teCLa :: Rivista

in questo numero contributi di Antonio Cuccia, Elvira D'Amico, Alessandra Carrubba, Giuseppe Pucci, Claudia Latino.

codice DOI:10.4413/RIVISTA - codice ISSN: 2038-6133
numero di ruolo generale di iscrizione al Registro Stampa: 2583/2010 del 27/07/2010

Le fontane del Museo “Salinas” di Palermo: oblio e riutilizzo di due vasche monumentali di Alessandra Carrubba

Il presente lavoro intende approfondire una precedente trattazione riguardante le due fontane che oggi adornano i chiostri di quella che già fu la Casa all’Olivella dei Padri Filippini di Palermo, e che è oggi sede del Museo Archeologico Regionale “Antonino Salinas”.[1]
In quell’articolo erano state analizzate le sculture che costituiscono la parte decorativa delle due fontane: quella più grande, ospitata nel chiostro maggiore, è il risultato di un assemblaggio di piccole statue in marmo, di autore ignoto, riproducenti alcune figure infantili dalla forte valenza simbolica; l’altra, più piccola, collocata al centro del chiostro minore (attuale ingresso al Museo), riproduce un Glauco che suona la buccina. Si tratta di un’opera scultorea di pregevole fattura e di ricco portato iconografico (la storia del mitico pescatore della Beozia, insieme alla presenza della conchiglia e dei delfini, rimanda all’eterna vicenda di morte e rinascita universale), in passato ricondotta all’attività palermitana di Camillo Camilliani, ma ormai da tempo riconosciuta come opera del manierista fiorentino Battista Lorenzi.[2]
La statua del Glauco apparteneva ad una delle fontane del giardino pensile che intorno al 1600 venne piantumato sul piano del baluardo di San Pietro al Palazzo Reale di Palermo: dopo il 1750 il bastione perde la sua importanza come struttura difensiva e diventa un elegante giardino alla francese, arricchito da un parterre di viali ortogonali e dalla presenza di fontane. In seguito allo sconvolgimento del giardino a causa dei moti rivoluzionari del 1848, la statua sarà ricoverata presso le scuderie reali e nel 1879 sarà concessa in via definitiva dalla Real Casa al Museo Nazionale di Palermo,[3] grazie alla tenacia del suo direttore Antonino Salinas, che proprio in quegli anni lamentava lo squallido stato in cui versavano i due chiostri interni all’edificio dell’Olivella.
Intendo adesso dimostrare come, fino ad una certa data, i due atri dell’edificio fossero privi delle attuali fontane; lo stessa statua del Glauco, che abbiamo visto trasferita al Museo alla fine degli anni ‘70 dell’Ottocento, risultava affatto valorizzata esposta com’era su di “un rozzo piedistallo” che il Salinas,[4] nominato alla direzione del Museo Nazionale dal 1873, riuscì a fare ricoprire, in un primo tempo, di piante ornamentali,[5] per poi successivamente ottenere le due vasche che a tutt’oggi ospitano le fontane del Museo.[6]
Riprendendo l’assunto finale del mio precedente lavoro di ricerca, sostengo adesso la tesi che entrambe le fontane siano da intendere come un caso di assemblaggio e di riuso funzionale, scenograficamente ambientato nel cuore dello spazio dei due cortili porticati attorno ai quali si articolava l’antico Convento filippino, nonché, a partire dal 1866, il neo-nato Regio Museo Nazionale.[7] Un suggestivo parallelismo con cui il curatore museale dell’epoca sembrò volere ribadire, proprio nella parte più intima e pulsante dell’edificio, il passaggio della sua destinazione d’uso da sacra, come assorto spazio di meditazione, a profana: un ambiente museale con nuove esigenze da soddisfare, come quella di arricchire gli spazi esterni che potevano così a creare una cesura, un momento di intervallo nel percorso di visita alle collezioni.
Ad una simile riproposizione non dovette essere estraneo il ricordo dell’idea barocca, così permanente nell’inconscio collettivo siciliano, che vuole rinnovare lo spettacolo vitale della natura attraverso fontane e teatri d’acqua, fin dall’antichità considerati sorgenti di rigenerazione per corpo e spirito. Attraverso la fontana la natura arriva in città, con l’acqua e gli animali che ad essa sono legati, formando mirabili “composti” di pietra, aria e acqua: il Glauco ospitato nel chiostro minore del Museo è un caso emblematico di questa suggestione, tanto più perché l’atto del suonare la conchiglia compiuto dal personaggio mitico, rinvia al suono dell’acqua che, fuoriuscendo dalla scultura, si trasforma in aria e musica.
Presso gli archivi del Museo troviamo oggi scarne notazioni archivistiche riferite con certezza alle due fontane. La statua del Glauco, definito “Tritone”, è segnalato al n. 1148 del “Vecchio Catalogo della Scultura” con questa essenziale descrizione: Tritone in marmo; parte del braccio colla brogna è di gesso. Secolo XVI – Dal Palazzo Reale di Palermo.
Molti interrogativi rimangono senza risposta, primo fra tutti quello sostanziale della provenienza delle vasche che oggi accolgono le sculture: due vasche identiche, tranne che per le misure (che, come si vedrà oltre, sono significativamente corrispondenti l’una al doppio dell’altra), di forma ottagonale, in calcare grigio di Billiemi, scolpito e messo in opera a grossi blocchi dal profilo mistilineo, di chiara concezione barocca.
Molteplici fattori della loro configurazione ne rendono interpretabile l’esecuzione e la provenienza come affatto pertinenti all’ambito filippino. Intanto lo sviluppo dimensionale delle due vasche non risulta congruo a quello dei due cortili che oggi le ospita, né alle sculture che trovano collocazione al loro interno. Inoltre, gli scudi araldici scolpiti su quattro degli otto lati di ciascuna vasca, riportano, all’interno di un campo ovato, l’aquila coronata effigiata ad ali spiegate, simbolo del Senato palermitano: dunque, come primo indizio, si deduce che le due vasche vennero commissionate da un soggetto pubblico e che la loro originaria funzione fosse stata di arredo urbano, esterno alla Casa conventuale degli Oratoriani.
Le fonti coeve testimoniano ampiamente come la città di Palermo, capitale del viceregno spagnolo, andasse fiera del suo decoro urbano, cui contribuivano le ricche opere di pubblica utilità commissionate dal potente Senato cittadino, avvalendosi della progettazione dei migliori artisti e architetti contemporanei attivi in Sicilia e nella penisola.

