impero avrebbero dovuto essere risolti tramite una trasmissione reciproca dei rispettivi provvedimenti. Ed infatti Theodosius Perpetuus Augustus Pater, dopo aver emesso nel 446 una legge nella quale regolava l'emissione di leggi generali, trasmise il 1 ottobre 447 al figlio Valentiniano alcune nuove costituzioni, confermate dall'imperatore occidentale il 3 giugno 448 (55).

Il 10 gennaio del 439 Theodosius imperator octava quinquennalia edidit a Costantinopoli ed il 6 agosto del medesimo anno Licinia Eudoxia, che aveva dato alla luce una figlia, fu proclamata Augusta a Ravenna (56). In una di queste due occasioni avrebbe potuto essere eretta a Ravenna, dinnanzi al nuovo palazzo di Valentiniano, una statua raffigurante il trentottenne imperatore Teodosio, già segnato dagli anni, in segno di gratitudine, di riconosciuta superiorità e di affettuoso omaggio per l'Augusta orientale ed il venerabile padre. La statua, eretta in concomitanza all'entrata in vigore del Codice Teodosiano, avrebbe poi rappresentato un simbolo concreto e maestoso della ritrovata unità dell'Impero sotto un'unica legislazione generale e soprattutto cristiana (57).

Anche Teodosio II dopo il matrimonio nel 421 con Aelia Eudoxia aveva eretto una statua a Costantinopoli in onore del proprio padre Arcadio per ribadire allora la continuità della dinastia teodosiana in Oriente, minacciata dall'Augusto occidentale. Con una legge del 3 aprile 439 Teodosio vietò la partecipazione di privati in nostrae serenitatis imaginibus ac statuis erigendis (58), ma purtroppo non sembra che vi sia alcuna traccia nella assai lacunosa documentazione occidentale pervenutaci dell'erezione di una statua da parte di Valentiniano. Le fonti orientali non registrano la notizia e solo la stringente somiglianza, che è stata notata tra la statua di Barletta ed una testa marmorea di Teodosio II, ritenuta databile al 440 (59), limitatamente al fatto che un gioiello della madre di Teodosio si sia identificato proprio nel diadema del Colosso (60), sono indizi a sostegno dell'ipotesi che una statua di Teodosio II avrebbe potuto essere stata eretta da Valentiniano.

Forse qualche elemento più concreto può ricavarsi da una riflessione sulle circostanze in base alle quali la statua potrebbe essere giunta a Barletta. Se si respinge la leggenda della provenienza costantinopolitana, contraddetta da diversi indizi, e si constata che agli inizi del '300 la statua si trovava già a Barletta, appare plausibile supporre che il Colosso sia stato trasportato in Puglia intorno alla metà del XIII sec. E' possibile allora pensare che proprio Federico II, appassionato ricercatore di antichità (61) ed interessato al rinnovamento dell’Imperium, sia stato in qualche modo coinvolto nel rinvenimento di una statua imperiale, che oggi si trova proprio nel cuore del suo regno. E' ben noto che Federico, oltre alla lastra di Castel del Monte, scolpita in antico e raffigurante un corteo, dispose in più occasioni il trasporto in Capitanata di opere antiche di gran pregio, come le imagines lapideae che furono condotte a Lucera nel 1240 o le due sculture bronzee spedite nel 1242 nella medesima località dal Monastero di S. Maria di Grottaferrata, ove per qualche tempo erano state riposte (62). Ma è pure certo che intorno al Natale del 1231 l'imperatore, attendendo vanamente la realizzazione di una dieta di principi tedeschi a Ravenna, preso da un singolare interese antiquario, avviò veri e propri scavi nell'antica città dei re goti e degli imperatori bizantini (63). Nell'agosto settembre del medesimo anno era stato appena promulgato a Melfi il Liber Augustalis, che come il Codice di Teodosio e la compilazione di Giustiniano mirava ad un corpus di leggi che esaltasse la maestà dell'Impero. Strettissimi erano i collegamenti tra i precedenti romani ed il Codice siculo, unica codificazione in tutto il Medioevo destinata ad esercitare una grandissima influenza sulla formazione del diritto degli stati assoluti d'Europa (64). Anche Carlo Magno, al quale va pure ascritto un progetto fallito di codificazione del diritto (65), aveva scavato a Ravenna in due occasioni: nel 784 e nell'801 (66).

Come non è casuale che entrambi gli imperatori abbiano tentato una codificazione del diritto, certamente non è fortuita la circostanza che costoro, interessati alla renovatio imperii, abbiano ricercato testimonianze del passato proprio nella sede dell'impero romano d'Occidente (67). Si trattava non solo di rievocare le ombre dei Cesari, come suggestivamente è stato scritto, ma anche di riappropriarsi materialmente di un patrimonio considerato di spettanza imperiale (68). Lo dimostra il fatto che i reperti rinvenuti furono utilizzati per abbellire le residenze imperiali. Come Carlo Magno impiegò marmi e mosaici ravennati ad Aquisgrana e fece asportare una statua equestre di Teodorico (69), così Federico utilizzò nel 1240 colonne antiche che si trovavano nella chiesa di S. Michele a Ravenna per ornamento del suo palazzo di Palermo (70). Ancora parti di un antico tempio di Mercurio, unitamente a due colonne d'onice ed altre cose preziose, furono da Federico prelevate a Ravenna (71).

Degli scavi effettuati da Federico nel 1231 2 siamo informati attraverso un resoconto fornito nel 1279 dal frate minorita Tommaso da Pavia, che almeno nel 1253 era stato certamente in Romagna ed era amico di un arcivescovo ravennate di nome Filippo (72). II suo racconto è stato considerato sostanzialmente attendibile, nonostante una serie di inesattezze, richiami favolosi ed abbellimenti leggendari (73), che possono forse essere plausibilmente giustificati.

Tommaso da Pavia narra che Federico nel 1231 ... ...

