teCLa :: Rivista #8

in questo numero contributi di Giuliana Tomasella, Giulio Brevetti, Almerinda Di Benedetto, Edoardo Dotto, Valentina Di Fazio.

codice DOI:10.4413/DI BENEDETTO - codice ISSN: 2038-6133
numero di ruolo generale di iscrizione al Registro Stampa: 2583/2010 del 27/07/2010

Il viaggio come scoperta dell’alterità: note sul pittore Agostino Brunias (1730- 1796) di Giuliana Tomasella

 

Agostino Brunias, artista ancora pressoché sconosciuto in Italia, è  per molti versi un personaggio singolare e fuori dai canoni, la cui esperienza artistica e di vita esce dagli schemi consueti. Formatosi a Roma, intraprese presto un viaggio al contrario  - da sud verso nord - rispetto a quelli allora in voga, abbandonando l’Italia per recarsi prima in Inghilterra e poi nelle Antille. In una fase in cui Roma stava diventando sempre più il centro dell’orizzonte culturale degli artisti e intellettuali di tutta Europa, Brunias se ne allontanò sia fisicamente che idealmente, sottoponendo a un processo di profonda revisione quanto aveva appreso negli anni giovanili e adeguandolo alle esigenze e alle suggestioni di un mondo nuovo, da cui venne profondamente irretito e affascinato. 

Le sue origini sono tutt’altro che chiare e la bibliografia che lo riguarda risulta singolarmente varia e inesatta circa nazionalità e nome del pittore, ora ricordato come inglese, ora come francese o italiano, con grafie e nomi  diversi: Carl Heinrich von Heineken, direttore della Galleria di Dresda, nel suo dizionario dedicato agli incisori di cui il museo possedeva opere, lo chiama A. Brunias e, senza sbilanciarsi in modo definitivo circa la nazionalità, lo definisce “Peintre & Graveur en Angleterre” [1]; Edward Edwards, negli Anecdotes of Painters who have resided or been born in England, così ne scrive: “Augustine Brunias: An Italian, who painted decorative subjects for pannels and eilings, both in colour and chiaro oscuro. After some stay in London, he went to the West Indies, and resided chiefly at Dominica. In the exhibitions of the Royal Academy in the years 1777 and 1779, were pictures by this artist, some of which were views in the islands, and others representing the amusements of the negroes at that place. From the latter subjects, there are prints, engraved in the dotted manner, some of which are by his own hand”[2]. Nagler, nell’Allgemeines Kunstler Lexicon, lo cita come Brunias A. , senza svolgerne il nome, e lo definisce inglese, attivo intorno al 1780[3];  Charles Le Blanc, nel suo Manuel de l’Amateur d’Estampes, citando Heineken e Nagler,  lo chiama Abraham Brunias e lo indica come inglese[4].

Algernon Graves, che ne francesizza nome e cognome in Augustin Brunais, ricorda la sua partecipazione, nel 1763 e 1764, alle esposizioni della Free Society of Artists: in tali occasioni espose rispettivamente un “large landscape, with ruins” e un “large landscape, with figures”, risultando residente a Londra a Broad Street, Carnaby Market[5]. Ancora, in un interessante articolo del 1890 in cui viene definito pittore-etnografo, l’antropologo francese Hamy, citando Nagler, ne svolge il nome in Alexander  e lo definisce inglese[6].

Come si vede, la nazionalità italiana tende a essere dimenticata: il cognome Brunias non risulta in effetti attestato in Italia, mentre è piuttosto comune in Francia, in particolare a Lieux, nel dipartimento Alpes de Haute Provence. E’ pertanto probabile che le origini familiari del pittore fossero francesi. Confortano, in tal senso, anche altre circostanze: sappiamo infatti che, nei suoi anni romani, Brunias partecipò ad almeno una mascherata in costume organizzata dai pensionnaires dell’Accademia di Francia a Roma nel carnevale del 1748, intitolata Caravan du Sultan à la Mecque, Masquerade turque. Di essa si conserva memoria sia grazie ai riferimenti nella corrispondenza del direttore, Jean-François de Troy, che a una serie di disegni del pittore francese Joseph-Marie Vien (dai quali furono tratte anche delle incisioni), fra cui uno che ritrae un M. (Monsieur) Brunas [sic] in costume di eunuco[7]. Non era certo escluso che in tali mascherate fossero coinvolti anche conoscenti italiani (o di altra nazionalità) dei pensionnaires, ma in questo caso colpisce il fatto che tutti i  personaggi ritratti nei diciotto disegni annotati di Vien hanno nome francese, il che fa supporre che il nostro artista, probabilmente per l’origine della sua famiglia, fosse sentito come parte della comunità legata all’accademia francese a Roma.

Per quanto concerne la sua formazione, sappiamo che il suo alunnato si svolse presso l’Accademia di San Luca, dove è attestato che nel 1754 vinse il terzo premio nella II classe di pittura con un disegno a matita nera e gessetto su carta grigia raffigurante Tobia e l’Angelo[8].  Sappiamo che il tema estratto per la seconda classe di pittura nel 1754 era stato dettato da Marco Benefial, mentre quelli della I e III classe erano stati scelti rispettivamente da Francesco Caccianiga e da Carlo Natoire. Era ovvio che gli allievi, cimentandosi nelle loro prove, cui potevano lavorare qualche mese prima del giudizio della commissione, cercassero di adeguarsi ai gusti e allo stile dei professori dell’Accademia, che in genere erano anche i giudici dei concorsi; non è dunque il caso di ricercare qui i tratti distintivi di uno stile personale [9]. Alla gara partecipavano artisti di diversa abilità: la I classe era riservata a quelli più maturi, dai quali si esigeva una composizione complessa; per la II classe si richiedeva un’invenzione semplice, mentre la III era riservata ai più giovani e prevedeva un esercizio di copia. La scelta fra i vari livelli era libera, ma per  poter partecipare ai concorsi occorreva essere iscritti tra gli allievi dell' accademia e quindi frequentare le lezioni settimanali di un maestro. E’ stato osservato che il mondo figurativo romano di quegli anni era “in bilico tra neobarocco e protoneoclassico”[10]; dal 1750 al 1752 era stato eletto Principe dell’Accademia Francesco Mancini, definito “figura di raccordo tra il periodo postmarattesco e le generazioni a lui successive, direttamente impegnate in epoca neoclassica”[11]. L’esperienza di Brunias appartiene a questa fase di passaggio, in cui da forme vaporose e ancora memori del rococò si trapassa nel rigore di un nuovo linguaggio; va tuttavia precisato che nella pittura romana del Settecento il cosiddetto “classicismo arcadico” costituì una sorta di fronte di resistenza al rococò internazionale e, specie all’interno dell’Accademia, il passaggio al neoclassicismo propriamente detto fu in qualche misura anticipato da un serrato dialogo con la tradizione, da Raffaello ai Carracci, da Poussin a Reni[12]. In questa linea può essere inserito anche il disegno di Brunias premiato nel 1754, di indubbio impianto classicistico, nonostante la resa pittoricistica e morbida, in particolare, della figura dell’angelo, che fra l’altro richiama, pur con qualche goffaggine, la Fortuna trattenuta da Amore di Guido Reni[13].

