teCLa :: Rivista #4

in questo numero contributi di Stefano Colonna, Edoardo Dotto, Giuseppe Pucci, Gabriele Scaramuzza, Alexander Auf Der Heyde Stefano Valeri Michele Dantini Clarissa Ricci.

codice DOI:10.4413/RIVISTA - codice ISSN: 2038-6133
numero di ruolo generale di iscrizione al Registro Stampa: 2583/2010 del 27/07/2010

Storia e Arte, Forma e Colore nel primo insegnamento di Lionello Venturi di Stefano Valeri

Nell’introdurre la seconda edizione del celebre libro di Lionello Venturi Il gusto dei primitivi[1] (I edizione, Bologna 1926), Giulio Carlo Argan scrisse una prefazione in cui, con grande chiarezza, ne illustrò i termini di rimozione della cronologia convenzionale e la proposta di una nuova metodologia degli studi storico-artistici in Italia. Peraltro il Venturi aveva preannunciato la teoria generale già in un saggio su Leonardo del 1919[2], evidenziando che lo snodo critico andava rintracciato nello spiritualismo insito nella tormentata ricerca dell’animo umano e non nell’individuazione della ratio generante la forma universale.

Il Gusto, quindi, si distingueva per un nuovo approccio, derivato dall’esigenza di una revisione metodologica obbligata dall’esaurirsi della lunga stagione ottocentesca, dominata da un classicismo figurativo fondato sul principio dell’imitazione. All’opposto si individuava la creazione, quale concetto fondante del Medioevo, inteso però in senso laico e secolarizzato e conservando il significato, meramente culturale, religioso.

Tale operazione era già stata intrapresa da Benedetto Croce, quando aveva spiegato la separazione tra poesia e non poesia, cioè la lirica dalla dottrina, nella Divina Commedia. Se però l’estetica di Croce andava a costituirsi come punto di partenza per Venturi, quest’ultimo, a differenza del filosofo, non aveva ricusato i valori tattili della pittura, anzi li aveva considerati valori di affinamento qualitativo per il sentimento.

Ricordiamo ancora le parole di Argan:

 

Venturi, per quella consapevolezza del proprio limite disciplinare che solo i grandi studiosi sanno avere, si è sempre professato storico e non filosofo dell’arte: se abbordava questioni di estetica generale, lo faceva col fine di mettere a punto la sua metodologia storica dacché, come lo storico della politica deve accertare l’autenticità dei suoi documenti, così lo storico dell’arte deve accertare che i fatti di cui fa la storia siano veramente artistici[3].

 

Questi presupposti, in Venturi, non potevano non riportare alla memoria Giorgione, au-tentico modello di artista-poeta, del quale una pubblicazione del 1913 mise in luce l’autentica forza dello spirito di ricerca che, separandolo dallo storicismo mante-gnesco, gli aveva fatto comprendere la via del sentimento[4].

Lo studioso modenese sarebbe stato, di lì a poco, inevitabilmente interessato alla poetica di Leonardo, laddove l’identità non è rintracciabile in due blocchi distinti, ciascuno includendo l’artista e lo scienziato, ma al contrario nel collegamento tra le due attività dell’uomo. Di conseguenza l’intera indagine su qualsiasi attività artistica andava condotta attraverso l’analisi dell’insieme delle preferenze nell’ambito della cultura, quelle che accomunano gli artisti e che ci permettono di circoscrivere epoche e scuole. Ciò che accomuna gli artisti è, in definitiva, il gusto; ciò che li distingue uno dall’altro è l’arte.

La prefazione arganiana è peraltro una sintesi dell’adesione al pensiero del Maestro, come ha fatto notare un altro allievo di Venturi, Maurizio Calvesi:

 

è ben noto ciò che l’insegnamento di Lionello Venturi offrì, negli anni della formazione torinese, al giovane Argan, da una larga piattaforma storica proiettata verso la contemporaneità, agli spiragli metodologici aperti con la nozione di “gusto” e con l’identificazione di storia dell’arte e storia della critica d’arte, al calore di un impegno applicato anche alla difesa del patrimonio artistico[5].