parlamentum iussit congregari Ravenne, ut de iuribus imperii multis temporibus occupatis exigeret rationem. Verum huius tempore parlamenti aliquid accidit, quod non exstimo omittendum. Nam ad hoc parlamentum cum principibus Alamanie miles quidam Ricardus nomine curialis advenit, qui temporibus Karoli Magni scutifer Oliverii Dacie ducis fuit, qui fuit unus de 12 palatinis et Rolandi socius specialis. Fridericus igitur imperator hunc militem coram principibus requisivit, si tempore aliquo Ravenne cum Karolo fuerat et si in ipsa posset aliqua secreta ostendere, per que verbis illius posset certa fides haberi. Tunc ille ait: Cum Karolo et Rolando et meo domino Oliverio fui in hac civitate et si mecum circa civitatem volueritis equitare, certa vobis ostendam inditia, per que me verum dicere cognoscetis. Equitavit igitur imperator ad quoddam monasterium prope urbem dixitque Ricardus ad eum: In hoc monasterio est quedam capella pulcerrima, quam hedificari fecit Galla Placidia, opere mosaico decorata, in qua de alabastro sunt tria sepulcra, in quorum uno imperatoris Theodosii corpus est positum, iuxta quem ensis eius cum vexillo tale preferente insigne est positus. In alio est corpus uxoris cum suarum duarum corporibus filiarum. Sed in tercio corpus est Helisei prophete de Costantinopoli cum aliis huc translatum. Itaque iuxta dicta Ricardi capellam imperator invenit, sed propter antiquitatem et excrescentias fluviorum sic terris opertam, ut introitus per ostium non pateret in eam. Terram igitur iussit effodi et usque ad pavimentum capelle optime excavari, quibus sic per omnia actis capellam intravit, ubi ut Ricardus dixerat tres archas invenit. Cumque archa Theodosii fuisset aperta, cum vexillo et spata inventum est corpus eius, et quia in archa una veritas erat inventa, noluit imperator archas alias aperiri... Iterum Ricardus ille iam dictus eius quod dicebat alium signum dedit. Dicebat enim, quod in Karoli comitato erat miles quidam discretionis sensu permodicus, sed stature longitudine eximius, ita quod vix inveniri posset aliquod vestimentum corpori suo aptum, capiti pileum, calcaria pedibus et manui cirotheca, nisi ad eius fierent de novo mensuram. Contigit autem semel, quod imperator Karolus subito de Ravenna discederet, ita quod multi recessum ex militibus nescientes eum non fuerint tunc secuti. Inter quos vir iste longissimus accipere pre festinantia sua calcaria est oblitus et ideo tarde Karolum est secutus. Et quia sine calcaribus equitabat, omnium derisui expositus erat, quia segui alios non valebat eo quod calcaria sua in quadam fenestra huius claustri reliquerat, que sic alta erat, quod nullus alius preter ipsum manum illuc mittere poterat. At illi, qui cum imperatore erant, investigantes ibi fenestras in eo latere quo dicebat, derelicta calcaria repererunt propter antiquitatem rubiginosa, quamvis fuerint deaurata, tanteque magnitudinis erant, ut admirationi fierent universis, tanquam quoddam novum et insolitum mirarentur. Itaque habemus in hiis fidem Theodosii quam sequamur, qui monasterium istud exstruxerat seque ibi sepeliri mandaverat, habemus et sanctitatem Helisei eximiam, quam affectibus veneremur, habemus longevitatem Ricardi cum longitudine corporis, quam miremur. Et in hiis omnibus divinam nobis est attendere maiestatem, quam in omnibus et ex omnibus collaudemus, que facit magna et inscrutabilia, quorum non est numerus (74).

Indubbiamente il fantastico racconto riflette lo stupore del monaco medievale che è indotto a fornire una ingenua spiegazione, elaborata per giustificare alcuni fatti straordinari. Avvalendosi dell'eco di una tradizione che risaliva ad oltre quattrocento anni prima, lo scavo di Federico sarebbe stato previsto e condotto in uno dei siti ove già aveva scavato Carlo Magno. Si sapeva infatti in precedenza ciò che sarebbe stato rinvenuto. E' stato già notato che la località non era il mausoleo di Galla Placidia, ma un luogo straordinariamente simile, ubicato però fuori Ravenna (75). Come la cappella di Galla, ascritta a S. Lorenzo, ma raffigurante all'interno un tema musivo degno di un mausoleo funebre imperiale, forse il giudizio ultimo (76), sito degli scavi è stato ritenuto un sacello attribuito al medesimo Santo e che avrebbe potuto essere adiacente alla reggia di Valentiniano, S. Lorenzo in Cesarea (77). Assai delicata questione di archeologia ravennate è l'ubicazione esatta della reggia di Valentiniano, che si vorrebbe identificare nella Regio Caesarum all'interno di Ravenna, nei pressi del c.d. Palazzo di Teodorico (78). Ma i resti archeologici non sono finora particolarmente significativi (79), né le fonti documentarie inequivocabili (80). D'altro canto, se la presenza nell'area di palazzi regali di epoche diverse potrebbe facilmente spiegare la denominazione della Regio Caesarum, quale giustificazione troverebbe invece il toponimo di Cesarea, attribuito al sobborgo fuori Ravenna (81)?

Un secondo evento colpì la fantasia di Tommaso da Pavia: il rinvenimento da parte dei compagni di Federico su di un lato del mausoleo, sotto una finestra, di calcaria... propter antiquitatem rubiginosa, quamvis fuerint deaurata. Le insolite dimensioni determinarono certamente la costruzione dell'intero racconto: un uomo tanto grande, ma per contrasto permodicus, avrebbe posato gli stivali su di una finestra irraggiungibile a tutti (82). Un improvviso abbandono ne avrebbe determinato la caduta e così giustificato l'interramento. I1 reperto ritrovato era metallico, essendo arrugginito e dorato come una statua imperiale. Anche se il frate non descrive esplicitamente il rinvenimento di una statua, non v'è dubbio che un corpo d'insolita grandezza (...longitudine corporis quam miremur) viene preso in considerazione, unitamente ad un abbigliamento completo.