Situazione delle acque a Palermo

Fonti e fontane costituirono uno dei capitoli più importanti della definizione urbanistica della Palermo del passato. La situazione dell’approvvigionamento idrico fu costantemente un impegno prioritario per l’autorità cittadina: sorgenti, pozzi, corsi d’acqua, fiumi e fontane costituivano a Palermo una rete fitta e ben distribuita sul territorio.
Il marchese di Villabianca dedica ben due opere al tema,[8] testimoniando l’alacre opera di costruzione di fontane artistiche concepite per dissetare e abbellire la città; uno slancio costruttivo non destinato a trovare continuazione nel secolo XIX, che assisterà infatti all’abbandono o alla distruzione di molte delle antiche fontane pubbliche cittadine.[9] Così il Villabianca scriveva aprendo il capitolo Fiumi e teste d’acqua: «per abbondanza di acque in verità può dirsi primeggiare Palermo su qualsivoglia altra città del mondo, che portisi l’istesso vanto di abbondarne».[10] L’elenco che il nobile studioso ci fornisce documenta una particolare ricchezza di fonti che consentiva l’alimentazione delle fontane ancora in uso nel Settecento.
L’abbondanza d’acqua e l’attenzione al suo razionale utilizzo in città, colpisce un altro cronista contemporaneo del Villabianca, lo Houel, che ricorda come «le alte montagne di cui Palermo è circondata, le procurano a profusione acque di buona qualità, e ancora, con ammirazione di timbro illuminista, osserva che «il genio degli abitanti, portato naturalmente alla decorazione, ha impiegato queste acque per tutti gli usi di cui esse possono essere suscettibili. […] Oltre ad avere loro assegnata l’utile destinazione di fornire Palermo, si è voluto che esse servissero sulla strada a rinfrescare i viaggiatori e a farli gioire sia per l’abbondanza, sia per la diversità di forme che fanno assumere alle acque».[11]
Se il mantenimento e l’ampliamento del sistema d’irrigazione e distribuzione delle acque risaliva alla dominazione araba in Sicilia, gli amministratori della Palermo capitale del Viceregno spagnolo ben conoscevano l’importanza di pozzi, senie, gebbie e corsi d’acqua che, all’interno della cinta muraria, fiancheggiavano i giardini irrigui, da cui provenivano frutta e ortaggi d’ogni genere venduti nei mercati cittadini.[12] In sede culturale la descrizione della ricchezza di acque e fonti della città dà vita ad una vera e propria “agiografia acquatica” che, dal Cinquecento in poi, per circa due secoli vede cimentarsi i maggiori letterati e cronisti dell’epoca.[13]
Ancora, l’importanza riconosciuta alla rete idrica cittadina è testimoniata dalla ricchezza di toponimi “idraulici” riscontrabili nel centro storico di Palermo e nelle zone della sua prima espansione oltre le mura,[14] e trova la sua celebrazione iconografica nella commissione pubblica dei quattro Quadroni delle acque, preziosi documenti datati al 1722 (benché segnalati sin dal 1718) che tracciano il percorso dei principali corsi d’acqua della città, dentro e fuori le sue mura: commissionate a Giovan Battista Cascione, “protoingegnere” del Senato, le quattro tele vennero esposte nel Palazzo Senatorio e oggi, restaurate, sono visibili presso la sede dell’Archivio storico del Comune di Palermo.[15]

Lo “stradone di Mezzomonreale”

È dunque in questo contesto di attenta valorizzazione del patrimonio idrico svolta dal Senato cittadino, che verrà portata avanti nel corso del XVII secolo l’iniziativa progettuale prima, e la realizzazione poi, di un gruppo di cinque fontane lungo l’asse viario dello “stradone di Mezzomonreale”, via di comunicazione della città con una delle zone di villeggiatura più ambite dalla nobiltà palermitana: fattore questo che giustifica il preminente aspetto ornamentale delle fontane ivi impiantate.
Il rifornimento idrico era assicurato dall’abbondanza di sorgenti che rifornivano l’attuale area di corso Calatafimi: in particolare, le cinque fontane venivano alimentate dall’acqua dell’Uscibene,[16] uno dei corsi d’acqua di proprietà pubblica, e in particolare, del Senato cittadino.[17]
La strada di collegamento fra Palermo e Monreale, l’antico “stradone di Mezzomonreale”, denominato dopo il 1860 “corso Calatafimi”, a ricordo della prima sanguinosa battaglia dei Mille contro le milizie borboniche, ribadisce emblematicamente la chiave di lettura dello sviluppo urbanistico di Palermo, interpretabile come storia di assi rettilinei che, nati in diversi contesti storici, hanno collaborato a dare sostanziale unitarietà al tessuto cittadino.
Il modello urbanistico della “via retta”, che si attesta alla fine del XVI secolo con il prolungamento del Cassaro fino alla Marina, darà seguito fino all’inizio del Settecento all’assetto tradizionale monte-mare della città, proponendosi come direttrice dell’espansione urbana.[18]
Le potenzialità extra-moenia della capitale traducevano in termini di espansione territoriale la spinta propulsiva di una classe nobiliare dominante, che si fece promotrice di alcuni processi di rinnovamento, orientando l’apertura della città alla campagna, colmando i fossati esterni alle mura e costruendo le strade suburbane, e soprattutto impiantando le proprie ville nell’agro palermitano secondo tre direttrici: a sud verso Bagheria, a nord con la piana dei Colli, nell’entroterra con la strada di Mezzomonreale.
Gli “stradoni” suburbani, ossia i grandi viali alberati che si dipartono dalle principali vecchie porte cittadine, diventano così una specifica caratteristica dell’ampliamento dello spazio urbano che mostra chiari intenti paesaggistici, contribuendo a costruire l’immagine di Palermo descritta dai viaggiatori del Seicento come “miracolo della natura e dell’arte”.[19]
Le fonti storiografiche pongono la data d’inizio della costruzione dello “stradone di Mezzomonreale” fra il 1580[20] e il 1583, come attesta il Villabianca nel suo Palermo d’Oggigiorno, precisando che «la gloria di piantarla ed eseguirla fu poi del pretore Aleramo del Carretto, conte di Gagliano, nel 1595»[21] che abbellisce la strada con «due ordini doppii d’arbori d’alvani, ove per l’ombra che danno, vi si va l’estate a diletto».[22]
A portarla a compimento, nel 1628, sarà il viceré Francesco Fernandez de la Cueva duca di Alburquerque,[23] sotto la pretura di Mario Gambacorta marchese della Motta; su iniziativa dello stesso viceré a partire dal 1630 si realizzavano lavori che porteranno a definizione scenografica il percorso assiale della strada che, già ornato da filari di alberi e godibili architetture, verrà arricchito da complessi statuari, fontane e luoghi di sosta per i viandanti.[24]
È nell’ambito dei lavori di ampliamento che, a partire dal 1630, lo “stradone” viene adornato da cinque artistiche fontane che completeranno l’effetto scenico-monumentale dell’insieme.[25]
Non verrà comunque persa la prevalente funzione di collegamento, come dimostra la ritardata crescita edilizia civile dell’asse viario. Infatti, se a partire dal XVIII secolo si registra l’impianto di grandiose realizzazioni, come il Real Albergo dei Poveri[26] o il Monastero della Visitazione di S. Maria[27] (oggi sede dell’Istituto scolastico Maria Adelaide), così come di sontuose dimore nobiliari, soltanto all’inizio dell’Ottocento si sviluppa un’edilizia minore che in breve riempirà i fianchi dello stradone.

