teCLa :: Rivista #8

in questo numero contributi di Giuliana Tomasella, Giulio Brevetti, Almerinda Di Benedetto, Edoardo Dotto, Valentina Di Fazio.

codice DOI:10.4413/DOTTO1 - codice ISSN: 2038-6133
numero di ruolo generale di iscrizione al Registro Stampa: 2583/2010 del 27/07/2010

I rilievi didattici di Gregorio Izzi dei mosaici della Cappella Palatina di Palermo di Edoardo Dotto

 

Le complesse vicende dell’ordinamento didattico nell’Italia postunitaria hanno portato attorno al 1870 ad una febbrile revisione dei programmi di studio. Un dibattito fertile e faticoso ha percorso gli ultimi decenni del XIX secolo, mettendo in campo soluzioni – talvolta semplicistiche, talvolta illuminate – che hanno stimolato gli studiosi del periodo ad una profonda verifica dei modi di approccio alle varie discipline, puntualmente riflessa nella struttura dei nuovi libri di testo. Nelle note che seguono si prenderà in considerazione un’opera didattica per il disegno, destinato agli studenti delle scuole tecniche, redatto dal professore Gregorio Izzi[1] e pubblicato a Palermo in diverse edizioni, a partire dal 1903. La particolarità del volume, oltre a quella di distinguersi per la straordinaria qualità delle tavole illustrate, sta nel proporre, accanto ad esempi di ornamentazioni pavimentali e musive generiche e decontestualizzate - come avveniva di consueto in opere didattiche analoghe - anche un importante numero di disegni riferibili alle decorazioni geometriche della Cappella San Pietro del Palazzo Reale di Palermo, la cosiddetta Cappella Palatina.

L’istruzione tecnica[2] in Italia, assimilabile in qualche misura ad un corso di studi di carattere scientifico, la cui struttura venne mutuata dalla legge Casati del 1859 e rimase sostanzialmente invariata sino alla riforma Gentile del 1923, prevedeva che alla scuola primaria, divisa in due cicli di due anni ciascuno comuni a tutti gli studenti, seguissero altri due cicli di studi, un primo ciclo inferiore di tre anni e un ciclo superiore, della durata di due o tre anni. Quest’ultimo era caratterizzato da diversi indirizzi e poteva consentire l’accesso all’istruzione di livello universitario. I programmi di studio e la ripartizione degli indirizzi furono modificati piuttosto di frequente[3], nel tentativo di strutturare un sistema dell’istruzione che rispondesse alla rapida evoluzione delle nuove necessità educative ed occupazionali.

Nell’ambito dell’istruzione tecnica, l’importanza attribuita all’esercizio del disegno era notevole. L’indirizzo di agrimensura e quello fisico-matematico[4], prevedevano rispettivamente quattro e sei ore settimanali di insegnamento del disegno. Nella sezione fisico-matematica, in particolare, si prevedevano nei primi due anni del ciclo superiore quattro ore di Disegno ornamentale a mano libera durante le quali ci si dedicava alla copia di ornati e due ore di Disegno geometrico ornamentale in cui si prendeva in considerazione la struttura compositiva geometrica dell’ornamento. Inoltre negli stessi anni, all’interno del modulo di insegnamento di Matematiche, per altre due ore alla settimana si studiavano anche i Principii di geometria proiettiva e descrittiva[5].

L’insegnamento nel corso dell’ultimo anno di scuola era dedicato allo studio delle Forme dell’architettura classica e loro ornamentazioni. Era anche previsto che agli studenti più dotati fosse concesso di iniziare ad esercitarsi nella composizione di forme ed immagini decorative.

A partire dal 1861, diverse commissioni ministeriali di studio – tra cui ben quattro dedicate alle discipline del Disegno[6] – elaborarono proposte dettagliate di programma che potessero essere da guida per l’insegnamento. In questa occasione gli esperti strutturarono le loro riflessioni anche sulla base dell’esame degli elaborati di studio prodotti negli anni precedenti e raccolti nelle diverse scuole del territorio nazionale. Nel 1869 la quarta Commissione Ministeriale consegnò la Relazione sulla riforma dell’insegnamento del disegno negl’Istituti tecnici[7], nella quale si ridefinivano profondamente i criteri didattici, alla luce di un atteggiamento consapevolmente pragmatico. Gli esiti della consultazione spingevano ad una rottura con la tradizione classicista che imperava nell’insegnamento del disegno, fino al punto di proporre l’eliminazione dello studio degli ordini di architettura secondo la regola di Vignola[8]. La quarta Commissione era presieduta da Pietro Selvatico Estense[9], uomo di grande personalità, storico dell’arte ed architetto, le cui aggiornate aperture di carattere europeo avranno certamente orientato i lavori.

Nei programmi di studio per il disegno nella scuola tecnica del 1876[10], direttamente ispirati dai lavori della Commissione, si fa riferimento in modo esplicito ad opere di ampio respiro, molto recenti o addirittura appena pubblicate da utilizzarsi come modello per lo studio degli ornati: La grammatica dell’ornamento di Owen Jones del 1856 [fig. 1], L’ornamento policromo di Auguste Racinet pubblicato dal 1869 al 1873 e la Teoria dell’ornamento di Jules Bourgoin [fig. 2] pubblicato nel 1873[11]. Alla metà dell’Ottocento, il dibattito – acceso e stimolante – che attraversò l’Europa sulla deplorevole qualità del disegno[12], portò infatti ad una attenzione ampiamente condivisa per le tradizioni straniere, anche extraeuropee, e per la storia della decorazione[13] che ebbe un immediata ricaduta nel campo editoriale. Accanto ad una serie di straordinari repertori di trame ed elementi decorativi, pubblicati spesso in edizioni di qualità sopraffina con il corredo di mirabili tavole policrome, si collocarono di sovente opere di carattere speculativo nelle quali si indagava sulle regole e sulla teoria dell’ornamento[14].