E’ ovvio che nella definizione di un nuovo linguaggio figurativo giocarono un importante ruolo anche le sollecitazioni derivanti dalle sempre più pressanti richieste, da parte di una clientela soprattutto straniera, di disegni di rovine e antichità classiche, tanto in voga all’epoca di quel Grand Tour, di cui Roma costituiva la principale meta. Proprio nel 1755, lo stesso anno dell’arrivo di Winckelmann, vi giunse anche Robert Adam, il cui incontro con Brunias era destinato a imprimere una svolta decisiva nella sua vita. Grazie alla sua abilità di disegnatore, infatti, venne notato dall’architetto scozzese ed entrò a far parte di quello che è stato definito il suo “drawing office in Rome”[14], che comprendeva, fra gli altri, anche il pittore francese Charles-Louis Clérisseau, già pensionnaire dell’accademia francese, fra 1749 e 1754[15],  e l’architetto belga Laurent-Benoît Dewez, che soggiornò a Roma tra il 1754 e il 1757 come boursier del Collège liégeois[16]. L’ambizioso architetto, deciso a fare del Grand Tour il trampolino di lancio per la sua carriera in patria, era alla ricerca non di apprendisti, ma di esperti disegnatori che lo coadiuvassero nel suo lavoro di ricognizione sistematica dei principali edifici della Roma antica, cui avrebbe largamente attinto negli anni successivi, traendone importanti stimoli e suggerimenti per i suoi numerosi progetti. Non stupisce quindi che, per mettersi in contatto con i migliori sulla piazza,  avesse fatto innanzitutto riferimento a quei vivai di giovani talenti che erano le accademie, da cui tutti e tre gli artisti citati provenivano. Nel momento in cui essi vengono assunti da Adam, tuttavia, le tracce del loro apporto individuale si perdono, anche perché, per contratto, dovevano rinunciare ad ogni attività autonoma.

Ancora oggi, per capire qualcosa di più dell’attività e degli spostamenti di Brunias, resta fondamentale lo studio di John Fleming su Robert Adam e la sua cerchia, in cui si attinge a un vastissimo materiale epistolare, nel quale ricorre varie volte il nome di Agostino Brunias[17]. In una lettera al fratello James, l’architetto scozzese lo definì come un pittore convertito in architetto da Clerisseau e da lui stesso e aggiunse con ammirazione: “He does all my ornaments and all my figures vastly well”[18]: abbiamo così da Adam un’indicazione molto importante circa le mansioni svolte dall’artista, che possono orientare nel difficile lavoro di individuazione delle diverse mani nello sterminato corpus dei materiali dello studio Adam conservato presso il John Soane’s Museum di Londra.

Durante la sua permanenza a Roma, Adam, resosi conto della perizia dei disegnatori che aveva impiegato, concepì il progetto di portarseli appresso in Inghilterra, vincendo le resistenze dei fratelli James e John[19].  Essi lo seguirono, dunque, nel viaggio che intraprese verso nord nel 1757 e che lo condusse a Viterbo, Firenze, Bologna, Padova, Venezia, per poi proseguire verso Spalato, dove l’équipe attese all’impresa destinata a culminare, nel 1764, nella pubblicazione del volume The Ruins of Spalatro, corredato da bellissime tavole.

Esso risulta opera di Adam e i nomi dei collaboratori (a cominciare dal principale, Clérisseau), non sono menzionati, secondo quella che fu una prassi consolidata nello studio dell’architetto scozzese, che utilizzava disinvoltamente l’abilità dei collaboratori privandoli del giusto riconoscimento.

Pare che Brunias non si fosse mai allontanato, prima, da Roma e che non avesse mai visto il mare, come testimonia una lettera di Robert Adam al fratello: “Poor Brunias who was never without the walls of Rome till he came with me and never saw the sea till he saw Venice, is sick at the very thought of the voyage and is laying up a store of Venice treacle to stop his spewing”[20].

Dopo Spalato, l’architetto si diresse verso Londra, che raggiunse nel gennaio 1758, portando con sé sia Brunias che Dewez, mentre Clérisseau restò in Italia[21].

Grazie alla loro collaborazione, era riuscito ad avere migliaia di disegni dall’antico,  che non si fidò di spedire in Inghilterra separatamente, preferendo tenerli con sé nel viaggio; fra essi pare vi fossero molte piante ed elevati di Dewez e innumerevoli copie di motivi decorativi di Brunias[22].

Fu probabilmente a causa della subalternità in cui Adam teneva i suoi collaboratori, che si sentivano defraudati e sfruttati, se Dewez letteralmente fuggì da Londra tra la fine del 1758 e gli inizi del 1759, come attesta una lettera che spedì al suo datore di lavoro, in cui affermava che non sarebbe più tornato indietro a meno di non avere garanzie che il contratto vessatorio che era stato costretto a firmare non potesse essere usato contro di lui[23]. In tale situazione, ovviamente, Brunias e Dewez non erano favoriti dal fatto che – come in precedenza aveva notato Adam con soddisfazione – non parlavano se non l’italiano e il francese, ed erano quindi impossibilitati a stringere rapporti in modo indipendente e a far valere i propri diritti e il proprio nome di artisti[24].

A questo proposito risulta particolarmente utile, per la nuova luce che getta anche sulla vicenda del  nostro artista, riferirsi all’esperienza di un altro collaboratore italiano di Adam, Giuseppe Manocchi. Secondo quanto scrive Peter Meadows,  “he – and no doubt all the others in the Adam office – was employed for a seven years term during which he ‘could do nothing, not even for (his) own use, under a penalty of paying them (Messrs. Adam) £ 200:0:0’ Bonomi, Zucchi and Morrison agreed (or were persuaded) to stay on for another seven years, but all the others complained of exploitation and left after their first term. Dewez, thinking he had been taken into slavery, escaped in less than a year and returned to Belgium where he became the foremost architect”[25].

La collaborazione di Brunias, invece, nonostante tutto, continuò in modo intenso, come dimostra la sua partecipazione a molte commissioni di Adam. Grazie all’analisi sistematica condotta negli ultimi anni sul corpus dei disegni di Robert Adam e del suo ufficio conservati presso il John Soane’s Museum di Londra, ora consultabili anche on line, è possibile ricostruire varie significative tappe dell’attività di Brunias in Inghilterra[26], ampliando la rete dei riferimenti dalle scarne citazioni relative alla sua presenza in qualità di espositore alle mostre della Free Society of Artists o della Royal Academy (che si sono già ricordate), a una significativa serie di incarichi decorativi.

