teCLa - Effemeride 2011

codice DOI: 10.4413/EFFEMERIDE


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Aggiunte a Nibilio Gagini, Giuseppe Alvino e Ignazio Marabitti
di Vincenzo Scuderi

La prima “aggiunta di catalogo” che qui vogliamo presentare riguarda, il noto argentiere tardo rinascimentale Nibilio Gagini, nipote del grande Antonello: a lui riteniamo, infatti, che debba attribuirsi, con datazione degli anni ottanta del XVI secolo(1) la piccola Testa reliquiario di Sant’Alberto in argento, montata su di un busto lamellare forse di bottega, che si conserva presso il Convento dei Carmelitani a Trapani.
Un’attribuzione, questa, che ci sembra abbastanza motivata per due ordini di ragioni. La prima, di carattere stilistico, per la stretta affinità che lega la severa espressione del santo trapanese, memore quasi del realismo rinascimentale, con le più note e sicure immagini di Nibilio, per esempio nell’Arca di San Gandolfo a Polizzi o nell’Urna di San Giacomo a Caltagirone.
Il secondo motivo che ci induce all’attribuzione può definirsi come documentario-indiretto, per il fatto che tra il 1582 e il 1586, mentre si lavora alla ricostruzione della cappella primo cinquecentesca del Santo, Nibilio fornisce ai Carmelitani, ben pagati, quattro grandi candelieri d’argento, da affiancare al rinnovato altare maggiore della chiesa gotica(2).
Quasi alla stessa stregua di quella gaginiana si pone la nostra seconda “aggiunta di catalogo”, quella di una tela al non meno noto pittore, del resto molto amico del Gagini, Giuseppe Alvino il Sozzo. Nel senso di una primaria motivazione stilistica e di una secondaria di carattere documentario-indiziario(3).
Si tratta, quanto al soggetto, della figura, ancora una volta, del Santo patrono dei Carmelitani, Sant’Alberto degli Abbati, raffigurato in piedi e con una serie di quadretti attorno con storie della vita, che ancora si conserva nella trapanese chiesa del Carmine per la quale era stato dipinto.
Appaiono in essa abbastanza evidenti vari tratti e modi formali dell’Alvino. L’imposto largo e sicuro, con qualche accenno spaziale nel mantello, della figura al centro, più solida di quella analoga ma antecedente, del 1584, mentre qui siamo nei primi anni del Seicento, con Sant’Antonio Abbate della Galleria di Palermo; l’inconfondibile colore, poi e soprattutto, vivace e tenero al tempo stesso, non privo di spunti macchiettistici, nelle scenette dei pannelli attorno; o in alcune sigle addirittura, come quella degli angioletti reggicorona dal tipico volo e dall’ancor più tipico colore rosso-aranciato; per chiudere, infine, con la densa atmosfera verde-cerulea dello sfondo di paese contro cui si staglia la figura del santo trapanese(4).
Saltiamo, con la terza aggiunta, dal manierismo tardo-cinquecentesco al tardo-barocco settecentesco già incline a qualche venatura classicistica. Si tratta, come si può vedere , di un tipico medaglione in marmo di carattere commemorativo, raffigurante a mezzo busto un anziano prelato, con il simbolo cristologico del pellicano in un’ansa della ghirlanda, evidentemente allusivo alla passione donativa che aveva animato la vita del personaggio. Si tratta, secondo una costante tradizione orale dell’ambiente curiale del dopoguerra trapanese(5) dell’immagine senile dell’insigne Abate-Architetto trapanese Giovan Biagio Amico. Una tradizione che riteniamo possa convalidarsi a pieno, sovrapponendo lo sguardo acuto e quasi pungente della figura con quello promanante dalla nota incisione raffigurante lo stesso personaggio in età giovanile, sul frontespizio del suo trattato, “L’Architetto pratico”. Anche il ricordato simbolo del pellicano può suonarne a conferma per la nota passione con cui l’Amico esercitò sia la professione di architetto che il suo ministero sacerdotale(6). Quanto, poi, alla paternità della piccola ma intensa scultura il nome del Marabitti affiora quasi spontaneo, sol che si raffronti il suo linguaggio con quello di tanti medaglioni commemorativi strettamente affini delle chiese palermitane, quelli dei Paternò, dei Laviefuille, Fernandez, ecc.(7)
Se, del resto, si riflette un attimo alla caratura sociale del personaggio – di cui egli stesso e i suoi familiari dovevano avere sicura consapevolezza – viene quasi agevole pensare che egli in persona, o i suoi congiunti post mortem, si siano rivolti allo “scultore preferito dalla società laica ed ecclesiastica palermitana” (Malignaggi) – che certo l’Amico conosceva e stimava, probabilmente ricambiato, per le sue larghe ed autorevoli frequentazioni nella capitale dell’isola – per averne un’immagine commemorativa di apprezzabile verità e vitalità espressiva.