La generale fascinazione per i neostili in architettura favoriva lo studio puntuale ed il rilievo di gruppi di architetture o di opere singole del passato – specie medioevali –, rendendo disponibili, attraverso i disegni, informazioni che sino a pochi decenni prima sfuggivano del tutto all’attenzione di studenti, studiosi, progettisti. In questo modo ad opere come quelle di Jones – che si pone in modo esplicito l’obbiettivo di tracciare le regole che sottendono l’uso corretto ed efficace dell’ornamento e di fornire un repertorio di riferimento, esplorando tempi e luoghi lontani – o al repertorio sistematico di Racinet – mirabilmente e fittamente illustrato – o all’approfondimento di Bourgoin sulle superfici musive islamiche in Les éléments de l’art arabe[15] – descritte con un linguaggio grafico estremamente sintetico, attraverso l’uso esclusivo di sottili tratti monocromi – si affiancarono, pur se in tempi diversi, lavori che come nell’opera di Boito[16] Architettura del Medioevo in Italia, o nell’opera di Serradifalco[17] Del Duomo di Monreale e di altre chiese Siculo Normanne, affrontavano gruppi omogenei di architetture. Furono realizzati, inoltre studi monografici, sostenuti da mirabili campagne di rilievo, come il lavoro di De Dartein[18] sulla chiesa di Sant’Ambrogio a Milano o la monumentale opera di Gravina[19] sul Duomo di Monreale.

Opere di questo genere erano spesso frutto dell’impegno profuso da gruppi numerosi di studiosi e di disegnatori. Di frequente le sottoscrizioni per l’acquisizione delle risorse economiche necessarie per la pubblicazione di opere simili si protraevano per anni e non era raro che fosse necessario l’intervento diretto della finanza pubblica. Ad ogni modo, nel corso della seconda metà dell’Ottocento si è ridefinito in Italia, come in alcuni paesi d’Europa, un nuovo standard per le pubblicazioni di studio sull’architettura e sulla decorazione, solidamente fondato su un profondo ripensamento degli strumenti tecnici e teorici del disegno e del rilievo ed originato dalla spinta propulsiva del diffondersi maturo e capillare dei principi della geometria descrittiva[20]. Queste opere, mentre costruivano un diverso approccio alla storia dell’architettura e delle immagini, diventavano il campo di sperimentazione di nuove tecniche di indagine, di rappresentazione, di applicazione delle più avanzate tecniche tipografiche ed editoriali.

Come si diceva, la revisione dei programmi di studio per la scuola tecnica ebbe una diretta ricaduta sull’editoria dei volumi scolastici. La necessità di fornire guide adeguate per l’apprendimento portò molti docenti, architetti ed ingegneri ad intraprendere la stesura di testi di studio. Tra coloro che vollero cimentarsi in questa fatica, oltre a giovani docenti e piccoli professionisti, vi erano anche uomini di grande qualità ed impegno che ritenevano col loro lavoro di potere incidere direttamente nell’organizzazione quotidiana dei percorsi didattici[21]. Negli ultimi decenni dell’Ottocento in Italia furono pubblicati alcune decine di volumi di questo tipo, destinati ai vari gradi della scuola tecnica. Alcuni autori articolarono la loro offerta a seconda dei diversi indirizzi di studio, dando origine ad edizioni tra loro lievemente differenti[22]. Le opere di maggior successo – decretato dalle vendite e dai premi ottenuti nelle varie esposizioni nazionali – venivano spesso aggiornate, ampliate e talvolta dotate di un corredo iconografico di migliore qualità.

In questo panorama editoriale, tra i più diffusi, spiccano i volumi didattici di Augusto Garneri [fig. 3], Giuseppe Boidi Trotti, Alessandro Antilli, Cesare Torricelli[23], utilizzati dagli studenti dell’intero territorio nazionale grazie ad una fitta distribuzione, pubblicati ininterrottamente per decenni senza che si perdesse la loro sobrietà, riuscendo così a contenere il prezzo di vendita. Come emerge dal confronto di questi ed altri volumi scolastici, i libri di testo per l’insegnamento del disegno geometrico nel triennio conclusivo della scuola tecnica avevano tutti la stessa struttura e mostravano la medesima organizzazione della disciplina.

Nel corso del primo anno venivano poste le basi per lo studio del disegno: allo studio dei fondamenti della geometria piana – le definizioni degli enti geometrici e la nomenclatura delle varie figure – seguiva l’esame degli strumenti da disegno, di cui veniva mostrato l’uso corretto; seguiva l’illustrazione delle tecniche di tracciamento più elementari[24]. Queste semplici tecniche erano di seguito applicate alla copiatura di semplici disegni ornamentali, perlopiù basati su poligoni, stelle o semplici intrecci [fig. 4]. Nel corso del secondo anno, si studiavano costruzioni geometriche più complesse utili per compiere operazioni sulle aree[25], si affrontava il disegno delle coniche e di semplici curve meccaniche, i raccordi tra curve, le policentriche e il disegno di ornamenti seriali di una certa complessità, oltre che i fondamenti della geometria solida. Un’applicazione comune del disegno delle policentriche era generalmente rappresentato dal disegno del profilo curvilineo dei vasi [fig. 5][26]. Nel corso del terzo anno si studiava il metodo delle doppie proiezioni ortogonali, le tecniche di riduzione ed ingrandimento dei disegni, si apprendevano i fondamenti dell’architettura civile, studiando generalmente – pur se in modo succinto – gli ordini di Vignola (nonostante – come si diceva – fossero stati eliminati dai programmi), si prendevano in considerazione le modanature architettoniche, la loro costruzione geometrica e gli effetti che la luce produceva di esse. Si studiavano infine ornamentazioni geometriche complesse e si dedicava parecchio tempo al disegno dei trafori lapidei applicati a rosoni e finestre dalla struttura piuttosto articolata.

Da questo esame emergono sostanzialmente due riflessioni. Si può osservare, in primo luogo, la straordinaria coerenza del percorso di studi e come ad ogni nuova nozione corrispondesse un efficace corredo di esercitazioni e di applicazioni, compiute ed efficaci. Le più complesse esercitazioni del terzo anno consentivano di mettere in pratica tutti gli argomenti affrontati, proponendo un’idea solida e progressiva del sapere grafico e delle sue potenzialità. In secondo luogo, gli esempi più evoluti riportati nei vari libri per l’insegnamento mostrano, nel complesso, una precisa attenzione per la storia dell’architettura e dell’ornamento di periodo medievale. Gli ornamenti studiati nel corso del terzo anno sono spesso tratti dalla tradizione bizantina, islamica o arabo-normanna ed i trafori lapidei [fig. 6] sono di chiaro gusto gotico.

