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CO-POLITICS. Una migliore qualità della politica nell’era della condivisione

 

LO SCENARIO ATTUALE IN ITALIA

Disoccupazione al 12,6%
Disoccupazione giovanile al 43%
Economia in recessione dello 0,2%
Deflazione allo 0,1%.

I numeri sopra riportati mostrano con drammatica evidenza che l'Italia è attraversata da una crisi economica, sociale e politica che ne morde gli organi vitali, il tessuto produttivo delle PMI e dei distretti che hanno caratterizzato il nostro modello produttivo, dissolve il sistema creditizio e fa evaporare il capitalismo di stato, soffoca talenti e comprime speranze. In questo scenario, il paese appare incapace di trovare nelle culture politiche tradizionali un riferimento forte per tenere la barra dritta, non solo per uscire dalla tempesta, ma soprattutto per sapere dove approdare per iniziare un nuovo cammino.
Lasciate le acque costiere di uno sviluppo in debito, dopato da una finanza pubblica considerata illimitata e da un capitalismo di relazione inquinato, rischiamo da un lato di infrangerci sulle scogliere dell'antipolitica o dall'altro di rifugiarsi nell'approdo sicuro negli antichi vizi della politica, in entrambi i casi rimarremo intrappolati nella laguna chiusa della recessione e della deflazione che distrugge le nostre potenzialità in maniera indifferente, senza distinguere i talenti dalle zavorre.
Oggi più che mai una nuova cultura della politica, guidata dall'etica del risultato e dal rigore del processo, deve alimentare la visione di futuro, in particolare nel Mezzogiorno, storicamente indulgente con le proprie debolezze e maggiormente incline nel mare in tempesta ad aggrapparsi ad un relitto o alla provvidenza piuttosto che a rinforzare la nave e a stringere le vele.
Davanti a questi drammatici numeri ancora una volta la BCE, attraverso il suo Governatore Mario Draghi, parla di “strumenti non convenzionali” per arginare la crisi dell’Eurozona e in particolare dell’Italia. Ma appare chiaro che la “non convenzionalità” ha a che fare più con la potenza delle soluzioni che con la loro natura: massicci acquisti di debito pubblico non risolvono il problema, proponendosi come una inefficace “morfina tecnocratica”, come il tentativo di esorcizzare il problema seppellendolo della stessa polvere da esso sollevata nella drammatica caduta. È lo stesso Draghi, infatti, ad aggiungere che "nessuna quantità di aggiustamenti fiscali o monetari può sostituire le necessarie riforme strutturali: la disoccupazione strutturale era già molto alta nella zona euro prima della crisi e le riforme strutturali nazionali per affrontare questo problema non possono più essere ritardate.
Serve quindi un cambio di paradigma e una vera innovazione di sistema. Non finanza buona per scacciare quella cattiva, ma un nuovo modello di sviluppo guidato da una nuova alleanza tra società, economia e politica. Per uscire dalla crisi serve una spinta eruttiva che faccia emergere le nostre virtù superando la coltre di vizi e di errori che le ha soffocate negli anni. Serve una tensione alla metamorfosi che modifichi tutti i comportamenti piuttosto che accontentarci di piccole manutenzioni e riparazioni parziali.

INDIZI DI UN DIVERSO PRESENTE E INDIRIZZI DI FUTURO

La drammaticità della situazione non ci deve immobilizzare, non deve far prevalere il senso di impotenza rispetto all’immensità dei problemi, ma deve spingerci ad accettare la sfida della ripartenza del Paese attingendo ad alcuni esempi concreti che ci mostrano che qualcosa sta cambiando proprio nella direzione della forza propulsiva della condivisione. Ecco alcuni indizi di un diverso presente:
- Airbnb (condivisione di case-albergo: 10 milioni di notti prenotate, valutazione di 1 miliardo di dollari annui).
- Uber (condivisione di auto: presente in un centinaio di città in 36 Paesi, con un valore di 3,5 miliardi di dollari).
- Solar Share (condivisione di energia: l’impianto fotovoltaico La Masseria del Sole produce 5.568,0 kWh/giorno di energia, equivalenti a 2.968,2 barili petrolio risparmiati).
- Social Streets (condivisione di servizi: in Italia dal 2013 ci sono 290 social streets in più di 80 città).
Gli indizi citati, insieme a molti altri in giro per il mondo che hanno accettato la sfida del "commons collaborativo" nella erogazione di beni e servizi, ci mostrano una dirompente innovazione sociale incentivata dalla sharing economy, la quale sta raggiungendo risultati e dimensioni di tutto rispetto, sia che si tratti di condivisione di beni, servizi, informazioni, spazi, tempo o competenze, o di bartering, ovvero il baratto tra privati ma anche tra aziende, o di crowding, ma anche di making cioè di autoproduzione dall’hobbismo alla fabbricazione digitale, trasformando radicalmente gli ambiti del turismo, dei trasporti, delle energie, dell'alimentazione e del design. Si pensi che negli USA il 40% della popolazione lavora nella economia della condivisione.

