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Cityforming Protocol: strategie incrementali e adattive

[estratto da M. Carta, B. Lino, D. Ronsivalle (a cura di), Re-cyclical Urbanism. Visioni, paradigmi e progetto per la metamorfosi circolare, Trento-Barcelona, Listlab, 2016] - Acquista il libro


Le patologie della rigenerazione urbana imposta dall’alto – autismo, schizofrenia, sterilità e dipendenza – non possono essere risolte solo revisionando le procedure di partecipazione, migliorando i dispositivi progettuali o innovando i processi attuativi, ma va ribaltato il punto di vista. Un concreto ed efficace processo per la rigenerazione di aree urbane caratterizzate da marginalizzazione e declino, da dismissione di edifici e infrastrutture, da sottoutilizzo funzionale o da cicli in debole riattivazione (mobilità, acqua, rifiuti) deve assumere un approccio che non solo rifiuti il tradizionale e ormai inefficace top-down, ma che nemmeno ceda superficialmente alle retoriche consolatorie del bottom-up. Serve un approccio iper-strategico, cioè incrementale, ricorsivo e flessibile, piuttosto che una strategia chiusa e simultanea. Al tradizionale masterplan rigido, istantaneo e pressoché immutabile nel corso della sua attuazione – inefficace in aree che non possano godere della destinazione di ingenti risorse pubbliche o private – dobbiamo sostituire un Masterprogram consapevolmente temporalizzato e adattivo, capace di comporre una visione complessiva attraverso l’attuazione di visioni parziali, capace di azioni tempestive e temporanee ma che abbiano la forza generativa di nuovi futuri.
La sostenibilità della metamorfosi urbana, soprattutto nel tempo della crisi dei modelli di sviluppo, della transizione dei modelli di insediamento e della riduzione delle risorse pubbliche, deve essere attuata attraverso un processo rigenerativo che procede per cicli successivi, guidati da una visione generale, ma capaci di adattarsi agli esiti concreti del processo attuativo. La rigenerazione urbana iper-strategica deve essa stessa generare le condizioni di successo per alimentare le fasi successive, deve produrre una parte di valore su cui innescare il successivo investimento, deve generare l’ossigeno dal quale trarranno vita le nuove funzioni abitative, produttive, commerciali e culturali che rigenereranno l’area. Una sorta di terraforming: un processo pensato per rendere ri-abitabile per una nuova comunità l’area dismessa o in declino, intervenendo sulle sue componenti territoriali ancora attive – creandone di nuove o modificando la loro composizione – in modo da renderla in grado di sostenere un nuovo ecosistema.

Il termine terraforming fu coniato da Jack Williamson nel romanzo Collision Orbit del 1942 e poi diventò uno dei protocolli messi a punto dalla NASA per la colonizzazione di altri pianeti, sviluppato con la collaborazione di James Lovelock attraverso l'applicazione della sua "ipotesi Gaia" [Cfr. Lovelock, J.E. (1972). "Gaia as seen through the atmosphere". Atmospheric Environment 6 (8); Lovelock, J.E., Margulis, L. (1974). "Atmospheric homeostasis by and for the biosphere- The Gaia hypothesis". Tellus 26 (1)]. Lovelock definisce la vita come un sistema di auto-poiesi con cicli di retroazione: la vita viene generata da cellule o da organi più complessi che interagiscono entro un organismo più grande o da individui che agiscono entro un contesto sociale di interdipendenze. La vita, quindi, si genera attraverso la proprietà connaturata di interazione tra gli organismi che compongono il grande ecosistema del pianeta.
Definisco questo processo Cityforming©, un protocollo progettuale in grado di riattivare per stadi successivi il metabolismo di un’area partendo dalle sue componenti rigenerative latenti, attivando molteplici cicli ad intensità crescente per creare un nuovo ecosistema urbano sostenibile nel tempo. Il Cityforming strategico agisce per fasi incrementali e adattive necessarie a produrre risultati parziali che diventano la base generativa della fase successiva. Il Cityforming, procedendo attraverso le fasi della“colonizzazione”, del “consolidamento” e dello “sviluppo”, produce il necessario “ossigeno urbano” per la formazione di un ecosistema adeguato a generare un nuovo metabolismo urbano che riattivi i cicli inattivi, che riconnetta quelli interrotti o che ne attivi di nuovi, più adeguati alla nuova identità dei luoghi. La figura successiva mostra il susseguirsi delle tre fasi con le loro caratteristiche.