Descrizione e storia delle cinque fontane

Dislocate lungo il tragitto che dal “piano di S. Teresa” (l’odierna Piazza Indipendenza) arriva alla Rocca (la zona sottostante Monreale), le cinque fontane dello stradone vennero progettate dall’architetto del Senato palermitano Mariano Smiriglio[28] e realizzate dallo scultore Nunzio La Mattina, già uniti nel sodalizio artistico che dal 1620 aveva visto i più validi artefici cittadini impegnati nella monumentale “macchina” del Teatro del Sole a piazza Vigliena: lo Smiriglio autore del progetto decorativo,[29] e il La Mattina autore delle statue dell’Inverno e dell’Autunno.[30]
Ne troviamo descrizione in tutte le guide storiche della città di Palermo: le citano infatti Mongitore, Villabianca, Vincenzo Auria, Gaspare Palermo, Vincenzo Migliore, Di Marzo-Ferro.[31] Il marchese di Villabianca nella sua Fontanografia Oretea le denomina, rispettivamente, di Santa Teresa, dell’Albergo, Vittoria, Cappuccini e della Scaffa,[32] descrivendole poi come «tutte belle opere rilevate in marmi, e marmi anche di sontuose moli».[33]
La prima fontana occupava un angolo del piano di S. Teresa, di fronte l’abitazione del principe di Aci e del duca di Amalfi; la seconda si trova tuttora di fronte l’Albergo dei Poveri; la terza fu chiamata della Vittoria, dal nome del vicino Convento dei frati Minimi, nella zona occupata dal Quartiere di cavalleria detto dei Borgognoni; la quarta prese il nome dalla strada dei Cappuccini (oggi via Cuba-Pindemonte); la quinta era chiamata della Scaffa.
Delle cinque fontane soltanto la seconda si è conservata, quella cosiddetta dei Mostri ovvero dei Dragoni, presso l’educandato Maria Adelaide, dal complesso simbolismo iconografico, che propone i dragoni quali forme fantastiche e allusive alle tentazioni che insidiano la vita umana. La fontana era originariamente collocata sul fronte opposto della strada di Mezzomonreale e venne in seguito spostata per consentire l’edificazione dell’Albergo dei Poveri (1746); la sua sopravvivenza è probabilmente dovuta alla protezione di una cancellata in ferro, aggiunta intorno al 1873 a chiudere lo slargo semicircolare che la ospita.[34]
La manutenzione delle cinque fontane è attestata fra i lavori pubblici seguiti dalla Commissione di Antichità e Belle Arti, che le cita nei verbali delle proprie riunioni di metà Ottocento, ora per «dare le norme necessarie a praticarsi onde mettere in buono stato i monumenti e le fontane lungo la strada che da Porta Nuova conduce a Mezzomonreale»,[35] ora per raccomandare al Prefetto di «far sorvegliare i lavoratori nella strada di Mezzomonreale […] e fare ricuperare tutti gli oggetti che si rinverranno, per consegnarli alla Commissione, onde scegliere quei che crederà meritevoli di mandare al Museo».[36]
In epoca contemporanea le fontane sono state oggetto di approfondito studio da parte della Ruggieri Tricoli,[37] che dà ampio ragguaglio delle fonti storiche e pubblica i disegni originali di Mariano Smiriglio,[38] oltre ad alcuni schizzi eseguiti dal Mongitore.[39]
È a partire da questi disegni che, a parere di chi scrive, può essere proposto un preciso collegamento con le fontane, o meglio, con le vasche delle fontane attualmente esistenti presso i due chiostri interni del Museo Salinas. In particolare, l’attenzione va concentrata sul disegno di quella che le fonti chiamano terza fontana: si tratta di un’ardita concezione architettonica e monumentale, che vede inserita una doppia conca marmorea al centro di una struttura ad anfiteatro, costruito in pietra d’intaglio: all’anfiteatro si accedeva attraverso un’ampia scalinata a tre gradini culminante in un comodo sedile a nastro, che si prolungava da entrambi i lati verso la strada, terminando poi alle due estremità con un’alta spalliera in pietra modanata, decorata in alto con venti spaziose aperture a forma di finestroni, e due piramidi con una palla in pietra al vertice. A chiudere, in alto, la parte centrale dell’anfiteatro si trovava un’epigrafe in lingua latina, che ascriveva la fontana al viceré de La Cueva e al Senato palermitano, nell’anno 1630.[40]
Quanto alla fontana vera e propria il Mongitore così la descrive: «nel mezzo di questo semicircolo […] si ha il fonte quale con alcune picciole piegature gira intorno...palmi, alto dal suolo...palmi,[41] nel suo mezzo da cui s’alza altra fonte no grande di marmo, come anche di marmo è il più grande, e nel mezzo di questo picciolo si ha un marmo rotondo a forma di un petto di donna; da questo dunque si sparge per ogni parte l’acqua a gran copia nel picciol fonte, quali venti piccoli canali a tutto intorno disposti al più grande l’acqua ricevuta rimanda».
La fontana si articolava dunque in due vasche concentriche e sovrapposte, a formare un doppio livello di contenimento dell’acqua che amplificava l’effetto scenografico tanto caro all’estetica barocca, così come testimoniato dai disegni originali della fontana eseguiti dallo Smiriglio.
Abile nel combinare elementi architettonici e sculture, come aveva magistralmente dimostrato nella realizzazione dell’ottangolo del Teatro del Sole, lo Smiriglio conferma nel progetto delle cinque fontane la complessità della sua poliedrica formazione artistica,[42] ricollegandosi al forte accento scenografico già presente nella produzione artistica siciliana fra maniera e barocco. È il contesto dei grandi apparati urbani, in cui la tradizione prospettica rinascimentale incontra la pratica degli effetti teatrali e la suggestione dell’effimero di marca spagnola, che ritroviamo nei disegni dello Smiriglio, in cui, come in altre produzioni artistiche siciliane coeve della massima qualità, vediamo confluire esperienza architettonica, arti figurative e teatro.