Finora l’attività a Roma e oltre Manica di Brunias è stata oscurata dai successivi sviluppi della sua carriera di pittore-viaggiatore nei Caraibi e la sua pittura interpretata eminentemente sotto il profilo iconografico, con esclusiva attenzione al tema della rappresentazione del “nero” nell’ambito del contesto coloniale, in tutte le sue sfaccettature[27]. Il che ha prodotto risultati senz’altro molto stimolanti e di grande interesse, che andrebbero tuttavia integrati con una ricostruzione filologicamente corretta e rigorosa di quanto precede (e non è poco) il viaggio di Brunias nelle Antille. Quando l’artista lasciò l’Europa, aveva maturato oramai una significativa esperienza e aveva alle spalle una serie di incontri e collaborazioni con personaggi importanti, che non possono non aver influito sul suo modo di operare: dai fratelli Adam a Piranesi, da Clérisseau a Dewez ad altri disegnatori – di provenienza internazionale - che negli anni Sessanta popolavano lo studio dell’architetto scozzese. Per non parlare degli stimoli che gli vennero dalla frequentazione delle esposizioni londinesi, che lo misero a contatto con stili e generi diversi, rispetto a quanto aveva appreso in patria. Particolarmente interessante sarà perciò seguire il percorso di ibridazione e risemantizzazione che si può cogliere nella pittura di Brunias, le modalità della traslazione di soggetti e prassi rappresentative che non possono se non aver subito una profonda metamorfosi nel passaggio dalla Roma caput mundi culturale del secondo Settecento alla capitale economica londinese, infine al mondo nuovo della realtà coloniale; si tratterà insomma di capire che cosa resta e che cosa muta, rispetto al bagaglio di partenza: a questo proposito va precisato che, data la complessità del tema, questo studio si pone come una prima ricognizione, destinata a ulteriori sviluppi.

Tornando alla rete delle collaborazioni con Adam in Inghilterra, fino a qui il nome di Brunias era stato legato alla decorazione della lussuosa dimora di Kedleston Hall, nel Derbyshire, in virtù della fortunata sopravvivenza di un set di pannelli decorativi a lui ascrivibili.  Dopo un iniziale coinvolgimento degli architetti James Paine e Matthew Brettingham, che disegnò il prospetto principale neopalladiano, il committente Nathaniel Curzon incaricò dell’architettura del giardino e della decorazione degli interni Robert Adam, il quale riuscì, nel 1761, ad avere il completo controllo dell’edificio, progettandone il fronte sud, chiaramente ispirato all’Arco di Costantino, che aveva accuratamente avuto modo di studiare durante la sua permanenza a Roma [28].

Fu nella realizzazione degli interni che Brunias venne coinvolto: a lui si dovette, fra le altre cose, la decorazione della Breakfast Room, per la quale realizzò cinque pannelli raffiguranti ciascuno due figure femminili  abbigliate con tuniche classiche, forse vestali o antiche sacerdotesse, sullo sfondo di un paesaggio, ritratte in diverse attitudini, ora sedute, ora in piedi accanto a un altare con fuoco sacro, ora divise da un cesto di frutta. Nel pannello riprodotto, una di esse è seduta, l’altra in piedi, ciascuna a lato di un altare a colonna sormontato da un fuoco sacrificale. Brunias cercò di riprodurre sulla tela l’effetto dell’affresco, utilizzando la tempera, che si deteriorò rapidamente negli anni. Forse anche per questo motivo la sala fu smantellata nel 1807; i dipinti di Brunias nelle loro cornici originarie sopravvissero nella dimora fino agli anni Sessanta; nel 1975 furono acquistati dal Victoria and Albert Museum, dove sono ora conservati[29].

Oltre a questo incarico, il pittore italiano ne assolse numerosi altri, nell’arco di tempo che va dal 1758 al 1763: a lui sono stati attribuiti (ora dubitativamente, ora con certezza) numerosi disegni con prospetti architettonici, decorazioni per soffitti e pareti, eleganti caminetti, vedute prospettiche, monumenti funebri. Gli è stato per esempio riferito da Alistair Rowan il bel disegno a penna e matita della Perspective View in Parliament Street and the Screen for the Admiralty (1759), che servì per la realizzazione di una stampa, poi pubblicata in Works in architecture of Robert and James Adam[30].

Di particolare interesse risultano i disegni preparatori, talora molto dettagliati e di notevole qualità, per alcuni monumenti funebri, che prevedevano spesso la presenza di scene storiche a bassorilievo e figure a tutto tondo, nella cui definizione il disegnatore poteva fare ampio sfoggio della propria perizia e attingere largamente al repertorio accademico. E’ il caso, per esempio, del monumento per il Major-General James Wolfe a Westminster Abbey, non realizzato, per il quale Brunias eseguì un bel disegno. Il pannello centrale con il rilievo fu in seguito riutilizzato per il progetto del monumento al Luogotenente-Colonnello Roger Townshend in Westminster Abbey, del quale si conservano alcuni pregevoli disegni attribuiti a Brunias [foto 7, 8]. Essi raffigurano un comandante ferito in battaglia, abbigliato all’antica ed evocante la figura di Alessandro Magno; sorretto dai suoi soldati, egli presumibilmente impartisce le ultime istruzioni per la battaglia. Sullo sfondo di uno dei due disegni sta un palmizio, allusione ai viaggi di Alessandro  e, per analogia, a quelli del personaggio cui è dedicato il monumento funebre. Di quest’opera, realizzata con modifiche nel 1761 e la cui qualità risulta piuttosto scadente rispetto a quella dei disegni preparatori, interessa in particolare ricordare i due telamoni, che furono immaginati in sembianze di nativi nord-americani [foto 9, 10], per il fatto che  Townshend era morto in battaglia contro i francesi a Ticonderoga, New York. Si tratterebbe del primo avvicinamento del nostro autore al soggetto esotico, che caratterizzò tutta la sua produzione successiva, volta a una dettagliata documentazione delle diverse “razze” che popolavano le Antille, dove si recò in seguito. Va precisato che i tratti somatici dei due personaggi sembrano rimandare piuttosto al centro e sud America, probabilmente a causa della mancanza di chiari riferimenti da parte dell’artista.