1) Nella fase di colonizzazione vengono localizzate alcune prime funzioni che agiscono come riserve di ossigeno per la formazione della nuova atmosfera. Sono nuove funzioni o recupero di edifici o spazi che possiamo definire “staminali” perché, benché innestate attraverso un’azione progettuale, hanno caratteristiche e funzioni non dissimili dal tessuto preesistente. Queste cellule staminali urbane fungono da attivatori di nuova urbanità – nelle diverse forme attraverso cui oggi si esprime la città – e possono essere aree ecologiche di rinaturalizzazione, dispositivi energetici plug-in, isolati low cost e smart, living lab e micro-distretti produttivi per manifatture digitali, riqualificazione degli spazi pubblici, ecc. Oppure la colonizzazione si attua attraverso la rimozione di alcuni detrattori infrastrutturali o ambientali che riducono la vitalità dell’area per agevolare la riconnessione di reticoli ecologici per la ricostituzione delle connessioni ambientali. Le colonie di rigenerazione sono caratterizzate da una elevata autosufficienza generata dalla loro capacità di essere energeticamente autonome attraverso l’uso di fonti rinnovabili, dalla capacità di produrre reddittività sufficiente a sostenere i costi manutentivi, dalla capacità di attivare forme di partenariato diffuso per la loro gestione. Le colonie devono avere anche una forte riconoscibilità rispetto al territorio di contesto, poiché, sebbene a bassa intensità di trasformazione, fungono da landmark della trasformazione, agiscono come testimoni della nuova reputazione dell’area, agenti del marketing urbano. Il paradigma urbanistico prevalente che viene utilizzato in questa fase è quello del Tactical Urbanism con un orizzonte temporale triennale entro cui deve essere attivata la fase successiva. Negli USA si stanno diffondendo le iniziative che sperimentano forme incrementali e adattive di rigenerazione urbana, come ad esempio il Better Block Urban Design, fondato a Dallas Oak Cliff da Jason Roberts e Andrew Howard e sperimentato a Memphis, St. Louis, New York e Boston come strumento esemplificativo per produrre nuove visioni temporanee di uno spazio per mostrarne il potenziale trasformativo nel creare un quartiere percorribile in sicurezza, vivace e creativo. Ma le tattiche urbanistiche o le variegate forme di Pop-up City e DIY regeneration sono quasi sempre autoconsistenti, accontentandosi di riqualificare lo spazio della loro azione, senza sfuggire al rischio della sterilità degli effetti strutturali e al rischio di un loro esaurimento precoce. La colonizzazione del Cityforming, invece, presuppone un suo successivo radicamento territoriale, crea le condizioni per l’innesco di una reazione a catena che ne consolida gli effetti.


2) Il consolidamento agisce sul nuovo ecosistema in formazione attraverso l’innesto di alcune funzioni più pregiate e più potenti dal punto di vista della generazione dei profitti e dei valori, sostenute economicamente dall’incremento di valore e di attrattività dell’area. Quartieri ecologici e intelligenti, makers districts e comunità energetiche, manifatture green e attrattori per i nuovi arcipelaghi metropolitani o gateway infrastrutturali agiscono attraverso un processo di hyper-cycling che attiva diversi cicli al fine di raggiungere una dotazione sufficiente di funzioni attrattive e produttive. Il consolidamento agisce anche attraverso la riattivazione di risorse latenti già presenti nell’area e che sono state stimolate e perturbate positivamente dalla fase di colonizzazione. La fase di consolidamento agisce più per reticoli che per nodi e perde un po’ della sua autosufficienza e autonomia, iniziando spesso a usare le risorse urbane del luogo – quelle materiali ma più spesso quelle immateriali – per radicarsi e per espandersi, anche iniziando un processo di mimetizzazione con il contesto che ne rafforza la presenza. Sono spesso gli abitanti preesistenti che aiutano i nuovi users attratti dalla colonia nel processo di integrazione. In questa fase alcune tattiche o alcune azioni di “terzo paesaggio” della fase precedente vengono coinvolte in un processo di Opensource Urbanism che le modifica, che le ibrida con le intelligenze locali, che le integra con azioni di agopuntura urbana, in modo da trasformarle in strategie per estenderne in profondità i loro effetti di riattivazione dei cicli urbani. In questa fase, con un orizzonte di cinque anni, all’attrattività iniziale dei flussi di users si sostituisce la stabilità di nuovi abitanti che concorrono alla crescita della domanda di servizi e al rafforzamento della cura dei luoghi, anche attraverso forme pattizie e fondate sulla cooperazione.


