Pensieri
Thinking in action


Ringrazio Luigi Prestinenza Puglisi per aver voluto sottoporre anche me alle sue insidiose, tendenziose e affettuose domande pubblicate sulla sua preziosa e sempre più diffusa PresS/Tletter n. 23. Spazio per menti libere in cui persone con passioni e tensioni ancora intatte hanno il piacere di esporre il proprio punto di vista [www.prestinenza.it].

LE INTERVISTE DI PresS/Tletter

Risponde Maurizio Carta
Continuano le interviste a personaggi impegnati nel campo dell'architettura e dell'arte. A sottoporsi alle domande è Maurizio Carta, professore di urbanistica e pianificazione territoriale a Palermo, coordinatore della Laurea magistrale in Pianificazione territoriale, urbanistica e ambientale.
L' intervista e tutte le numerose altre comparse in questa rubrica sono raccolte all'interno della sezione Interviews di Channelbeta http://www.b-e-t-a.net/~channelb/interviews/. Tra i prossimi intervistati Massimo Bilò, Carlo Truppi, Paola Coppola Pignatelli, Antonio Rossetti, Sandro Raffone, Massimo Canevacci. Molte altre in preparazione.

1. Una auto-presentazione in quattro righe...
Architetto e urbanista, formato alla scuola di Vincenzo Cabianca, il quale mi ha insegnato a leggere il territorio attraverso un approccio complesso, capace di sintetizzare umanesimo e cultura scientifica, la qualità del particolare con la potenza del generale. Oggi a 38 anni sono un “urbanista ottimista”, consapevole delle criticità e dei conflitti, ma con un atteggiamento progettuale per risolverli. Mi occupo di ricerche e sperimentazioni che aggiungano un approccio creativo alla pianificazione territoriale e alla progettazione urbanistica.

2. Cosa ne pensi della ricerca urbanistica in Italia oggi ...
Oscilla tra il valore della tradizione e le seduzioni dell'innovazione, spesso non riuscendo a liberarsi di un certo bovarismo nei confronti di alcuni strumenti acriticamente importati. Con i miei collaboratori sto componendo un vocabolario delle “mistificazioni” del linguaggio degli urbanisti: termini assunti solo come slogan e traditi rispetto al loro originario significato. Nonostante tutto ritengo che attorno ad alcuni antichi e giovani maestri stiano nascendo interessanti “tribù urbanistiche” (è un termine che ho preso a prestito da Piercarlo Palermo e mi piace molto perché identifica un'appartenenza e una complicità che mi piace costruire con i miei collaboratori) che stanno lavorando al rinnovamento della disciplina. La parte più interessante della ricerca urbanistica è quella che si interroga sui termini di “qualità” del progetto, di “partecipazione” consapevole e di “frontiere” da esplorare. Si fanno avanti interessanti progetti editoriali, reti di ricerca, sperimentazioni di grande interesse, soprattutto attorno al tema della rigenerazione urbana. Proverei a parlare di nuova “generazione urbana”: città che si riappropriano del senso dei luoghi - il genius loci - e della prossimità, progetti che agiscono nella continuità delle tradizioni, che alimentano la sicurezza e la capacità di immaginare il futuro.
L'urbanistica razionalista e funzionalista riusciva ad agire sulla città del Novecento perché rispondeva alle domande della società industriale ed operaia di seconda generazione. Oggi siamo nella Società dell'Informazione e della Partecipazione e le nostre istanze sono profondamente mutate, le esigenze rimodulate, le forme dell'insediamento umano radicalmente trasformate: nuovi centri emergono nel pianeta, le città si fanno policentriche, disperse a rete, sperimentando un nuovo rapporto con il territorio, che dal consumo di suolo si avvia verso una nuova relazione ecologica. L'armatura delle città, sempre più interconnesse, sempre più globali anche quando non sono metropoli, sembra rimpicciolire il pianeta, avvicinando occidenti ed orienti, facendo dialogare europe e mediterranei, costruendo una consapevolezza comune della necessità della ricerca della “sostenibilità umana” del futuro.

3. Il nome di un architetto italiano vivente al quale faresti progettare il quartiere nel quale vivi...
Abito a Palermo in un quartiere nato alla fine dell'Ottocento in occasione del consolidamento dell'espansione extra moenia della città. Costruito con un approccio illuminista che rispondeva alle esigenze di una borghesia in ascesa che reclamava una città razionale in cui prosperare. Oggi il quartiere ha accettato con sofferenza la contemporaneità, vivendola con contraddizioni e mutamenti non sempre accettabili. In questi ultimi mesi sto avendo l'occasione di riprogettarlo per il Comune di Palermo, o almeno di rifletterci sopra per capire quali siano gli interventi che consentano al passato di proiettarsi nel futuro trasferendo identità e non perdendo qualità.
Se dovessi scegliere un architetto a cui affidare la progettazione dei nuovi luoghi di centralità chiamerei Antonio Citterio o Mario Bellini: approcci diversi, medesima sensibilità e attenzione ai contesti e alle relazioni.