E' dunque possibile avanzare l'ipotesi che in questa maniera, per noi favolosa e sorprendente, venisse descritta almeno la prima fase del rinvenimento di una statua imperiale. Se è vera questa ipotesi, difficilmente la statua in questione avrebbe potuto essere diversa da quella di Barletta. I campagi, aperti nella parte anteriore del piede, che la statua di Barletta originariamente calzava (83), devono avere accresciuto lo stupore e forse suggerito l'idea della difficoltà di reperire vestiti idonei a ricoprire un così grande corpo. Dopo la secolare esposizione agli agenti atmosferici ed i diversi strati di vernice verde scuro cosparsi sulla statua sino ad un passato non troppo remoto (84), non è stata segnalata traccia di doratura in occasione del recente restauro (85). Sono stati riscontrati invece numerosi ed apparentemente inspiegabili colpi di scalpello per tutta la superficie (86). Una plausibile spiegazione potrebbe essere costituita dal fatto che la statua avrebbe potuto essere stata dissotterrata al tempo di Federico con non troppa cura. Tuttavia si è affermato che la «condizione in cui l'opera è giunta sino a noi prova che al momento del trafugamento la statua non giaceva a terra per caduta dall'alto a seguito di terremoto o altra calamità accidentale». In realtà i danni alle estremità, soprattutto le braccia e sul lato della croce, non consentono affermazioni così recise. Esiste una testimonianza che forse giustifica l'errore di Federico nell'attribuire l'arca a Teodosio e che forse conforta l'identificazione proposta. Intorno al 1295 Riccobaldo di Ferrara dichiarava: Vidi ego in Ecclesia Sancti Laurentii sacello, quod est apud Ravenna, sepulcrum nobile; iuxta id in pavimento erat petra scripta literis celatis dicens sic: Theodosius Imperaror. Vidi et legi. E più innanzi: ...in Caesarea ecclesia Beati Laurentii iuxta quam constructum fuit sacellum elegans, in quo sunt mausolea ex marmore affabre caelata, in quo quidem elegantiori corpus Theodosii Augusti esse, et literae in petra scriptae id testantur, quas legi (87). Dunque nel pavimento della chiesa di S. Lorenzo in Cesarea fuori Ravenna vi era una iscrizione dinnanzi ad un sarcofago, che menzionava Teodosio. Questo fatto spiega facilmente l'errore di Federico e dei successivi visitatori e conferma la sostanziale genuinità della notizia riferita da Tommaso da Pavia. Nessun imperatore Teodosio era certamente colà sepolto (88) e d'altro canto se realmente si fosse trattato di una iscrizione funeraria, il testo di essa sarebbe stato piuttosto Divus Theodosius (89). Ed allora, tra le innumerevoli semplici spiegazioni della presenza dell'iscrizione, perché non pensare anche al titulus di una statua antistante in onore dell'imperatore vivente, riutilizzato successivamente come lastra pavimentale?

E' difficile determinare in che momento Federico avrebbe potuto disporre il trasporto in Puglia della statua di Teodosio II ritrovata nel 1231 2 ed eretta a Ravenna da Valentiniano III nel 439. Se ciò non avvenne immediatamente, è possibile che il trasporto sia avvenuto dopo la presa di Ravenna nel 1240. Nel 1240 2 l'imperatore dispose l'invio di diverse opere d'arte antiche in Puglia. Nel medesimo tempo Riccardo di Montefusculo, funzionario che porta il diffuso nome del fantastico personaggio menzionato da Tommaso da Pavia e che era camerarius imperiale e cioè addetto alla cura dei beni regi, ricevette l'incarico di iniziare la costruzione di Castel del Monte. I documenti ulteriori relativi all'edificazione del monumento andarono perduti nella disfatta di Parma (90). Allo stesso modo potrebbero essere stati distrutti gli atti relativi al trasporto della statua. L'ubicazione a Barletta del Colosso potrebbe indicare allora che la statua, piuttosto che essere diretta a Foggia o a Lucera, ove erano raccolte numerose opere d'arte e l'immagine dell'imperatore che brandiva la croce avrebbe potuto essere proficuamente utilizzata nel campo dei saraceni per ribadire la maestà imperiale (91), era sul punto di essere trasportata per la strada più diretta per Melfi, sede di solenni assise imperiali e luogo di pubblicazione del codice di Federico. Le ulteriori drammatiche vicende dell'imperatore ne fermarono per sempre il cammino.

© Gianfranco Purpura
Dipartimento Storia del Diritto
Università di Palermo

 


Note:
1 Il testo del documento (Napoli, Archivio di Stato, Registri Angioini, Regesto n. 185, anno 1309 B. Fol. 249) è riprodotto in LOFFREDO, Storia della città di Barletta, I, Trani 1893, 72 ed in TESTINI, La statua di bronzo o Colosso di Barletta, in Vetera Christianorum, 10, 1973, 129, n. 2.
2 DE TOMMASI, Il restauro del Colosso di Barletta, in Vetera Christianorum, 19, 1982, 153 s. Campioni della lega, prelevati dall'Istituto Centrale del Restauro di Roma e relativi al diadema ed all'attaccatura del braccio destro, presentano identica composizione chimica. Non è indicato invece se siano stati analizzati campioni presi dalle braccia e dalle gambe e quindi non può essere sciolto il dubbio se esse, come è probabile, siano stare rifatte.
3 TESTINI, l. c.
4 DEMOUGEOT, Le colosse de Barletta, in MEFRA, 94, 1982, 2, 951 978.
5 GRIMALDI, Vita di S. Ruggiero vescovo di Canne et confessore, patrono di Barletta, Napoli 1607, 128 s.
6 TESTINI, op. cit., 130 n. 5.
7 TESTINI, op. cit., 142 ss.
8 DELBRÜCK, Spätantike Kaiserporträts von Constantinus Magnus bis zum Ende des Westreiches, Studien zur spätantike Kunstgeschichte, VIII, Berlin u. Lcipzig, 225; DEMOUGEOT, op. cit., 951. Secondo PATR. CONST. II, 173, 269, 16 era stato Teodosio II a prelevare a Chio i cavalli di bronzo dorati ed a porli presso il kathisma dell'ippodromo, da dove i Veneziani li avevano tolti. Anche il celebre capitello dei Tetrarchi, inserito nel duomo di San Marco, ha seguito, insieme a molte altre opere, questa via dall'Oriente verso Venezia.
9 TESTINI, op. cit., 130 n. 5.
10 Così lo stesso TESTINI, op. cit., 143.
11 GIANFROTTA, Archeologia subacquea, Milano 1980, 205 6; ID., Il naufragio, Gli eroi venuti dal mare (Cosenza 1981), Roma 1986, 26; PURPURA, Rinvenimenti sottomarini nella Sicilia occidentale in Bollettino d'Arte. Archeologia subacquea, 3, Suppl. ai nn. 37 38, 1986, 139.