3) Infine, lo sviluppo è la fase di lungo termine con un orizzonte almeno decennale, in cui il nuovo metabolismo dell’area viene messo in funzione per generare nuova creazione di valore urbano. In questa fase, a seguito della metamorfosi prodotta dalle prime due, viene redatto un Masterplan dell’intera area fondato sulla nuova identità del luogo, reso più fertile dal successo delle fasi precedenti, potendo attingere a un moltiplicatore dell’investimento di maggiore forza, in grado di sostenere i cospicui investimenti necessari per la trasformazione completa dell’area. In questa fase il Masterplan ha senso poiché agisce in un tempo del mutamento più avanzato e in una fase in cui possono esser verificate meglio le solidità della visione di sviluppo. Non è, quindi, un masterplan che presuppone in anticipo le condizioni della sua attuazione o che intercetta risorse economiche e imprenditoriali già date, ma un Landuse Urbanism che agisce sul nuovo ecosistema urbano e che si specifica a partire dalle mutate condizioni dell’area ri-colonizzata e consolidata. In questa fase si genera la necessaria deep innovation capace di consentire la realizzazione di eco-cité, di quartieri creativi low&high cost, di nuove municipalità di rango metropolitano, di progetti di sviluppo urbano, di estesi parchi regionali di connessione tra urbano e rurale e di nuove piattaforme integrate di sviluppo all’interno dei nuovi scenari consentiti dal completamento del processo di Cityforming. L’approccio del Cityforming, quindi, non si limita ad attuare per stralci temporali una visione predefinita, frutto di una elaborazione progettuale preliminare che presuppone ingenti risorse economiche per la sua attuazione completa o richiede l’attivazione di una elevata rendita fondiaria o immobiliare per la realizzazione di tutte le opere. Il Cityforming, invece, genera un programma di azioni che si vanno componendo e definendo in funzione degli esiti parziali, in base al consolidamento dei nuovi ruoli urbani dell’area, in base ai valori e alle aspettative che vengono generate dai nuovi abitanti, dai nuovi servizi e forme di collaborazione, dalle opportunità fiscali e dalle nuove economie urbane generate nelle prime due fasi, capaci di innescare la terza. Il Cityforming lavora costantemente entro le dimensioni del progetto e del processo, attiva azioni entro uno scenario previsto i cui effetti ne comporranno la specificazione e definizione, consolidando lo scenario tendenziale o concorrendo a formare un nuovo scenario programmatico.


Un caso esemplare di Cityforming è la High Line di New York: nella fase di colonizzazione sono stati gli abitanti del quartiere che hanno riattivato la vecchia linea ferroviaria, ormai insita nel loro panorama identitario, attraverso un progetto di riciclo che l’ha trasformata in spazio pubblico di connessione. Successivamente il consolidamento è avvenuto attraverso l’intervento dei promotori immobiliari che hanno agito per estendere gli effetti della rinnovata attrattività dell’area e per radicarne gli esiti, attivando la riqualificazione di altri edifici e luoghi per riportare la residenza, le attività professionali, il commercio e per introdurre i servizi al turismo. Infine, la fase di sviluppo si è recentemente avviata con la realizzazione del nuovo Whitney Museum, progettato da Renzo Piano, che sancisce la trasformazione del Meatpacking District in un quartiere della creatività e dell’innovazione. Non a caso Samsung ha aperto qui un ufficio di rappresentanza, Google la sua sede newyorkese e Apple uno dei suoi store, ma vi proliferano anche orti urbani e il Center for Social Innovation si riempie sempre più di nuove attività. Il completamento della fase di sviluppo è costituito dal masterplan per la realizzazione dello Hudson Yard Development, la più grande operazione di rigenerazione urbana privata a New York dopo il Rockefeller Center: 158 ettari di spazi commerciali, direzionali e residenziali (di cui la metà spazi pubblici) e centri culturali, tra cui spicca lo straordinario Culture Shed progettato da Diller Scofidio + Renfro. La High Line, con il suo effetto colonizzatore, ha completamente ridisegnato innanzitutto la mappa socio-culturale di New York, ridefinendo poi anche la mappa dei talenti, della creatività e dell’innovazione, nonché quella immobiliare che genera i profitti per la gestione e manutenzione. L’azione incrementale e generativa del Cityforming ha impedito che ci fosse una saturazione del mercato e degli spazi non lasciando più alcuna opportunità agli abitanti anzi espellendoli, come avvenuto negli anni Settanta a SoHo e negli anni Ottanta a Chelsea. Anzi è stata proprio l’azione colonizzatrice degli abitanti del quartiere, riuniti nell’associazione Friends of the High Line, che ha impedito la prevista speculazione immobiliare sostituendola con la cura degli spazi, la rinaturalizzazione dell’infrastruttura, la sicurezza dei luoghi: azioni che hanno consolidato il tessuto sociale e il capitale umano dell’area, sul quale si sono consolidati gli interventi a maggiore valore aggiunto.
Il processo di Cityforming, quindi, non si limita a programmare incrementalmente le azioni di trasformazione e di riattivazione dei cicli interrotti e delle risorse latenti, ma agisce come antidoto alla gentrification connessa alla rigenerazione urbana. La colonizzazione, infatti, proprio per la sua bassa intensità trasformativa e per la sua funzione staminale generativa di nuovi tessuti spaziali e sociali, non induce una trasformazione istantanea che sradica l’identità locale a vantaggio di una attrattività esterna. Le azioni colonizzatrici, invece, agiscono come catalizzatori delle risorse identitarie, lavorando sul palinsesto dell’area piuttosto che su un suo sovratesto omologante. Il consolidamento, poi, agisce proprio come azione osmotica tra la popolazione locale e gli usi tradizionali dell’area e i nuovi abitanti che concorrono alla mixité sociale senza procedere per sostituzioni ed espulsioni. Infine, la fase di sviluppo non potrà avere la forza dirompente e disidentificativa che avrebbe avuto all’inizio nella fase di pieno declino dell’area poiché si innesterà su una nuova configurazione urbana e su un maggior protagonismo degli attori locali.