 

La prima edizione del volume di Gregorio Izzi, Corso elementare di disegno geometrico per le scuole secondarie, tecniche, normali e industriali, fu dato alle stampe nel 1903 per le edizioni palermitane di Orazio Fiorenza. Il volume di 148 pagine, con 22 tavole fuori testo[27], accoglieva i materiali di studio necessari per il corso di disegno nel triennio superiore della scuola tecnica. Izzi, sicuro della qualità del proprio lavoro, ebbe cura di spedire il volume ad importanti rappresentanti della cultura ed allo stesso Ministro dell’Istruzione; decise inoltre, con successo, di proporne l’esposizione presso varie esposizioni campionarie[28]. All’edizione del 1903 fece seguito un’edizione nel 1905, programmata in tre volumi, quindi ridotta in fascicoli più agili. A quanto è dato di sapere, di quest’edizione vide la luce esclusivamente il terzo volume, probabilmente il più efficace, visto il corredo di splendide illustrazioni fuori testo[29]. Nel 1908 fu pubblicata nuovamente un’edizione completa [fig. 7], rilegata con cura dalla premiata legatoria Caneba, di Palermo[30]. Quest’edizione, di 166 pagine, accoglieva anche 32 tavole fuori testo, cromolitografate presso la stamperia palermitana di Andrea Brangi. Nonostante in copertina fosse indicato l’editore Fiorenza, il frontespizio del volume rivela che questa terza edizione dell’opera era edita – e distribuita – dalla casa editrice Paravia[31]. Una nuova edizione del 1914, in un unico volume, tornò ad essere pubblicata da Orazio Fiorenza. Anche l’ultima edizione del 1921, divisa in fascicoli, venne pubblicata dall’editore palermitano.

Nonostante tra le varie edizioni vi siano alcune differenze – di alcune delle quali si dirà in seguito – la struttura del volume di Gregorio Izzi, netta e cristallina, si mantiene inalterata nel corso dei vent’anni di edizione. Se lo schema generale cui si fa riferimento è lo stesso descritto per le altre analoghe opere didattiche, tracciato in assoluto ossequio dei programmi ministeriali di insegnamento, non si possono sottacere alcune peculiarità di grande interesse. In primo luogo, la maggior parte delle oltre settecento illustrazioni in nero, piuttosto che essere raccolta in tavole poste alla fine del volume – come avviene, ad esempio, nelle opere di Boidi, Garneri e Antilli – si accompagna al testo. In questo modo, a tutto vantaggio dell’efficacia didattica, la lettura è immediatamente supportata dall’esame delle figure. Inoltre Izzi avvicenda fittamente e di continuo l’acquisizione di nuove nozioni o di nuove tecniche di tracciamento con esercizi applicativi evitando di separare questi due aspetti strettamente complementari nel percorso di apprendimento.

La parte dedicata al terzo anno vede alternarsi lo studio della geometria solida con quello delle più complesse curve meccaniche. La trattazione degli ordini di architettura, svolta con sintesi stringate ma efficaci sulla “regola” di Vignola, precede il disegno delle sagome e i più complessi problemi di tracciamento degli archi e delle finestre con ornamenti polilobati a traforo. Il volume è chiuso da alcune pagine in cui si forniscono gli elementi basilari del disegno in prospettiva.

Nella trattazione delle finestre e delle «rose architettoniche»[32] Izzi mostra attenzione per alcuni esempi dell’architettura palermitana. Riporta, infatti, le regole di costruzione grafica della «finestra della chiesa di S. Francesco dei Chiodari in Palermo» [fig. 8][33], seguite dall’analisi grafica e dalla costruzione della mirabile «Finestra di A. Gaggini. Palazzo Arcivescovile di Palermo» [fig. 9][34]. Nel primo caso – graficamente più semplice – il disegno analitico si affianca all’immagine definitiva. Nel secondo caso la costruzione, descritta ordinatamente nel testo, è talmente complessa da non potere essere rappresentata se non con un tratto “a filo di ferro”.

I due fascicoli di tavole a colori fuori testo legate al volume, da sedici facciate ciascuna, sono dedicati esclusivamente all’illustrazione degli ornamenti geometrici. Il primo contiene i disegni di alcuni pavimenti con bordura [fig. 10], una serie di stelle poligonali e di rosette [fig. 11] ed una serie di superfici[35]. Altri ornamenti sono individuati come dettagli della «Cappella S. Pietro di Palermo» [figg. 12 e 13]. Anche il secondo fascicolo, posto alla fine del volume, riporta esempi generici di ornamentazione [fig. 14] cui si affiancano altre immagini di superfici musive della Cappella Palatina. In tutte le tavole si riportano in basso i nomi degli autori[36]: Gregorio Izzi come disegnatore ed Andrea Brangi come litografo.

Come è stato scritto in altre occasioni[37], attorno alla metà del secolo a Palermo si impianta una solida tradizione cromolitografica che ha sostenuto, nel corso di alcuni decenni, la realizzazione di una serie di opere editoriali di straordinaria qualità tipografica. Per la stampa dell’opera sul Duomo di Monreale di Domenico Benedetto Gravina fu coinvolto Giorgio Frauenfelder, abile collaboratore della litografia napoletana Richter & Co., il quale per alcuni anni si trasferì a Palermo per dare corso al lavoro di preparazione delle lastre. La presenza attiva di Frauenfelder in città consentì ad una intera generazione di tipografi – tra cui anche Andrea Brangi – di estendere il proprio panorama tecnico e professionale.

Un confronto tra i modi di rappresentare gli ornamenti geometrici nei più diffusi volumi per la didattica nella seconda metà dell’Ottocento può aiutarci a comprendere l’eccezionalità del lavoro di Gregorio Izzi. Come si è già ricordato, in ciascun volume sono riportati una serie di schemi grafici facilmente applicabili nella realizzazione di mosaici, singole mattonelle e nella decorazione di carte o pareti. Perlopiù questi schemi – spesso desunti da opere di respiro più ampio come quelle di Jones, di Racinet o di Bourgoin già citate – venivano riportati privi di un’indicazione che potesse contestualizzarne l’origine. Generalmente solo nelle opere maggiori, come le grandi ‘enciclopedie’ dell’ornamento, venivano indicate con ordine le fonti delle illustrazioni, come accade per Racinet e per Jones, e come accadrà anche in seguito, nei repertori della fine del secolo[38]. Nel caso quindi di disegni realizzati per la didattica della scuola tecnica, se si eccettua qualche generica indicazione nelle tavole dei volumi di Garneri[39], in generale le trame geometriche riprodotte sui volumi costituivano per lo studente esempi astratti, avulsi dal mondo della realtà, connaturati sostanzialmente alla logica dell’esercizio grafico.