L’attribuzione a Brunias dei due telamoni è senz’altro suggestiva e convincente, anche se sono realizzati con uno stile notevolmente diverso rispetto, per esempio, a quello dei disegni per la tomba Townshend. Il ductus mosso e leggero ha lasciato il posto a un segno molto più sorvegliato e preciso e a una descrizione minuziosa. In questo caso non c’è, a soccorrere l’artista, un repertorio codificato a cui attingere ed egli si trova a confrontarsi con un soggetto completamente nuovo; colpisce la precisione con cui rappresenta i particolari, come la capigliatura a treccine, il “cameo” che il nativo ha al collo, il tomahawk e i pugnali. Si ravvisa un’indubbia propensione documentario-etnografica, assai più evidente qui che nei dipinti realizzati nei Caraibi, dove si stempera in scene d’insieme in cui le attività in cui sono coinvolte le figure e il paesaggio che le circonda risultano dominanti rispetto all’attenzione al tipo specifico. Il problema della natura etnografico-documentaria o meno della pittura di Brunias è stata al centro dei recenti studi su di lui e ha preso le mosse da uno dei primi interventi critici dedicati al pittore romano, quello del 1890 dell’antropologo francese Hamy, intitolato proprio Alexander Brunias peintre ethnographe de la fin du XVIIIe siècle. In esso veniva apprezzata proprio l’esattezza scientifica, inusuale per quei tempi, con cui Brunias era stato in grado di rappresentare i diversi tipi umani: « Il est, en tout cas, le premier, par ordre de date, de ces artistes voyageurs si nombreux depuis lors et parfois si habiles qui ont consacré une partie de leur talent à représenter d’après nature, en toute sincérité, les divers aspects de l’humanité exotique »[31].  L’« esattezza quasi scientifica » ravvisata da Hamy è in effetti evidente nel ritratto dei due telamoni, che possono essere accostati a qualche esempio di pittura etnografica del periodo, come quella, per esempio, di Sydney Parkinson, che viaggiò con James Cook nella prima spedizione nel Pacifico del 1768 [foto 11].

La mano di Brunias è stata inoltre riconosciuta nei progetti per il monumento funebre di James Thomson a Westminster  e in quelli per il monumento a Sir Nathaniel Curzon, eseguito per la chiesa di All Saints’ a Kedleston da Michael Rysbrack nel 1763; nei disegni preparatori per il mausoleo per John Fitzmaurice, conte di Shelburne a Bowood House e in quelli per l’opera commemorativa costruita con varianti nella Lady Chapel di St. John the Baptist’s Church a Mersham per Sir Wyndham Knatchbull-Wyndham.  La sua intensa collaborazione con lo studio di Adam contemplò anche l’esecuzione di numerosi disegni per stanze, soffitti decorati, caminetti in varie residenze, come Bowood, Shardeloes, Philipshaugh, oltre naturalmente alla già citata Kedleston[32].

Successivamente al 1763, tuttavia, non si trova più traccia del nome di Brunias tra i collaboratori dello studio dei fratelli Adam. Il fatto che il pittore nel 1763 e 1764 abbia partecipato, come si è ricordato, a un’esposizione della Free Society of Artists, dimostra che a quella data era già libero dall’ accordo con i fratelli Adam, che non gli avrebbe consentito un’attività autonoma. Se il contratto vessatorio cui Dewez si riferiva venne stipulato, come egli testimonia, in Inghilterra, esso dovrebbe collocarsi nel 1758, dopo l’arrivo oltre Manica; ne deriva che probabilmente Brunias se ne andò prima che scadessero i sette anni previsti. Una labile traccia di un’ulteriore commissione ci è offerta da Croft Murray, il quale ricorda la realizzazione da parte di  Brunias – su incarico dell’architetto William Chambers – di una non meglio precisata decorazione all’interno della dimora londinese di Lord Clive negli anni 1766-1767[33]. Allo stato attuale delle ricerche, tuttavia, non è possibile ricostruire con esattezza la sua attività e i suoi spostamenti, né conoscere il momento del suo incontro con il baronetto scozzese William Young, che lo volle con sé nel periodo del suo soggiorno nelle isole a sud dei Caraibi che, alla fine della guerra dei sette anni - dopo il trattato di Parigi del 1763 – erano state cedute dalla Francia all’Inghilterra. William Young (the Elder) rivestì molte importanti cariche e controllò un piccolo impero nei Caraibi, dove viveva da principe: ebbe possedimenti ad Antigua, Dominica, San Vincent,  Tobago e anche nelle più piccole isole di Bequia e Carriacou[34]. Una tela di Johan Zoffany della Walker Art Gallery di Liverpool lo ritrae circondato dalla famiglia sulla soglia della sua ricca dimora, intento a suonare il violoncello, mentre alle sue spalle un servo di colore aiuta a stare in sella a un cavallo il suo figlio più piccolo. Si tratta di un tipico “conversation piece”, genere molto in voga nell’Inghilterra settecentesca, con cui il pittore romano ebbe ampiamente modo di confrontarsi e cimentarsi. 

E’ probabile che Brunias si sia recato nei Caraibi intorno al 1767 e vi sia rimasto almeno fino al 1774, quando il suo committente fece ritorno in modo definitivo in Inghilterra; una prova del legame fra i due e del fatto che il rapporto di lavoro fu lungo e continuativo è che, alla sua morte – avvenuta nel 1788 -  il baronetto gli lasciò nel testamento un “mourning ring” e cinquanta sterline[35].

L’unico dato certo è che quando, nel 1770, due suoi “drawings after nature” furono esposti a Londra alla mostra della Society of Artists, il recapito di Brunias fu indicato genericamente sotto la voce “West Indies”[36].

Durante la permanenza nelle Indie occidentali, il pittore accompagnò il baronetto scozzese nei suoi numerosi viaggi, con l’incarico di rappresentare paesaggi e abitanti delle piccole isole caraibiche; va rammentato, a tale proposito, che la prima carica rivestita da William Young fu quella di  President of the Commission for the Sale of Lands in Dominica, Saint Vincent, Grenada and Tobago (le isole che erano state cedute dalla Francia alla fine della guerra dei Sette anni). Il suo mandato era dunque quello di promuovere la conoscenza delle nuove terre dell’Impero e di favorirne l’acquisto da parte dei connazionali. La presenza di Brunias va inquadrata in tale contesto e spiega i tratti indubbiamente edulcorati che caratterizzarono la sua rappresentazione delle nuove colonie inglesi, funzionale a un disegno politico-economico ben preciso.  Appartiene a questa fase un cospicuo numero di tele e tavole - di modeste dimensioni perché destinate al trasporto in patria - possedute da alcuni importanti musei americani ed europei, su cui si è appuntato di recente l’interesse di alcuni studiosi, che ne hanno fornito interpretazioni talora divergenti, ora sottolineando il ruolo di artista “organico” agli interessi e alla cultura dei possidenti terrieri anglosassoni che Brunias avrebbe rivestito, ora, al contrario,  mettendo in luce la valenza ambigua se non coscientemente critica che le sue rappresentazioni svelerebbero nei riguardi dell’élite inglese. Le opere dell’artista romano - al pari di quelle di altri artisti-viaggiatori della seconda metà del Settecento - sono state inquadrate all’interno dello scenario segnato dalle lotte pro e contro l’abolizionismo e interpretate da un lato alla luce delle tensioni e discussioni che a livello generale percorsero quella cruciale fase, dall’altro tenendo conto del loro stretto legame con le peculiarità del quadro politico-economico delle Indie occidentali.