Dall’economia e dalle scienze sociali il paradigma della condivisione sta trasferendosi – seppure ancora lentamente in Italia – verso la politica, generando una nuova democrazia partecipativa fondata non più sulla intermediazione e sulla delega, ma su una comunicazione permanente in grado di alimentare il miglioramento dei caratteri di partecipazione ed efficienza delle decisioni, promuovendo ambienti diffusi di cognizione/azione più adeguati ai bisogni sociali e ambientali contemporanei. Il primo effetto è l’estensione del crowdsourcing alla politica, attraverso un nuovo uso proattivo della cittadinanza come sistema permanente e diffuso di sensori/attuatori. Una nuova etica argomentativa della politica diventa veicolo di relazioni interpersonali, generatore di responsabilità e attivatore di mobilitazione delle intelligenze collettive attorno al progetto di futuro attraverso la diffusione di network di luoghi, sempre meno istituzionali e sempre più aperti e condivisi, generando innovazione sociale attraverso un sistema sempre più diffuso di co-living (il co-working e il co-housing sono gli esempi più evidenti) che superano la logica iniziale della necessità della condivisione dei costi per aderire ad una potente etica ed estetica della condivisione dello spazio collettivo.
Siamo sempre più immersi nella società della conoscenza, della creatività e dell’innovazione, oggi universalmente considerati come i fattori principali della competitività, veri fattori anti-ciclici alla crisi che ha travolto i protocolli di sviluppo tradizionali negli ultimi cinquanta anni. E ciò richiede processi di creazione, diffusione e ricambio delle conoscenze. Richiede un flusso costante, poderoso e pervasivo di conoscenza, di scambio di informazione, di valutazione istantanea degli effetti delle azioni di governo. Serve un mutamento di paradigma in cui le nuove forze motrici saranno la conoscenza, la condivisione e la compartecipazione solo se capaci di agire in sintonia e in sincronia.
L'onnipresenza dei mezzi di comunicazione digitali, della connessione wireless e la pervasività dei social network sempre più geolocalizzati cambia il modo di comunicare, pensare, sentire, valutare e decidere. E le conseguenze si ripercuotono su tutti i settori della vita: il lavoro, gli investimenti, l’innovazione, lo studio, la coesione sociale, la politica. Emerge il bisogno di rafforzare non solo il bagaglio di conoscenza dei knowledge workers, ma sempre di più anche quello dei knowledge leaders. E tale impegno non riguarda tanto la dimensione cognitiva e razionale quanto la pratica, l’emozione, la relazione e l’etica e inoltre la capacità di comprendere, indirizzare, cambiare e mobilitare saperi diversi al fine di generare risultati sempre più collettivi.
Siamo sempre più consapevoli della potenza cognitiva e direttrice del crowdsourcing, la “folla” che incontrandosi attraverso la rete o, sempre più spesso, nei nuovi luoghi della partecipazione, costruisce opinioni comuni e collabora a progetti, produce una vera e propria cloud politics, una politica diffusa entro cui siamo costantemente immersi sia come elettori che come decisori, annullando distanze, ma spesso riducendo gli spazi della ponderazione. Azione politica e reazione dei politici si fondono in un cortocircuito che se da un lato produce una partecipazione virtuosa, dall’altro genera una parcellizzazione viziosa della decisione.
Le mutazioni non riguardano solo la sfera economica e relazionale, ma si trasferiscono con sempre maggiore pervasività sul piano fisico, sulla fisionomia e sulla fisiologia stessa delle città, sempre più dense di intelligenza collettiva. Nelle smart communities si diffondono sempre più le piattaforme di servizi il cui valore risiede nelle funzioni offerte e riconosciute utili dagli utenti, che a loro volta le trasformano in ulteriori servizi agli altri utenti. Gli Open Data, ad esempio, sintetizzano bene il nuovo rapporto virtuoso tra le informazioni e le comunità distribuite di utenti: milioni di dati accessibili a tutti che le amministrazioni pubbliche stanno immettendo in rete in una stimolante gara a condividere i propri dati entro un processo di democratizzazione della conoscenza. Gli open data sono una componente indispensabile dell’Open Governance, in cui la pubblica amministrazione si apre ai cittadini sia in termini di trasparenza che soprattutto in termini di compartecipazione diretta al processo decisionale, incentivando il ricorso alle ICT come acceleratori di comunità, non solo virtuali prima ma sempre più reali, e come generatrici di rinnovati luoghi fisici alimentati dalla conoscenza, dalla condivisione e dalla partecipazione.