La richiesta dei “resti di una fontana” per il Museo

Sin qui le notizie attestate e le testimonianze disponibili. Il dato nuovo è emerso dalla consultazione di alcuni atti in deposito presso l’Archivio storico e l’Archivio fotografico del Museo Salinas. Dagli atti consultati risulta come, ancora alla data del 1876, gli atrii del Museo si presentassero al visitatore spogli e privi di ornamento, eccetto che per la statua del Glauco, trasportata dal Palazzo Reale in forma di deposito:[43] a chiare lettere se ne lamentava il Salinas in una missiva inviata alla Commissione di Antichità e Belle Arti di Sicilia, che di seguito si trascrive: «Il secondo cortile di questo Museo, bello per la grandezza delle sue proporzioni, non produce l’effetto che dovrebbe, perché il centro è vuoto di ogni ornamento e reso monotono per la brutta tinta del selciato. A rimediare pertanto a questo inconveniente io crederei opportuno di adornare con piante di poca spesa alcune parti di quel cortile, e in quello che lo precede, formare un gruppo di piante che valga a mascherare il rozzo piedistallo della statua di marmo collocatavi nel centro. Prego quindi codesta onorevole Presidenza a volermi dare in proposito le facoltà opportune».[44]
La richiesta del Salinas troverà pronta accoglienza nella risposta con cui, a distanza di qualche giorno, il Commissario delle Antichità e Belle Arti di Sicilia, Giuseppe Lanza di Scalea, autorizzava la spesa per ornare di piante il primo e il secondo cortile del Museo.[45] Si trattava di una soluzione temporanea, che migliorava sensibilmente l’aspetto di quegli spazi “di accoglienza” per i visitatori, ma che ancora non presentava le vasche al loro centro, come viene testimoniato da alcune fotografie d’epoca che illustrerò più oltre.
Dando seguito alle ricerche archivistiche, ho potuto rintracciare un altro importante tassello della vicenda, due lettere,[46] di uguale oggetto e d'analogo contenuto, inviate dal Real Commissariato dei Musei e degli Scavi di Sicilia, rispettivamente indirizzate, una al Prefetto e l’altra al Sindaco di Palermo, che qui si trascrivono integralmente:

1) Palermo, lì 26 aprile 1882.

Oggetto: Pezzi di una fontana presso il Quartiere della Vittoria alla Cuba.

Dietro al muro che è di faccia al Quartiere militare della Vittoria nel Castello alla Cuba a Mezzomonreale, esistono i pezzi di calcare compatto formanti un’abolita fontana di pertinenza della Provincia di Palermo. Or, in questo Museo Nazionale é un grande cortile affatto disadorno e che assai opportunamente darebbe posto ad una fontana come quella che si compone dei pezzi in parola. Se codesta Rappresentanza provinciale adunque, ne disponesse la cessione al Museo, ove affluiscono tanti forestieri ed artisti, oltre al procurare un’acconcia decorazione ad uno dei suoi principali aditi alle collezioni, qual’è il detto cortile, impedirebbe altresì che quei pezzi, abbandonati come sono, venissero distrutti nella stessa guisa di quegli altri di una fontana simile, ch’era nella piazza di Santa Teresa.

Il R[egio] Commissario

 

2) Palermo, lì 7 luglio 1882.

Oggetto: Pezzi di una fontana presso il Quartiere della Vittoria alla Cuba.

I pezzi di calcare compatto formanti una fontana, per la cessione dei quali al Museo nazionale di questa Città io rivolgevo preghiera alla S.V. Illma col foglio 10 maggio 1878, N° 427 [N.d.A.: potrebbe trattarsi del foglio senza data che trascrivo di seguito], giacciono tuttavia abbandonati nel medesimo posto dietro il muro che è di faccia al Quartiere militare della Vittoria nel Castello della Cuba a Mezzomonreale. Io mi permetto adunque ripetere alla S.V. Illma la preghiera, poiché più che mai veggo che quella cessione apporterebbe il doppio vantaggio di evitare che quei pezzi vadano dispersi e distrutti, come avvenne di una fontana simile ch’era nella piazza di S. Teresa, e di decorare opportunamente il cortile, più vasto ma pure affatto disadorno, pel quale principalmente si accede da tanti forestieri ed artisti alle importanti collezioni di questo Museo nazionale.
E mi auguro che la S.V. Illma che tanto amore addimostra per tutto ciò che torna a decoro della nostra città, riconoscendo la giustezza dello scopo cui mira questa mia preghiera, vorrà disporre che venga esaudita.

Il R[egio] Commiss[ario].

Trascrivo inoltre un foglio, privo di data e intestazione, ma dalla grafia riconducibile ad Antonino Salinas, direttore del Museo Nazionale dal 1873 al 1914, ed indirizzato al Commissario delle Antichità e Belle Arti di Sicilia: a lui si chiede di agevolare in forma di deposito la cessione al Museo della vasca di selce di una fontana cittadina già da tempo dismessa.[47]
Così scrive Salinas:

Ill[ustrissimo] Com[missario]
In uno dei semicerchi murati di faccia al quartiere della Vittoria, nella via di Mezzomonreale, esistono dei pezzi staccati che compongono una vasca di selce.
Essa è da più anni dimenticata e gioverebbe molto averla alla Direzione di questo Regio Museo Nazionale per decorare il cortile grande. Fiducioso che la S.V.a così illustre rappresentante dell’interesse che il municipio prende a tutto ciò che può accrescere il lustro della città nostra, di cui il Museo è uno dei principali ornamenti, vorrà agevolare questa cessione in forma di deposito, la ringrazio anticipatamente pregandola compiacersi avvisarmi per potere dare la opportune disposizioni pel trasporto.
Gradisca i miei devoti assegni.