4. Il nome di una star internazionale alla quale non lo faresti progettare...
Zaha Hadid, perché dopo i primi interventi è diventata un “manifesto”: le sue opere più recenti dicono solo “eccomi sono Zaha Hadid-donna-iraniana-con studio a Londra” piuttosto che interpretare la voce del luogo

5. Il nome di un edificio famoso che non ti piace affatto.
L'Auditorium di Renzo Piano a Roma, perché non costruisce alcuna relazione con il tessuto urbano, nemmeno di conflittualità o di antinomia. Piano avrebbe dovuto utilizzare l'esperienza di Genova e progettare un pezzo di città, una centralità urbana e non solo un oggetto tecnologicamente seducente.

6. Ci parli brevemente del tuo libro Next City?
Come si dice spesso: ho scritto il libro che avrei voluto leggere. Il libro nasce da una ricerca iniziata nel 2001 coinvolgendo anche i miei studenti di urbanistica. Una ricerca su come stessero cambiando le città del mondo e se le tracce di questo cambiamento possedessero delle componenti comuni, sia che si trattasse di città globali (New York, Tokio, Londra e Parigi) sia che fossimo di fronte a città di rango minore.
L'ipotesi di partenza - il pre-giudizio del ricercatore se vuoi - è stato che una delle fenomenologie più diffuse della trasformazione è quella delle “città della cultura”, città produttrici di nuova cultura. Le culture cities del XXI secolo saranno infatti quelle città in grado di competere nel panorama internazionale attraverso la valorizzazione e la promozione della propria identità culturale. La città del futuro prossimo sarà lo scenario della competizione delle energie, delle risorse umane, delle intelligenze collettive e della creatività per la costruzione di un'evoluzione più compatibile con le identità e le vocazioni e più sostenibile rispetto alle risorse ed alle sensibilità della città e del territorio.
Il libro rintraccia la presenza di città non più consumatrici di suolo e produttrici di rifiuti, di città che non si espandono in una unica declinazione della loro forma: l'edilizia. Segnala l'esistenza di città in sintonia con il territorio, capaci di reinterpretare forme, funzioni e tempi della natura e di immetterli nel progetto di futuro. La parte centrale del libro propone l'idea delle “città creative”, capaci di declinarsi in forme innovative non solo lapidee, ma anche naturali, frattali, ecologicamente sostenibili e culturalmente attive.
Anche la scelta della collana, Babele di Meltemi (diretta da Rosario Pavia e Mosé Ricci), è intenzionale, perché la considero uno di quegli interessanti progetti editoriali di cui parlavo prima, una di quelle tribù vivaci della ricerca urbanistica italiana.

7. Dacci tre ragioni per comperarlo...
Non è facile rispondere: in ogni caso nell'imbarazzo di consigliarlo lo regalo molto volentieri agli amici. L'ho scritto infatti soprattutto come un'occasione di dialogo e di confronto con una tesi che è tutt'altro che scontata, in un mondo in cui ancora il consumo di risorse sembra essere la scelta privilegiata, piuttosto che un'evoluzione fondata sulla dimensione culturale e sull'identità delle città.
Tre buone ragioni per leggerlo sono che parla delle città con passione di urbanista militante, offre l'esercizio del dubbio agli urbanisti riflessivi e traccia sentieri di futuro per gli urbanisti creativi.