 

Ora, al di là di una analisi sulle principali tematiche affrontate dal Venturi, del resto abbastanza recentemente indagate con acume[6], si presenta l’occasione per cercare di riunire le idee sulla germinazione di quei concetti e il loro radicamento. Perché se è vero che gli studi sull’imitazione della natura in Aristotele e sulla rivelazione di Dio in Plotino, sulla nuova concezione dell’artista in Filippo Villani e sulle sovrapposizioni di antico e moderno in Leon Battista Alberti e così via, sino al primitivismo dei macchiaioli e degli impressionisti, tutto è appunto presente ne Il gusto dei primitivi del 1926, è altrettanto vero che un preesistente solido progetto e una vigile elaborazione hanno costituito un’indispensabile base di partenza.

Difatti, prima ancora degli immediati prodromi del Gusto, che appunto Argan ricorda negli studi su Giorgione (1913) e su Leonardo (1919), nel 1907 un giovanissimo Venturi, fresco di laurea[7], risulta vincitore di un premio con Le origini della pittura veneziana, 1300-1500, dove emerge un punto di vista sulla natura completamente opposto alle consuete convinzioni che gli studiosi avevano fino a quel momento praticato. Punto di vista che si può sintetizzare nel richiamo alle origini dell’arte pittorica contemporanea, cioè la conquista della natura con il colore, su cui Venturi nel 1910 fa riflettere i suoi studenti nella prolusione al suo primo corso universitario, sulla pittura veneziana e particolarmente su Giorgione, tenuto nell’università di Padova[8]. Così lo studioso descrive una sorta di anticipazione impressionista, perché «per la pittura, l’ultima conquista è della prospettiva aerea, intesa come visione della natura ottenuta a traverso il colore prima che a traverso la forma»[9]. Il tutto considerando che tale prospettiva aerea viene inventata, per la prima volta nella civiltà, a Venezia, laddove all’inizio del Cinquecento,

 

un pittore si liberava dalla prevalenza della linea, si poneva a guardare la natura prima nelle sue masse coloristiche che nelle sue forme, accordava la qualità de’ colori con il valore de’ toni, sopprimeva i contorni, trasformava il chiaroscuro in effetti di luce e di ombra, faceva insomma della pittura e non del disegno colorato[10].

 

E il pittore è Giorgione, quello della Tempesta, quello che può definirsi un proto-impressionista in quanto anziché guardare il paesaggio dalla finestra dello studio, «e quindi in un eterno secondo piano: ora, egli è uscito all’aperto, si è posto fra gli alberi e i fiumi, si è sentito una cosa sola con essi. Per la prima volta è la natura intera che parla»[11].

 

Ma se arretriamo ancora di più nel tempo, vediamo che Lionello Venturi, non ancora ventenne, oltre ad avere già alle spalle tre articoli scritti per la rivista del padre Adolfo (“L’Arte”)[12], pubblica un interessante studio[13] che si può considerare la fase di avvio del processo critico culminante nel Gusto.

Attraverso l’analisi di un testo pubblicato in latino a Milano nel 1517, il Simia di Andrea Guarna da Cremona, opuscolo rintracciato nella biblioteca di Vienna, il giovanissimo studioso si pone il problema di individuare le possibilità offerte dal recupero dell’antichità, circa dall’ultimo ventennio del Quattrocento ai primi del Cinquecento, verso una tradizione che si voleva dai più destinata a soccombere. Il poemetto, fortemente corrosivo, è redatto in forma di dialogo semi-burlesco e i personaggi principali sono un greco chiamato Demetrio e soprannominato Simia (scimmia), San Pietro e Bramante.

 

Il San Pietro di Andrea Guarna è il tipo perfetto del moralista borghese. Campanilista per la sua Roma, odiatore della cultura greca, ma non della dottrina medioevale tradizionale romana, di quella dottrina che era preferita, alla fine del Trecento e al principio del Quattrocento, dal Petrarca, dai primi umanisti. Raffinatosi nel Quattrocento, unitosi con l’eleganza dell’arte contemporanea, si rivolse a trarre ammaestramenti dall’ellenismo, proprio come Pietro non avrebbe voluto. Si sentì troppo, secondo lui, il desiderio di statue, e si affievolì il senso della praticità[14].

