teCLa :: Rivista

codice DOI:10.4413/RIVISTA - codice ISSN: 2038-6133
numero di ruolo generale di iscrizione al Registro Stampa: 2583/2010 del 27/07/2010


teCLa

teCLa - rivista ospita articoli inerenti temi di critica e letteratura artistica, dal medioevo al contemporaneo, con attenzione alle riflessioni teoriche sugli aspetti del gusto, della metodologia, della storia del collezionismo, della museologia, del restauro e delle tecniche artistiche.
Diretta da Simonetta La Barbera, ha un Comitato scientifico internazionale, un Comitato di Referee anonimo e un Comitato di redazione.
La pubblicazione, a diffusione internazionale, fornita di codice ISSN e di codice DOI, ha cadenza semestrale.

Comitato Scientifico e comitato redazionale.

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In fondo alla pagina le note legali, la pubblicazione etica e la dichiarazione di Malpractice relative a teCLa - Rivista.

Abstract del primo numero

Carlo Ludovico Ragghianti e la "Scuola di Vienna"
di Gianni Carlo Sciolla


Nel percorso critico di Carlo Ludovico Ragghianti, l'interesse per la "Scuola di Vienna" e per il metodo introdotto dai suoi seguaci assume ruolo di primo piano, sebbene questo interesse sia stato coltivato in modo asistematico. Da Alois Riegl, crocianamente, Ragghianti assume l'idea che l'opera d'arte nella sua essenza formale e strutturale sia il punto di partenza per comprendere l'intera civiltà artistica, considerata come una "civiltà formale". Nella rivalutazione del formalismo della "Scuola di Vienna", Ragghianti nega qualunque validità a una presunta separazione tra arti "maggiori" e arti "minori", fra produzione tradizionale e produzione industriale. Il saggio ricostruisce inoltre i rapporti con l'altro grande viennese di inizio Novecento, Julius von Schlosser, del quale Ragghianti guarda con favore la svolta metodologica degli anni Venti, influenzata dagli esiti della filosofia di Benedetto Croce, opponendole quella di Max Dvoràk di storia dell'arte come storia della cultura e percià sottoposta all'influenza di dogmi esterni.

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Lo studio degli avori bizantini in Italia tra '800 e '900 attraverso L'Arte di Adolfo Venturi
di Giovanni Gasbarri


All’indomani della vendita del celebre Avorio Barberini al Museo del Louvre nel 1900, dalle pagine della rivista L’Arte Adolfo Venturi si lamentava di questo “deplorevole esodo”, criticando l’assoluta inefficacia delle leggi italiane di tutela artistica, accusate di essere sostanzialmente “mute per […] ogni appartenente alle così dette arti minori”. Si tratta di un’interessante e autorevole testimonianza dell’emergere, a cavallo tra ‘800 e ‘900, di una nuova sensibilità per lo studio e per la conservazione degli oggetti eburnei paleocristiani e bizantini. Una sensibilità di cui L’Arte (come già prima l’Archivio Storico dell’Arte) si faceva principale portavoce in Italia, pubblicando un numero non trascurabile di contributi critici specificatamente dedicati agli avori, e incoraggiando l’aggiornamento internazionale della storiografia sull’argomento, grazie a una fitta rete di scambi e contatti con studiosi, referenti e collezionisti stranieri. Con l’ausilio di accurate fotoincisioni, nelle pagine della rivista trovavano posto le osservazioni di Hermanin sui pezzi della collezione Stroganoff, o il saggio di Graeven sull’iconografia dei cofanetti a rosette, o ancora l’innovativo contributo di Wilpert sull’abbigliamento d’età postcostantiniana, che si serviva abbondantemente dei modelli desunti dai dittici consolari tardoantichi e dai rilievi eburnei bizantini. Le varie rubriche della rivista presentavano segnalazioni di importanti pubblicazioni straniere mentre nelle pagine delle “Domande e Risposte” i diversi studiosi avevano l’occasione di discutere del valore artistico e dell’autenticità di molti avori custoditi nelle principali collezioni europee.
Adottando proprio L’Arte di Adolfo Venturi come campo d’osservazione privilegiato, e attraverso l’analisi di altre pubblicazioni periodiche del tempo (come la Rassegna d’Arte), questo contributo si propone di offrire un’inedita ricostruzione dello stato degli studi su questo argomento.