Nella maggior parte dei casi i volumi per lo studio del disegno erano piccoli libri in sedicesimo, che misuravano circa 10 x 15 centimetri. Le tavole erano stampate in bianco e nero con tecnica litografica. L’uso del solo inchiostro nero [fig. 15] limitava fortemente la resa delle trame più complesse, in cui aumentavano i contatti tra le regioni adiacenti[40]. Non essendo in ogni caso sufficiente l’uso esclusivo del nero sullo sfondo bianco per il disegno degli ornati, si ricorreva a toni intermedi, che venivano resi con tratteggi, più o meno fitti, che suggerivano le diverse tonalità di grigio [fig. 16]. Spesso i disegni, affollati nelle piccole tavole, erano ridotti ai limiti della leggibilità. Questo modo di trattare le immagini aveva certamente una motivazione di tipo economico, tutt’altro che irrilevante nella redazione di libri di testo[41]. Le piccole pagine del volume di Cesare Torricelli [fig. 17] stampate in policromia rappresentano un raro esempio di gusto ed equilibrio. Le belle cromolitografie a cinque colori, realizzate presso l’Unione Tipolitografica Bresciana, saranno state una fertile fonte d’ispirazione per diverse generazioni di studenti.

Confrontando le tavole disegnate da Izzi e litografate da Brangi con questi esempi, anche i più pregevoli, si vede come esse riuscissero nettamente a distinguersi nel panorama generale. Le tavole monocromatiche fuori testo di Izzi non facevano ricorso al tratteggio per la resa dei mezzitoni, ma utilizzavano campiture piene affiancate alle stesse tinte desaturate, come avveniva per le tavole in bruno e in verde. Le tavole a colori erano realizzate con cinque tinte [fig. 18]. Il colore rosa pallido costituiva lo sfondo delle trame ornamentali, lasciando così la possibilità di utilizzare il bianco della carta per campire gli elementi più chiari. Il rosso, il verde e l’oro consentivano di differenziare le diverse parti e utilizzando dei sottili filetti neri si delimitavano i vari contorni. Nelle tavole prive di campiture dorate, le costruzioni geometriche ed i contorni dei singoli elementi erano stampati in nero e le varie campiture con il celeste, il rosa, il giallo ed il grigio [fig. 19]. Anche ad un esame superficiale si vede come, per dimensione e qualità delle singole immagini, per l’uso dell’inchiostro dorato e per la ineguagliabile precisione nella stampa, le tavole del volume di Izzi sembrino appartenere più ad uno dei grandi repertori dell’ornamento che ad un semplice testo didattico.

Come si diceva, accanto alla tipica schiera di ornati generici, nel libro di Izzi si trova una notevole quantità (circa la metà) di disegni nelle tavole fuori testo che illustrano dettagli della Cappella Palatina di Palermo. Questo aspetto – forse più delle considerazioni di ordine tipografico fatte in precedenza – sembra avvicinare questo lavoro didattico alle grandi opere ottocentesche e, come si vedrà, ciò non avviene per caso. Non è possibile in quest’occasione ricostruire la storia completa dei rilievi della Cappella Palatina palermitana. Occorre però ricordare come, già nella prima metà dell’Ottocento, Hittorff e Zanth nell’Architettura Moderne de la Sicile del 1835 avessero dedicato ben quattro tavole alla Cappella[42] – una pianta, due sezioni trasversali, una sezione longitudinale, il candelabro, alcuni dettagli e ben otto trame musive [fig. 20], fortemente stilizzate – e come solo tre anni dopo, nel 1838, Serradifalco in Del Duomo di Monreale ed altre chiese arabo-normanne[43] abbia riservato tre tavole al monumento, illustrandolo con una pianta, due sezioni trasversali ed una sezione longitudinale. L’interesse per la Cappella emerge anche nelle opere dedicate esclusivamente allo studio dell’ornamento in cui sono riportati i rilievi di alcune superfici musive. È il caso del lavoro di Friedrich Maximilian Hessemer, Arabische und alt-italienische Bau-Verzierungen[44], del 1842, che dedica due tavole policrome al disegno di quattro complessi decori musivi della Cappella [fig. 21]. Lo stesso Racinet[45], in una tavola della sua opera, riporta, oltre a tre ornati musivi del Duomo di Monreale ed uno del Duomo di Salerno, ben dodici trame geometriche della Cappella Palatina [fig. 22].

Nel 1872 venne data alle stampe La Cappella di S. Pietro nella reggia di Palermo[46], un’opera poderosa con testi di Michele Amari, Saverio Cavallari, Luigi Boglino, Isidoro Carini, illustrata con 68 tavole di grande formato disegnate e cromolitografate da Andrea Terzi.  L’opera è del tutto paragonabile a quella già citata sul Duomo di Monreale di Gravina, pubblicata tra il 1859 ed il 1870. Il lavoro di Terzi – che da solo meriterebbe un’attenzione che in questa sede non è possibile riservargli – è praticamente coevo all’opera di Gravina e gli ambienti in cui questi due straordinari lavori ebbero origine sono strettamente collegati. La struttura delle due opere è analoga, come anche la qualità delle tavole litografiche al tratto, con fitte campiture a tratteggio, e cromolitografiche, con l’uso generoso dell’inchiostro dorato [fig. 23], tutte realizzate con profonda attenzione alla forma dell’architettura ed alle superfici musive, sia figurate che geometriche.

Non vi è alcun dubbio che, per il suo lavoro sulla Cappella, Andrea Terzi[47] abbia utilizzato l’esperienza maturata con Gravina. Terzi – assieme a Paolo di Giovanni, Michelangelo Giarrizzo, Giuseppe Patricolo, Achille Albanese, Carmelo Giarrizzo e Giovanni Cammarata – partecipò alla stesura dei disegni del Duomo di Monreale. Da giovane, ancora diciassettenne, educato al disegno dallo stesso Gravina, Terzi ebbe modo di riscattare la propria umile origine dando prova del suo grande talento e del suo interesse per il disegno[48]. Nel 1872, quando diede alle stampe il volume sulla Cappella Palatina, Terzi aveva trent’anni e affrontava nella piena maturità delle sue forze un lavoro faticoso e complesso.

