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in questo numero contributi di Antonio Cuccia, Salvatore Mercadante, Edgard Fiore, Paolo Emilio Carapezza.

codice DOI:10.4413/RIVISTA - codice ISSN: 2038-6133
numero di ruolo generale di iscrizione al Registro Stampa: 2583/2010 del 27/07/2010

Lo Spasimo di Sicilia di Raffaello e la sua fortuna. Diffusione di uno schema iconografico di Salvatore Mercadante

Prendendo in prestito l’espressione del canonico Gioacchino Di Marzo, l’arrivo a Palermo della Salita al Calvario di Raffaello Sanzio da Urbino, meglio noto come Lo Spasimo di Sicilia, rappresentò, senza dubbio, per la produzione artistica locale «un fatto notevolissimo onde l’italiana pittura si era rivelata in Sicilia nel massimo suo splendore».[1]
La travagliata vicenda storica legata alla pala raffaellesca è sufficientemente nota. Tuttavia è opportuno indicare taluni significativi riferimenti di carattere cronologico atti a delineare l’origine dell’opera. A commissionare la pala alla bottega romana del Sanzio fu il munifico doctor utriusque iuris Giacomo Basilicò che, a partire dal 1508, assecondando le disposizioni testamentarie dettate dalla defunta moglie Eulalia Rosolmini, promosse l’elevazione del tempio olivetano dedicato a Santa Maria dello Spasimo nell’antico quartiere della Kalsa, a Palermo.[2]
La realizzazione della tavola, alla quale lavorarono ampiamente anche gli allievi del Sanzio, Giovan Francesco Penni e Giulio Romano,[3] si fa generalmente risalire intorno al 1517. Anno fissato come termine ante quem dalla più antica delle due incisioni a bulino realizzate da Agostino dei Musi – meglio noto come Agostino Veneziano – raffiguranti, seppur con qualche lieve “licenza” rispetto al modello raffaellesco, il tema dello Spasimo di Sicilia.[4]
Come è noto, nel 1573, con la costruzione del bastione dello Spasimo, gli olivetani furono costretti ad abbandonare la loro casa nel rione della Kalsa per trasferirsi nella nuova sede individuata nella chiesa normanna di Santo Spirito, dove lo Spasimo di Sicilia, insieme alla ricca macchina marmorea che lo incorniciava eseguita da Antonello Gagini, trovò la sua nuova collocazione nell’abside maggiore[5] ed ivi rimase fino al 1661 anno in cui, per dirla con Agostino Gallo, «il quadro famoso […] fu rapito indi con male arti da Filippo IV di Spagna alla Sicilia».[6] In merito alla traslazione dell’opera è interessante quanto riporta il perugino abate olivetano Secondo Lancellotti nel Liber Secvundvs della sua Historia Olivetana[7]dove, nel capitolo dedicato al monastero palermitano dell’ordine di Monte Oliveto, ci informa che quando, nel luglio del 1573, la grandiosa pala del Sanzio fu trasferita dal monastero di S. Maria dello Spasimo alla nuova sede degli olivetani in S. Spirito, fu predisposta una processione alla presenza dell’arcivescovo della diocesi e delle autorità del tempo, alla quale partecipò un considerevole numero di fedeli a beneficio dei quali il Pontefice concesse plenissimam delictorum gratiam.[8]
Giunta a Madrid l’opera venne collocata nel 1663 nella Cappella Reale come pala d’altare. Nel 1734 riuscì miracolosamente a sfuggire al rovinoso incendio del Real Alcázar e fu trasferita al Palazzo del Buen Retiro per ritornare successivamente, nel 1772, al Palazzo Reale. Le peregrinazioni della tavola continuarono nel 1813, anno in cui le truppe di Napoleone Bonaparte la portarono a Parigi,[9] dove nel 1816 si operò la sostituzione del supporto materico, trasferendo la pellicola pittorica dalla tavola alla tela, ad opera di François-Toussaint Hacquin e di Feréol de Bonnemaison.[10] Da Parigi il dipinto di Raffaello tornò a Madrid nel 1822.
In merito alla genesi compositiva dello Spasimo di Sicilia, va detto che questa non si sviluppò ex abrupto, al contrario, affonda le sue radici, con tutta evidenza, nella tradizione incisoria di ascendenza nordica. Come osserva Christa Gardner von Teuffel,[11] infatti, è ormai generalmente condivisa la tesi secondo la quale Raffaello abbia guardato alle incisioni recanti il tema della Salita al Calvario inserite nei cicli della Grande Passione (1498 ca.) e della Piccola Passione (1509), realizzati da Albrecht Dürer, (Norimberga, 1471 – ivi, 1528), nonché all’incisione di analogo soggetto eseguita da Martin Shongauer (Colmar, 1448 – Breisach am Rhein, 1491).[12] Va comunque sottolineato come l’opera incisoria del Dürer esercitava generalmente un forte ascendente sulla produzione figurativa italiana e che, in questo senso, il rapporto di scambio tra l’artista tedesco e Raffaello non è da intendersi come un unicum nel panorama artistico di quel tempo. In seno alla presente problematica risultano particolarmente significative, ad esempio, le parole del Vasari in riferimento alla decorazione a fresco delle lunette della Certosa di Firenze eseguite dal Pontormo (Pontorme, 1494 – Firenze, 1556) tra il 1523 e il 1525:

[…] essendo non molto innanzi dell’Alemagna venuto a Firenze un gran numero di carte stampate e molto sottilmente state intagliate col bulino da Alberto Duro, eccellentissimo pittore tedesco e raro intagliatore di stampe in rame e legno, e fra l’altre molte storie Grandi e Piccole della Passione di Gesù Cristo […] pensò Iacopo, avendo a fare ne’ canti di que’ chiostri istorie della Passione del Salvatore, di servirsi dell’invenzioni sopradette di Alberto Duro, con ferma credenza d’aver non solo a soddisfare a se stesso, ma alla maggior parte degli artefici di Firenze; i quali tutti […] predicavano la bellezza di queste stampe e l’eccellenza d’Alberto.[13]