12 DEMOUGEOT, op. cit., 951 s.
13 OSTROGORSKI, Storia dell'impero bizantino, Torino, 1968, 93.
14 TESTINI, op. cit., 143.
15 DE TOMMASI, op. cit., 132.
16 E non 1431, come erroneamente in TESTINI, op. cit., 143 (ma correttamente 1491 a pp. 129 e 131). DEMOUGEOT, op. cit., 951 riproduce l'errore tipografico di Testini. Purtroppo l'eccellente lavoro di Testini è funestato da diversi insidiosi errori tipografici: ad esempio Valentiniano diviene ripetutamente Valentino a p. 140 e Valeriano a p. 152; il Valentiniano III del Louvre è attribuito intorno al 400 a p. 148, ma la scultura dell'imperatore, nato nel 419, è altrove assegnata al 440 (cfr. fig. 21 e p. 147). A p. 149 si ricorda la colonna istoriata di Arcadio eretta insieme alle statue di Teodosio II e di Valentíniano III. In realtà è assai probabile che si tratti di Valentiniano II.
17 DE TOMMASI, op. cit., 132 ritiene poco credibile che “a ornamento della piazza ed in esecuzione di un complesso di opere, anche di notevole impegno, fosse utilizzata la statua monca degli arti”. TESTINI, op. cit., 132, rilevando l'incongruità della notizia con i dati documentali, ipotizzava già un primo e provvisorio restauro compiuto al momento della nuova collocazione ed un successivo completamento nel 1491. Ma LEANDRO ALBERTI nella Descrittion d'Italia (Venezia, 1550) affermava che “proprio nel mezzo della piazza di questo nobilissimo Castello vi è una grande statua di metallo dieci piedi alta, che rappresenta un Re armato, quale è secondo i Barolitani l'effigie di Heraclio Imperadore; e più altra cosa non sanno dire, come la fusse quivi posta”. Cfr. GRIMALDI, op. cit., 128. Anche se l'opera dell’Alberti fu pubblicata nel 1550 ed era pronta nel 1548, sembra che il riferimento a Barletta possa datarsi intorno al 1536 ed attribuirsi ad una statua priva degli arti inferiori, come indica l'altezza segnalata c puntualmente contestata dal Grimaldi, op. cit., 129 s.
18 AMMIANO, XXX, 9, 6: Corpus eius (di Valentiniano I) lacertosum et validum, capilli fulgor colorisque nitor cum oculis caeis, semper obliquum intuentis et torvum, atque pulchritudo staturae liniamentorumque recta compago, maiestatis regiae decus implebat. TESTINI, op. cit., 138 n. 31 rileva che le osservazioni di quegli studiosi sono valide almeno quanto la forza di suggestione del passo ora citato.
19 Indicazioni bibliografiche, argomentazioni e critiche dettagliate e ben fondate in TESTINI, op. cit., 136 142 e DEMOUGEOT, op, cit., 954 ss.
20 TESTINI, op. cit., 144 e 140 n. 44. Sulla base di questo rilievo appare superata del tutto una obiezione per l'identificazione con Teodosio II sollevata da Kock, tanto più che, come afferma PICOZZI (Contributi numismatici all'identificazione del Colosso di Barletta in Rivista It. di Numismatica, 73, 1971, 1131 le monete in questo periodo presentano assai raramente una caratterizzazione individuale sufficientemente netta e precisa e si osservano per uno stesso dinasta ritratti diversi tra loro e, al contrario, ritratti simili per dinasti diversi.
21 TESTINI, op. cit., 147.
22 TESTINI, op. cit., 149.
23 TESTINI, op. cit., 150.
24 TESTINI, op. cit., 134.
25 TESTINI, op. cit., 152.
26 DEMOUGEOT, op. cit., 963 s.; ARRHENIUS, Reallexicon der germ. Altertumskunde, Berlin 1973, v. Almandin u. Almandinverziehung, 176.
27 MARCELLINUS COMES, Cronaca, a. 419 (in MGHAA, XI, 2, 74): Dominus noster Iesus Christus semper ubique praesens et super montem Oliveti Hierosolymae vicinum sese de nube manifestavit. Multae tunc utriusque sexus vicinarum gentium nationes tam visu quam auditu perterritae atque credulae sacro Christi fonte ablutae sunt omniumque baptizatorum in tunicis crux Salvatoris divinitatis nutu extemplo inpressa refulsit.
28 Cfr. i primi solidi emessi a Roma da Valentiniano III, che Teodosio II fece proclamare Augusto il 23 ottobre 425 dopo aver fatto conquistare da un esercito orientale l'impero occidentale. Entrambi gli imperatori impugnano due grandi croci come quelle del Golgota, ma Teodosio sovrasta il fanciullo Valentiniano, coronato Augusto dalla mano di Dio. Quest'ultimo con la lancia cruciforme trapassa il capo umano di un serpente, che simboleggia l'usurpatore Giovanni. DEMOUGEOT, op. cir., 969 e pl. XII a, verso.
29 DEMOUGEOT, op. cit., 970.
30 La dedica a Costantinopoli il 9 luglio 421 di una grande statua in onore di Arcadio, posta super immanem columnam, mirava dunque, secondo DEMOUGEOT, op. cit., 974 s., a ribadire la superiorità dinastica di Teodosio II nei confronti dell'antico patrizio Costanzo e a riaffermare l'eventualità di una discendenza teodosiana in Oriente, conseguente al matrimonio avvenuto in giugno con l'ateniese Aelia Eudoxia.
31 In una costituzione del 5 maggio 425 (CTh. 15, 4, 1 = CI. 1, 24, 2), non citata da Demougeot, Teodosio, rivolgendosi al prefetto del pretorio Ezio, omonimo del celebre generale occidentale, regola il comportamento dei funzionari in occasione di erezione di statue imperiali. La genericità della disposizione, rivolta soprattutto ad un funzionario al vertice dell'amministrazione territoriale dell'impero c non più di Costantinopoli, dimostra ben poco ai fini dell'ipotesi dell'erezione di una statua di Onorio a Bisanzio nel 425.
 32 Secondo ZECCHINI, Aezio: l'ultima difesa dell'Occidente romano, Roma 1983, 141 s., la nomina a magister peditum di Felice a fianco di Galla sarebbe stata concordata con il governo orientale.