Le tavole de La cappella S. Pietro sono quasi tutte firmate[49] da Terzi. Nell’introduzione al testo e nella stesura dei diversi saggi non viene ricordata la partecipazione di altri disegnatori al lavoro di rilievo, disegno e trasferimento litografico delle tavole. Per la realizzazione delle tavole sul Duomo di Monreale, hanno lavorato per anni con impegno pieno almeno otto diversi disegnatori, alcuni dei quali di notevole esperienza. È possibile immaginare che Andrea Terzi, da solo, nel volgere di pochi anni, avrebbe potuto portare a termine un’opera complessa ed estesa come il rilievo, il disegno e la preparazione alla stampa di un’opera come quella sulla Cappella? Anche come litografo Terzi avrebbe dovuto svolgere, in tempi brevi, un lavoro improbo e vertiginoso. Anche se alcune tavole sono state litografate da Frauenfelder[50], nella quasi totalità dei casi è indicato come litografo lo stesso Terzi assieme al solo Andrea Brangi come litografo e stampatore, senza fare alcun cenno ad altri collaboratori.

Un confronto serrato tra le tavole dell’opera di Terzi e quelle del volume di Izzi può suggerire alcune riflessioni. Le tavole dedicate da Izzi all’illustrazione dei mosaici della Palatina sono quattro nel primo fascicolo (le tavole X, XI, XII e XVI, delle quali solo le prime due a colori con l’uso dell’inchiostro dorato e le altre due stampate con due toni della stessa tinta bruna) e quattro nel secondo fascicolo (le tavole I, IV, V e VIII, tutte in verde, con due toni dello stesso inchiostro). La misura di ciascuna tavola, che coincide perfettamente con la pagina del volume, è di 15,5 x 22 centimetri. In alcune di esse, come nella XI e XVI del primo fascicolo e nella I del secondo, si riporta un’unica trama geometrica [fig. 24][51], mentre nelle altre si riporta un numero maggiore di disegni, sino a quattro come nell’VIII del secondo fascicolo. In totale si riportano diciassette disegni degli ornati musivi della Palatina, di cui tre in policromia.

Gli stessi disegni con lo stesso taglio e le stesse identiche dimensioni, trovano spazio nelle tavole dell’opera di Terzi. Anche ad un confronto attento e ravvicinato si vede che non si tratta di disegni simili, magari molto somiglianti, ma comunque di rappresentazioni differenti degli stessi tessuti musivi. Si tratta proprio degli stessi disegni. I complessi mosaici della Cappella, creati utilizzando tessere e frammenti lapidei di dimensioni minime, ovviamente – nonostante la cura profusa e la grande abilità degli artigiani mosaicisti – proprio per le caratteristiche fisiche delle pietre dure e delle tessere vitree utilizzate, non potevano essere realizzati con una precisione geometrica assoluta. Per converso, la trascrizione della forma del mosaico in uno schema geometrico nitido, in cui ogni incertezza tecnica viene eliminata per rappresentarne la struttura in modo chiaro, necessita di un intervento complesso e consapevole. Questa necessaria ‘traduzione’ si accompagna necessariamente ad una serie di semplificazioni grafiche che consentono, in modo pressoché univoco, di identificare la “mano” del disegnatore. Un’altra forma di semplificazione è data dalla riduzione del numero dei colori del mosaico disegnato rispetto a quello reale. La trasformazione delle tinte, oltre a costituire una necessità per il contenimento delle spese tipografiche, permette di comporre tavole di grande chiarezza narrativa. Queste semplificazioni, ovviamente, sono frutto di scelte personali, spesso drastiche, e rivelano con precisione la personalità e lo stile sia del disegnatore che del litografo.

Da questo punto di vista non esiste alcun dubbio che le diciassette trame geometriche della Cappella Palatina riportate da Izzi nelle sue tavole siano delle riedizioni di alcuni schemi geometrici pubblicati in cinque tavole del volume di Terzi, ovviamente ricomposti e reimpaginati in modo differente[52]. Si confronti, a puro titolo di esempio, la fotografia del bordo di una girale del Trono Regio con il disegno tratto dalla tavola XI B dell’opera di Terzi con la figura 3 della tavola X del volume di Izzi [fig. 25]. Si vedrà che gli elementi di contatto tra le varie stelle a sei punte, introdotti per potere assorbire la deformazione della corona circolare, sono ripartiti in diverse aree triangolari. La geometria di questi triangoli nel mosaico reale non è immediatamente chiara. Le singole figure non sono riconoscibili come triangoli notevoli (equilateri, rettangoli o altro) e nel disegno di Terzi, di conseguenza, vengono trascritti come triangoli scaleni, senza che abbiano grande somiglianza con quelli reali. Per potere tracciare un disegno di questo tipo, era indispensabile giungere ad una schematizzazione geometrica delle forme e quella proposta da Terzi, pur se imprecisa,  appare comunque convincente. Nel disegno di Izzi, la trascrizione geometrica utilizzata è esattamente la stessa ed i due disegni risultano perfettamente sovrapponibili. Diversi sono i colori ma identico è lo schema utilizzato.

Potrebbe apparire strano, a questo punto, che lo stesso disegno sia stato firmato, nelle due diverse opere, coi nomi di due autori differenti. Come si è detto, però, è molto improbabile che Terzi abbia potuto condurre il lavoro di rilievo, di disegno e di trascrizione delle immagini tutto da solo. È possibile e che la scelta di non indicare i nomi dei collaboratori, ma solo quella del ‘regista’ dell’operazione, fosse una scelta di carattere editoriale. Tra i collaboratori di Terzi, attorno al 1870, deve esserci stato anche lo stesso Gregorio Izzi, altrimenti non si potrebbe spiegare come quest’ultimo avrebbe potuto intestare a se stesso la paternità di quei disegni, essendo esposto ad ambienti in cui – come all’interno della litografia di Andrea Brangi – le vicende delle singole tavole, pur se a trent’anni di distanza, potevano essere ancora note. L’opera di Terzi inoltre, adesso rara anche presso il mercato antiquario, alla fine dell’Ottocento era piuttosto famosa. Era stata premiata nel 1873 all’Esposizione Universale di Vienna e nel 1878 a quella di Parigi. Per il suo lavoro sulla Cappella S. Pietro, Terzi nel 1877 era stato proposto per il cavalierato dall’allora Ministro per l’Agricoltura, Salvatore Majorana Caltabiano. Negli anni in cui Izzi pubblica e pubblicizza i suoi volumi, spedendoli anche al Ministero, Andrea Terzi era in piena attività, abitava a Roma e – anche attraverso la brillante carriera dei due figli[53] – manteneva un contatto fitto con l’ambiente dei disegnatori scientifici, pubblicitari e con l’editoria del tempo. Sembra probabile che, in occasione della pubblicazione del suo volume didattico, d’accordo con Brangi, Izzi abbia rispolverato i suoi vecchi lavori, pubblicandoli – finalmente – con la sua firma.