Tentando di seguire le scarne tracce della biografia di Brunias, nei tardi anni Settanta lo troviamo  di nuovo a Londra; come testimonia Edward Edwards, “in the exhibitions of the Royal Academy in the years 1777 and 1779, were pictures by this artist, some of which were views in the islands, and others representing the amusements of the negroes at that place. From the latter subjects, there are prints, engraved in the dotted manner, some of which are by his own hand”[37]. Anche una volta tornato in Inghilterra, dunque, pare che Brunias abbia rilavorato scene di vita caraibica, legando indissolubilmente il proprio nome alla rappresentazione dei diversi tipi umani incontrati nei Caraibi: caribi, schiavi neri, neri liberi, mulatti, creoli bianchi, europei. La parallela produzione di stampe, solo in parte dovuta a lui, contribuì a una notevole circolazione dei suoi soggetti, destinati ad avere larga fortuna. Va ricordato, a tale proposito, che quattro delle sue incisioni - tratte da quadri di proprietà di William Young - figurarono all’interno delle diverse edizioni di The History, Civil and Commercial, of the British Colonies in the West Indies di Bryan Edwards, pubblicata per la prima volta nel 1793 e seguita poi da altre edizioni[38]: si tratta di  A Negro Festival drawn from Nature in the Island of St. Vincent; A family of Charaibes, drawn from the Life, in the Island of St. Vincent; Chatoyer the Chief of the Black Charaibes in St. Vincent with his five wives; Pacification with the Maroon Negroes. Bryan Edwards, che fu uno strenuo oppositore dell’abolizionismo, fornì nell’ampia opera un dettagliato resoconto della storia, della politica e delle prospettive commerciali delle colonie inglesi nei Caraibi; anche in questo caso, dunque, troviamo Brunias impegnato a sostenere – sia pure indirettamente – la causa dei possidenti inglesi, che si sentivano minacciati nei propri interessi economici dall’ondata montante di proteste contro la schiavitù. E’ stato convincentemente dimostrato come le scene da lui dipinte risultino perfettamente funzionali all’interpretazione, non di rado falsata, che Edwards fornì della storia recente in particolare dell’isola di St. Vincent[39]. Le scene furono scelte per illustrare alcuni aspetti della società e dei recenti avvenimenti della storia dei rapporti fra gli inglesi e la popolazione dell’isola di St. Vincent, sottolineando la presenza, più fittizia che reale, di una comunità (pura) di caribi rossi indigeni contrapposta a quella dei caribi neri, discendenti degli schiavi fuggiti dalle piantagioni e qui rifugiatisi, i quali, nell’interpretazione di Edwards, avevano finito per minacciare l’integrità sociale e culturale dell’isola assai più dei nuovi possidenti bianchi, portatori di benessere e di cultura.

Entro il 1784 Brunias tornò nuovamente nei Caraibi; probabilmente il suo ritorno coincise con la pace tra Francia e Inghilterra seguita a cinque anni di guerra durante i quali Saint Vincent e Dominica erano stati occupati dai francesi. L’ultima parte della sua vita la spese dunque in quelle terre lontane, morendo nel 1796 a Roseau, Dominica, dove si era con ogni probabilità fatto una famiglia. Lo studioso locale Lennox Honychurch riferisce a questa seconda fase della sua permanenza una serie di disegni botanici che realizzò per Alexander Anderson, curatore dei Giardini Botanici di Saint Vincent, in merito ai quali tuttavia non mi è stato finora possibile reperire altre indicazioni.

Fin qui le scarne notizie biografiche, fortemente lacunose, che costituiscono una prima traccia per un lavoro di ricostruzione in gran parte da svolgere. A fronte di tale quadro incompleto, sta un numero cospicuo di tavole e tele, disseminate in alcuni fra i più importanti musei europei ed americani, segno del vivo interesse nei confronti di un artista che seppe offrire, nell’ambito della pittura di genere legata al mondo coloniale, una sua peculiare visione e interpretazione, capace anche di travalicare la passiva riproduzione, ad uso dei possidenti, dell’esotico paesaggio delle colonie delle Indie occidentali e dei suoi abitanti.[40]

Una  preliminare constatazione riguarda la natura trasversale della proposta di Brunias, la diagonalità della sua pittura rispetto ad alcuni generi molto in voga nella seconda metà del Settecento nel mondo delle colonie britanniche: la pittura-reportage legata alla scoperta e allo sfruttamento delle nuove terre, il genere delle vedute topografiche e quello della pittura etnografica. Il legame con tali generi, tuttavia, sembra essere più apparente che reale e si fonda in sostanza sul dato esterno e generico dell’esotico. Credo sia centrale, a questo proposito, tenere conto della sua formazione e della sua provenienza, che lo indussero naturalmente a mescolare i generi “alti” del paesaggio classico, della pittura a soggetto mitologico e del “conversation piece” inglese, con i nuovi modelli di tipo etnografico. E la scelta di Young cadde su di lui, probabilmente, proprio in virtù della sua provenienza accademica e classica. C’era bisogno, per convincere le classi agiate inglesi a investire nelle nuove terre, di fondere il fascino esotico con qualcosa di riconoscibile e rassicurante, che soltanto il legame con la tradizione europea era in grado di assicurare. Non serviva un reportage oggettivo e “scientifico”, semmai una rivisitazione in chiave tropicale di alcuni topoi della cultura figurativa occidentale, come testimoniano quadri quali French Mulatresses and Negro Woman Bathing, in cui vari soggetti cari alla tradizione convergono: dal Satiro con le ninfe a Betsabea al bagno, alla nascita di Venere, a Susanna e i Vecchioni, all’episodio ovidiano di Diana e Atteone. Oppure West Indian Landscape with Figures Promenading before a Stream, in cui paesaggio classico poussiniano, “conversation piece” e vedute del nuovo mondo sembrano fondersi per dar vita a una vivace scena di quotidianità caraibica. Si tratta di spunti, solo accennati in questa sede, che meritano un approfondimento, alla luce di una riconsiderazione globale della rete delle influenze culturali e delle suggestioni iconografiche che hanno caratterizzato la formazione di questo artista e la sua esperienza precedente il viaggio nelle Indie occidentali

Come si è già chiarito in apertura, questo breve intervento si pone come punto di partenza per una più ampia ricognizione, ancora in corso, che dovrà tenere conto – oltre che delle zone di buio della biografia di Brunias – anche di una serie di altri problemi, connessi al riuso e alla risemantizzazione dei soggetti classici e alla fusione dei generi, che caratterizzarono il percorso del pittore, accomunandolo a vari altri artisti dell’epoca. Il secondo Settecento risulta essere, com’è largamente noto, un’epoca cruciale per sondare il trapasso verso la modernità, a livello sia tematico che ideologico;[41] in pittura si assiste talora a un trapasso graduale e dissimulato dalla riconoscibilità dei soggetti, i cui significati tuttavia trascolorano e si trasformano sotto i nostri occhi inavvertitamente, grazie a passaggi quasi impercettibili che, attraverso l’introduzione di piccole differenze e di scarti apparentemente insignificanti, conducono a esiti totalmente divergenti, rispetto a quanto ci si aspetterebbe.[42] Ecco allora che temi e letture di piena attualità, come le controversie e le pubblicazioni che ruotano intorno al problema dell’abolizionismo (e dell’anti-abolizionismo), possono fare irruzione anche dentro gli schemi codificati dell’iconografia classica occidentale, scardinando significati che si credevano fissati una volta per tutte e sovvertendo consolidate categorie interpretative. Tanto più nel caso di Brunias, in cui la variabile è costituita proprio dal colore della pelle (nelle sue diverse gradazioni) dei personaggi rappresentati.