33 Come è noto, i brani a noi pervenuti del testo originario sono CI. 1, 14, 2; 1, 14, 3; 1, 19, 7; 1, 22, 5; CTh. 1, 4, 3 e riguardano non solo l'uso delle opere della giurisprudenza, ma anche delle leges. Cfr. ARCHI, Teodosio II e la sua codificazione, Napoli, 1976, 91 ss.; CERAMI, Potere ed ordinamento nell'esperienza costituzionale romana, Torino, 1987, 212.
34 OLIMPIODORO, 46 (Mueller, Fragm. Hist. Graec., IV, Paris 1851, 68).
35 ARCHI, op. cit., 18. Cfr. anche 17 e 19: «... per quanto la posizione di Teodosio fosse preminente rispetto a quello di Valentiniano, è difficile immaginare che il linguaggio impe. riale ed i fatti consequenziali sarebbero stati tali se in antecedenza tra le due parti non fossero intercorsi scambi di vedute nell'interesse dell'amministrazione di quello Stato del quale si intendevano sottolineare comuni interessi». Cfr. anche MANFREDINI, Il Codex Theodosianus ed il Codex Magisterium vitae, in Atti Acc. Cost., V, 1983, 201; HONORÉ, The Making of the Theodosian Code in ZSS, 103, 1986, 178.
36 ARCHI, op. cit., 28. Un divario tra Costantinopoli e Ravenna sussisterebbe invece secondo alcuni. Cfr. ad es. VOLTERRA, Sulla legge delle Citazioni, in Atti Acc. Naz. dei Lincei, Cl. Sc. Mor., Mem. XXVII. 4, 1983, 185 ss. Cfr. anche BIANCHINI, Rileggendo CTh. 1. 1, 5, in Sem. Rom. Gardesano, 19 21 maggio 1976, 157 ss.; ID., Politica normativa nelle due 'partes imperii', in Atti Acc. Cost., IV, Perugia 1981, 296 ss.; BASSANELLI SOMMARIVA, La legge di Valentiniano III del 7 novembre 426, in Labeo, 29, 1983, 307. LIPPOLD in PWRE, Suppl. XIII, coll. 972 3, v. Theodosius II, pone in risalto come, sulla base di Idazio e di CTh. XI, 20, 5 del 13 maggio 424, la pretesa riunificazione diretta dell'Impero venga progressivamente superata (cfr. C.Th. XI, 1, 33 del 10 ottobre 424) dopo l'usurpazione di Giovanni nel novembre 423 e la cacciata dei suoi messi da Costantinopoli (SOCRATE, VII, 23, 4; PHILOSTORG., XII, 13; THEOPHANES, a. 5915). Tutto ciò non solo in favore di Galla e Valentiniano, ma anche della realizzazione di un coniunctissimum imperium, sul quale a lui restava la supremazia (cfr. le dichiarazioni nel primo progetto del 429 del CTh.). V. anche LIPPOLD, op. cit., coll. 1012 e 1013.
37 Nov. Theod. 9 = CI. 1, 14, 5 e 4, 65, 30 del 7 aprile 439.
38 Cfr. CI. 1, 14, 2 (426) di Valentiniano con CI. 1, 14, 8 (446) di Teodosio. L'anno dopo, quasi a marcare la coerenza e persistenza del progetto legislativo di Teodosio, furono trasmesse le Novellae Leges a Valentiniano (Nov. Theod. 2 del 1 ottobre 447), sollecitando un corrispondente invio di leggi occidentali. Il 3 giugno 448 Valentiniano provvide a confermarle (Nov. Val. 26).
39 L'ordine di redazione del C.Th. fu emesso il 26 marzo 429 (CTh. I, 1, 5 e Gesta Senatus Romani De Theodosiano publicando 4); la legge di Valentiniano in CI. 1, 14. 4 è dell'11 giugno del medesimo anno e così dispone: Digna vox maiestate regnantis legibus alligatum se principem profiteri: adeo de auctoritate iuris nostri pendet auctoritas. Et re vera maius imperio est submittere legibus principatum. Et oraculo praesentis edicti quod nobis licere non patimur indicamus. Si è ipotizzato che CI. 11, 71, 5 debba essere un'altra parte della medesima disposizione. Sul punto cfr. ARCHI, op, cit., 16, nt. 24. Già nel 426, in una legge di Valentiniano, si disponeva: ...legibus serviant, quibus tenentur et principes.
Trattando il medesimo problema della sottoposizione del principe alle leggi e dell'imperatore come lex animata in terris, Federico ispirera il suo Codice alla formula Imperator est pater et filius iustitiae, che implica la considerazione dell'Imperium quale imago Dei, che è desunta dalla lettura delle suddette costituzioni imperiali. Cfr. WOLF, Kaiser Friedrich II und das Recht, in ZSS, 102, 1985, 338 ss.
40 CTh. 14, 9, 3: ...duo quoque (igitur adiungi ceteris volumus) qui iuris ac legum formulas (CI: voluntates) pandant, ita ut unicuique loca specialiter deputata adsignari faciat tua sublimitas, ne discipuli sibi invicem possint obstrepere ve] magistri neve linguarum confusio permixta vel vocum aures quorundam aut mentes a studio litterarum avertat. DE MARINI AVONZO, La politica legislativa di Valentiniano III e di Teodosio II, Torino, 1975(2), 48 ss, ha ipotizzato che del codice si parlasse già tra il 423 ed il 425, gli anni in cui Galla Placidia soggiornava a Costantinopoli, e che quest'ultima, personalmente interessata al progetto, abbia curato la preparazione del materiale legislativo occidentale da inviare in Oriente. Cfr. BASSANELLI SOMMARIVA, La legge di Valentiniano III del 7 novembre 426, in Labeo, 29, 1983, 282 s.
41 Le prime disposizioni di Galla in Occidente sono volte a confermare privilegi ecclesiastici e a perseguitare eretici (CTh. 16, 2, 46; 16, 5, 63; Const. Sirm, 6; CTh. 16, 2, 47; 16, 5, 62; 16, 5, 64). STORONI MAZZOLANI, Galla Placidia, Milano, 1975, 313. Sulla politica legislativa di Galla cfr. Oost, Galla Placidia and the Law, in Class. Philol., 1968, 114 ss.