Va ancora sottolineato come l’opera di Raffaello, pur non disdegnando una teatralità piuttosto ricercata, si incastri perfettamente nella rinnovata temperie teologica animata dai dettami dottrinali sanciti dal trattato De Spasmo Beatae Virginis Mariae redatto nel 1506 dal frate domenicano Tommaso De Vio (il Cajetani),[14] fornendo, di fatto, la corretta interpretazione figurativa dello “spasimo” di Maria, protagonista della narrazione pittorica, patito all’incontro col Figlio condotto al martirio.[15]
Che lo schema iconografico dello Spasimo di Sicilia, soprattutto in ambito locale, godette di una assai vasta popolarità è un fatto assai noto. Molti artisti eseguirono meccaniche riproduzioni dell’opera dell’Urbinate, spesso di mediocre qualità, mentre altri si richiamarono liberamente allo schema compositivo. In Sicilia questo fenomeno fu certamente favorito dalla unanimemente riconosciuta fama del Sanzio, sebbene l’opera dell’Urbinate, va detto, non apportò novità degne di nota in riferimento alla poetica pittorica isolana.
Anche Polidoro Caldara da Caravaggio (Caravaggio, 1499/1500 ca. – Messina, 1543 ca.), allievo del Sanzio, per la realizzazione della sua Andata al Calvario (1534 ca.), per la chiesa messinese dell’Annunziata dei Catalani, guardò allo Spasimo di Raffaello. Dato oggi comunemente accettato, soprattutto alla luce della conoscenza dei tre bozzetti preparatori approntati dall’artista lombardo. Tra questi studi, quello proveniente dalla collezione Castellani e oggi conservato a Roma presso i Musei Vaticani è, per caratteristiche compositive, quello che più si avvicina alla tavola palermitana, tanto che Alessandro Marabottini lo definì «praticamente un appunto dallo Spasimo di Sicilia», collocandolo cronologicamente al primo posto. Gli altri due bozzetti si trovano rispettivamente al Museo e Gallerie Nazionali di Capodimonte di Napoli e a Londra, presso la collezione Pouncey.[16]
Ulteriore conferma del fatto che Polidoro da Caravaggio tenne presente nel corso della sua produzione pittorica lo schema compositivo dello Spasimo di Sicilia, è il disegno della Staatsgalerie di Stoccarda di cui ci dà contezza Pierluigi Leone de Castris, opera che si fa risalire intorno al 1532. È del tutto evidente, infatti, come in questo studio, sicuramente finalizzato alla decorazione pittorica di un’abside, l’artista lombardo sviluppi il tema della Salita al Calvario secondo il modello raffaellesco, denunciando comunque anche debiti formali nei confronti della tradizione incisoria nordica, guardando, in particolar modo, alla produzione di Luca di Leida (Leida, 1494 – ivi, 1533).[17]
Ragionando in termini cronologici, la prima opera figurativa che si richiamò esplicitamente allo schema iconografico dello Spasimo di Sicilia fu il cosiddetto Arazzo del cardinal Bibbiena. La realizzazione di quest’opera, commissionata per l’appunto dal cardinale Bernardo Dovizi da Bibbiena (Bibbiena, 1470 – Roma, 1520) si fa comunemente risalire a un periodo compreso tra il 1517 e il 1520, un arco cronologico pressoché aderente a quello che interessò la realizzazione della tavola destinata al convento palermitano dell’ordine benedettino di Monte Oliveto. A comprovare l’attribuzione della committenza porporata sono, alle rispettive estremità degli angoli superiori della cornice esterna dell’arazzo, decorata dal tipico motivo a grottesche, le armi nobiliari della famiglia dei Dovizi, contrassegnate da due cornucopie incrociate e cariche di spighe di grano e, in basso, nella regione mediana della medesima cornice, l’ancor più inequivocabile insegna del cardinal Bibbiena, definita da uno scudo recante le armi dei Dovizi e quelle dei Medici sormontato dal galero cardinalizio. L’opera, tornata nel 1819 in Vaticano grazie all’acquisizione da parte di Papa Pio VII Chiaramonti dopo diversi passaggi di proprietà tra il XVIII e il XIX secolo, presenta dimensioni più contenute rispetto al dipinto di Raffaello e, come osserva Candace Adelson, che ne attribuisce l’esecuzione all’arazziere fiammingo Pieter van Aelst, era plausibilmente destinata ad assolvere alla funzione di pala d’altare.[18]
In seno alla problematica in oggetto, degno di nota è anche l’arazzo eseguito su cartone di Berard van Orley, tra il 1520 e il 1528, recante sempre il tema dell’Ascesa al Calvario. L’opera, oggi conservata presso il Musée Jacquemart-André di Parigi, si richiama, infatti, con evidenza, alla composizione dello Spasimo di Raffaello, sebbene reinterpretandola in chiave fiamminga.[19]
Naturalmente la maggiore diffusione delle copie dell’opera raffaellesca interessò, in modo pressoché capillare, soprattutto la Sicilia, terra che, fino al 1661, si era gloriata di ospitare il dipinto dell’Urbinate. Tuttavia, complice indubbiamente l’ampia circolazione di stampe, non mancarono riproduzioni anche al di là dello Stretto.
Tra le prime copie dello Spasimo di Sicilia è certamente annoverabile l’opera dello spagnolo Johannes (o Joan) de Matta, conservata nella Chiesa Madre di Polizzi Generosa, città nella quale il pittore risiedeva e guidava la sua bottega. Il dipinto presenta al centro, sotto la figura del Redentore, la data (in parte lacunosa) MCCCCC (XX) I, anno che confermerebbe come la realizzazione dello stesso sia avvenuta quasi a ridosso, o comunque in un tempo assai prossimo, dell’arrivo a Palermo del quadro di Raffaello.[20]