Il motivo per cui il manuale di Izzi possiede un corredo iconografico per alcuni aspetti degno delle grandi opere dell’Ottocento è adesso chiaro: quelle immagini, quei disegni litografati provengono realmente da una di queste grandi opere, discendono da un programma articolato e trovano posto, nobilitandolo ulteriormente, in uno straordinario volume didattico, i cui vari e complessi livelli di comunicazione rifuggono dagli angusti spazi in cui troppo spesso si richiudeva – e spesso si rinchiude ancora – l’editoria didattica. La cura, la dedizione, l’efficacia e la compostezza con cui Izzi organizza il suo volume didattico pone quest’opera tra le migliori pubblicate prima della riforma degli anni Venti.

Non è stato possibile ricostruire in alcun modo la vicenda umana di Izzi e nemmeno tracciare – in questa fase iniziale di indagine sui disegnatori siciliani tra l’Ottocento ed il Novecento – le tappe fondamentali della sua biografia. Certo è che nell’edizione del 1921 del terzo fascicolo dell’opera, la sesta ed ultima edizione, «riveduta e curata dal Prof. A. Rivela», il corredo di disegni a colori viene drasticamente ridotto: le tavole cromolitografiche passano da trentadue a sedici solamente, raccolte in un solo fascicolo. Si elimina l’uso dell’inchiostro dorato, considerato forse di gusto desueto. Tra le tavole eliminate vi sono tutte e otto le tavole con i rilievi della Cappella Palatina. Una revisione così profonda e così ‘riduttiva’ del volume forse è indice del fatto che Izzi probabilmente non poteva più occuparsi del proprio lavoro. La sesta edizione del lavoro di Izzi, nel perdere la sua prerogativa più evidente e nel rinunciare a una delle sue migliori qualità, trova una forma complessiva che, pur mantenendo un livello più che dignitoso, la allinea alle opere analoghe più diffuse, come quelle già discusse di Garneri, di Antilli e di Torricelli.

Negli anni Venti, alle soglie della riforma Gentile che avrebbe proposto nuovi percorsi didattici, i disegni di Andrea Terzi realizzati probabilmente anche con la collaborazione di Izzi – vecchi ormai di mezzo secolo ma ancora dotati della loro forza comunicativa – tornano ad essere patrimonio esclusivo dell’editoria specialistica, rientrano nei confini del sapere elitario e smettono di contribuire alla costruzione di una formazione grafica che, ancora prima di aspirare ad un’ordinata astrazione delle forme, fondava un solido legame tra la rappresentazione e il mondo reale


[1] Gregorio Izzi era professore ordinario di disegno e di calligrafia presso la Regia Scuola Normale Maschile di Palermo ed era perito calligrafo presso la corte di Appello di Roma. In questa fase delle ricerche sui disegnatori siciliani tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento, si sono riuscite a ricavare solo poche notizie frammentarie sull’autore.

[2] Sulla storia della scuola italiana si veda C. Baldoni, L’insegnamento del Disegno nella scuola italiana postunitaria, Aracne, Roma 2006. Rilevanti in questo campo sono anche gli studi di Fabrizio Dal Passo come F. Dal Passo, Storia della scuola italiana, in Il codice della scuola vol. II, a cura di L. Barberio Corsetti, P. Cirillo, E. Ciarrapico, D. Croce, G. Scribano, La Scuola, Brescia 2003; F. Dal Passo, Storia della scuola italiana: dalle riforme dell’Illuminismo alla riforma Moratti, in “Semestrale di studi e ricerche di Geografia”, Abilgraf, Roma 2003.

[3] Si veda C. Baldoni, L’insegnamento del Disegno…, pp. 11-40.

[4] L’indirizzo di agrimensura forniva una preparazione analoga alla moderna scuola per geometri mentre l’indirizzo fisico-matematico viene considerato l’antesignano che del nostro liceo scientifico. Si veda C. Baldoni, L’insegnamento del Disegno…, pp. 14 e 17.

[5] Ivi, p. 27.

[6] Ivi, pp. 87-88.

[7] Ivi, p. 88.

[8] L’abolizione dell’insegnamento degli ordini di architettura secondo la regola di Vignola suscitò accese polemiche tra coloro che consideravano questo cambiamento come necessario e coloro che invece ritenevano che fosse motivo di imbarbarimento del corso di studi. Nella sostanza, però, l’inerzia culturale – favorita anche dalla capillare diffusione di un patrimonio immenso di manuali, studi, pubblicazioni illustrate – portò nelle aule ad una sostanziale riduzione del tempo dedicato a questo argomento senza che però esso fosse del tutto soppresso. In molte opere continuarono a essere pubblicate tavole sugli ordini di Vignola che rimasero nei volumi perfino ben oltre la riforma Gentile del 1923. Si veda E. Dotto, La regola e lo sguardo. La critica di Giuseppe Damiani Almeyda al libro dei cinque ordini di architettura di Vignola, in “TeCLa - Rivista”, n. 4, 2011, pp. 28-53 (http://www.unipa.it/tecla/rivista/4_rivista_dotto.php). Si veda anche C. Baldoni, L’insegnamento del Disegno…, p. 28.

[9] Pietro Selvatico Estense (Padova 1803 - 1880), formatosi alla giurisprudenza ed alla pittura, fu un architetto ed un teorico molto attivo, allievo di Giuseppe Jappelli con il quale intraprese dei viaggi di studio in Francia ed in Inghilterra. Direttore dell’Accademia di belle arti di Venezia, avversò il Neoclassicismo a vantaggio della cultura neogotica. Mentore di Camillo Boito, influenzò la realizzazione della facciata neogotica del Duomo di Firenze di De Fabris, suggerendogli la forma tricuspidata. Realizzò la facciata della chiesa di San Pietro a Trento. Sull’influenza di Selvatico nella scuola italiana si veda C. Baldoni, L’insegnamento del Disegno…, pp. 82-84. Per una bibliografia su Selvatico, si veda Storia dell’architettura italiana. L’Ottocento, a cura di A. Restucci, Electa, Milano 2005, p. 718.

[10] C. Baldoni, L’insegnamento del Disegno…, p. 28

[11] O. Jones, The Grammar of Ornament, Day and Son, London 1856; M. A. Racinet, L’Ornement polychrome, Fermin Didot, Paris 1869-73; J. Bourgoin, Théorie de l’ornement, A. Levy, Paris 1873.

[12] E. H. Gombrich, Il senso dell’ordine. Studio sulla psicologia dell’arte decorativa, Einaudi, Torino 1984, pp. 89-98.

[13] Ivi, pp. 109-156.