 

La vittima della satira è Bramante, il “maestro ruinante” dell’antica basilica costantiniana, punito da San Pietro con l’immobilità davanti alle porte del Paradiso, sino a che il nuovo tempio di Roma non sia del tutto ricostruito. Ma per Venturi il personaggio San Pietro è molto più tollerante dell’ideale perseguito dal suo autore Guarna, ideale che non è quello cattolico romano ma «si avvicina molto di più al cristiano primitivo, ed è poi in contrapposizione assoluta col paganesimo allora dominate nella curia romana»[15]. Però l’arte figurativa, a parte qualche eccezione, subì passivamente le infiltrazioni di un classicismo che profondeva capolavori pagani

 

troppo potenti perché non rimanessero ben presto vittoriosi.

I tipi, togati e armati alla romana, produssero nelle arti figurative lo stesso effetto che il periodare ciceroniano nelle lettere; snaturarono il pensiero, lo resero astruso e lo soppressero. E soppressa appunto nelle arti figurative fu ogni delicatezza di sentimento, ogni soffio di poesia[16].

 

L’evocazione di questo sentimento trascurato, a conclusione dello scritto, appare un logico pretesto per fissare gli inizi di tutte quelle fasi ricostruttive della letteratura artistica, medievale e rinascimentale, a cui abbiamo accennato e che il Venturi sperimenterà nelle lezioni impartite nell’università di Torino, soprattutto negli anni appena successivi alla fine della Prima Guerra Mondiale[17]. Ma esiste in Venturi, forse al di sopra del richiamo all’attenzione sul sentimento, un’urgenza che regola l’intero percorso: la riacquisizione di un corretto senso storico.

Operazione imposta soprattutto per arginare quel mercato antiquariale che, nel giro del secolo, tende a cortocircuitare i delicati equilibri estetici stimolati dalle teorie crociane[18].

Tralasciando però lo spinosissimo problema del mercato dell’arte, trattato ampiamente in altra sede, la questione della coscienza estetica, intesa come pietra di paragone nella critica leoventuriana, sollecita ora la necessità di ribadire l’estrema importanza del rapporto creatosi tra il critico e il pensiero di Benedetto Croce. Già Argan aveva osservato come tutta la critica di Lionello graviti attorno al pensiero crociano, così da consentirgli la creazione di una scuola di storia dell’arte impostata sui fondamenti di quell’ideale[19]. Così come va ricordato che l’adesione al metodo neoidealista di valutazione delle opere d’arte si manifesta già nei primi studi di Lionello sull’arte di Leonardo. Di Croce Venturi accoglie dunque il metodo fondato sul valore spirituale e autonomo dell’arte, condividendone il concetto di creazione artistica intesa individualmente e personalmente, così come accoglie sia il concetto di identità di critica e storia, sia quello che considera la netta differenza tra la bellezza artistica e la bellezza naturale[20].

Tuttavia una divaricazione sul criterio fondamentale dell’espressione artistica tra gli ideali crociani e quelli venturiani si delinea proprio nell’intendimento dei principi della pura visibilità[21].

Venturi tratta la questione durante le lezioni nell’ateneo torinese nell’anno accademico 1919-1920[22]. Partendo dalla premessa che «il metodo figurativo puro della critica d’arte è in formazione, quindi senza limiti ben delineati»[23], Venturi si prefigge di analizzare due interventi sull’argomento, tra i più recenti e importanti. Uno è un articolo di Croce apparso su “La Critica” nel 1919[24], l’altro è il volume di H. Wölfflin, Concetti fondamentali della storia dell’arte, pubblicato nel 1915 in lingua originale[25].

Le idee del Wölfflin vengono considerate (e solo parzialmente accettate) da Lionello come la prima, sistematica e completa applicazione del metodo figurativo puro[26], mentre l’articolo di Croce stimola alla chiarificazione sul concetto dell’arte “universale” e si costituisce come pretesto per uno smarcamento della critica dell’arte da una certa idea di assoluta preminenza regolamentatrice, su tutte le arti, da parte dell’estetica.