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«È stato Crapotti!». Ovvero la dispersione della collezione di Grigorij Sergeevic Stroganoff sulle riviste di storia dell'arte in Italia (1925-1926)
di Simona Moretti


All'indomani della completa dispersione della collezione Stroganoff, negli anni Venti del Novecento, Roberto Longhi, sotto il falso nome di Bortolo Ghiner, pubblicà accessi articoli in Dedalo e in Vita artistica. Principale bersaglio di quegli scritti sono le "autorità competenti" che concessero i permessi di esportazione di alcune opere appartenute al celebre conte russo. Questi contributi vengono spesso citati quando si considera lo smembramento di quella raccolta, ma nessuno si à mai occupato del dibattito che, a seguito delle critiche di Longhi-Ghiner, si à svolto sulle pagine della rivista Vita artistica. Su Dedalo. Rassegna d'arte, fondata da Ugo Ojetti nel 1920 e da questo diretta fino al 1933, anno nel quale venne stampato l'ultimo numero, lo studioso piemontese pubblica nel 1925-1926 un breve ma pungente articolo dall'ironico titolo " 'A dispetto dei santi'. La dispersione della collezione Stroganoff" (pp. 479-480). Vita artistica. Cronache mensili d'arte ebbe durata breve, uscà tra il 1926 e il 1932, inizialmente sotto la direzione di Tullio Gramantieri, poi, già nel 1927, sotto la direzione di Longhi ed Emilio Cecchi; tra il 1928 e il 1929 cambià intitolazione (Pinacotheca), venne interrotto per due anni tra il 1930 e il 1931, ed ebbe un nuovo cambiamento di direzione nel '32, prima della chiusura. à una "voce" importante per quegli anni nel dibattito storico-artistico, si occupa anche di temi contemporanei, come appunto il "disfacimento" della collezione Stroganoff (gli articoli di Bortolo Ghiner: "'A dispetto dei santi'. Il disfacimento della collezione Stroganoff", I, 1926, 1, pp. 12-13; "'A dispetto dei santi'. Ancora del disfacimento della collezione Stroganoff, ovvero: à stato Crapotti", I, 1926, 2, pp. 23-26; " 'A dispetto dei santi', I, 1926, 3-4, p. 46). Approfondire le critiche che Longhi sollevà e le risposte ufficiali che ricevette mi permetterebbe infine di riproporre alcuni dati già da me pubblicati (in La Russie et l'Occident, Roma 2010, pp. 97-121) e altri inediti che fanno parte del carteggio sull'eredità Stroganoff conservato all'Archivio di Stato di Roma, nel quale appaiono coinvolti diversi funzionari dello Stato italiano.

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Il catalogo della Biennale Arte di Venezia. Forme espressive, forme del contenuto
di Tiziana Migliore


Il catalogo della Biennale Arte di Venezia, che ha documentato per pià di un secolo vicende, correnti e interpreti dell'arte internazionale, non à mai stato oggetto di una ricognizione storica. Questo articolo, versione italiana di una monografia in corso, ne racconta l'evoluzione, tanto nella forma espressiva quanto nei tratti semantici. L'autrice indaga, con metodo semiotico, il rapporto di tensione e di presupposizione reciproca tra il catalogo e la mostra, in un doppio movimento: retrospettivo - dal presente al passato - e prospettico - dal presente al futuro. Si apre il dibattito sul tipo di fruizione che il catalogo prefigura e sul concetto di catalogazione dell'opera oggi.