Della tavola raffaellesca il palermitano Antonello Crescenzio realizza ben tre versioni di mediocre qualità. Tuttavia la critica è ormai concorde nell’assegnare in larga parte l’esecuzione delle ultime due agli aiuti di bottega. Della più antica di queste copie, datata 1526 e oggi esposta presso la sede del rettorato dell’Università degli Studi di Messina, ci informa Teresa Pugliatti. L’opera, firmata Antonello Panormita,risulta inoltre di grande interesse in seno all’annosa querelle sull’identificazione dell’artista palermitano.[21] Le altre due copie, la prima eseguita nel 1537 e proveniente dalla chiesa del monastero del Fazello di Sciacca, la seconda risalente invece al 1538 ed originariamente collocata presso la chiesa del Carmine di Palermo, e oggi conservata presso la Galleria Regionale della Sicilia di Palazzo Abatellis, erano note anche a Gioacchino Di Marzo per le quali, il canonico palermitano, riservò un giudizio tutt’altro che lusinghiero. Queste le sue parole: «Esistono in fine due cattive copie del famoso Spasimo dell’Urbinate, ch’era allora, siccome è noto, in Palermo e ne fu tolto e trasportato in Ispagna. […] Perocchè in vero entrambe fanno onta a quell’insigne dipinto del Sanzio» e ancora, avallando il giudizio dello Janitschek in merito alla copia del 1538, ne riportò il pensiero dicendo: «Di questa scrisse il Janitschek essere una devastazione di Rafaello alla bizantina, manomettendone il carattere e i tipi e sostituendo un colorito scialbo, smorto, uggioso, cupo, pesante».[22]
Un’altra fedele riproduzione della Salita al Calvario di Raffaello Sanzio si trova a Caltanissetta, dove oggi è esposta presso il locale Museo Diocesano. L’opera, proveniente dalla chiesa nissena di Santa Croce e riconducibile probabilmente alla seconda metà del XVI secolo, presenta una esecuzione piuttosto sommaria. Sempre presso il medesimo museo diocesano si trova conservata un’altra raffigurazione di Cristo che cade sotto la croce di ignoto pittore siciliano, databile intorno alla seconda metà del XVII secolo. L’opera, un olio su tela di dimensioni pressoché contenute fa parte di una serie di quattro pannelli provenienti dal convento dei Cappuccini di Caltanissetta.[23]
Nella chiesa catanese di San Francesco d’Assisi all’Immacolata si conserva una copia dello Spasimo di Sicilia realizzata in controparte su tavola centinata, eseguita nel 1541 da Jacopo Vignerio, pittore appartenente alla cerchia di Polidoro da Caravaggio.[24]
Una delle repliche più fedeli dello Spasimo di Raffaello esistenti in Sicilia, sia in termini di formato che di resa pittorica, è certamente la tavola eseguita dal pittore cremonese Giovanni Paolo Fonduli (o Fondulli), su commissione di Don Carlo d’Aragona Tagliavia per la chiesa di San Domenico a Castelvetrano.[25] Quest’opera fu certamente nota a Orazio Ferraro da Giuliana che nel 1604 realizzò un analogo dipinto per la chiesa mazarese di Santa Veneranda. Quest’ultima opera, di notevole formato, è oggi conservata presso l’Arcivescovado di Mazara del Vallo.[26] E ancora, in Orazio Ferraro l’iconografia dello Spasimo di Sicilia emerge con evidenza nell’affresco raffigurante un’Andata al Calvario realizzata nel 1594 per la cappella della Pietà dell’ex chiesa di S. Lorenzo a Caltabellotta, sebbene la composizioni risulti caratterizzata da un evidente tono popolaresco.[27]
A Gangi nella chiesa del SS. Salvatore si conserva un’ulteriore replica del dipinto raffaellesco la cui attribuzione è genericamente assegnata allo Zoppo di Gangi.[28] Rimanendo ancora in territorio madonita, si segnala a Collesano, presso la basilica di S. Pietro (Chiesa Madre), una copia della metà del XVI secolo, eseguita su tela centinata, dal poco noto pittore di Polizzi Generosa Marco La Vecchia, il quale appone la firma su un cartiglio posto sulla pietra dove il Cristo poggia la mano.[29]
Ennesima copia dello Spasimo di Sicilia, ma dal linguaggio pittorico di marca decisamente dialettale, si conserva nel secondo altare di destra del piccolo santuario del SS. Crocifisso di Papardura ad Enna. L’opera firmata dal quasi sconosciuto pittore locale Benedetto Candrilli e datata 1681, riproduce pressoché meccanicamente la tavola dell’Urbinate.[30]
Un buon numero di riproduzioni dello Spasimo di Sicilia, non solo pittoriche, si trovano ovviamente a Palermo, città che custodì l’originale raffaellesco per quasi un secolo e mezzo. Tra queste si annoverano la replica conservata nella chiesa di San Giorgio in Kemonia, odierna San Giuseppe Cafasso, verosimilmente quella che, nel 1661, andò a sostituire l’originale dopo che quest’ultimo lasciò Palermo;[31] la scadente copia seicentesca custodita presso la piccola chiesa di Santa Maria dei Naufragati;[32] o ancora, la piccola replica conservata in uno dei vani vestibolari dell’oratorio delle Dame o del Giardinello.[33]
Nella Cattedrale di Noto (Siracusa) si conserva una copia ottocentesca dello Spasimo di Sicilia eseguita dal pittore siracusano Raffaello (o Raffaele) Politi (Siracusa, 1783 – Agrigento, 1870). L’opera in questione, figlia anche di un orientamento culturale votato al recupero di un certo accademismo, ricalca meccanicamente la composizione della tavola dell’Urbinate che il Politi osservò in Spagna al fine di realizzare la tela di Noto.[34]
Inoltre il modello iconografico dello Spasimo di Sicilia è stato largamente impiegato dagli artisti locali nella realizzazione del mistero doloroso della Salita al Calvario, solitamente raffigurato nelle grandi pale assieme agli altri misteri collocati entro piccoli riquadri intorno al tema centrale della Madonna del Rosario o in seno a programmi iconografici legati alla decorazione di aule oratoriali. Anche fuori dal contesto territoriale siciliano lo schema iconografico dello Spasimo di Sicilia riscontrò una certa fortuna, dovuta principalmente alla circolazione delle stampe che veicolarono il soggetto. Ne sono esempi la riproduzione cinquecentesca conservata nella chiesa parrocchiale di Sant’Erasmo a Formia (Latina);[35] la coeva tavola conservata al MUS’A di Sassari, attribuita ad un pittore appartenete alla cerchia del cosiddetto Maestro d’Ozieri,[36] o la fedele replica ottocentesca conservata nella chiesa parrocchiale della Cattedra di San Pietro in Antiochia a Marcellise, frazione di San Martino Buon Albergo (Verona), realizzata da Giovan Battista Caliari (Verona, 1802 – ivi, 1850).[37] Degne di nota sono ancora due maioliche policrome databili entrambe intorno al 1525. La prima, realizzata dal cosiddetto “monogrammista FR” (forse Francesco Xanto Avelli), si conserva presso il Victoria and Albert Museum di Londra; l’altra, attribuita ad una personalità artistica legata alla cerchia di Nicola da Urbino, è esposta al Museo Internazionale delle Ceramiche di Faenza. Nell’oratorio di San Filippo Neri di Alcalà de Henares, in Spagna, si conserva la bella copia dello Spasimo di Sicilia realizzata su tela centinata dal pittore Giuseppe Sirena intorno al 1585 e inviata, su commissione del viceré conte di Albadelista, da Palermo a Madrid.