Oggetto della richiesta era dunque una fontana dismessa, di calcare compatto, originariamente inserita entro uno dei semicerchi murati di fronte al quartiere della Vittoria, lungo la strada dell’odierno corso Calatafimi.
Di quale fontana si parlava? I particolari della descrizione riportata nei documenti d’archivio e la corrispondenza del disegno dello Smiriglio con le vasche delle due fontane oggi presenti al Museo Salinas, mi convincono ad avanzare l’ipotesi che queste ultime siano da identificare come parti integranti della dispersa terza fontana già esistente nello stradone di Mezzomonreale.
Il Salinas, instancabile curatore del Museo negli anni in cui fu preposto alla sua direzione, dovette convincere la Commissione di Antichità e Belle Arti ad ottenere dal Comune di Palermo l’assegnazione di quelle vasche che giacevano da tempo nell’abbandono, essendo ormai dismessa la fontana cui originariamente appartenevano: intendeva così salvarle dalla distruzione e contemporaneamente risolvere il problema di riempire in modo decoroso il vuoto al centro dei due atri del Museo, destinati ad accogliere i visitatori.
Da questa iniziativa del Salinas dovette nascere la richiesta ufficiale formalizzata dal Presidente della Commissione di Antichità e Belle Arti (ruolo rivestito all’epoca da Gaetano Daita) rivolta al Sindaco ed al Prefetto di Palermo, per ottenere la cessione della fontana dismessa (o almeno di ciò che ne rimaneva!) a beneficio degli arredi del Regio Museo Nazionale.
A proposito delle caratteristiche che attengono all’aspetto materico delle due vasche, non può sfuggire la corrispondenza fra le dimensioni delle due vasche oggi presenti al Museo (la vasca più grande è lunga circa 3 metri per ognuno degli otto lati, la vasca più piccola 1,55 metri) e quelle del disegno dello Smiriglio, che ci mostra due vasche concentriche e sovrapposte, verosimilmente, in base al rapporto visivo, l’una di ampiezza doppia dell’altra.
Ecco dunque sommarsi fra loro diversi fattori a sostegno dell’identificazione che qui si propone: intanto la tipologia delle vasche (materiale e fattura di pregio, di taglio secentesco, di uguale forma e definizione, oltre che di dimensioni multiple), contrassegnate dal simbolo del Senato palermitano, dunque non riferibili agli arredi originali della Casa dei Padri Filippini.
A conferma del fatto che fino ad una certa data i due atri non ospitassero le odierne fontane, rimangono alcune stampe fotografiche in deposito presso l’Archivio fotografico del Museo “A. Salinas”, facenti parte di vecchie campagne di documentazione degli ambienti interni del Museo che, dalla metà dell’Ottocento, vennero affidate a celebri fotografi dell’epoca.
Così, due foto Tagliarini dei primi anni ‘70 dell’Ottocento ci mostrano i due chiostri ancora spogli e ben poco attraenti: il chiostro minore mostra già la statua del Glauco, ma collocata su un rozzo piedistallo in muratura; il chiostro maggiore era occupato soltanto da frammenti di colonne e da alcuni blocchi litici sparsi per terra in modo del tutto casuale.
Dobbiamo arrivare al 1879 per trovare immagini del chiostro minore arricchito da semplici aiuole di piante poste intorno al Glauco e, successivamente al 1895 per datare le prime riprese fotografiche che ritraggono le vasche delle fontane finalmente al centro dei due cortili porticati.
Infine, all’inizio del Novecento possiamo datare alcuni scatti fotografici che testimoniano una configurazione delle due fontane leggermente differente rispetto a quella attuale: nel chiostro minore notiamo la vasca, con il Glauco privo di buccina al suo centro, riempita non ancora di acqua bensì di rigogliose piante; nel chiostro maggiore i putti di riporto sono già inseriti ad abbellire l’interno della grande vasca, ma collocati al limite del suo bordo interno invece di occuparne, come oggi, il centro.
 All’interno della vasca nel chiostro maggiore, l’attuale collocazione dei putti avrebbe avuto luogo verosimilmente solo dopo la seconda Guerra Mondiale, in seguito alla riconfigurazione dell’atrio e del suo porticato meridionale che si rese necessaria dopo il bombardamento subìto in seguito all’incursione aerea americana del 5 aprile 1943, in seguito alla quale, come attestato dalla Direttrice del Museo Jole Bovio Marconi, venne danneggiata «anche la fontana del cortile grande, frantumando il gruppo centrale dei putti».[48]
Specifico riferimento al danneggiamento della fontana troviamo anche nella cronaca cittadina dell’epoca, che, nel ricordare l’opera prestata dagli Alleati per la riapertura dei principali monumenti artistici palermitani, a proposito del Museo Nazionale commenta: «[…] Il più importante museo, ma purtroppo il più colpito dai danni bellici. Esplosioni a brevissima distanza ne avevano già danneggiati muri interni, tetti, porte e finestre, quando la bomba che il 5 aprile colpì la Chiesa dell’Olivella, distrusse tutta l’ala del Museo aderente al fianco della chiesa. Il chiostro e la bella fontana secentesca ne furono danneggiati».[49]
Ancora, ne troviamo traccia fra le carte dell’Archivio Storico del Museo, in particolare in una Relazione dei lavori eseguiti nel Museo Nazionale di Palermo da settembre fino il 15 ottobre 1943 per riparazione di danni di guerra, in cui troviamo, fra le altre voci di lavori eseguiti, la «rimozione e trasporto dei detriti dell’ala sud del museo caduti nel chiostro, che permettano il recupero dei pezzi architettonici dell’edificio stesso e dei frammenti d’importanza artistica che si trovavano sotto il porticato e sono rimasti seppelliti sotto le macerie».[50]
Riassumendo, il dato significativo è che l’anno 1882, periodo di riferimento delle lettere rintracciate all’Archivio Storico del Museo e qui trascritte, corrisponde in maniera significativa all’intervallo di tempo durante il quale i due atri del Museo erano ancora privi di fontane ed il problema del loro arredo si poneva in tutta la sua urgenza.
Non si conosce con esattezza la data in cui la terza fontana venne dismessa dal Corso Calatafimi: la Guida di Gaspare Palermo rivista dal Di Marzo-Ferro nel 1858 parla della fontana come non più esistente[51] e la sua testimonianza sarà confermata nel 1873 dal Di Marzo che, a commento di una notizia del Villabianca, riferisce che la terza fontana su Corso Calatafimi non esisteva più già da parecchi anni, seppure l’emiciclo ad archetti che la circondava continuasse ad esistere sino alla fine del secolo.[52]
Per il Salinas e per le autorità cittadine del tempo, allo scrupolo della tutela da assicurare a quelle “vestigia” monumentali che rischiavano di andare disperse, si dovette aggiungere l’interesse a liberare l’area prospicente, quel Quartiere della Vittoria utilizzato per lungo tempo come caserma e che, proprio in quegli anni, si rivelava zona d’interesse archeologico.[53]
Di contro, l’architetto e archeologo Hittorff e il suo collaboratore Zanth, visitando la città negli anni ‘20 dell’Ottocento, fanno riferimento alla situazione “idraulica” esistente all’interno della Casa Filippina all’Olivella: nel paragonare il convento alle antiche abitazioni di Pompei, per via della identica divisione interna operata fra una parte destinata ad uso pubblico dell’edificio (farmacia, parlatorio, accoglienza per i pellegrini) ed un’altra domestica, riservata ai Padri e ai loro servizi, riferiscono di “fontane” all’interno della Casa (anche in questo accostata alle abitazioni pompeiane), già presenti ma unicamente come riserve d’acqua nei cortili, utilizzate per abbeverare il bestiame e per la pulizia, non certo come fontane d’arredo.
Nella loro opera, pubblicata in Italia nel 1835, troviamo la sezione longitudinale del Convento che mostra il chiostro minore del tutto privo di fontana, e quello maggiore occupato nel suo centro da una statua su piedistallo circolare, a gradini, circondata da vasi di fiori: non sappiamo di quale statua si trattasse, ma di sicuro nulla di identificabile con la fontana che oggi troviamo in quel punto.[54]
Infine, a completare la ricostruzione dei fatti qui proposta, è utile un riscontro effettuato consultando uno dei volumi dei “Vecchi Cataloghi” del Museo Nazionale, utilizzati nell’Ottocento per la registrazione delle opere, in esposizione o in deposito, suddivise per materiale costitutivo. Il “Vecchio Catalogo della Scultura” riporta, segnata al n. 1151, l’indicazione di «tre stemmi in marmo, due lastre con iscrizione – dalla dismessa fontana di Mezzomonreale». Malgrado i complessi lavori di restauro e riadattamento funzionale ancora in corso al Museo non permettano, allo stato attuale, di effettuare una ricerca sistematica nei magazzini per individuare i brani lapidei a cui fa riferimento il “Vecchio Catalogo”, è comunque suggestiva e fondata l’ipotesi che possa trattarsi dell’iscrizione latina che il Mongitore ricorda posta «nel mezzo dell’anfiteatro in alto», trascrivendola integralmente.[55]
La vicenda nel suo complesso di certo ripropone il ruolo di alacre “conservatore” svolto dal Salinas, sempre guidato da un sensibile interesse per la storia e le testimonianze del passato, remoto o recente, della sua Palermo. La città, ricordiamo, dopo il “maggio garibaldino” versava in uno stato rovinoso, in cui i fattori di incuria si sommavano alle distruzioni provocate dai tumulti, tanto da far deliberare nell’agosto 1860 la costituzione di una “Commissione del progetto di riforma e abbellimento della città”.[56]
La quasi totale distruzione delle fontane di Mezzomonreale, ancora lamentata agli inizi del Novecento da vari eruditi e cronisti palermitani,[57] non poteva lasciare indifferente il Salinas, nella sua lungimirante azione di recupero di memorie d’arte e di storia siciliane, tanto più considerando la forte sollecitazione che al suo operato dovette fornire la ricorrenza, nel 1882 (quindi in sincronia con le lettere qui presentate di richiesta delle due vasche per il Museo), del VI Centenario dei Vespri Siciliani: le cronache cittadine danno ampia eco ai preparativi e alle celebrazioni che tutti i Comuni siciliani, e la città di Palermo in particolare, si accinsero ad organizzare in quella occasione.[58]
Il Salinas sarà anche in questa circostanza in prima linea, sia in quanto membro del Comitato organizzatore, sia per via di numerosi “ricoveri” da lui disposti presso l’allora Museo Nazionale di alcuni arredi monumentali della città: prima fra tutti la colonna del Vespro, già esistente in piazza Croce dei Vespri a ricordo di una sepoltura dei Francesi uccisi a Palermo allo scoppio dell’insurrezione, da lì fatta rimuovere su iniziativa dell’amministrazione municipale e lasciata in deposito in condizioni quanto mai precarie.[59]
Un’altra conferma della sopravvivenza che il Museo palermitano, nella sua ormai più che centenaria storia, ha assicurato a tanti brani di storia cittadina altrimenti destinati alla dispersione.