Difatti, tra le varie categorie appartenenti ai fatti storici, il Croce trascura forma e colore, che invece Venturi ritiene fili conduttori della critica dell’opera d’arte. Inoltre Croce ha un’idea dell’arte universale; di conseguenza, essendo l’arte una, un fatto storico non ritracciabile nella poesia e nella musica ma occasionalmente presente nelle arti figurative risulta privo di valenza artistica.

Concetto, questo, assolutamente discutibile per Venturi, poiché

 

ci può essere un concetto d’arte che riguarda l’estetica, e invece una coscienza di differenziazione nella critica d’arte. Poiché il concetto universale entra nella critica d’arte solo quando si deve dare il giudizio, l’interpretazione si basa non su di esso, ma oltre che sull’intuizione diretta dell’artista, anche sulla esperienza storica dei fatti indispensabili all’opera d’arte. Ciò che non è distinto nella teoria, può essere distinto nella realtà storica. Nel momento in cui l’attività fantastica si concreta, essa si differenzia in linguaggio, forma e colore, suoni; e da questo differenziamento di concretazione deriva la differenza delle arti, che consiste appunto nella differenziazione dei fatti storici indispensabili: se le arti figurative hanno bisogno di forma e colore, ogni manifestazione letteraria ha bisogno di linguaggio, ogni manifestazione musicale ha bisogno di suoni[27].

 

Nelle lezioni universitarie dell’anno 1920-21, l’apertura è dedicata al corretto intendimento dei due termini “storia” e “arte”, sempre utilizzati ma poco approfonditi. In questo Venturi si avvale degli studi che in materia erano nati da almeno un cinquantennio e che trovavano come punto di partenza La letteratura artistica (Die Kunstliteratur) di J. von Schlosser[28] il quale, a sua volta, si era rivolto all’esperienza maturata nel 1868 da J.A. Overbek per le fonti archeologiche classiche[29], respingendone però l’aprioristico ordine cronologico degli artisti in favore dell’applicazione del metodo filosofico interpretativo. Ma c’è da dire che anche in questo caso la tradizione va fatta risalire a tempi più lontani, all’alba della scuola viennese, con R. von Eitelberger e A. Ilg[30].

Dunque, durante il suo magistero, Venturi spiega agli studenti cos’è la storia dell’arte; con quali elementi di analisi si possono ricostruire i processi creativi; il significato di intuizione e fantasia; l’identità tra forma e contenuto; l’abolizione dell’idea di progresso nell’arte ecc. L’intero svolgersi del pensiero ha come obiettivo la comprensione di un solo periodo storico, quello rinascimentale, ma partendo dalla letteratura artistica del mondo classico di Platone, Aristotele, Vitruvio ecc., per proseguire con la critica medievale di Plotino, di S. Agostino ecc., dei ricettari e dei trattati di Eraclio e di Teofilo sulla scorta etico-mistica di S. Francesco, di Giotto, di Dante, di Petrarca ecc. e, infine, con l’analisi del passaggio dalla tradizione medievale ai trattati cinquecenteschi, da Cennino Cennini a Giorgio Vasari. In tutto questo, per concludere, va comunque ribadito quanto il significato dell’identità tra storia dell’arte e critica dell’arte sia argomento centrale del primo magistero torinese di Lio-nello Venturi. L’esigenza di una sintesi non solamente lessicale, per identificare terminologie utilizzate indiscriminatamente, è problema per Venturi da risolvere subito. “Storia dell’arte”, “Storia della critica dell’arte” e “Critica dell’arte” sono concetti non sovrapponibili e troppo spesso disinvoltamente apparentati. Si affronta la questione in modo semplice, e si restituisce una definizione a prima vista ovvia ma carica di significato semantico. La disciplina deputata all’analisi della nascita, dell’evolversi e dell’esistere del fatto artistico, va individuata nella “Storia critica dell’arte”. E l’elaborazione di tutti i suoi contenuti, pazientemente costruiti nell’arco di un ventennio, andrà a compiere una prima chiusura del cerchio proprio con Il gusto dei primitivi

______________________________

[1]  L. Venturi, Il gusto dei primitivi, Prefazione di G.C. Argan (pp. XV-XXVIII), Einaudi, Torino 1972.

[2]  Id., La critica e l’arte di Leonardo da Vinci, Zanichelli, Bologna 1919.

