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Città aumentate. Dieci gesti-barriera per il futuro

di Maurizio Carta

 

Quando il giorno arriverà, faremo un passo fuori dall’ombra, in fiamme e senza paura.
Una nuova alba sboccerà, mentre noi la renderemo libera.
Perché ci sarà sempre luce,
Finché saremo coraggiosi abbastanza da vederla.
Finché saremo coraggiosi abbastanza da essere noi stessi luce.
Amanda Gorman, The Hill We Climb

 

 

Le città non sono solo luoghi dell’abitare, ma sono nate per essere anche potenti dispositivi creativi per costruire relazioni feconde, produrre nuove economie e accelerare l’innovazione delle comunità. Quando diventano luoghi delle diseguaglianze e del conflitto e generano povertà ed emarginazioni, invece, esse perdono la loro funzione co-evolutiva con l’umanità. Oggi, soprattutto nel tempo pandemico, le città somigliano sempre più a caotiche agglomerazioni urbane predatorie e insalubri, generando la tentazione di una fuga verso i borghi-rifugio contro il contagio. La città produce l’anti-città come un’infezione che erode dall’interno il patto urbano che sta alla base del nostro vivere collettivo, muovendosi pervasiva e invisibile dentro i meccanismi di produzione dello spazio urbano contemporaneo, inquinandone l'identità, assottigliandone il tessuto sociale e aumentandone la fragilità. Serve una rivoluzione urbana!
Il libro propone una guida concettuale e operativa per i cittadini, i progettisti, gli imprenditori e gli amministratori per produrre la necessaria innovazione urbana attraverso attraverso dieci “gesti-barriera” per rendere la città a prova di crisi (di cui quella da Covid-19 è solo l’ennesima manifestazione), e per cambiare un modo di vivere le città che non vogliamo più accettare. Dieci gesti-barriera da usare insieme per attivare le “città aumentate”, capaci di dare una risposta concreta alle principali sfide del secolo: mitigare e contrastare i cambiamenti climatici, rafforzare la società della conoscenza, rimodulare la globalizzazione delle reti e aumentare la sostenibilità dell’ecosistema urbano.

Indice
Il
futuro è il Neoantropocene
Il paradigma della Città Aumentata
La città che sente e reagisce
L a città collaborativa e condivisa
La città intelligente e innovativa
La città produttiva e generativa
La città che crea e comunica
La città circolare e del riciclo
La città resiliente ed ecologica
La città fluida e interconnessa
La città reticolare e policentrica
Progettare con il pensiero delle cattedrali
Bibliografia.


Estratti
La pandemia sanitaria si è aggrovigliata con la crisi ambientale e con quella economica, rivelando la nostra natura di specie imperfetta, arrogante ma fragile, e mostrandosi nelle forme di una “sindemia”, l’alleanza perversa tra diverse patologie dello sviluppo insostenibile: il cambiamento climatico, l’ingiustizia sociale, la frammentazione dello spazio urbano, l’inefficacia della salute pubblica e i divari educativi. La Covid-19, infatti, è anche una malattia delle diseguaglianze, che colpisce maggiormente le persone svantaggiate spesso relegate ai margini dello pseudo-sviluppo antropocentrico, con redditi bassi e socialmente escluse, con divari educativi e digitali o affette da malattie croniche, spesso prodotte dall’inquinamento e dalle patologie della vita urbana, soprattutto nelle metropoli, dovute a fenomeni che richiedono non solo risposte epidemiologiche, ma anche nuove politiche per le città capaci di agire simultaneamente sull’ambiente, sulla salute, sull’istruzione, sul lavoro e sull’abitare. … L’umanità deve ritrovare il giusto equilibrio tra le comunità, con le altre specie viventi e con il pianeta stesso, perché siamo entrati in un “nuovo regime climatico” che ci sfida ad abbandonare presunte superiorità dietro le quali si nascondeva la reale fragilità del nostro sistemi nella loro espansione predatoria. Non stiamo infatti affrontando l’ennesima crisi congiunturale, ma siamo nella fase apicale di una crisi ecologica prodotta dai cambiamenti territoriali, sociali, economici e climatici generati dall’Antropocene. Perché l’Antropocene è il “super-diffusore” della sindemia, con la sua vasta urbanizzazione che ha divorato il suolo naturale, invaso ambienti silvestri e innaturalmente innalzato le temperature, che ha abraso i palinsesti culturali, svuotato centri storici ed esteso a dismisura le periferie, e che ha amplificato l’ingiustizia sociale. Insomma, si è rivelato un’Antropocalisse!