[38] Sempre in terra iberica si segnalano la replica realizzata da Juan Carreño de Miranda (Avilés, 1614 – Madrid, 1685) nel 1674 e custodita a Madrid presso la Reale Accademia di Belle Arti di San Fernando[39] e la piccola copia settecentesca, dalle linee dozzinali, conservata presso la sala capitolare della Cattedrale di Pamplona.[40] Tuttavia va sottolineato che lo schema iconografico dello Spasimo di Sicilia era comunque già noto in Spagna ben prima che l’opera raggiungesse Madrid. A conferma di ciò si noti il retablo della chiesa parrocchiale di Santa Margherita de La Aliseda de Tormes (località situata nei pressi di Avila) dove, nel registro superiore dell’opera, è raffigurata una Andata al Calvario realizzata intorno al 1550 dal pittore spagnolo Francisco Gonzàlez secondo le inequivocabili linee compositive dettate dalla pala raffaellesca. Di Francisco Gonzàlez si hanno notizie, secondo quanto riporta Jesús María Parrado del Olmo, dal 1520 al 1557.[41]
Per molti artisti, non solo locali, lo schema iconografico dello Spasimo di Sicilia rappresentò un valido modello di riferimento cui richiamarsi, più o meno liberamente, per la realizzazione del tema dell’Andata al Calvario, (soprattutto in riferimento all’episodio dell’incontro con la Veronica) complice certamente, si è detto, la larga circolazione di stampe che ne diffusero il soggetto.
Soffermandoci in ambito siciliano il fiammingo Simone de Wobreck (nato ad Harlem nella prima metà del XVI secolo e giunto a Palermo nel 1558) realizza due tavole recanti il tema della caduta di Cristo lungo la Via Dolorosa. La prima, proveniente dalla chiesa di San Francesco d’Assisi a Caccamo è attualmente conservata nel vano d’accesso alla sagrestia della chiesa madre di San Giorgio Martire della medesima cittadina; la seconda è conservata in una cappella della navata di destra della Chiesa Madre di Ciminna intitolata a Santa Maria Maddalena. In entrambe le opere il Wobreck guarda alla composizione della pala dell’Urbinate.[42]
Un’ulteriore libera interpretazione del modello raffaellesco è quella che si trova affrescata su una parete del refettorio dell’ex Collegio dei PP. Gesuiti di Salemi. Secondo quanto scrive Cammarata (che riporta le parole del gesuita e storico locale del XVIII secolo Giuseppe Stanislao Cremona), autore dell’opera, eseguita nel 1667, fu tale Pier Francesco Ferrasiti che, nella volta, affrescò anche il trionfo di Cristo e di Maria tra figure di angeli e santi.[43] Tuttavia, Cataldo indica come autore di quest’ultima opera il pittore bolognese Pier Francesco Ferrante, riconducendola sempre al 1667.[44] Forse si tratta dello stesso Francesco Ferrante, seguace del celebre Guido Reni, citato nelle Vite de’ pittori Messinesi del Susinno[45] e nelle Memorie de’ pittori Messinesi di Giuseppe Grosso Cacopardo.[46]
Fuori dal contesto isolano, Giorgio Vasari realizza intorno al 1570-71 una Andata al Calvario per l’altare Buonarroti della basilica di Santa Croce di Firenze. Anche quest’ultima opera, annoverata da Paola Barocchi tra i dipinti minori dell’Aretino, tradisce nella composizione taluni debiti formali nei confronti dello Spasimo di Sicilia.[47]
Altri esempi di questa tendenza, tipica dell’arte della Maniera, sono riscontrabili nell’Andata al Calvario eseguita da Benvenuto Tisi detto il Garofalo (Ferrara?, 1481 – ivi, 1559) tra il 1531 e il 1537 per la chiesa conventuale del distrutto monastero (1823) di San Berardino in Ferrara[48] (custodita oggi all’Hermitage Museum di San Pietroburgo); nel dipinto di analogo soggetto realizzato dal pittore assisiate Dono Doni (Assisi, inizi XVI secolo – ivi, 1575) per la Chiesa Cattedrale dei Santi Mariano e Giacomo di Gubbio (PG);[49] nella pala eseguita da Federico Zuccari (Sant’Angelo in Vado, 1540 ca. – Ancona, 1609) per la cappella Olgiati nella basilica romana di Santa Prassede;[50] o, nella medesima chiesa, nell’affresco realizzato dal pittore fiorentino Giovanni Balducci detto il Cosci (Firenze, 1560 ca. – Napoli, 1631) e già segnalato da Maria Antonietta Spadaro come un’opera che si richiama con evidenza al dettato raffaellesco.[51]
L’impianto iconografico dello Spasimo di Sicilia ottenne una larga fortuna nella produzione pittorica di Jacopo Dal Ponte detto il Bassano (Bassano del Grappa, 1510 ca. – ivi, 1592). Diverse sono, infatti, le Andate al Calvario realizzate dall’artista veneto secondo il modello della pala palermitana, come ben testimoniano, ad esempio: il Cristo che cade sotto la croce conservato a Londra presso la Matthiesen Gallery, risalente al 1536-37;[52] l’Ascesa al Calvario eseguita intorno al 1543-44 e oggi custodita a Cambridge, presso il Fitzwilliam Museum;[53] o ancora l’opera di analogo soggetto eseguita intorno al 1547 per il convento di San Giovanni a Bassano del Grappa e attualmente facente parte della collezione Christie a Glyndebourne, Lewes.[54]
La fortunata diffusione dello schema iconografico dello Spasimo di Sicilia non si limitò, tuttavia, al solo ambito pittorico, ma, al contrario, visse una discreta diffusione anche in seno alle arti plastiche, a cominciare dal largo impiego che ne fece la prolifica bottega gaginiana.
Presso il Museo Diocesano di Palermo nella sala di Antonello Gagini e della scultura del Cinquecento, ad esempio, si conserva un doppio rilievo raffigurante una Elevazione della Croce e un’Andata al Calvario, quest’ultima quasi un’autentica trasposizione marmorea del testo raffaellesco. Stando a quanto riporta il Di Marzo, i due rilievi del Diocesano provengono presumibilmente dalla primigenia cappella del SS. Crocifisso della Cattedrale di Palermo, dove, secondo l’intuizione del canonico, vennero collocate a seguito di un ripensamento in seno ai lavori che riguardarono la realizzazione dell’apparato decorativo della tribuna del medesimo duomo palermitano. Queste le parole del religioso:

Consta intanto del sommo Antonello avere dinanzi scolpito per la parte inferiore nel fondo della tribuna del duomo stesso due storie dello Spasimo e della Sepoltura di Cristo, le quali poscia egli tolse, sostituitene altre del Transito ed Assunzione di Nostra Donna sotto la statua di essa recata in cielo dagli angeli. Notando quindi l’Auria, l’Amato ed il Mongitore come opere di quel sommo due storiette della salita al Calvario (comunemente in Sicilia intesa lo Spasimo) e del Cristo deposto dalla croce, esistenti nella cappella del Crocifisso e distinte dalle due altre de’ soggetti medesimi, che ivi facevan parte del cennato arco di marmo, sembra dacciò lecito il sospettare, che le cennate due storie scolpite da Antonello e non più indi servite alla decorazione della tribuna siano state le stesse, che furono poi locate nella cappella anzidetta […].[55]

Un’altra formella che traduce in scultura lo Spasimo di Raffaello si trova allocata nell’odierno altare del SS. Crocifisso del duomo palermitano. Anche questo rilievo, come i precedenti, proviene dalla primigenia cappella del SS. Crocifisso e faceva parte del gruppo di sedici pannelli a rilievo realizzati tra il 1557 e il 1565 da Fazio (Palermo, 1520 – ivi, 1567) e Vincenzo Gagini (Palermo, 1527 – ivi, 1595) per la decorazione dell’arco che incorniciava l’altare del Crocifisso nella suddetta cappella.[56] L’iconografia dello Spasimo di Sicilia fu impiegata dalla bottega dei Gagini anche a Randazzo per la decorazione plastica della custodia del SS. Sacramento della chiesa di San Nicola di Bari (Antonello Gagini, 1524 ca.);[57] ad Alcamo, in un rilievo della custodia eucaristica della chiesa del SS. Salvatore o della Badia Grande (Antonino Gagini e Baldassarre Massa, 1554 ca.);[58] e a Palermo in una formella della cona marmorea della chiesa di Sant’Antonio Abate (Antonino Gagini, 1557 ca.).[59]
Anche il noto stuccatore palermitano Giacomo Serpotta (Palermo, 1656 – ivi, 1732), certamente memore della lezione dei Gagini, sviluppò il tema iconografico della caduta di Cristo sotto la croce secondo le note linee compositive sancite dall’illustre dipinto dell’Urbinate. Un primo esempio si riscontra nella chiesa palermitana del Carmine Maggiore e, precisamente, nell’altare del SS. Crocifisso, collocato nel braccio destro del transetto, dove, tra il 1683 e il 1684, il giovane plasticatore palermitano lavorò su committenza del frate carmelitano Angelo La Rosa assieme al fratello maggiore Giuseppe Serpotta.[60] E ancora, nell’oratorio del SS. Rosario in Santa Cita a Palermo, Giacomo Serpotta realizza, in uno dei suoi celebri teatrini, il mistero doloroso dell’Andata al Calvario, impiegando, nuovamente, lo schema compositivo dello Spasimo di Sicilia.[61]
Tra il 1698 e il 1722, Gioacchino Vitagliano (o Vitaliano) realizza per la cappella del SS. Rosario nella chiesa palermitana di Santa Cita dieci rilievi raffiguranti i misteri del dolore. Tra questi, ad impreziosire la cappella, la cui decorazione è caratterizzata da un’autentica profusione di marmi mischi e tramischi, è anche il mistero dell’Andata al Calvario che reinterpreta, attraverso la mediazione serpottiana, il modello raffaellesco.[62] Allo stesso modo Ignazio Marabitti scolpisce, intorno al 1780, il rilievo marmoreo con il Cristo e la Veronica contenuto all’interno della cappella dell’Ecce Homo della basilica di San Francesco d’Assisi a Palermo.[63]
Fuori dall’ambito locale è possibile riscontrare nella porta di destra della facciata del duomo di Pisa, la cosiddetta Porta della Passione, una formella recante il tema dell’Andata al Calvario (o l’Incontro di Cristo con la Veronica) realizzato, sempre secondo uno schema compositivo liberamente improntato al modello raffaellesco, dallo scultore francese Pietro Francavilla (Cambrai, 1553 – Parigi, 1615).[64] E ancora, un interessante rilievo ligneo recante il tema dell’Andata al Calvario accomunabile, per la composizione, allo Spasimo di Raffaello, è inserito nella cosiddetta Ancona della Passione, opera proveniente dalla chiesa parrocchiale di San Giorgio ad Annone Brianza (LC) e conservata dal 2001 presso il Museo Diocesano di Milano.[65]
Il fortunato schema iconografico dello Spasimo di Sicilia esercitò una grande influenza anche in seno alla produzione artistica a carattere pietistico-devozionale, andando non di rado a costituire il modello di riferimento per la diffusa produzione di gruppi processionali (solitamente realizzati per riti legati alla Settimana Santa) o, generalmente, per la realizzazione della stazione della Via Crucis, raffigurante la seconda caduta di Cristo lungo la Via Dolorosa. Di questa tendenza ne è un chiaro esempio il cosiddetto Gruppo del Popolo, uno dei simulacri polimaterici realizzati intorno al XVII secolo per la nota processione dei Misteri di Trapani e ricoverati durante tutto l’anno presso la locale chiesa delle Anime del Purgatorio. Tuttavia, l’attuale raffigurazione del Salvatore è opera di Antonio Giuffrida che, nel 1903, sostituì il Cristo realizzato intorno alla seconda metà del XIX secolo dallo scultore ericino Pietro Croce.[66] Nella chiesa di San Giuliano di Erice (TP) si conservano quattro gruppi processionali raffiguranti altrettanti distinti momenti della Passione di Cristo, già collocati nella locale chiesa di Sant’Orsola. Tra questi è anche il mistero con l’Ascesa al Calvario, attribuito alla bottega dei Nolfo (XVIII secolo) e riconducibile anch’esso, come l’analogo mistero di Trapani, all’iconografia dello Spasimo di Raffaello.[67]
Anche nella Sicilia Orientale il tema dell’Ascesa al Calvario secondo il motivo raffaellescotrova una sua diffusione in ambito pietistico-devozionale. È questo il caso del gruppo processionale conservato nella chiesa di Santa Maria della Consolazione a Scicli (RG). L’opera, di autore ignoto, si fa risalire al 1574 e rappresenta il momento della caduta di Cristo sulla via del Calvario e dell’incontro di questi con le pie donne.[68]
I tradizionali riti legati alla Settimana Santa ebbero un grande sviluppo anche in Spagna dove, ad essere portati in processione, sono i cosiddetti pasos (gruppi processionali). Tradizione, quest’ultima, giunta sino ai nostri giorni. Di particolare rilievo, in seno alla problematica in oggetto, è il cosiddetto Paso del Camino del Calvario (Andata al Calvario) opera realizzata nel 1614 dallo scultore spagnolo Gregorio Fernández (Sarria, 1576 – Valladolid, 1636) e custodita presso il Museo Nazionale della Scultura di Valladolid.[69] L’impostazione del gruppo processionale, infatti, è riconducibile allo schema iconografico dello Spasimo di Sicilia, la cui composizione era assai nota, grazie all’ampia circolazione di stampe, ancor prima che l’opera raggiungesse la Spagna (1661).
Un altro interessante paso raffigurante la caduta di Cristo lungo la Via Dolorosa (La Caìda) è quello realizzato dallo scultore di origini napoletane Francisco Salzillo (Murcia, 1707 – ivi, 1783) per la confradìa de Jesùs (confraternita del Gesù) di Murcia.[70] L’opera, eseguita nel 1752, è contrassegnata da un forte realismo e, sebbene guardi al tradizionale schema iconografico di raffaellesca memoria, la composizione è pressoché libera.
A conclusione della presente rassegna, certamente di carattere non esaustivo, è stato possibile ravvisare come lo schema iconografico dello Spasimo di Sicilia visse, soprattutto in ambito locale, una vastissima fortuna, ponendosi di fatto a modello del generico tema dell’Andata< al Calvario.

