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Open Spaces. Il nuovo genoma della città contemporanea

Open Spaces è la nuova parola chiave dell’architettura contemporanea e gli spazi pubblici sono preziose cellule staminali per ricostruire il tessuto connettivo dei quartieri. Nelle città in piena crisi di rigetto di strategie di sviluppo invasive di spazi ed erosive di qualità, le tattiche per creare nuovi luoghi della socialità sono una sfida per generare innovazione e dinamismo, ma anche identità e coesione. I nuovi luoghi della comunità – sempre più open, smart e green – immessi nei tessuti urbani da risanare, da riqualificare o da potenziare diffondono il loro genoma in maniera creativa, si connettono alle cellule esistenti ancora vitali (scuole, centri culturali, associazioni, giardini, campi sportivi o capannoni), per generare nuovo tessuto urbano di qualità. Nuova città prodotta a partire dal Dna di quella esistente e quindi immune da crisi di rigetto, capace di combattere l’anomia delle periferie o il degrado dei centri storici ed attiva nel ricucire il rapporto tra vita privata e vita pubblica.

I nuovi spazi pubblici non somigliano alle piazze della città monumentale o di quella razionalista, ma sono sempre più aperti, fluidi, interstiziali, riciclati e temporanei, invogliano ad usi promiscui e temporalmente differenziati ed agevolano molteplici forme di accessibilità. Sono luoghi che ci permettono di rileggere e reinterpretare la città, animandola di una nuova presenza vitale, rivelandone le forme che la configurano ma soprattutto esponendo le molteplici, multiculturali e multietniche vite che la connotano. Le nuove piazze non sono algide agorà, ma diventano luoghi per una vita comunitaria del reticolo sempre più fitto dei soggetti che ne compongono il tessuto sociale (anziani e bambini, studenti e migranti, turisti e residenti). Nella città democratica non devono più esistere posizioni gerarchiche che pongono in condizione di inferiorità alcuni soggetti rispetto ad altri, e l’urbanistica può massimizzare le pari opportunità offrendo luoghi reali dove le diverse visioni/domande e i differenti bisogni/progetti si incontrino e si ibridino per generare un nuovo organismo urbano, più forte e più resiliente alla metamorfosi entro cui siamo immersi. Il progetto degli spazi pubblici accetta la sfida della coesione sociale, dotandoli di servizi e di attrezzature per una società che vuole sempre più essere informata e partecipe, ma anche creando le condizioni favorevoli all'attuazione di politiche abitative multisociali e polifunzionali. E sempre più spesso la cellula principale dei nuovi spazi pubblici è costituita da luoghi della partecipazione attiva dei cittadini, che li accolgano e li educhino. A Barcelona, per esempio, l’Universitat Politècnica de Catalunya ha realizzato nel suo campus il LOW3, uno spazio pubblico con un edificio energeticamente autosufficiente che funge da Living Lab per la popolazione dedicato alla sperimentazione di architettura bioclimatica ed a basso costo, finalizzato a responsabilizzare la popolazione verso il ripensamento del modello insediativo. Gli spazi pubblici diventano quindi la concretizzazione di una nuova democrazia rappresentativa in cui le iniziative di partecipazione trovino occasioni per potenziare la “funzione educativa” della città, invitando i suoi abitanti alla conoscenza ed all’esplorazione, incoraggiando rinnovi e trasformazioni autopromosse, attraverso l’enorme potenziale educativo del patrimonio paesaggistico, culturale e sociale.

Ma i nuovi spazi urbani sono anche sempre più intelligenti perché la diffusione nelle città di hot-spot, sensori e smart utilities sta producendo un vero e proprio “cyber-phisical space”, composto dalla costante interazione di componenti fisiche e reti digitali, di azioni materiali ed effetti immateriali. A Parigi, ad esempio, un grande successo ha riscosso la bellissima postazione wi-fi realizzata sugli Champs-Elysées che offre la connessione gratuita alla rete per consultare informazioni relative a mappe e servizi pubblici con alcuni sedili per coloro che vogliono usufruire degli spazi all’aperto per lavorare. Simulando un bosco “tecnologico” di pali in legno con un tetto rivestito di vegetazione, diventa un luogo attrattivo per costituire occasione di socialità. E’ l’evoluzione del cyber-café perché la connessione mobile sgancia i cittadini dalla postazione fissa e li riporta nella città, nei parchi, sui waterfront o nelle piazze consentendogli di comunicare ed interagire, di apprendere e segnalare, di conoscere e valutare. A Marsiglia, oltre ai grandi edifici iconici, la maggior parte dei progetti che ne fanno oggi un faro della qualità urbana è costituita da nuove piazze sull’acqua, parchi urbani in quartieri disagiati, biblioteche cittadine aperte tutto il giorno, urban center e luoghi per la vita associativa, orti urbani. Un reticolo di spazi pubblici riutilizzati che si propone come una potente armatura di qualità che congiunge tutti gli edifici ed identifica la città come Capitale Europea della Cultura.

Naturalmente non è solo una sfida sociale quella che abbiamo di fronte, perché agire sulle città attraverso la nascita di nuove cellule urbane pubbliche a partire da embrioni di qualità vuol dire incentivare la riduzione del consumo di suolo ed il riciclo urbano, vuol dire evitare che sulle aree non ancora cementificate o sui residui spazi pubblici dei quartieri residenziali si concentrino gli ultimi sussulti della rendita fondiaria, affamata di spazi da occupare, bramosa di verde da erodere ed ingorda di qualità da consumare. La qualità degli spazi pubblici sarà il nuovo misuratore del benessere delle città, perché come diceva Bob Kennedy “il Pil non tiene conto della salute delle nostre famiglie, della qualità della loro educazione e della gioia dei loro momenti di svago. Non comprende la bellezza della nostra poesia e la solidità dei valori familiari. Misura tutto, eccetto ciò che rende la vita degna di essere vissuta".

[© Maurizio Carta, pubblicato in "Balarm", n.31, 2013.]