[14] Ivi, pp. 116-140.

[15] J. Bourgoin, Les éléments de l’art arabe, Firmin Didot, Paris 1879.

[16] C. Boito, Architettura del Medioevo in Italia, Hoepli, Milano 1880.

[17] D. Lo Faso Pietrasanta Duca di Serradifalco, Del Duomo di Monreale e di altre Chiese Siculo Normanne, Roberti, Palermo 1838.

[18] F. De Dartein, Etude sur l'architecture lombarde et sur les origines de l'architecture romano-byzantine, Paris 1865-1882. Sul lavoro di De Dartein si veda T. Bella, I rilievi della Basilica di Sant’Ambrogio a Milano nei dossier d’archivio di Fernand De Dartein. Storia di una rappresentazione, tesi di dottorato di ricerca in Teoria e storia della rappresentazione, Facoltà di Architettura di Siracusa, XXI ciclo, tutor G. Pagnano, dicembre 2008.

[19] D. B. Gravina, Il Duomo di Monreale. Illustrato e riportato in tavole cromolitografiche, Stabilimento tipografico di Francesco Lao, Palermo 1859-69.

[20] Come è noto, la Geometria Descrittiva è quella branca della Scienza della Rappresentazione che affronta i principi geometrici su cui si basano i comuni metodi di rappresentazione, come le proiezioni ortogonali, la prospettiva e l’assonometria. Dalla fine del Settecento, il disegno, grazie alla Geometria Descrittiva, poté finalmente assumere uno statuto scientifico e questo semplificò la trasmissione del sapere e consentì una revisione profonda dei modi di comunicazione grafica. Questo processo si andò compiendo, in Europa – pur con alcune vistose eccezioni – attorno al terzo decennio del XIX secolo.

[21] Professionisti di grande levatura come Giuseppe Boidi Trotti – attivo in Piemonte alla fine dell’Ottocento – o Giuseppe Damiani Almeyda si dedicarono, pur se con diverse energie, alla redazione di libri di testo. Sull’opera didattica di Damiani si veda P. Barbera, Giuseppe Damiani Almeyda. Artista architetto ingegnere, Palermo 2008, pp. 21-47. Si veda anche E. Dotto, La linea di equilibrio. Sensibilità geometrica e tecnica pittorica nei disegni di architettura, in P. Barbera, C. F. Carocci, E. Dotto, C. Tocci, Giuseppe Damiani Almeyda. Arte e scienza in architettura, Lombardi editori, Siracusa 2011.

[22] In una pagina allegata al Manuale di disegno lineare geometrico di Giuseppe Boidi Trotti, si trova l’elenco delle sue pubblicazioni, aggiornato al 1870. Vi si trovano ben 21 diversi volumi dagli argomenti più vari. Molti di essi erano simili tra loro, come ad esempio le Prime nozioni di disegno lineare e il Corso elementare di Ornato lineare. In altri casi si trattava di opere piuttosto diverse, come il Corso di Disegno applicato ai Lavori donneschi o il Disegno di Fiori. La dedizione di Boidi all’editoria didattica lo rese uno degli autori più studiati e diffusi del secondo Ottocento.

[23] Si tratta di una campionatura ragionata degli autori più noti, basata sull’effettiva diffusione e sulla qualità delle singole opere. Ciascuno degli autori indicati ha pubblicato un numero elevato di manuali. In questa occasione si citeranno esclusivamente le opere consultate per la stesura di questo saggio, nell’edizione disponibile. A. Antilli, Disegno Geometrico, Hoepli, Milano 1894; G. Boidi Trotti, Manuale di Disegno lineare geometrico, Paravia, Milano 1898; A. Garneri, Corso elementare di Disegno geometrico, Tipografia nazionale di G. Bertero, Roma 1895; C. Torricelli, Disegno Geometrico con tavole a colori, Unione Litotipografica Bresciana, Brescia 1894.

[24] Si iniziava dalla squadratura del foglio per passare alla costruzione grafica di perpendicolari e bisettrice, poi alla tripartizione dell’angolo retto e piatto, al tracciamento di parallele, alla divisione in parti uguali dei segmenti, sino al disegno di poligoni regolari inscritti o a partire da un lato. Questa sequenza è largamente utilizzata anche nella didattica attuale.

[25] Si tenga conto che, prima dell’introduzione estensiva delle calcolatrici automatiche, era molto conveniente effettuare operazioni di calcolo (somma, sottrazione divisione e trasformazione) delle aree non attraverso operazioni numeriche ma attraverso raffinate (e talvolta antichissime) costruzioni grafiche, ormai sostanzialmente desuete.

[26] La questione del tracciamento delle policentriche e delle esercitazioni sul disegno del profilo dei vasi meriterebbe un approfondimento, sostanzialmente per tentare di rintracciare i modelli cui si ispiravano i curiosi e complessi profili utilizzati.

[27] G. Izzi, Corso elementare di disegno geometrico per le scuole secondarie, tecniche, normali e industriali, Orazio Fiorenza, Palermo 1903.

[28] Nell’edizione del 1908 Izzi pubblica i risultati di questa sua campagna di diffusione, riportando lettere di apprezzamento del Ministro Nunzio Nasi e del suo successore, Vittorio Emanuele Orlando, di Ernesto Basile ed i lusinghieri giudizi pubblicati su due bollettini che illustravano gli articoli presentati all’Esposizione campionaria di Roma del 1903. Il volume fu premiato presso tale esposizione con la medaglia d’argento e con la Medaglia d’Oro, il Grand Prix e la Targa d’Oro in occasione dell’Esposizione Internazionale di Palermo del 1906.

[29] Ricerche automatiche nei cataloghi librari delle biblioteche italiane e ricerche presso il mercato antiquario non hanno consentito di individuare nemmeno una copia del primo o del secondo fascicolo di questa edizione.

[30] La premiata tipografia di G. Caneba aveva sede a Palermo in corso Vittorio Emanuele 412.

[31] In totale le edizioni del volume sono sei. La prima del 1903, la seconda del 1905, la terza del 1908, la quarta del 1914. Della quinta non si è riusciti ad avere alcuna notizia. La sesta edizione fu pubblicata nel 1921. Se si esclude l’edizione del 1908, pubblicata da Paravia, le altre furono tutte curate da Orazio Fiorenza.

[32] G. Izzi, Elementi di disegno geometrico…, pp. 152-155.

[33] Ivi, p. 155.

[34] Ivi, p. 156.