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1 G. Di Marzo, La pittura in Palermo nel Rinascimento. Storia e documenti, Alberto Reber, Palermo 1899, p. 274.

2 M.A. Spadaro, Il complesso dello Spasimo e l’altare di Antonello Gagini, in Vincenzo degli Azani da Pavia e la cultura figurativa in Sicilia nell’età di Carlo V, catalogo della mostra (Palermo, chiesa di Santa Cita 21 settembre – 8 dicembre 1999) a cura di T. Viscuso, Ediprint, Siracusa 1999, pp. 40, 41.

3 M.A. Spadaro, Raffaello e lo Spasimo di Sicilia, Accademia di Scienze Lettere ed Arti di Palermo, Palermo 1991, p. 9.

4 C. Gardner von Teuffel, Lo Spasimo di Sicilia (scheda dell’opera), in Raffaello in Vaticano, catalogo della mostra (Città del Vaticano - Braccio di Carlo Magno, 16 ottobre 1984 - 16 gennaio 1985), Electa, Milano 1984, pp. 276, 277.

5 M.A. Spadaro, Il complesso dello Spasimo…, 1999, p. 45.

6 A. Gallo, Sopra un famoso quadro di Raffaello Sanzio esposto nel tempio dell’Olivella degli ex PP. Filippini in Palermo. Storia, Prove ed Illustrazioni, Tipografia via dell’Università n. 44, Palermo 1871, p. 26.