Il Cityforming© Protocol è stato applicato in fase sperimentale a Palermo in occasione del workshop internazionale di progettazione per la rigenerazione della Costa Sud, nella consapevolezza che le strategie di riqualificazione, riconnessione e sviluppo dell’area non potessero essere attivate da un progetto urbano tradizionale senza rischiare la sua insostenibilità economica o, peggio, il suo effetto di gentrification in un’area delicata e preziosa della città, ricca di capitale sociale, di aree da riciclare, di paesaggio agrario e di trame identitarie. A partire dalle aree a maggiore capacità rigenerativa sono state individuate le azioni a bassa intensità che potessero fungere da colonie per riattivare i cicli latenti o interrotti e successivamente le azioni in grado di innescare il loro consolidamento attingendo alle energie vitali locali.
Lo scenario di sviluppo programmatico viene proposto come orizzonte progettuale iper-ciclico, la cui definizione avverrà in un processo collaborativo con gli attori che avranno dimostrato maggiore forza e sui luoghi che avranno manifestato la maggiore propensione alla trasformazione. Alla fase di colonizzazione, ad esempio, appartengono le azioni di rinaturalizzazione costiera, gli interventi di agopuntura urbana o l’attivazione di luoghi dell’innovazione sociale. Il consolidamento avviene intervenendo sullo spazio residenziale e sullo spazio pubblico, sulla dotazione di servizi di quartiere e sulla proposizione di nuovi stili di vita e di mobilità. Alla fase di sviluppo appartengono le azioni a maggiore rilevanza metropolitana con la localizzazione dei grandi attrattori (il distretto energetico, l’acquario, il polo sportivo), attorno ai quali si svilupperanno i nuovi quartieri residenziali e le attività commerciali e produttive sostenute dai nuovi valori urbani che le fasi precedenti avranno prodotto.
Più recentemente il Cityforming è stato applicato alla rigenerazione della Città Vecchia di Taranto, in occasione del concorso di idee Open Taranto [vedi qui].
Il Cityforming, quindi, non si limita ad essere una strategia progettuale o una innovazione delle politiche urbane, ma agisce come un potente perturbatore di sistemi territoriali in arresto di metabolismo, in riduzione di energia e in crisi di sviluppo. Non immette energia esterna, che non potrebbe mantenere attivo a lungo un metabolismo compromesso, ma si prende cura dei fattori vitali ancora presenti, ricompone le risorse ecologiche latenti, riattiva i reticoli sociali resilienti per generare l’indispensabile base di capitale territoriale e sociale su cui può attecchire il seme fecondo del progetto di rigenerazione urbana auto-sostenibile.