*Il presente lavoro, esposto in occasione di un seminario per il Dottorato in Storia, Critica e Conservazione dei Beni culturali dell’Università di Padova tenutosi il 10 marzo del 2013, espone i primi risultati di una ricerca in atto. Nonostante l’interesse sia scientifico che di mercato suscitato negli ultimi anni da Agostino Brunias a livello internazionale, si è dovuto constatare come le notizie circa la sua vita e le sue opere siano ancora molto confuse e lacunose. Si è dunque cercato preliminarmente, in questa sede, di riordinare in modo rigoroso i materiali che lo riguardano e di fornire nuovi elementi relativi al periodo della sua formazione e della sua collaborazione con Robert Adam.

Ringrazio Andrea Tomezzoli per il suo generoso e competente aiuto.

[1] K. H. von Heineken, Dictionnaire des artistes, dont nous avons des estampes, Tome troisième, contenant les lettres Bla-Caz, chez Jean-Gottlob-Immanuel Breitkopf, Leipzig 1789, p. 427 : « A. Brunias Peintre & Graveur en Angleterre, dont nous avons : A Negrees Dance in the Island ok Domenico, et A endgelling match etc. 2 pièces en couleur ».

[2] E. Edwards, Anecdotes of Painters who have resided or been born in England with critical remarks on their production, Luke Hanfard and Sons, London 1808, pp. 65-66.

[3] G. K. Nagler, Neues allgemeines Künstler-Lexicon, , Schwarzenberg & Schumann, Leipzig 1835- 1852, 3. Auflage, 2. Band, p. 225 : “Brunias, A., ein englisher Maler um 1780. Er malte Landshaften mit Geist und Kraft, und stach auch einige Blätter in Kupfer, die er ir Farben abduckte”.

[4] Ch. Le Blanc, Manuel de l’Amateur d’Estampes, É. Bouillon, Paris 1854, Tome premier, p. 534  cita sei stampe di Brunias: “1) The West-India Flower girl In-fol. En Haut; 2) The Barbadoes Mulatto Girl; 3) Free Natives of Dominica  In fol. En Haut; 4) The West India Washer-Women  In fol. en Haut; 5) A Cudgelling Match between English and French Negroes in the Island of Dominica  In fol. en Larg.”.

[5] Cfr. A. Graves, The Society of Artists of Great Britain 1760- 1791 The Free Society of Artists 1761-1783, A complete dictionary of contributors and their work from the Foundation of the Societies to 1791, George Bell and Sons, London -Cambridge- New York, 1907,  p. 42.  

[6] A.T. Hamy, Alexander Brunias peintre ethnographe de la fin du XVIIIe siècle, in « L’Anthropologie » , 1890, t. I, pp.

[7] Si tratta di uno dei diciotto disegni annotati di cui parla François  Boucher,  in An Episode in the Life of the Académie de France à Rome. An Eighteenth-Century Masquerade  ‘à l’Orientale’, in “The Connoisseur”, october 1961, vol. cxlviii, No 596, pp. 88- 91. Il ritratto di Brunias è pubblicato a p. 89.

[8] Le prime notizie in merito si trovano in H. Huth, Agostino Brunias Romano. Robert Adam’s ‘Bred Painter’, in “The Connoisseur”, 151, n. 610 (1962), pp. 265- 269, che tuttavia riferisce al 1752 il concorso; N. Connell, Colonial life in the West Indies as depicted in Prints, in “Antiques”, 99 (1971), pp. 732- 737, riprende quanto riportato da Huth. Stranamente la bibliografia recente su Brunias dà come perduto il disegno, che  è stato invece pubblicato in  I disegni di figura nell’Archivio Storico dell’Accademia di San Luca, a cura di A. Cipriani, E. Valentini, Quasar, Roma, 1989, vol. II, p. 219: “Agostino Brunias romano, terzo premio, matita nera e gessetto su carta grigia, mm. 608 (705) x 540 (560). In basso: N. VI Seconda Classe terzo Premio Agostino Brunias Romano 1754 C = 68”. Tema della prova era il seguente: “Il giovane Tobia accompagnato dall’Angelo Raffaele mentre và al Fiume per lavarsi i piedi, esce un Pesce smisurato, e lo assale; Egli lo atterra, ed il Pesce ai suoi piedi muore”.  Purtroppo all’Accademia di San Luca non sono conservate altre tracce della presenza di Brunias. Ringrazio la dott.ssa Angela Cipriani, dell’Archivio dell’Accademia di San Luca, per le informazioni e per la foto che mi ha fornito.

[9] Nel concorso Clementino del 1754 la giuria comprendeva diciotto professori, oltre al principe Ferdinando Fuga: Pietro Ostini, Placido Costanzi, Nicolò Ricciolini, Stefano Pozzi, Agostino Masucci, Charles Natoire, Lambert Krahe, Odoardo Vicinelli, Francisco Preciado, Anton Rafael Mengs, Etienne Parrocel, Giacomo Zoboli, Adrien Manglard, Pompeo Batoni, Filippo Evangelisti, Marco Benefial, Giacinto della Pegna, Francesco Caccianiga. La lista, tratta dal verbale delle congregazioni del 20 novembre 1754 conservato presso l’Archivio dell’Accademia di San Luca, è stata pubblicata in A. Pampalone, Profilo critico sull’evoluzione dei concorsi di pittura nel Settecento, in Aequa potestas. Le arti in gara a Roma nel Settecento, catalogo della mostra (Roma, Accademia di San Luca, 22 settembre – 21 ottobre 2000), a cura di A. Cipriani, De Luca, Roma 2000, pp. 51- 56.

[10] Pampalone, Profilo critico..., cit., p. 54.

[11] G. Sestieri, Repertorio della pittura romana della fine del Seicento e del Settecento, 3 voll., Torino 1994, vol. II, p. 111. 

[12] Sull’argomento rimando a L. Barroero, L’Accademia di San Luca e l’Arcadia. Da Maratti a Benefial, in Aequa potestas, cit., pp. 11- 13.