7 Stampata a Venezia presso la tipografia Gueriliana nel 1623.

8 S. Lancellotti, Historia Olivetana. Liber Secvndvs, Venetiis ex typographia Gueriliana 1623, p. 325.

9 C. Gardner von Teuffel, Lo Spasimo…, 1984,p. 272.

10 R.A. González Mozo, R. Alonso Alonso, Reflexión ante la restauración del “Pasmo de Sicilia”, in “Boletín del Museo del Prado”, Vol. 29, N. 47, 2011, ISSN 0210-8143, https://www.museodelprado.es/uploads/tx_gbboletinobras/104-119_Mozo.pdf, aprile 2015, p. 109.

11 C. Gardner von Teuffel, Lo Spasimo…, 1984, p. 276.

12 T. Pugliatti, Lo Spasimo di Raffaello, la sua influenza ed alcuni umori di marca iberica nella pittura palermitana del Cinquecento, in Vincenzo degli Azani…, 1999, p. 49.

13 G. Vasari, Le Vite de’ più eccellenti Pittori, scultori ed architettori scritte da Giorgio Vasari Pittore Aretino con nuove annotazioni e commenti di Gaetano Milanesi, tomo VI, C. G. Sansoni Editore, Firenze (1568) 1881, p. 266.

14 A. Cossio, Il Cardinale Gaetano e la Riforma, Tipografia Giovanni Fulvio, Cividale 1902, p. 74.

15 C. Gardner von Teuffel, Lo Spasimo…, 1984, p. 275.

16 A. Marabottini, Polidoro da Caravaggio, Edizioni dell’Elefante, Roma 1969, vol. I, pp. 181, 182.

17 P. Leone de Castris, Polidoro da Caravaggio. L’opera completa, Electa Napoli, Napoli 2001, p. 381.

18 C. Adelson, La Salita al Calvario (scheda dell’opera), in Raffaello in Vaticano…, 1984, pp. 277-280.

19 M.W. Ainsworth, Christ Carrying the Cross (scheda dell’opera), in Tapestry in the Renaissance. Art and Magnificence, catalogo della mostra (New York, 12 marzo – 19 giugno 2002) a cura di T.P. Campbell, New York, 2006, p. 304.

20 V. Abbate, Johannes de Matta. Lo Spasimo di Sicilia (scheda dell’opera), in Vincenzo degli Azani…, 1999, p. 336.

21 T. Pugliatti, Lo Spasimo…, 1999, p. 52.

22 G. Di Marzo, La pittura in Palermo…, 1899, p. 152.

23 S. Grasso, I dipinti (secoli XVI-XVII), in Il museo diocesano di Caltanissetta, a cura di S. Rizzo, A. Bruccheri, F. Ciancimino, Salvatore Sciascia Editore, Caltanissetta 2001, pp. 78, 79

24 T. Pugliatti, Lo Spasimo…, 1999, p. 52.

25 E. De Castro, Giovanni Paolo Fonduli. Andata al Calvario – Lo Spasimo di Sicilia (scheda dell’opera), in Vincenzo degli Azani…, 1999, p. 439.

26 F. Dell’Utri, Vincenzo Ruggeri. Pittore siciliano del XVII secolo, Edizione Lussografica, Caltanissetta 2004, p. 80.

27 A.G. Marchese, I Ferraro da Giuliana. Orazio pittore, Athena, Palermo 1981, p. 15.

28 M.R. Chiarello, Lo Zoppo di Gangi, ILA Palma, Palermo 1975, p. 84.

29 R. Termotto, Collesano guida alla Chiesa Madre. Basilica di S. Pietro, Notiziario Parrocchiale Insieme, Collesano 2010, p. 86.

30 R. Lombardo, Il Santuario del SS. Crocifisso di Papardura. Fra leggenda e storia, arte e devozione, Fontana, Campobello di Licata 2001, pp. 85-87.

31 S. Grasso, Le arti figurative, in La chiesa di San Giorgio in Kemonia in San Giuseppe Cafasso – contesti, cronache e committenze, Abadir, Bagheria 2009, p. 162.

32 S. Tedesco, Lo Spasimo di Sicilia (scheda dell’opera), in Le Confraternite dell’Arcidiocesi di Palermo a cura di M.C. Di Natale, Edi Oftes, Palermo 1993, p. 150.

33 M.A. Spadaro, Raffaello…, 1991, pp. 22-23.

34 N. Zappulla, La Cattedrale di Noto, Edizioni La Cattedrale, Noto 1967, p. 70; G. Barbera, Andata al Calvario (scheda dell’opera), in Opere d’arte restaurate nelle provinvie di Siracusa e Ragusa IV (1993-1995), a cura di G. Barbera, Ediprint, Siracusa 1997, pp. 98-99.

35 M.A. Spadaro, Raffaello…, 1991, p. 16.

36 http://www.pinacotecamusa.it/index.php?module=dbsimple&idrec=367&idc= aprile 2015.

37 G. Aldegheri, R. Alloro, Seicento Anni. Una storia della chiesa e della gente di Marcellise. Quaderni per una storia della Chiesa Parrocchiale della Cattedra di San Pietro in Antiochia di Marcellise, Bovolone 2010, p. 33.

38 R.A. González Mozo, R. Alonso Alonso, Reflexión…, 2011, p. 107.

39 Ibidem.

40 P.L. Echeverrìa Goñi, Presencia de Rafael, Miguel Ángel y otros maestros renacentistas en la catedral de Pamplona a través del grabado y de la copia, Cuadernos de la Cátedra de Patrimonio y Arte Navarro, in “Cuadernos de la Cátedra de Patrimonio y Arte Navarro”, n. 1, Cátedra de Patrimonio y Arte Navarro, Universidad de Navarra, 2006, LINK, aprile 2015.

41 J.M. Parrado del Olmo, El pintor Francisco González, in “Boletín del Seminario de Estudios de Arte y Arqueología”, Tomo 44, 1978, ISSN 0210-9573, pp. 227-229, http://dialnet.unirioja.es/servlet/articulo?codigo=2691224, marzo 2015.