nota 1 - M. C. Di Natale, scheda in Il Tesoro nascosto, Palermo 1995, p. 192, ritiene invece che l’opera vada ascritta a e ad Argentiere trapanese degli inizi del XVII.
nota 2 - Mentre le opere sono andate perdute, resta la notizia dei pagamenti che si trovano segnati, sotto gli anni citati, nel Registro di contabilità 1558-1603 (n. 14) dell’ex-Convento carmelitano, oggi presso il Museo regionale Pepoli.
nota 3 - Quest’ultima può desumersi da quanto scrive Claudia Guastella (Ricerche su Giuseppe Alvino ecc., in AA.VV., Contributi alla storia della cultura figurativa nella Sicilia Occidentale tra la fine del XVI e gli inizi del XVII secolo, Palermo, 1985, p. 94, n. 15) circa una rottura fra i Carmelitani e il trapanese Vito Carrera, cui in un primo tempo sembra che l’opera fosse stata affidata.
nota 4 - En passant la tela è stata riprodotta con dubitative attribuzioni al Carrera o alla sua “maniera” da Daniela Scandariato e Maurizio Vitella, in Sant’Alberto degli Abbati, Atti del Convegno, Trapani, 2007.
nota 5 - La tradizione anzidetta, da me raccolta sin dal 1980 circa a seguito di colloqui con Mons. Domenico Amoroso vescovo di Trapani riferisce che il medaglione, raccolto tra gli sfabbricidi nell’immediato dopoguerra, era stato portato in un primo tempo a Valderice, presso la residenza estiva dei Vescovi, e quindi riportato a Trapani, intorno alla data anzidetta, per essere murato nel Palazzo Vescovile dove si conserva tuttora.
nota 6 - Nell’ambito di tale ministero, sembra dopo qualche critica, a testimonianza della sua cultura e del suo zelo teologico, l’Amico scrisse anche un ponderoso trattato, Il Catechismo storico del Concilio di Trento, Palermo, 1742.
nota 7 - Citati e riprodotti da Diana Malignaggi nel suo noto studio su Ignazio Marabitti, in “Storia dell’Arte”, 1974, pp. 74 e ss.

 

Galleria di Immagini

Effemeride - Nibilio Gagini, 1585 c. (?). Testa-reliquiario in argento di Sant'Alberto degli Abbati, Trapani, Convento dei Carmelitani (ph. Enzo Braj). Effemeride - 2. Andrea Di Leo (1549), Nibilio Gagini (1579-1606 ca.), Giuseppe Gagini (1610), Giovanni Zuccaro (1632), Urna reliquiaria argentea di San Gandolfo da Binasco, Polizzi Generosa, Chiesa Madre. Effemeride - Giuseppe Alvino, 1602 c., Sant'Alberto degli Abbati (olio su tela), Trapani, Chiesa del Carmine, (ph. Giuseppe Scuderi). Effemeride - Ignazio Marabitti, 1755 c., Medaglione commemorativo di Giovan Biagio Amico, Trapani, Palazzo Vescovile, (ph. Studio Fundaro'). Effemeride - Francesco Gramignani, Ritratto di Giovan Biagio Amico, antiporta de L’Architetto Prattico, vol. II, 1750.