[13] Sulle diverse versioni e attribuzioni di quest’opera e sulla circolazione di stampe da essa tratte rimando a S. Pepper, D. Mahon, Guido Reni’s ‘Fortuna with a purse’ rediscovered, in “The Burlington Magazine”, vol. 141, no. 1152, Mar. 1999, pp. 156- 163 (con bibliografia precedente). Gli autori ritengono che la versione della Fortuna dei Musei Vaticani sia una copia dall’originale ora in una collezione  privata bolognese. 

[14] J Fleming, Robert Adam and his Circle, London, John Murray, 1962, p. 135.

[15] Su Clérisseau rimando a F. Lui, L’antichità tra scienza e invenzione: studi su Winckelmann e Clérisseau, Minerva, Bologna 2006; Charles-Louis Clérisseau, 1721- 1820: dessins du Musée de l’Ermitage, Saint Pétersbourg, catalogo della mostra (Parigi 1995, San Pietroburgo 1996) Réunion des Musées nationaux, Paris 1995; T. Mc Cormick, Charles-Louis Clérisseau and the genesis of Neo-Classicism, The architectural history foundation/MIT, New York/ Cambridge 1990.

[16] La Fondazione Lambert Darchis, tuttora esistente, fu istituita alla morte dell’ecclesiastico nel 1699, in ottemperanza a quanto stabilito nel suo testamento, secondo cui doveva nascere a Roma un luogo in cui potessero essere accolti e ospitati i franco-valloni che si trovassero nella città straniera senza conoscerne lingua e abitudini. Successivamente,  nel 1711, l’originaria vocazione di “albergo” fu mutata in quella di “collegio” e furono istituite delle borse di studio destinate a giovani artisti. Cfr. J. Puraye, La Fondation Lambert Darchis à Rome, Fondation Darchis, Rome-Liège 1993 e il sito della Fondazione Darchis a Roma http://www.darchis.org/FR/PRESENTATION/index.php.

[17] J. Fleming, Robert Adam, cit.

[18] Ivi, p. 216.

[19] Cfr. Fleming, cit., pp. 216- 217.

[20] Ivi, p. 237.

[21] Fleming scrive che Clérisseau accettò l’offerta di cento sterline l’anno e acconsentì a rimanere a Venezia in attesa che i fratelli di Robert Adam, John e James vi arrivassero l’anno seguente nel loro Grand Tour  (p. 242).

[22] Ivi, p. 228.

[23] Fleming riporta quanto Robert scrisse in una lettera al fratello James dell’11 dicembre 1758: “I am to write to  Johnnie about the draughtsman George for at this juncture when friends, business and hurry threaten to take hold of me, has the Liégeois thought fit to take to his heels and has gone off to Brussels without warning or without even telling Brunias of his intention. This morning I received a letter from him from Dover telling me that as I used him as a slave he imagined I had authority to do so and says he always suspected some paper that I had desired Brunias and him to sign witness to when you was in London in February was a paper that made him a slave and that till such time as I would send him an attestation by the hand of a notary public that not writing made in England could be brought against him he would not return back, so begs an immediate answer. If I could do without such a wretch you may be sure I never would hear of him again, but he knows my manner of drawing and I have nobody to supply his place, so what must I do? If I do get him back I shall see to instruct others by him so as to be independent against next time he plays me the slip. But George Richardson in the meantime would be a great relief” (Clerk mss), p. 369. Fleming precisa che, di lì in avanti,  Dewez non sarà più citato nel carteggio di Adam.

[24] Fra gli argomenti che sostenne coi fratelli a favore del suo progetto di portare a Londra Dewez e Brunias, ci fu infatti anche la seguente constatazione: “They speak nothing but French and Italian so have no chance of being soon debauched by evil communication, which is no small advantage” (p. 216).

[25] P. Meadows, Joseph Bonomi Architect 1739-1808. An exhibition of drawings from private collections, RIBA, London 1988, p. 4.

[26] I disegni consultabili on line costituiscono circa l’80% dell’intera collezione del John Soane’s Museum; i materiali dell’ufficio di Robert e James Adam da me consultati sono stati catalogati da F. Sands, con la consulenza di R. Hewlings e T. Knox: cfr. http://jeromeonline.co.uk/drawings/index.cfm?display_scheme=690.

[27] Cfr.  L. Honychurch, Agostino Brunias, a precursor of Gauguin, in “The Bajan and Southern Caribbean Magazine”, june 1975; B. Fowkes Tobin, Picturing Imperial Power, Duke University Press, Durham 1999, in particolare il cap. 5, interamente dedicato a Brunias: “Taxonomy and Agency in Brunias’s West Indian Paintings”, pp. 139- 173; L. Honychurch, Chatoyer Artists: Agostino Brunias and the Depiction of St Vincent, in “Journal of the Barbados Museum and Historical Society, vol. 50, 2004, pp. 104- 128; K. Dian Kriz, Slavery, Sugar, and the Culture of Refinement: Picturing the British West Indies 1700- 1840, Yale University Press, New Haven 2008, in particolareil secondo capitolo, dedicato a “Marketing Mulâtresses in Agostino Brunias’s West Indian Scenes” pp. 37- 69; A. M. Bagneris,  Coloring the Caribbean: Agostino Brunias and the Painting of Race in the British West Indies, c. 1765-1800, dissertation presented to The Department of African and African American Studies in partial fulfillment of the requirements for the degree of Doctor of Philosophy in the subject of African and African American Studies, Harvard University, Cambridge, Massachusetts, August 2009; M. L. Bagneris, Agostino Brunias. Capturing the Caribbean (c. 1770- 1800), Robilant & Voena, London 2010; Ch. Ford, Th Cummings, R. Smith Mccrea, H. Weston, The Slave Colonies in The Image of the Black in Western Art, vol. III: From the “Age of Discovery” to the Age of Abolition, part 3: The Eighteenth Century, D. Bindman, H. L. Gates Jr, K. C. C. Dalton ed., Harvard University Press, Harvard 2011, pp. 240- 305 (in particolare il capitolo dedicato a “The British Colonies: Agostino Brunias and Hierarchies of Color”, pp. 271- 281); S. Gikandi, Slavery and the Culture of Taste, Princeton University Press, Princeton and Oxford 2011, in particolare cap. 5, “ ‘Popping Sorrow’ . Loss and the Transformation of Slavery”; infine S. Thomas, Witnessing Slavery. Travelling Artists in an  Age of Abolition, Thesis submitted in fulfillment of the degree of Doctor of Philosophy, Department of Art History and Film Studies, The University of Sydney, 2012.

[28] Sull’argomento si veda E. Harris, Robert Adam and Kedleston: The making of a Neo-Classical Masterpiece, The National Trust, London 1987; Ead., The Genius of Robert Adam: his Interiors, The Paul Mellon Centre for Studies in British Art, New Haven and London 2001, pp. 19- 40.