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1 A. Carrubba, Le fontane del Museo Archeologico Regionale “Antonino Salinas” di Palermo, in “Quaderni del Museo archeologico regionale Antonino Salinas”, n. 8, 2002, pp. 87-100.

2 P. Remington, Alpheus and Arethusa: a marble Group by Battista Lorenzi, in “The Metropolitan Museum of Art Bulletin” 35, n. 3, March 1940, pp. 61-65, ill. p. 49; M.P. Demma, G. Favara, La Fontana Pretoria in Palermo: hic fons, cui similis nullus in orbe patet, Regione siciliana, Assessorato dei beni culturali e ambientali e della pubblica istruzione, Soprintendenza per i Beni culturali e ambientali, Palermo 2006, p. 35.

3 A. Carrubba, Le fontane del Museo…, p. 92.

4 Per un approfondimento sulla vita e l’attività multiforme di Antonino Salinas, l’insigne archeologo ed erudito palermitano a cui oggi è intitolato il Museo Archeologico, si veda, “Del Museo di Palermo e del suo avvenire”. Il Salinas ricorda Salinas, catalogo della mostra (Palermo, 8 luglio-4 novembre 2014) a cura di F. Spatafora, L. Gandolfo, Regione siciliana, Assessorato dei Beni culturali e dell’Identità siciliana, Dipartimento dei Beni culturali e ambientali e dell’Identità siciliana, Palermo 2014.

5 A. Carrubba, Le fontane del Museo…, n. 27.

6 Ivi, p. 7, n. 34.

7 Per la descrizione dell'edificio che ospita oggi il Museo Salinas e le sue collezioni si veda C.A. Di Stefano, S. Moscati, Museo Archeologico di Palermo, Novecento, Palermo 1991; per la ricostruzione storica del complesso oratoriano dell’Olivella si veda C. D’Arpa, Architettura e arte religiosa a Palermo: il complesso degli Oratoriani all’Olivella, Caracol, Palermo 2012.

8 F.M. Emanuele e Gaetani, marchese di Villabianca, Fontanografia Oretea, ms. del sec. XVIII, Biblioteca Comunale di Palermo (Qq. E. 87. n. 1); Idem, Il Palermo d’oggigiorno, in Biblioteca Storica e Letteraria di Sicilia, a cura di G. Di Marzo, serie II, vol. V, Pedone Lauriel, Palermo 1874, p. 253.

9 F. Giunta, Fontane monumentali a Palermo, Giada, Palermo 1985, p. 20.

10 Ivi, p. 19.

11 J. Houel, Voyage pittoresque des Isles de Sicile de Malte et de Lipari, Imprimerie de Monsieur, vol. I, Paris 1782, p. 61.

12 Sull’impianto del sistema idrico della città di Palermo si veda P. Todaro, Come veniva dissetata Palermo nel medioevo, in “Palermo - mensile della Provincia”, XVI, 5, 1996, pp. 42-45.

13 M.C. Ruggieri Tricoli, Le fontane di Palermo (nei secoli XVI-XVII-XVIII), Linee d’arte Giada, Palermo 1984, pp. 21-40. Alle acque palermitane Vincenzo Auria dedica diverse opere manoscritte, consultabili presso la Biblioteca Comunale di Palermo: Corsi delle acque della piana di Palermo (ms. Qq. C. 83 n. 8); Dei fiumi e delle fontane di Palermo (ms. Qq. C. 83 n. 4); Della bontà delle acque di Palermo (ms. Qq. C. 83 n. 3); Descrizione di Palermo (ms. Qq. E. 31 n. 2).

14 R. La Duca, Da Panormos a Palermo, Vittorietti, Palermo 2006, pp. 146-150.

15 Il fatto che i quadroni fossero esposti nel Palazzo Senatorio rientrava in una politica di trasparenza: cfr. S. Pedone, I “quadroni” delle acque, in “Kalós – arte in Sicilia”, a. XV, n. 2 aprile/giugno 2003, pp. 36-39.

16 Cfr. F. Pollaci-Nuccio, Dell’Archivio Comunale, suo stato, suo ordinamento (1872), in “Il Risorgimento in Sicilia”, a. III, n.s., n. 2, 1967, p. 85: «L’acqua di questo corso sorge in una grotta […] nella contrada di Altarello di Baida […] di lì scende la via di Mezzomonreale e giunge sino al largo di S. Teresa, fuori porta Nuova».