42 Cfr., ad es., la legge orientale del 423 (CTh. 16, 5, 59) che lamenta la varietà dei nomi degli eretici (quibus cunctis diversa sunt nomina, sed una perfidia. Cfr, LIPPOLD, op. cit., col. 1017) e la legge di Galla del 425 (CTh. 16, 5, 63) che insiste nel colpire omnes haereses omnesque perfidias, omnia schismata superstitionesque gentilium, omnes catholicae legi inimicos… errores.
43 ZECCHINI, Aezio, cit., 136 s.
44 Sulla questione dell'ubicazione del palazzo di Galla cfr. CAROLI, Note sul Palatium e la Moneta Aurea a Ravenna, in Felix Ravenna, 1974, 133, n. 5 e la lett. ivi citata. DUVAL, Comment reconnaître un palais impérial ou royal ? Ravenne et Piazza Armerina, in Felix Ravenna, 1978, 58 implicitamente ammette l'ubicazione nei pressi di S. Croce, sostenuta soprattutto da RICCI, Il sepolcro di Galla Placidia in Ravenna, in Boll. d'Arte, VII, 1913, 429 ss.
45 DEMOUGEOT, op. cit., 961; 970; 962: «Le souci de réalisme qui atteste la représentation de l'empereur de Barletta, dont le dimensions colossales et la dureté du bronzo accentuent l’âge plus que ne faisaient les effiges réduites des monnaies ou le diptyques d'ivoire ....». Cfr. anche Testini, op. cit., 149.
46 L'esecuzione degli accordi del 424 5 comportò la formale e definitiva rinuncia da parte dell'impero d'Occidente alla prefettura dell'Illirico orientale. Cfr. ZECCHINI, op. cit., 172 nt. 17 e 137 nt. 41.
47 SEECK, Regesten der Kaiser and Päpste, Stuttgart, 1919, 366 s. MARCELLINUS COMES, Cronaca, a. 437 (in MGHAA, Auctores, XI, II, 1, 79). Fu coniata in questa occasione una medaglia commemorativa con la legenda Salus Orientis Felicitas Occidentis. ENSSLIN, in PWRE, VII, A 2 (1948), col. 2236, v. Valentinianus III.
48 CTh. 6, 23, 4.
49 Nov. Theod. 3.
50 V’è chi ha sostenuto che una raffigurazione su di una tavoletta di avorio conservata a Treviri (cfr. DELBRÜCK, Die Consultardiptychen und verwandte Denkmäler, Berlin Leipzig, 1929, 261 274, in particolare 270) rappresenti il trasferimento delle reliquie di S. Stefano a Costantinopoli al ritorno dell'imperatrice da Gerusalemme nel 439. MARCELLINUS COMES, Cronaca a. 439, 2.
51 Nov. Val. 1, 1.
52 AGNELLO, Liber pontificalis Ecclesiae Ravennatis (in MGHSRL, Hannover, 1878, 305) 40; cfr. Excerpt. Val. 55; ZIRARDINI, Edifici profani di Ravenna, Faenza, 1762, 1, 73 78 (che non ho potuto consultare); RICCI, op. cit.. 431; DJGGVE, Ravennatum Palatium Sacrum, la basilica ipetrale per cerimonie, Copenhagen, 1941, 4, nt. 1; CAROLI, Note sul palatium, cit., 134 s.; 145 ritiene il sito ubicato all'interno di Ravenna, nei pressi del c.d. Palazzo di Teodorico, sulla base di dati archeologici assai vaghi, soprattutto se riferiti all'età di Valentiniano III. Diversi palazzi imperiali esistevano simultaneamente in questo periodo a Costantinopoli: ad esempio la domus Augustae Pulcheriae, sorella di Teodosio Il, sita nella terza regione dalla Notitia Urbis Constantinopolitanae, era distinta dalla residenza del medesimo imperatore e dalla domus Placidiac Augustae, abitazione di Galla nella prima regione durante il suo soggiorno costantinopolitano. Quest'ultimo palazzo ancora esisteva nel 650. VERZONE, La distruzione.., cit. (nt. 66), 42 e 52, nt. 35; ID., La demolizione, cit., 77.
53 MEROBAUDE, Carmen 1, 11, 5 7: ... ipse micans tecti medium cum coniuge princeps lucida ceu sommi possidet astra poli, terrarum veneranda salus: pro praeside nostro / amissas subito flet novus exsul opes. Così in OOST, Some Problems in the History of Galla Placidia, in Class. Philol., 60, 1965, 4 7.
54 Gesta Senatus Romani de Theodosiano publicando 2: Proximo superiore anno cum felicissimam sacrorum omnium coniunctionem pro devotione comitarer, peractis feliciter nuptiis hanc quoque orbi suo sacratissimus princeps dominus noster Theodosius adicere voluit dignitatem, ut in onora collectis legum praeceptionibus sequenda per orbem sedecim librorum compendio, quos sacrarissimo suo nomine voluit cvnsecrari, constitui iuberet. Quam rem aeternus princeps dominus noster Valentinianus devotione socii, affetto filii comprobavit. ZECCHINI, op. cit., 219 e 212; ENSSLIN, op. cit., coll. 2236 s.; ARCHI, Teodosio II e la sua codif., cit., 18 s.
55 Nov. Theod. 2 e Nov. Val. 26.
56 MARCELLINUS a. 439; Cons. Ital. Chron. min. 1, 301, 531: facta est domna Eudoxia Augusta Ravennae VIII idus Augusti. Nel 440 Licinia Eudoxia fece erigere a Roma dopo la nascita della figlia la chiesa di S. Pietro ad vincula, apponendovi questa dedica: Theodosius pater Eudocia cum coniuge votum cumque suo supplex Eudoxia coniuge solvit. Cfr. ENSSLIN, op. cit., col. 2239.
57 Com'è noto, Teodosio fece iniziare la sua raccolta di leggi dal primo imperatore cristiano: Costantino. Cfr. VOLTERRA, Sulla legge delle citazioni, cit., 258.