[3]  G.C. Argan, Prefazione a L. Venturi, Il gusto…, p. XIX.

[4]  L. Venturi, Giorgione e il giorgionismo, Ulrico Hoepli, Milano 1913.

[5]  M. Calvesi, Giulio Carlo Argan, ora in Giulio Carlo Argan 1909-1992 Storico dell’arte, critico militante, sindaco di Roma, Mostra storico-documentaria (Roma, Università “La Sapienza” Museo dell’arte Classica, 28 febbraio-30 aprile 2003) a cura di C. Gamba, Bagatto Libri s.l. [Roma], s.d. [2003], p. 13.

[6]  Si veda, in ultimo, M. Cardelli, La prospettiva estetica di Lionello Venturi, Le Càriti, Firenze 2004.

[7]  Venturi si laurea nell’Università di Roma, allora ubicata presso la chiesa di S. Ivo alla Sapienza, il 9 novembre 1907 discutendo una tesi in Storia dal titolo “Le Compagnie della Calza”, relatore il prof. Giovanni Monticolo. Si veda L. Venturi, Le Compagnie della Calza (sec. XV-XVI), Istituto Veneto di Arti Grafiche, Venezia 1909 (estratto dal “Nuovo Archivio Veneto” – Nuova Serie, vol. XVI, Parte II). Ediz. anastatica Filippi Editore, Venezia 1983. Si veda anche S. Valeri, Lionello Venturi. Nota biografica, in Bibliografia di Lionello Venturi, a cura di S. Valeri, allegato al n. 121 (n.s. 21) di “Storia dell’arte”, settembre-dicembre 2008, p. 27 e n. 2 di p. 30.

[8]  Unica e brevissima esperienza nell’università di Padova che Venturi dovrà interrompere dopo solo quattro lezioni per «aver trovato un bel giorno i soli banchi pronti ad ascoltarmi religiosamente». La citazione è tratta da una lettera proveniente dall’Archivio storico dell’Università di Padova, gentilmente segnalatami da Giuliana Tomasella, a cui sono grato.

[9]  L. Venturi, La pittura veneziana nella storia dell’arte, Prolusione a un corso libero sulla pittura veneziana nel secolo XVI tenuta nella R. Università di Padova il 10 dicembre 1910, Tipografia dell’Unione Editrice, Roma 1911, p. 5.

[10]  Id., La pittura veneziana…, pp. 5-6.

[11]  Ivi, p. 6.

[12]  Id., Un candeliere ornamentale di Zuan Andrea da Mantova, in “L’Arte”, V-VII, 1903, pp. 13-20; Id., Sulle origini della xilografia, in “L’Arte”, VIII-X, 1903, pp. 265-270; Id., Un quadro del museo di Verona, in “L’Arte”, VI-VIII, 1904, pp. 300-302; Id., Un’opera giovanile di Piero della Francesca, in “L’Arte”, III-IV, 1905, pp. 127-128.

[13]  Id., Medievalismo artistico al principio dell’età moderna, in “Rivista d’Italia”, estratto dal fascicolo di Gennaio 1905, pp. 10. (Esemplare conservato nella Sapienza Università di Roma, Dipartimento di Storia dell’arte e spettacolo, Archivio di Lionello Venturi, Faldone XXXIV, 22).

[14]  Ivi, p. 6.

[15]  Ivi, p. 5.

[16]  Ivi, p. 10.

[17]  Da molti anni, nell’ambito dei corsi dedicati alla storia della critica dell’arte tenuti dallo scrivente nell’attuale Dipartimento di Storia dell’arte e Spettacolo della Sapienza di Roma, la figura di Lionello Venturi è stata posta al centro di un articolato progetto didattico-scientifico.  Si rimanda quindi a Lionello Venturi e i nuovi orizzonti di ricerca della storia dell’arte, Atti del Convegno internazionale di Studi (Roma 10-12 marzo 1999) a cura di S. Valeri, in “Storia dell’arte”, nuova serie n.1 (101), 2002; Bibliografia di Lionello Venturi, a cura di S. Valeri, allegato al n. 121 (n.s. 21) di “Storia dell’arte”, settembre-dicembre, 2008, pp. 1-31; S. Valeri, Lionello Venturi. Il “Gusto” nell’arte come modello etico, in L’occhio del critico. Storia dell’arte in Italia tra Otto e Novecento, a cura di A. Masi, Vallecchi, Firenze 2009, pp. 57-68. Infine, per un primo risultato sullo studio delle lezioni universitarie impartite da Lionello Venturi a Torino negli anni Venti del Novecento, si veda S. Valeri, La storia critica dell’arte nel magistero di Lionello Venturi, Aracne editrice, Roma (in corso di stampa).