8. Parlaci anche brevemente delle tue iniziative editoriali e della tua rivista
Dalla pubblicazione del libro (nel 2004) e dalla sua accoglienza positiva non solo nella comunità scientifica, ma anche da parte di studiosi di economia, geografia, scienze sociali, è nato il progetto di una rivista che ne raccogliesse le intuizioni e ne alimentasse l'impegno
La rivista si chiama “Creativicity” ed è un modo per continuare a rintracciare i segnali della città del futuro prossimo, per continuare a comprendere la città e far dialogare differenti punti di vista sul tema dell'evoluzione delle forme e dei caratteri della città del futuro i cui segni sono già nel presente.
Creativicity è promossa dalla Facoltà di Architettura di Palermo ed e diretta da me con una redazione composta da giovani che condividono impegni, sogni e passioni e che, insieme agli altri che si aggiungeranno, costituiscono i sensori della civiltà creativa (Alessandra Badami, Chiara Bucchieri, Daniele Gagliano, Claudia Giangreco, Francesca Italiano, Barbara Lino, Daniele Ronsivalle e Claudio Schifani).
La rivista è dedicata alle identità delle città ed alla comprensione delle loro evoluzioni, proponendo, con il gioco di parole del titolo, una ulteriore categoria interpretativa all'urbanistica: la “creativicittà”, la città creatrice di nuovi significati urbani. La rivista si offre come un contenitore di ricerche, di esperimenti, di riflessioni, ma anche di intuizioni, di pre-giudizi, di intercettazioni di “scintille” che forse non diventeranno un fuoco, ma che illuminano la ricerca, la teoria, le pratiche o la didattica.
Creativicity è una rivista didattica, non una rivista di didattica. E' una rivista che mostra, spiegandoli, alcuni fenomeni, tendenze e criticità che accadono entro e attorno alle città per costruirvi una relazione maieutica in grado di attivare nuove riflessioni, di stimolare nuove “sinapsi” tra concetti, idee e luoghi, e di stimolare la creatività del lettore. Creativicity vuole svolgere il suo ruolo con leggerezza, con la leggerezza di un foglio ripiegato: un grande foglio di appunti in cui si ritrovano accostate, nel gioco delle pieghe, conoscenze, interpretazioni, giudizi che, nella più rigorosa sequenza delle pagine di un libro, avrebbero avuto altra trattazione.
Creativicity non è solo una rivista, ma è un progetto multimediale di ricerca e comunicazione, alla rivista si sta aggiungendo infatti anche un progetto di video multimediali che accompagneranno alcuni temi affrontati nel corso dei diversi numeri in cui svolge il discorso sulla “città creativa”.

9. La qualità media dei docenti delle università italiane, non ti sembra un po' bassa? E a Palermo come è?
La qualità dell'università italiana soffre di molti problemi, non ultimi quelli derivati dall'assenza di una vera politica culturale e della formazione da molti anni a questa parte (nonostante le riforme e le riforme delle riforme, sempre troppo episodiche e in continua sperimentazione). Nonostante questo, l'impegno di molto colleghi è ammirevole e produce risultati di grande importanza, che verifichiamo quando i nostri studenti si confrontano nel panorama internazionale. Il problema è uscire dall'episodicità e dall'impegno personale: ci vorrebbe più “sistema università italiana”. Non posso tacere, tuttavia, che in alcuni casi i docenti, pur essendo buoni studiosi, non hanno alcuna capacità educativa e formativa e questo pesa molto sulla qualità generale, soprattutto con la contrazione delle ore di didattica nel modello 3+2, le quali necessitano più che nel vecchio modello della laurea in Architettura in 7-8 anni, di efficaci capacità didattiche.
A Palermo, proprio per la consapevolezza dell'importanza di un approccio didattico capace di agire attivamente con gli studenti, insieme al Preside Nicola Giuliano Leone che ne è il direttore, abbiamo fondato una collana di libri di testo in urbanistica con l'obiettivo di tornare a parlare didatticamente di urbanistica, soprattutto nei primi anni della formazione, e non solo attraverso gli esempi personali, restituendo all'urbanistica il suo statuto dottrinario e non solo quello di una pratica esperta.

10. Allora, l'università italiana...la consiglieresti? E se si in quale città? E a Palermo?
Negli anni della mia formazione post lauream ho studiato sia a Parigi che a New York e più recentemente ho contatti di ricerca con la London School of Economics. Non vi è dubbio che all'estero il “sistema università” sia profondamente diverso e metta in serio imbarazzo chi voglia fare paragoni. Ma se parliamo di docenti e processo formativo allora non ho dubbi nel consigliare l'università italiana, perché pur nelle difficoltà di gestione, la qualità del metodo formativo mi sembra abbastanza alta. Per la formazione in pianificazione territoriale e urbanistica, tra le sedi con le quali ho più intensi rapporti il Politecnico di Milano sta costruendo un approccio formativo ben riconoscibile, Pescara possiede un gruppo molto attivo di colleghi che stanno sperimentando innovazioni e contaminazioni interessanti, Reggio Calabria sta costruendo, con difficoltà ma senza timore, un forte rapporto con il territorio ambendo ad un processo formativo sociale nei confronti della qualità dell'intervento e dell'identità dei luoghi.
A Palermo sono coinvolto in prima persona insieme al presidente del corso di laurea, Bernardo Rossi Doria, nella gestione dei corsi di laurea in pianificazione urbanistica e territoriale e quindi ne parlo con l'adesione a ciò che crediamo. Uno degli aspetti positivi del nostro corso di laurea è che siamo stati i primi, e per alcuni anni gli unici, ad attuare un processo di auto-valutazione e valutazione esterna della qualità del percorso formativo e dell'efficacia dei risultati, costruendo un processo formativo attento alla domanda sociale e istituzionale e capace contemporaneamente di formare il senso critico e produrre competenze professionali. Inoltre, credo che Palermo sia da segnalare per l'attenzione agli studenti, per il senso di responsabilità nei confronti del loro percorso formativo e degli esiti della loro preparazione: è infatti l'unico corso di laurea in pianificazione che appartiene alla rete di eccellenza CampusOne.