58 CI. I, 24, 3.
59 DELBRÜCK, Spätantike Kaiserporträts, cit., 217 9, tavv. 114; 115; TESTINI, op. cit., 147 e fig. 22. Delbrück nel tentativo di valutazione dei ritratti imperiali tende ad attribuire un grande peso alla stima dell'età, considerata tendenzialmente in eccesso. Assegna al Colosso un'età intorno ai cinquant'anni c alla testa marmorea, facente parte di antichi fondi del Louvre, un'età intorno ai quaranta. Considera pertanto quest'ultima opera un prodotto occidentale raffigurante Teodosio II all'epoca del matrimonio tra Valentiniano e Licinia Eudoxia (DELBRÜCK, op. cit., 218 e s.). Ma, come l'età del Colosso va ridotta di almeno una decina di anni (cfr. DEMOUGEOT, op. cit., 962 e 970), così sembra debba essere ridimensionata l'età della scultura del Louvre, il cui naso è stato interamente rifatto.
60 DEMOUGEOT, op. cit., 963.
61 HUILLARD BRÉHOLLES, Hist. Dipl. Frid. sec., I, 1, Parigi 1852. DXLV s. Si ricordino, ad esempio, gli arieti ellenistici siti dinnanzi al Castello Maniace a Siracusa, cfr. per ultimo GÖTZE, Castel del Monte, Milano, 1988, 26.
62 RICCARDO DA S. GERMANO, Cronaca, a. luglio 1342 in DEL RE, Cronisti e Scritt. sincroni napoletani, II, Napoli, 1868 (rist. Aalen. 1975, 99): statuam hominis eream et vaccam eream similiter, quae diu steterant apud Sanctam Mariam de Crypta Ferrata et aquam per sua foramina artificiose fundebant, in Regnum apud Luceram, Apuliae civitatem, ubi Saraceni degebant, portari iubet. Cfr. anche HUILLARD BRÉHOLLES, op. cit., V, 2, Parigi 1859, 912; KANTOROWICZ, Federico II imperatore, Milano, 1976, 537 e 601; HASELOFF, Die hohestaufische Kunst in Süditalien, Lipsia, 1920, 6; CALO MARIANI, I fenomeni artistici come espressione del potere, in Potere, società o popolo tra età normanna ed era sveva, Arti delle quinte giornate normanno sveve, Bari Conversano, 26 28 ottobrc 1981, Bari 1983, 231.
63 KANTOROWICZ, op. cit., 381. Dopo gli scavi a Ravenna, l'imperatore decise all'improvviso di recarsi in un'altra importantissima città tardo romana, Aquileia.
64 KANTOROWICZ, op. cit., 208 e 329: BUYKEN, Das röm. Recht in den Constitutionen von Melfi, Köln 1960.
65 EGINARDO, Vita Karoli 29.
66 DJGGVE, op. cit., 47; VERZONE, La demolizione dei palazzi imperiali di Roma e di Ravenna nel quadro delle nuove forze politiche del sec. VIII. Kunsthistorische Studien, Festschrift F. Gerke, Baden Baden 1962, 77 79 data al 787 la demolizione del palazzo imperiale di Ravenna. Cfr. anche VERZONE, La distruzione dei palazzi imperiali di Roma c di Ravenna e la ristrutturazione del palazzo Lateranense nel IX sec., nei rapporti con quello di Costanti­nopoli, in Roma e l'età carolingia, Atti delle giornate di Studio 3 8 maggio 1976, Roma, 1976, 39 54.
67 KANTOROWICZ, op. cit., 381: «Per un istante ancora si vedrà balenare con Federico II la regalità dell'antico impero romano nella nazione germanica; si vedrà una volta ancora prima del tramonto, nei palazzi in riva al Neckar e al Reno accendersi d'una luce meridionale il chiaro splendore della pompa imperiale, e rapido spegnersi per sempre».
68 Così nel marzo del 1240 Federico permise che venissero effettuati scavi sotto controllo ad Augusta ad thesauros inveniendos, imponendo l'obbligo dello trasmissione di una relazione (HUILLARD BRÉHOLLES, op. cit., V, 2, 825).
69 EGINARDO, Vita Karoli, 26: Ad cuius structuram (della basilica di Aquisgrana), cum columnas et marmora aliunde habcre non posset, Roma atque Ravenna devehenda curavit. Sulla statua equestre di Teodorico cfr AGNELLO, Liber 94; cfr. anche 143; DJGGVE, op. cit., 47; VERZONE, La distruzione..., cit., 40; MIGNE, 98, col. 371, Epistola 82: quod palatii Ravennatis civitatis musiva atque marmora, caeterosque exempla tam in strato quamque in parietibus sita, vobis tribuissemus: ...tam marmore quamque mosivum, caeteroque exempla de eodem palatio vobis concedimus auferenda.
70 HUILLARD BRÉHOLLES, op. cit., I, 1, DXLV.
71 KANTOROWICZ, op. cit., 434, citando FABRI GIROLAMO, Le sacre memorie di Ravenna antica, Venezia, 1664, 258 e PASOLINO, Lustri ravennari, Bologna, 1678, II, 196, che non ho potuto consultare.
72 GEROLA, Galla Placidia e il c.d. suo mausoleo in Ravenna, in Arti e Memorie della R. deputazione di St. Patria per la prov. di Romagna, IV, II, 1912, 292 s.
73 La sostanziale genuinità della notizia è accettata da D'ANCONA, Tradizioni carolingie in Italia, in Rendiconti dell’Accad. dei Lincei, Cl. Sc. Mor., V, Roma 1889, 425 ss.; NIESE, in Hist. Zeitschr., 108, 3, 12, 538; HASELOFF, op. cit., 6 s.; GEROLA, op. cit., 292 s.; Ricci, op. cit., 400 s.; KANTOROWICZ, op. cit., 381 e 434.
74 MGHS, XXII, Hannover, 1878, 511 s.
75 Si mecum circa civitatem voluerit equitare... Equitavit... ad quoddam monasterium prope urbem...; GEROLA, op. cit., 293; Ricci, op. cit., 402 ss.; HASELOFF, op. cit., 7.