17 Le acque di proprietà pubblica spettavano in parte alla regia Corte e, in maggiore quantità, al Senato palermitano, proprietario delle acque dell’Averinga, del Garraffo e del Garraffello, dell’Uscibene e di una parte del Gabriele. Cfr. V. Auria, Miscellanea de urbe panormitana, ms. del 1696, Biblioteca Comunale di Palermo (Qq. C. 83.); S. Pedone, I “quadroni” delle acque…, p. 36.

18 Per una trattazione sullo schema urbanistico di Palermo e, in generale, delle città siciliane in epoca barocca, si veda S. Boscarino, Sicilia barocca. Architettura e citta, 1610-1760, Officina, Roma 1981, pp. 391-408.

19 Cfr. V. Consolo, C. De Seta, Sicilia teatro del mondo, Nuova ERI, Torino 1990.

20 In Guida istruttiva per Palermo e suoi dintorni riprodotta su quella del Cav. D. Gaspare Palermo dal beneficiale Girolamo Di Marzo-Ferro, Pensante, Palermo 1858, p. 746 è indicato come autore il viceré Marcantonio Colonna.

21 F.M. Emanuele e Gaetani, marchese di Villabianca, Il Palermo d’oggigiorno…, 1873, passim.

22 V. Di Giovanni, Del Palermo restaurato, in “Biblioteca Storica e letteraria di Sicilia”, vol. X, Palermo 1872, pp. 230-231.

23 Cfr. V. Auria, Historia cronologica delli Signori Vicere di Sicilia, Pietro Coppola, Palermo 1697, p. 95; A. Inveges, Parte seconda degli annali della felice città di Palermo, Pietro dell’Isola, Palermo 1650, p. 53.

24 Possiamo interpretare anche la definizione dell’asse viario dello “stradone di Mezzomonreale” come conseguenziale all’impresa urbanistica che prese le mosse nel 1600 cambiando per sempre il volto di Palermo, ossia l’immenso cantiere di sventramento e demolizioni prima, e di costruzioni poi dei “Quattro Canti” di città. Sull’attività cantieristica ai “Quattro Canti” si veda G. Fanelli, I quattro Canti di Palermo – Il cantiere barocco nella cultura architettonica ed urbanistica della capitale vicereale, Palermo 1998, pp. 23-25.

25 Negli Atti del Senato del 23 luglio 1630, tra l’altro, così si riporta: «dell’opera dello staglio che si havirà da fare delle funtane della strata di Monreali di pietra bellissima con scaluni inciacati di detti fonti».Cfr. Atti del Senato palermitano, Archivio Comunale di Palermo, 1629-1630, IND. XIII, f. 414, r.

26 L’Ospizio generale per i poveri, la cui vastissima costruzione fu iniziata nel 1746 e portata a termine nel 1772, su progetto dell’architetto palermitano Orazio Furetto, era destinato ad accogliere e ad assistere inabili ed emarginati della società. L’edificio si sviluppa in due ali provvisti di ampi cortili porticati e collegati da un atrio centrale, antistante una chiesa. Espressione di un gusto tardo-barocco tendente ad una certa semplicità ed asciuttezza geomerica dei corpi di fabbrica, testimonia il primo affermarsi del gusto neoclassico a Palermo.

27 Il Monastero della Visitazione di S. Maria presso il Convento di S. Francesco di Sales venne fondato il 21 agosto del 1735; la progettazione della severa e sobria costruzione sullo stradone di Mezzomonreale e la direzione dei lavori furono affidate al sacerdote Cosimo Agnetta, religioso domenicano, mentre i lavori per dotare l’edificio di una chiesa adeguata alle funzioni religiose delle suore vennero affidatati a G.V. Marvuglia. Nel 1780 Ferdinando III di Borbone finanziò l’ampliamento dell’edificio per renderlo adatto ad ospitare alcune “nobili zitelle”, fanciulle di alto lignaggio ma prive di mezzi economici. Dopo l’Unità d’Italia, nel 1863 l’Educandato, che nel frattempo era stato intitolato alla regina Maria Carolina ed era stato separato dal monastero, rimasto allocato nella parte più antica dell’edificio, ebbe un nuovo regolamento e venne intitolato a Maria Adelaide di Savoia, moglie di Vittorio Emanuele II. Cfr. La fondazione della Visitazione di S. Maria in Palermo. Pagine di storia e di fede, a cura del Monastero della Visitazione di Palermo, Centro Studi Cammarata, Lussografica, Caltanissetta 2006, p. 160.

28 Mariano Smiriglio venne nominato architetto del Senato nel 1602. Per l’intensa vita professionale dello Smiriglio nella prima metà del Seicento, anni in cui Palermo, capitale vicereale, era un enorme cantiere di rinnovamento edile ed urbanistico mirato ad una rifondazione della città, si veda: A. Giuliana Alajmo, Gli architetti del Senato di Palermo: Mariano Smiriglio. La vita. Nuovi documenti inediti, Perna, Palermo 1949; Idem, Architetti regi in Sicilia dal secolo XIII al secolo XIX, Pezzino, Palermo 1952, e in particolare, per i dati più aggiornati e completi, G. Fanelli, I quattro Canti di Palermo – Il cantiere barocco nella cultura architettonica ed urbanistica della capitale vicereale, Regione siciliana, Assessorato dei beni culturali e ambientali e della pubblica istruzione, Soprintendenza per i beni culturali e ambientali, Palermo 1998.

29 Allo Smiriglio si deve l’ideazione dell’impianto ad Ottangolo dell’incrocio di strade, che successivamente avrà la sua veste architettonica disegnata da Giulio Lasso: cfr. G. Fanelli, I quattro Canti di Palermo…,1998, pp. 23-25.

30 Filippo Meli pubblicò il documento con cui lo Smiriglio il 23 luglio 1630 predispone i “capitoli” per le nuove fontane da lui disegnate da collocarsi sullo stradone che conduce a Monreale, e che indica come “stagliante”, ossia esecutore, il La Mattina. Cfr. F. Meli, Degli architetti del Senato di Palermo nei secoli XVII e XVIII, in “Archivio Storico Siciliano”, IV-V, 1939, p. 356; G. Di Stefano, Sguardo su tre secoli di architettura palermitana, in “Atti del VII Congresso Nazionale di Storia dell'Architettura palermitana” (Palermo, 24-30 settembre 1950), a cura del Comitato presso la Soprintendenza ai Monumenti, Palermo 1956, pp. 396-397; R. La Duca, La città perduta. Cronache palermitane di ieri e di oggi, vol. II, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli 1976, p. 151; M.C. Ruggieri Tricoli, Le fontane di Palermo…,1984, p. 164.

31 Cfr. V. Auria, Historia cronologica…, 1697, p. 95; A. Mongitore, Descrizione della strada di Monreale, ms. Biblioteca Comunale di Palermo (Qq. C. 3.); F.M. Emanuele e Gaetani, marchese di Villabianca, Il Palermo d’oggigiorno…, 1874, p. 253; V. Migliore, Itinerario per le vie, piazze, vicoli e cortili della città e contorni di Palermo, Pappalardo, Messina 1824, cix-cx; Guida istruttiva per Palermo…,1858, p. 746.