11. Mettimi in ordine di preferenza i seguenti architetti: Eisenman, Koolhaas, Moss, Hadid, Herzog e de Meuron, Gehry, Coop Himmelb(l)au, Fuksas, Piano, Anselmi, Purini, Cellini, Casamonti, Culotta. ( per cortesia non mettere pari merito)
Non ho amori viscerali e incondizionati, giudico gli architetti per quello che fanno e per la correttezza delle loro soluzioni, e, come ho già detto, provo fastidio quando da progettisti di soluzioni pertinenti si trasformano in manifesti o peggio in icone. Rem Koolhaas mi piaceva di più prima che diventasse una star, quando si interrogava sul futuro delle città, cercando di comprenderle prima di trasformarle. Renzo Piano soffre di cicli non sempre felici, di Fuksas mi piace la capacità di costituire relazioni tra gli elementi dell'architettura: lavora nelle giunture, nelle connessioni, nei laterali. Di Anselmi e Cellini mi piace l'approccio ai luoghi e la capacità di cogliere l'identità dello spazio da progettare. Con Pasquale Culotta siamo amici e colleghi (e sono stato suo allievo) e di lui mi ha sempre affascinato la capacità di seguire un sentimento personale nei confronti dell'architettura, una capacità di azione che nasce dall'interno e che non è facile da trasmettere attraverso semplificazioni didattiche. Non è mai caduto nella tentazione delle mode: sente l'architettura ancora in modo artigianale, nel senso migliore del termine. Inoltre gli va riconosciuto di aver dato un grande impulso alla costruzione delle reti di connessione della Facoltà di Archittettura di Palermo con altre sedi e con la comunità scientifica.

12: Un libro che consiglieresti a uno studente, uno a un architetto, uno a un critico
Agli studenti consiglio “La cultura delle città” di Lewis Mumford, gli architetti dovrebbero tenere vicino al letto “La città” di Adriano Olivetti, soprattutto il capitolo sul perché si pianifica. Ad un critico consiglio di rileggere “Opera aperta” di Umberto Eco, perché ci ricorda che l'architettura è un testo il cui completamento spetta alla comunità che la abita.

13: Qualche parola sull'INU
L'INU è stato per molti anni il tutore degli urbanisti italiani, il mentore della nostra formazione. Oggi la contemporaneità, le crisi della disciplina, le mutazioni delle domande di piano lo attaccano, lo confondono talvolta, ma resiste. E devo dare atto a Paolo Avarello di saper interpretare il ruolo contemporaneo dell'INU, senza pregiudizi e con l'onestà intellettuale di chi possiede un punto di vista ed è disposto a sedersi anche con il diavolo per cercare di convincerlo. Credo che questo impegno dell'urbanista sia ineludibile: l'urbanista non è un critico o un giudice, ma un creatore di soluzioni (rileggere Olivetti e tornare all'impegno originario dell'INU).
Se permetti vorrei spendere qualche parola anche sulla SIU, la Società Italiana degli Urbanisti (di cui sono stato nel direttivo nazionale e oggi sono il responsabile della newsletter). La SIU è nata dieci anni fa con un obiettivo preciso, quello di agire attivamente sulla formazione per migliorare la qualità degli urbanisti. La SIU si è interrogata tra le prime su quali fossero i mutamenti della professione, come stessero mutando le domande di piano e come fosse inevitabile percorrere la strada della valutazione e certificazione dei percorsi formativi per la garanzia di una qualità condivisa del sapere e del fare urbanistica. La SIU oggi è un'altra di quelle tracce di modernità della ricerca urbanistica in Italia, grazie anche al dinamismo del nostro segretario generale, Alberto Clementi, che ha avviato recentemente un percorso di comunicazione e divulgazione dell'urbanistica in azione, parlando delle trasformazioni reali della città e del territorio, interrogandosi sulla qualità e sulla forma delle città e non solo sui processi, perché i piani non siano delle “tigri di carta” come stigmatizzava Giovanni Astengo.

15: Tre parole oggi importanti
Felicità, Qualità e Rigore. E non le commento.

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