[35] Per ciascuna superficie veniva indicato un riferimento stilistico o geografico, come «moresco», «greco», «moderno», «medioevo», «celtico», «arabo», «stile ottocento», «Rinascimento inglese - Stile Elisabetta».

[36] In ciascuna tavola si legge «G. Izzi dis.» e «Lit. A Brangi - Palermo».

[37] D. Malignaggi, Tra neoclassicismo e accademia. Arti figurative a Palermo nella prima metà dell'Ottocento, in Immaginario e Tradizione. Carri trionfali e teatri pirotecnici nella Palermo dell'Ottocento, Novecento, Palermo 1993, pp. 26-28. E. Dotto, La prospettiva pratica di Antonio Morselli, Lombardi editori, Siracusa 2006, pp. 24-26.

[38] Anche nel caso in cui come in Bourgoin, le indicazioni sono piuttosto generiche, si tratta sempre di esempi reali, di manufatti rilevati dal vero che hanno subito un profondo processo di sintesi e che vengono offerti agli studiosi come puri schemi geometrici, privi del tutto di ogni connotazione materica o cromatica.

[39] Nel volume di A. Garneri, Corso elementare di Disegno geometrico, già citato, alle pagine 83-86 si trovano gli indici delle tavole di «applicazioni». Alcuni schemi musivi sono indicati per la loro provenienza, come alcuni reticoli tratti da S. Maria del Fiore a Firenze, dal Duomo di Monreale, dalle Terme di Caracalla o dall’Alhambra. Garneri pubblicò anche diverse edizioni di un Vademecum dell’Ornato, che contiene oltre 2400 diversi schemi con didascalie in sette lingue (tra cui il russo) nelle quali non di rado si indica l’origine dell’elemento decorativo illustrato.

[40] Come è possibile dimostrare (teorema dei cinque colori), per potere disegnare un qualunque partito geometrico colorando le aree adiacenti con tinte tra loro differenti, sono necessari – appunto – al massimo cinque colori. In generale si rivelano sufficienti quattro colori, anche per i casi più complessi. Nella trascrizione grafica era sempre possibile, quindi, ridurre il numero delle tinte nel caso in cui i tessuti musivi fossero composti utilizzando un numero elevato di materiali diversi.

[41] In qualche caso, però queste tavole monocromatiche risultavano essere migliori di altre in cui gli ornati venivano stampati a colori e su pagine di dimensioni maggiori. Le tavole nel volume di Stanislao Tamburrini, (S. Tamburrini, Guida pratica di disegno geometrico, Vallardi, Milano 1898) ad esempio, riportavano disegni fragili, privi di mordente ed inefficaci.

[42] J.-J. Hittorff, L. von Zanth, Architecture moderne de la Sicile, Paul Renouard, Paris 1835. Le tavole dedicate alla Cappella Palatina sono quelle dalla 45 alla 47.

[43] In D. Lo Faso Pietrasanta Duca di Serradifalco, Del Duomo di Monreale…, le tavole dedicate alla Cappella Palatina sono la XV, la XVI e la XVII.

[44] F. M. Hessemer, Arabische und alt-italienische Bau-Verzierungen, Reimer, Berlin 1842, tavv. 51 e 52 della II parte.

[45] M. A. Racinet, L’Ornement…, tav. XXXVI.

[46] M. Amari, L. Boglino, I. Carini, S. Cavallari, A. Terzi, La Cappella di S. Pietro nella reggia di Palermo, Brangi, Palermo 1842.

[47] Andrea Terzi nacque a Monreale nel 1842 da una famiglia umile. Assistito da uno zio canonico poté recarsi a Palermo dove imparò l’uso dell’acquerello e poté studiare con Giuseppe Patania. Giovanissimo fu coinvolto da Domenico Benedetto Gravina nella pubblicazione del lavoro Il Duomo di Monreale Illustrato, al quale contribuì con un numero cospicuo di disegni. Nel 1872 pubblicò il suo lavoro sulla Cappella Palatina, che gli valse alcuni premi ed il cavalierato. Il figlio Amedeo John Engel riuscì ad eccellere nel mondo del disegno scientifico, in modo particolare come disegnatore di insetti. Il figlio Aleardo fu uno dei più grandi disegnatori pubblicitari del primo Novecento. Andrea Terzi espose molte sue opere pittoriche e realizzò una Pianta topografica ed archeologica di Siracusa commessagli dal Ministero della Pubblica Istruzione. Morì a Roma nel 1918. Si veda la voce di M. A. Spadaro, Andrea Terzi, in L. Sarullo, Dizionario degli Artisti Siciliani. Pittura, vol. II, ad vocem, a cura di M. A. Spadaro, Novecento, Palermo 1993, pp. 522-523. Sul rilievo della Cappella Palatina si veda F. Agnello, Rilievo e rappresentazione del soffitto della navata centrale della Cappella Palatina, in La Cappella Palatina a Palermo, Franco Cosimo Panini, Modena 2010, vol. I, pp. 295-352.

[48] Si veda E. Dotto, Il “Duomo di Monreale illustrato” di Domenico Benedetto Gravina, in Ikhnos 2009, Analisi grafica e storia della rappresentazione, Lombardi Editori, Siracusa 2009, pp. 73-104.

[49] Praticamente in ciascuna delle tavole si trova la firma di Terzi come disegnatore, mentre più variegata è la schiera dei litografi. In aggiunta a Terzi, come litografo si trova indicato, in quasi tutte le tavole, anche il nome di Andrea Brangi. Più raramente G. Huber, e solo in un paio di casi G. Frauenfelder.

[50] Frauenfelder preparò la lastra litografica della tavola XI-A. Sono due le tavole con questa dicitura. Quella litografata da Frauenfelder è quella in nero con sottilissimi tratteggi per la resa dei toni di grigio.

[51] Nel primo fascicolo si trovano due mosaici della Cappella alla tavola X, uno soltanto alla tavola XI, tre alla tavola XII, uno alla tavola XVI. Nel secondo fascicolo si trova un solo mosaico della Cappella alla tavola I, due alla tavola IV, tre alla tavola V, quattro alla tavola VIII.

[52] I disegni pubblicati da Gregorio Izzi si trovano nelle seguenti tavole dell’opera di Terzi: tavola XI-A (a colori), due illustrazioni in alto; XI-B le quattro illustrazioni nella parte superiore; XI-C, tutte e tre le illustrazioni; XXX, sei illustrazioni ai bordi; XXXI-A due illustrazioni in alto al centro e a destra.

[53] Si veda la nota 47.

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Temi di Critica - numero 8

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