42 T. Pugliatti, Pittura della Tarda Maniera nella Sicilia occidentale (1557-1647), Kalós, Palermo 2011, pp. 38, 39.

43 P. Cammarata, Il castello e le campane. Storia, arte, tradizioni di Salemi, Sellerio, Palermo 1993, p. 78.

44 C. Cataldo, Guida storico-artistica dei beni culturali di Alcamo, Calatafimi, Castellammare del Golfo, Salemi, Vita, Sarograf, Alcamo 1982, p. 167.

45 F. Susinno, Le Vite de’ Pittori Messinesi (1724), a cura di V. Martinelli, Le Monnier, Firenze 1960, p. 201.

46 G. Grosso Cacopardo, Memorie de’ pittori messinesi e degli esteri che in Messina fiorirono dal secolo XII sino al secolo XIX, Giuseppe Pappalardo, Messina 1821, p. 182.

47 P. Barocchi, Vasari Pittore, Barbera Editore, Milano 1964, pp. 62, 67.

48 L.N. Cittadella, Benvenuto Tisi da Garofalo. Pittore Ferrarese del secolo XVI, Domenico Taddei e figli Editori, Ferrara 1872, pp. 41, 42.

49 M. Guardabassi, Indice-Guida dei Monumenti Pagani e Cristiani riguardanti l’Istoria e l’Arte esistenti nella Provincia dell’Umbria, G. Boncompagni e C., Perugia 1872, p. 103.

50 D. Angeli, Le chiese di Roma. Guida storica e artistica delle basiliche, chiese e oratorii della città di Roma, Società editrice Dante Alighieri, Società Editrice Dante Alighieri, Roma 1903, p. 515.

51 M.A. Spadaro, Raffaello…, 1991, p. 12.

52 W.R. Rearick, Vita ed Opere di Jacopo Dal Ponte, detto Bassano c. 1510-1592, in Jacopo Bassano c. 1510-1592, catalogo della mostra (Bassano del Grappa, Museo Civico 5 settembre – 6 dicembre 1992; Fort Worth, Texas, Kimbell Art Museum 23 gennaio – 25 aprile 1993) a cura di B.L. Brown, P. Marini, Nuova Alfa, Bologna 1992, p. LXV.

53 G. Ericani, Andata al Calvario (scheda dell’opera), in Jacopo Bassano…, 1992, p. 32.

54 W.R. Rearick, Vita ed Opere…, 1992, pp. XCV, XCVI.

55 G. Di Marzo, I Gagini e la scultura in Sicilia nei secoli XV e XVI, Tipografia del Giornale di Sicilia, vol. I, Palermo 1880, pp. 506, 507.

56 H.W. Kruft, Antonello Gagini und seine Söhne, Verlag F. Bruckmann, München 1980, fig. 515 kat. 3, p. 436.

57 G. Di Marzo, I Gagini…, 1880, pp. 556, 557; si veda anche H.W. Kruft, Antonello Gagini…, 1980, fig. 515 kat. 3, p. 436.

58 G. Di Marzo, I Gagini…, 1880, pp. 482, 483.

59 A. Giuliana Alajmo, Un’opera sconosciuta di A. Gagini. La “cona” marmorea nella parrocchia di S. Antonio Abate in Palermo, Tipografia Pontificia, Palermo 1948, p. 4; si veda anche A. Mazzè, Le Parrocchie, Flaccovio, Palermo 1979, p. 186 e H.W. Kruft, Antonello Gagini…, 1980, fig. 487, kat. 15, p. 433.

60 F. Meli, Secondo centenario Serpottiano 1732-1932. Giacomo Serpotta: La Vita e le Opere, Ciuni, Palermo 1934, pp. 138, 139.

61 P. Palazzotto, Palermo. Guida agli Oratori, Kalós, Palermo 2004, p. 238; si veda anche P. Palazzotto, L’Oratorio del SS. Rosario in S. Cita. Storia e Arte, in G. Pecoraro, P. Palazzotto, C. Scordato, Oratorio del Rosario in Santa Cita, Centro S. Mamiliano, Palermo 1999, pp. 23, 25.

62 G. Mendola, La chiesa di Santa Zita, in La Chiesa di Santa Cita. Ritorno all’antico Splendore, a cura di M.C. Di Natale, Centro S. Mamiliano, Palermo 1998, p. 49.

63 D. Malignaggi, Ignazio Marabitti, in “Storia dell’Arte”, n. 17, 1974, p. 46.

64 C. Casini, Facciata. Livello inferiore. Sesta arcata. Bottega di Domenico Portigiani (1536-1601) e collaboratori. Porta di destra detta “della Passione” (1596-1603) (scheda dell’opera), in Il Duomo di Pisa, a cura di A. Peroni, Franco Cosimo Panini, Modena 1995, pp. 351, 352.

65 R. Casciaro, Ancona della Passione (scheda dell’opera), in Museo Diocesano, a cura di P. Biscottini, Electa,Milano2011, pp. 154-156.

66 L. Novara, I gruppi processionali di Trapani, in Legno, tela &… La scultura polimaterica trapanese tra Seicento e Novecento, a cura di A. Precopi Lombardo, P. Messana, Meeting Point, Erice, 2011, p. 143; l’opera del Croce è conservata oggi nella chiesa trapanese di Santa Maria di Gesù.

67 M. Vitella, Erice: i gruppi processionali per il Venerdì Santo, in Legno, tela &…,2011,p. 155.

68 S. Rapisarda, Scultura lignea del Valdinoto: dalla Piana di Catania al comprensorio ibleo, in Manufacere et scolpire in lignamine. Scultura e intaglio in legno in Sicilia tra Rinascimento e Barocco, a cura di T. Pugliatti, S. Rizzo, P. Russo, Giuseppe Maimone, Catania 2012, p. 511.

69 A. Saint-Saëns, Art and faith in tridentine Spain (1545-1690), Peter Lang Pub Inc, New York 1995, p. 68.

70 M.P. Sànchez, El triunfo de lo sensible: los pasos de la procesiòn del Viernes Santo en Murcia (España), in Legno, tela &…, 2011, p. 109.

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Temi di Critica - numero 12

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