32 F.M., Emanuele e Gaetani marchese di Villabianca, Fontanografia Oretea, a cura di S. Di Matteo, Giada, Palermo 1986, p. 85.

33 Idem, Il Palermo d’oggigiorno…, 1874, p. 253.

34 L. Bica, Palermo. L’asse dell’Oriente, Pubblisicula, Palermo 1980, scheda 123.

35 G. Lo Jacono, C. Marconi (a cura di), L’attività della Commissione di Antichità e Belle Arti in Sicilia, parte III (1852-1860), “Quaderni del Museo Salinas”, n. 5, Supplemento, 1999, p. 20.

36 Ivi, p. 54.

37 M.C. Ruggieri Tricoli, Le fontane di Palermo…,1984, pp. 159-186.

38 Il disegno relativo alla fontana dei Mostri è stato pubblicato per la prima volta in G. Salvo Barcellona, M. Pecoraino, in Gli scultori del Cassaro, In.Gra.Na., Palermo 1971. I disegni originali delle cinque fontane sono oggi archiviati presso la Galleria Regionale di Palazzo Abatellis; in particolare, il disegno originale della Terza fontana, o Fontana ad anfiteatro, a firma autografa dello Smiriglio, è archiviato sotto il numero di Inv. 5272 e con un vecchio riferimento di G.E. (Giornale d’Entrata) corrispondente al numero 3824, con la seguente notazione: “Progetto per una fontana ottagona, entro una esedra, con ali ornate da targhe”.

39 Cfr. M.C. Ruggieri Tricoli, Le fontane di Palermo…,1984, p. 165.

40 Cfr. F.M., Emanuele e Gaetani marchese di Villabianca, Fontanografia Oretea…, 1986, p. 85; M.C. Ruggieri Tricoli, Le fontane di Palermo…,1984, p. 168.

41 In A. Mongitore, Descrizione della strada di Monreale…, non sono riportate le misure della fontana.

42 Di Mariano Smiriglio, oltre alla più nota attività come architetto del Senato, è accertata anche la fama di buon pittore, costumista, progettista di congegni meccanici e di bozzetti scenografici. Cfr. M.C. Ruggieri Tricoli, Il teatro e l’altare. Paliotti “d’architettura” in Sicilia, Grifo, Palermo 1992, pp. 24-25.

43 A. Carrubba, Le fontane del Museo…, n. 3.

44 Archivio Storico del Museo Archeologico Regionale “Antonino Salinas” Palermo (poi ASMARP), faldone n. 391, documento n. 108, datato 29 aprile 1876, avente per oggetto “Decorazione di cortili del Museo”.

45 ASMARP, faldone n. 391, documento datato 3 maggio 1876.

46 ASMARP, faldone n. 681, lettere del 26 aprile 1882 e del 7 luglio 1882.

47 ASMARP, faldone n. 681, lettera s.d.

48 La nota del 6 aprile 1943 (ASMARP, faldone n. 402, lettera prot. n. 325) con cui Jole Bovio Marconi informa la Direzione Generale delle Arti di Roma dei danni registrati al Museo Nazionale, così riporta: «Nell’incursione del 5 corrente mese, alle ore 18.30 circa, una bomba di grosso calibro ha colpito l’ala di mezzogiorno dell’edificio del Museo, insieme al transetto e alla cupola della Chiesa di S. Ignazio all’Olivella. […] Le macerie cadute hanno danneggiato anche la fontana del cortile grande, frantumando il gruppo centrale dei putti [...]».

49 “Giornale di Sicilia”, 23 giugno 1944.

50 ASMARP, faldone 398 “Locali del Museo”.

51 Guida istruttiva per Palermo…, 1859, p. 755.

52 «Ma ora non esiste più da parecchi anni; e sol rimangon vestigia dell’emiciclo ad archetti con sedili all’intorno, nel cui mezzo era essa locata»: cfr. F.M. Emanuele e Gaetani, marchese di Villabianca, Il Palermo d’oggigiorno…, 1874, p. 254.

53 Cfr. ASMARP, faldone 736, Attività culturali – Studi e relazioni - lettera della Direzione dell’Ufficio Tecnico Regionale per la Conservazione dei Monumenti di Sicilia, al Ministero dell’Istruzione - Divisione Arte Antica, 10 marzo 1892: «Dentro Caserma Vittoria Palermo occasionalmente lavori genio militare scoprivansi due camere sepolcrali con vasi terracotta appartenenti necropoli antica. Ho disposto rilievi, intanto prego E.V. Prendere accordi Ministero Guerra affinché oggetti rinvenuti fossero subito consegnati Museo» [n.d.a.: lettera inviata come telegramma di Stato, a firma del Direttore Patricolo]

54 J.I. Hittorff, L. Zanth, Architecture moderne de la Sicile, ristampa a cura di L. Foderà, Flaccovio, Palermo 1983, pp. 47-48, tav. 51.

55 Cfr. M.C. Ruggieri Tricoli, Le fontane di Palermo…, 1984, p. 168.

56Intere contrade desolate dall’incendio e dal saccheggio, macerie di pubblici e privati edifizi rovinate dalle bombe, da un estremo all’altro sconnessi i lastricati per provvedere alla barricate”: M.T. Marsala, “La perfezione topografica” del piano regolatore di risanamento e di ampliamento della città di Palermo redatto dall’ingegnere Felice Giarrusso (1885-1894), in Storia dell’urbanistica: I piani regolatori, a cura di E. Guidoni, Edizioni Q, Roma 1999, p. 73.

57 Cfr. G. Pitrè, La vita in Palermo cento e più anni fa, 2 voll., Reber, Palermo 1904, vol. I, p. 408; N. Basile, Palermo Felicissima, II serie, Trimarchi, Palermo 1932, p. 61.

58 “L’Amico del popolo”, 3 marzo 1882; “Fanfulla”, 1 aprile 1882.

59 “Nuova Gazzetta di Palermo”, 31 marzo 1882, p. 11. Così scrive, tra l’altro, il Salinas: «Chiesi pertanto e ottenni che quegli avanzi [della Colonna del Vespro] fossero conservati nel Museo Nazionale, dove ora si vedono nel cortile delle sculture moderne […] e a chi mi diede colpa di aver trasportato nel Museo un monumento non coevo al Vespro, risposi come io non intendessi conservare una memoria d’arte, ma bensì una memoria di cosa che importa più delle arti: cioè dell’animo nobile de’ siciliani […] perché agli occhi miei la Colonna del Vespro non è, come disse un poeta, “sacra memoria di un odio atroce”, ma all’opposto […] significa un augurio pio e gentile di tutela e di pace sulle ossa degli esecrati stranieri».

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Temi di Critica - numero 13

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