[29] Harris, Robert Adam and Kedleston, cit., pp. 52-54. Si veda anche la  scheda on line nel sito del Victoria and Albert Museum: http://collections.vam.ac.uk/item/O65308/decorative-painting-for-kedleston-hall-painting-brunias-agostino/

[30] R. and J. Adam, The Works in Architecture of Robert and James Adam, London 1773-1779, vol. I, IV Public Buildings, Plate I: View of part of Whitehall showing the screen od colums [columns] in front of the Admiralty.

Cfr. A. Rowan, 'Bob the Roman': heroic antiquity & the architecture of Robert Adam, Sir John Soane's Museum, London 2003, cat. n. 28, p. 30. Si veda anche la scheda completa consultabile on line nel sito del John Soane’s Museum: http://jeromeonline.co.uk/drawings/index.cfm?display_scheme=793&object_id=4005

[31] Hamy, p. 56. Recentemente, in particolare B. Fowkes Tobin, in Picturing Imperial Power, cit.,  ha dato una lettura etnografica della pittura di Brunias, volta a fissare i diversi tipi caraibici come immagini tassonomiche di specimen, anziché rappresentazioni di individui,  mentre M. L. Bagneris, sia nella tesi di dottorato che in Agostino Brunias. Capturing the Caribbean, cit., ha sostenuto che, più che  essere mezzi per identificare tipi di persone, i suoi dipinti mostrano il fallimento dei rigidi schemi visuali nel nuovo mondo e finiscono per rivelare un’identità instabile e per denunciare l’artificialità delle gerarchie sociali. Anche S. Thomas, in Witnessing slavery, cit.,  si dimostra contraria all’interpretazione etnografica.

[32] Per un approfondimento relativo alle opere citate, rimando al sito del John Soane’s Museum, in cui è possibile reperire le schede con immagini: http://jeromeonline.co.uk/drawings/index.cfm?display_scheme=690.

[33] Cfr. E. Croft Murray, Decorative Painting in England 1537- 1837, vol. II, The Eighteenth and Nineteenth Centuries,  Country life Book, London 1970, p. 177.

[34] D. J. Hamilton, Scotland, the Caribbean and the Atlantic World 1750- 1820, Manchester University Press, Manchester 2005, pp. 63- 69; sulla figura di Young si veda anche K. D. Kriz, Slavery, Sugar, cit., pp. 37-49.

[35] La notizia proviene da L. Honychurch, il quale afferma che il testamento di Sir William Young the Elder è stato scritto e registrato a St. Vincent: cfr. http://www.lennoxhonychurch.com/brunias.cfm#patron

[36] Cfr. Graves, The Society of Artists, cit., p. 42.

[37] Edwards, Anecdotes... cit., pp. 65- 66.

[38] A testimonianza della fortuna internazionale dell’opera vanno ricordate alcune tempestive traduzioni: quella in francese: Histoire civile et commerciale des colonies anglaises dans les Indes occidentales; depuis leur découverte par Christophe Colomb jusqu'a nos jours; suivie d'un tableau historique et politique de l'ile de Saint-Domingue avant et depuis la révolution française; traduit de l'anglais de Bryan Edouard, par le traducteur des Voyages d'Arthur Young en France et en Italie. Orné d'une belle carte  [il traduttore è François Soulès] Paris, Dentu, imprimeur-libraire, Palais du Tribunat, 1801 e la parziale traduzione in italiano: Storia dell'isola di S. Domingo ricavata dalla storia civile e del commercio delle Antille del sig. Bryan Edwards e continuata sino agli ultimi avvenimenti ... tradotta dall'inglese da J.B Breton... e trasportata dal francese in italiano da Giammichele Briolo, Torino, Stamperia Soffietti, 1803.

[39] Si veda in particolare Bagneris, Coloring the Caribbean, cit.

[40] In particolare, un cospicuo numero di tele di Brunias è conservato presso lo Yale Center for British Art, Paul Mellon Collection e a Madrid, Museo Thyssen-Bornemisza; altre sue opere si trovano al Brooklyn Museum di New York, al Victoria and Albert Museum di Londra, al Peabody Museum of Archaeology and Ethnography, Harvard University e a Chicago, The Art Institute.

[41]Per uno sguardo generale su questi temi resta fondamentale F. D. Klingender, Art and the Industrial Revolution, N. Carrington, London 1947 (trad. it. Arte e rivoluzione industriale, con un saggio introduttivo di E. Castelnuovo, traduzione di E. Einaudi, Einaudi, Torino 1979).

[42]Si pensi per esempio al caso di Joseph Wright of Derby, uno degli artisti più rappresentativi, nell’Inghilterra di secondo Settecento, di quel trapasso alla modernità cui si accennava. Fu un pittore capace di attraversare generi diversi, dal ritratto classico al “conversation piece”, dalla veduta alla rappresentazione di esperimenti scientifici, come il famoso An Experiment on a Bird in the Air Pump (1768, London, National Gallery). Caratteristica di Wright of Derby è la capacità di fondere modernità e tradizione, innovando profondamente il repertorio iconografico classico; si pensi, per esempio, al ricorso al soggetto mitologico della fucina di Vulcano per nobilitare il moderno ambiente dell’officina del fabbro in A Blacksmith’s Shop (1771, Derby Museum and Art Gallery e Yale Center for British Art, Paul Mellon Collection). Per quanto concerne tematiche più vicine a quelle di Brunias, Sarah Parsons si è di recente soffermata sulle modalità della rappresentazione della bambina nera ritratta in A Conversation of Girls (1770, private collection, on loan to National Museum of Wales, Cardiff) facendo emergere una rete di significati da mettere in relazione con il movimento abolizionista e in generale con gli ideali illuministici di uguaglianza condivisi dal pittore. Particolarmente significative per il discorso qui introdotto sono le sottili differenze rispetto alle modalità usuali della rappresentazione del “nero” introdotte nel quadro (cfr. S. Parsons, A Conversation of Girls. Wright and the British Visual Culture of Slavery 1760- 1800, in Joseph Wright of Derby in Liverpool, Elizabeth E. Barker and Alex Kidson; with contributions by Martin Hopkinson, Jane Longmore and Sarah Parsons, (Walker Art Gallery, Liverpool, from 17 November 2007 to 24 February 2008), Yale University Press, New Haven and London 2007, pp. 105- 120.) Sullo stesso dipinto si veda anche D. Bindman, H. Weston, Court and City: Fantasies of Domination, in The Image of the Black in Western Art, Vol. III, Part 3: From the “Age of Discovery” to the Age of Abolition. The Eighteenth Century, Edited by D. Bindman, H. L. Gates, Jr., Belknap Press of Harvard University Press, Cambridge (Mass.)/London 2011, in part. pp. 167- 170.

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Temi di Critica - numero 8

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