[18]  A titolo puramente indicativo si pensi, per esempio, alla sequenza di pubblicazioni sino al 1920 quali: B. Croce, Estetica, Sandron, Palermo 1902; Id., Storia dell’estetica, Estetica come scienza dell’espressione e linguistica generale, Laterza, Bari 1902; Id., Problemi di Estetica, Laterza, Bari 1910; Id., Breviario di Estetica, Laterza, Bari 1913; Id., La critica e storia delle arti figurative e le sue condizioni presenti, in “La Critica”, a. XVII, fasc. V, 20 settembre 1919, pp. 265-278; Id., Nuovi saggi di Estetica, Laterza, Bari 1920.

[19]  Si veda G.C. Argan, Lionello Venturi, in Letteratura italiana. I critici. Storia monografica della filologia e della critica moderna in Italia, vol. V, Marzorati, Milano 1970, pp. 3357-3377.

[20]  Si veda G.C. Sciolla, La critica d’arte del Novecento, Utet, Torino 1995, in part. le pp. 149-153.

[21]  «Il Croce, è noto, ha tratto la sua esperienza dell’arte soprattutto dalla poesia, ed è assai prudente nel limitare alle questioni di metodo e alla critica della critica i suoi saggi sulle arti figurative. […] Tuttavia, malgrado la prudenza esemplare e malgrado alcune felici intuizioni, appare che alcune affermazioni del Croce siano prodotte da incertezza di esperienza artistica o da analogie forzate con fenomeni letterari». L. Venturi, Croce e le arti figurative, in Id., Saggi di critica, Bocca, Roma 1956, pp. 180-181.

[22]  Le dispense relative a questo anno accademico fanno parte del progetto di studio sopra descritto.

[23]  Lezioni di Storia dell’arte del Prof. L. Venturi raccolte dalle Signorine Regis, R. Università degli Studi di Torino, Anno Accademico 1919-20, Emporio Scientifico Librario Giovanni Castellotti, Torino, p. 3.

[24]  B. Croce, La critica e storia delle arti figurative e le sue condizioni presenti, in “La Critica”, a. XVII, fasc. V, 20 settembre 1919, pp. 265-278.

[25]  H. Wölfflin, Kunstgeschichtliche Grundbegriffe. Das Problem der Stilentwicklung in der neuren Kunst, Bruckmann, München 1915.

[26]  Il metodo nasce in ambito germanico, posto inizialmente nel 1893 da A. Hildebrandt (Das Problem der Form in der bildenden Kunst), quindi formulato in vera e propria teoria da K. Fiedler (Schriften über Kunst) nel 1896.

[27]  Lezioni di Storia dell’arte…, pp. 15-16.

[28]  Si veda G.C. Sciolla, La Scuola di Vienna e la critica d’arte in Italia agli inizi del XX secolo, in Akten des XXV. Internationalen Kongresses für Kunstgeschicthe, (Böhlau Wien 4-10 september 1983), Wien-Köln-Graz 1984, pp. 65-81.

[29]  J.A. Overbeck, Die antiken Schriftquellen zur Geschichte der bibldenden Künste bei den Griechen, Engelmann, Leipzig 1868. Ancora sullo Schlosser e sulla sua Letteratura artistica in quanto «vero e proprio monumento di erudizione e di dottrina [in cui] ogni capitolo viene affrontato sotto il profilo euristico e storico interpretativo», si veda G.C. Sciolla, La critica d’arte del Novecento…, pp. 30-35, 43-44.

[30]  Sulla scuola viennese si veda soprattutto G.C. Sciolla, La critica d’arte del Novecento…, pp. 3-49.



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Temi di Critica - numero 4

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