Non è sufficiente, tuttavia, che le città incrementino la loro intelligenza infrastrutturale, ma devono concorrere ad incrementare il tasso di “intelligenza collettiva” delle comunità. Una comunità intelligente che voglia essere anche solidale deve sostenere, attraverso il cloud communiting, i comportamenti virtuosi dal basso dando visibilità ai vantaggi individuali e collettivi. Makers, fablab, urban farming, car-sharing, smart citizens, co-working, energy community sono termini che sempre più spesso escono dal lessico specialistico in cui sono nati per diventare i protagonisti della città contemporanea, attori della politica e della società nella terza rivoluzione industriale in cui siamo entrati.
Scriveva Italo Calvino che "di una città non godi le sette o le settantasette meraviglie, ma la risposta che sa dare a una tua domanda". E le città contemporanee sono sempre più protese a fornire risposte a domande: non solo di residenza, lavoro e servizi, ma domande di assistenza, di sicurezza, di bellezza, di qualità, di felicità, di innovazione, di partecipazione e di democrazia. E la risposta a queste domande viene sempre meno solo dai soggetti istituzionali e formali, i sindaci o gli amministratori, i tecnici o i gestori di servizi, le istituzioni o le imprese, per diventare una risposta collettiva che vede il coinvolgimento proattivo dei nuovi cittadini-artigiani, dei nuovi “facitori di città”. Nelle città contemporanee i cittadini tornano ad essere produttori non soltanto di beni e servizi da mettere in commercio, ma diventano agricoltori per tornare ad animare parti di città dismessa, diventano lavoratori della conoscenza attraverso gli atelier o gli incubatori creativi, producono eventi culturali attraverso il crowfunding, gestiscono teatri, oppure sono i nuovi artigiani della rivoluzione digitale, o sono riparatori, in un momento in cui riparare diventa più importante che gettar via, e in cui riciclare diventa più importante che rottamare o produrre ex novo. E questi nuovi cittadini artigiani sono una risposta che le comunità danno ai bisogni degli anziani, di coloro che non si possono permettere di accedere al mercato, o ai servizi. I cittadini-makers diventano gli amplificatori delle nuove sensibilità nei confronti della qualità del paesaggio, dell’ambiente e del risparmio energetico, rinnovando il ruolo tradizionale dell’associazionismo, non limitandosi più a indicare il problema ma diventando parte della soluzione, e facendosene carico in maniera attiva e responsabile. Sono i bricoleurs di una città che alle strategie di sviluppo accompagna sempre più spesso le tattiche di manutenzione, di riparazioni e di riciclo. Riattivano edifici industriali, vecchie stazioni o caserme dismesse per farli tornare luoghi della produzione, rianimano spazi pubblici restituendogli il valore di luoghi di comunità.

Tutti gli indizi ci indicano con chiarezza che ormai siamo entrati in un "eco-sistema della condivisione" a cui non basta più l'esistenza di una società attiva e di una economia della condivisione, ma chiede una nuova “Co-Politics”, una politica più intelligente, dinamica e innovativa, perché fondata sulla condivisione, capace di prendere decisioni sistemiche più sapienti, più consapevoli e più responsabili per dare risposte concrete, tempestive e di lungo respiro ai drammatici numeri della crisi che abbiamo riportato all'inizio. Una politica per una comunità fatta non soltanto di persone che domandano, ma sempre più spesso di persone che rispondono. Una comunità politica non fatta solo di consumatori di decisioni prese altrove, o di generatori di consenso acritico, ma fatta di produttori di decisioni, non fatta solo di censori ma di sensori, non solo di cittadini reattivi ma di cittadinanza proattiva. Siamo di fronte una vera e propria Cloud Governance che, tuttavia, non deve essere un nuovo mantra, ma deve aiutare le leadership e le tecnocrazie, i registi e i progettisti del mutamento, gli attori della trasformazione e i soggetti sociali a comprendere quanto il tema dell'apertura, della trasparenza e della condivisione coinvolga le organizzazioni che sono loro affidate: istituzioni o imprese, comunità o università. Decidere, guidare e governare immersi nella nuvola dell’informazione e nel mare della condivisione richiede nuove mappe per orientarsi, nuovi sensori per percepire gli ostacoli, nuovi strumenti per tracciare la direzione, ma soprattutto nuovi occhi per non perdere l’orizzonte. Le soluzioni alla crisi non chiedono più una singola risposta ad una singola domanda alla volta, ma pretendono che via siano numerose risposte integrate tra loro a migliaia di domande diverse, interconnettendo chi domanda e chi risponde e sincronizzando tempi e gradi di emergenza diversi.
C’è bisogno di migliaia di cittadini che siano in grado di rispondere. Questa è la Co-Politics che la Libera Università della Politica vuole contribuire a rafforzare nell’ambito della sua missione educativa.

[© Maurizio Carta, intervento introduttivo al XIII Stage di formazione Socio-Politica, Palermo, 31 agosto 2014]