76 SESTON, Le jugement dernier au Mausolée de Galla Placidia à Ravenne, in Cahiers archéologiques, I, Paris 1945, 37 50 = Scripta varia, Ecole Française de Rome, 43, Roma, 1980, 637 651. Diversamente in COURCELLE, Le Grif de Saint Laurent au Mausolée de Galla Placidia, in Cahiers archéologiques, 3, 1948, 29 39. A sostegno della controversa ubicazione della sepoltura di Galla nel mausoleo non sembra che sia stata notata la coincidenza tra la raffigurazione e l'iscrizione della chiesa palatina di Galla, S. Croce (AGNELLO, Liber 41 .... in fronte ipsius templi, introeuntes pili ianuas, desuper depictis quatuor paradisi flumina versus exametros et pentametros, si legeritis, invenieris: ...Christe... Te coram fluvii currunt per secula fusi Tigris et Eufrates, Fison et ipse Geon...) ed il sarcofago di sinistra del mausoleo di Galla che raffigura con particolare evidenza la medesima immagine con i quattro fiumi. E' stato da tempo notato l'orientamento del mausoleo e delle raffigurazioni musive verso sinistra. Ciò ha indotto a supporre che l'altare si trovasse originariamente a sinistra. Cfr. Ricci, op. cit., 411 ss. Anche nell'arca di destra si notano i quattro fiumi e corsi d'acqua si rilevano nella lunetta del Buon Pastore. Il terzo sarcofago infine è stato ritenuto, un tempo, coperto d'argento (cfr. Ricci, op. cit., 403). Il puer Theodosius, primo figlio di Galla, traslato a Roma dalla Spagna (Oost, Some Problems, cit. 7 s.) era originariamente deposto in un sarcofago d'argento (OLIMPIODORO, Fragm. 26 in FHG, IV, 62 3). In quest'arca fu trovata una mummia seduta su di un seggio ligneo (Ricci, op. cit., 407 s.). GEROLA, op. cit., 277 n. 1 osserva che anche di Carlo Magno fu narrato che Ottone III ebbe a scoprirne il cadavere assiso in trono regale.
77 Infatti intorno al 1250 il frate Salimbene menziona le reliquie di Eliseo ubicate in civitate condam Cesaree iuxta Ravennam, in monasterio sancti Laurentii, in arca saxea in cappella regali (SALIMBENE DE ADAM, Chronica, in MGHS, XXXII, 2, Hannover 1908, 400). Altre fonti pressoché coeve, citate da GEROLA, op. cit., 294 n. 2 e Ricci, op. cit., 402, indicano che la chiesa di S. Lorenzo in Cesarea era ubicata fuori Ravenna ed era ritenuta mausoleo regale.
78 CAROLI, op. cit., 133 ss.; DE ANGELIS D'OSSAT, L'aula regia del distrutto palazzo imperiale di Ravenna, in CARB, 1976, 345 358.
79 Cfr. DuvAL, op. cit., 36 ss.; ID., Il palazzo c.d. preteodoriciano sarebbe databile ai primi secoli dell’impero, altri resti segnalati da Caroli appaiono non sicuramente coerenti e databili con certezza al V sec. Che nella regione in questione vi fossero edifici di pregio, è comunque fuori discussione.
80 Secondo AGNELLO, Liber 40 Valentiniano: regalem... aulam struere iussit in loco qui dicitur ad Laureta. Un dato topografico si è intravisto nel percorso seguito da un abate nel recarsi dal sobborgo di Cesarea a Ravenna dall'esarca: ...lustrata Cesarea egressus est et a Wandalariam Portam, quae est vicina portae Cesareae, relicto Laurenti (o Laureti) Palatio, Theodoricianus ingressus est, iubetque se exarcho praesentare (AGNELLO, Liber 132). II testo potrebbe invece indicare una ubicazione all'esterno di Ravenna tra il sobborgo di Cesarea, la prosecuzione della via della porta Vandalaria e del percorso della porta Cesarea. D'altro canto, la chiesa di S. Lorenzo in Cesarea era certamente ubicata fuori Ravenna.
81 Il 15 marzo 455 è documentato un grande incendio a Ravenna (AGNELLO, Liber 42; Chron. I, 103 in MGHAA, IX; SeecK, Regesten, 400). II giorno successivo Valentiniano fu ucciso nella piazza d'armi nei pressi del palazzo ad Laureta. Alcune fonti, probabilmente equivocando l'indicazione in campo Marzio, dichiarano che l'assassinio era avvenuto a Roma. Ma il palazzo ad Laureta era anche fuori Ravenna e la riunione nella piazza d’armi potrebbe essere stata organizzata per coordinare i soccorsi. Le fonti sono riferite in ENSSLIN, op. cit., coll. 2256 s. La prosopografia del basso impero (MARTINDALE, The Prosopography of the Later Roman Empire, II, Cambridge 1980, 1139) accoglie l'indicazione di Roma. ZECCHINI, Aezio cit., 284 dichiara che tutte le fonti sono concordi nell'affermare che Valentiniano fu ucciso a Roma. Ma le fonti più attendibili forse non indicavano chiaramente la città dell'evento e parlavano di un campo marzio nella località ad Laureta, che avrebbe potuto essere identificato nella piazza fuori Ravenna antistante la reggia, il sacello e la statua.
82 L'altezza della finestra del mausoleo di Galla e della statua di Barletta si equivalgono: oltre cinque metri.
83 DEMOUGEOT, op. cit., 955. Gambe e parte delle braccia della stanca di Barletta sono state dopo la scoperta probabilmente distrutte e rifatte.
84 TESTINI, op. cit., 132; DE TOMMASI, op. cit., 152.
85 DE TOMMASI, op. cit., 139 e 152.
86 TESTINI, op. cit., 133; DE TOMMASI, op. cir., 137 n. 5.
87 RICCOBALDO, Pomarium Ravennatis Ecclesiae, in Rer. Ital. Scriptores, IX, Milano 1726, coll. 219 e 221.
88 Qualche dubbio è sorto per Teodosio II che fu però certamente sepolto a Costantinopoli nella chiesa dei SS. Apostoli. Cfr. OosT, op. cit., 7.
89 Teodosio ad esempio ricorda i suoi predecessori come divi principes in CTh. 1, 1, 5 (429) e Giustiniano menziona Teodosio divinae recordationis o divinae memoriae nelle costituzioni Haec quae necessario (528) e Summa rei publicae (529).
90 HUILLARD BRÉHOLLES, op. cit., V, 697; GÖTZE, op. cit., 103.
91 DEMOUGEOT, op. cit., 978 nota che la statua, con la sua presenza in un tratto tanto esposto della costa pugliese, esorcizzava quasi, nei secoli successivi, le terribili incursioni barbaresche.