Di fronte alle crisi ricorsive prodotte dall’antropocentrismo predatorio, dobbiamo entrare con convinzione in un nuovo modo di abitare la Terra che, come detto, voglio chiamare Neoantropocene – in contrapposizione al Paleontropocene in cui stiamo vivendo – dichiarando una scelta lessicale che si fonda su una ragione epistemologica. Sono convinto, infatti, che – ancora – il termine anthropos possa rappresentare l’azione positiva dell'essere umano, guidato da una rinnovata etica della responsabilità politica, da una rafforzata giustizia sociale, da una più efficace ecologia radicale e, per me è indispensabile, capace di usare un’urbanistica più sensibile per progettare città più creative nell'uso delle risorse naturali e culturali, più sostenibili nell'economia, più aperte nella compartecipazione dei cittadini, più intelligenti nei trasporti e più resilienti negli stili di vita. Giustizia, convivenza, autosufficienza, circolarità, condivisione e riciclo sono le chiavi principali di questa necessaria transizione verso un nuovo umanesimo più sensibile e responsabile.

Nell'era del ripensamento delle città, ma contro i movimenti anti-urbani, e nell’ambito delle sfide delle città creative ed ecologiche, nel 2017 ho coniato il termine “Città Aumentata” (Augmented City) come necessario salto di paradigma […]. La Città Aumentata parte dalla città esistente per incrementarne le qualità e le capacità di rispondere alle esigenze dei suoi abitanti, proponendosi come un dispositivo spaziale (perché la città è innanzitutto uno spazio che noi plasmiamo per viverci) in grado di agire contemporaneamente nelle dimensioni culturale, sociale, economica ed ecologica per migliorare la nostra vita, individuale e collettiva, informale e istituzionale, amplificando lo spazio urbano generato dagli effetti dell’innovazione.

Le sfide della Città Aumentata si concretizzano in dieci modalità d’azione capaci di affrontare e risolvere altrettanti problemi: dieci “gesti-barriera” – per dirla con Bruno Latour – non solo contro le ricorrenti crisi pandemiche (di cui quella da Covid-19 è solo l’ennesima manifestazione), ma contro ogni elemento di un modo di vivere l’urbano che non vogliamo – non possiamo – più accettare. Dieci gesti-barriera che non solo agiscano contro (il virus, le crisi, le ingiustizie, la bruttezza, il declino, ecc.) ma che siano anche in grado di attivare le nuove capacità delle Città Aumentate per renderle in grado di agire nelle crisi ricorrenti a cui sono sottoposte e per renderle antifragili a quelle che arriveranno.

L’ultimo gesto-barriera, la mossa più rilevante delle Città Aumentate, è quello contro i tradizionali masterplan, contro quei piani esclusivamente regolativi onnicomprensivi e assertivi che tentano di prefigurare l’assetto delle città in un orizzonte pluriennale senza la dovuta flessibilità e attenzione alle azioni quotidiane e senza la valutazione costante degli effetti per riorientarne le scelte.

Prima di attuare la rigenerazione urbana delle aree in declino – la nuova “colonizzazione dello spazio urbano” da rivitalizzare – dobbiamo attivare, o riattivare, le pre-condizione dello sviluppo umano, la condizione di partenza per l'insediamento di nuova vita con processi autopoietici capaci di generare le necessarie interdipendenze sociali.

Definisco Cityforming Protocol questo approccio/strumento di “cittaformazione”, un protocollo progettuale di rigenerazione urbana in grado di riattivare il metabolismo di una città o di una sua parte partendo dalle sue componenti rigenerative latenti, attivando molteplici cicli di vita a intensità crescente per creare un nuovo ecosistema urbano sostenibile nel tempo. Il Cityforming agisce per fasi incrementali e adattive necessarie per produrre risultati parziali che diventano – attraverso un fertile processo di exaptation (cioè di innovazione creativa e la sua conseguente cooptazione funzionale, come ho già spiegato) – la base della successiva fase rigenerativa. Le tre fasi della colonizzazione creativa, del consolidamento collaborativo e dello sviluppo sostenibile producono progressivamente il necessario “ossigeno urbano” per la formazione e mantenimento di un nuovo ecosistema adeguato a riattivare i cicli inattivi, a riconnettere quelli interrotti o ad attivarne di nuovi, più adeguati alla nuova identità e prospettive della città, anche in riferimento al quadrante territoriale entro cui agisce.

Alla Città Aumentata non serve l’immissione di energia esterna, che non potrebbe mantenere attivo a lungo il metabolismo compromesso, ma essa richiede un’urbanistica che si prenda cura dei tessuti interni in cui sono ancora presenti fattori vitali, che ricomponga le risorse ecologiche latenti, che riattivi le reti di comunità resilienti, che ravvivi i manufatti dismessi, che stimoli la creatività, per generare le basi indispensabili del nuovo capitale territoriale e sociale su cui può attecchire il seme fecondo del progetto di sviluppo sostenibile del Neoantropocene.

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