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La malattia dell'arte, ovvero al di là della body art
di Francesco Paolo Campione


Tra la metà degli anni '60 e la fine degli anni '70 la body art scardina il meccanismo dell'arte tradizionale, a partire dal supporto stesso della rappresentazione che non à pià l'opera nella sua canonica consistenza, ma il corpo dell'artista inteso come luogo nel quale mostrare la crisi d'identità dell'arte stessa, la "malattia del mondo". Nelle sua propaggini pià recenti, le performance di Marina Abramovic, Orlan, Stelarc, Franko B riportano d'attualità gli interrogativi sul destino dell'arte, e sulla sua capacità di veicolare ancora significati.

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Abstract - number 1

Carlo Ludovico Ragghianti e la "Scuola di Vienna"
by Gianni Carlo Sciolla


In the critical work of Carlo Ludovico Ragghianti, an interest in the “Vienna School” and the method introduced by its followers takes a leading role, though this interest was cultivated in an unsystematic way. From Alois Riegl, Ragghianti, like the philosopher Benedetto Croce, took the idea that the work of art, in its formal and structural essence, is the starting point for understanding the entire civilization which produced it, and that this was to be understood as a “formal civilization.” In his re-evaluation of the formalism of the “Vienna School,” Ragghianti denied the validity of a presumed separation between the “major” and “minor” arts and between traditional and industrial production. The essay also reconstructs his relations with the other Viennese great of the early twentieth-century, Julius von Schlosser, on whose methodological turn of the twenties, influenced by the philosophy of Benedetto Croce, Ragghianti looked favourably, and contrasts this conception with Max Dvořák’s idea of the history of art as the history of a culture and thus subject to the influence of external dogmas.

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Lo studio degli avori bizantini in Italia tra '800 e '900 attraverso L'Arte di Adolfo Venturi
by Giovanni Gasbarri


Shortly after the sale of the celebrated Barberini Ivory to the Louvre Museum in 1900, Adolfo Venturi complained about this “deplorable exodus” in the pages of the magazine L’Arte, criticizing the total inability of Italian  law to protect artworks and accusing it of being essentially “silent regarding [...] the so-called minor arts.” It is an interesting and authoritative testimony to the emergence, at the turn of the 20th century, of a new interest in the study and preservation of early Christian and Byzantine ivory objects. L’Arte (like the Archivio Storico dell’Arte previously) became the chief spokesman for this sensibility in Italy, publishing a significant number of critical pieces specifically dedicated to ivories and encouraging the updating of international historiography on the subject, thanks to an extensive network of exchanges and contacts with foreign scholars, representatives and collectors. In the pages of the magazine, alongside accurate photoengravings, could be found Hermanin’s observations on the pieces of the Stroganoff collection, Graeven’s essay on the iconography of rosette caskets, or Wilpert’s innovative contribution on the clothing of the post-Constantinian age, which used many models taken from consular diptychs of late antiquity and Byzantine ivory reliefs. The various articles of the magazine presented references to important foreign publications, while the “Questions and Answers” pages provided the opportunity for scholars to discuss the artistic value and authenticity of many of the ivories held in major European collections.
Taking Adolfo Venturi’s L’Arte itself as a privileged vantage point, and through the analysis of other periodicals of the time (such as the Rassegna d’Arte), this paper aims to offer an unprecedented reconstruction of the state of studies on this topic.

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"È stato Crapotti!" Ovvero la dispersione della collezione di Grigorij Sergeevic Stroganoff sulle riviste di storia dell'arte in Italia (1925-1926)
by Simona Moretti


Soon after the complete dispersal of the Stroganoff collection in the 1920s, Roberto Longhi, under the false name Bortolo Ghiner, published impassioned articles in Dedalo and Vita artistica. The main target of these writings were the “competent authorities” who had granted export permits for some of the works belonging to the famous Russian count.
These contributions are often cited when considering the dismemberment of that collection, but no one has ever examined the debate which took place in the pages of the magazine Vita artistica following Longhi-Ghiner’s criticisms.
In Dedalo.  Rassegna d’arte, founded by Ugo Ojetti in 1920 and directed by him until 1933, the year the final number was published, the Piedmontese scholar published a brief but scathing article in 1925-1926 with the ironic title, “‘A dispetto dei santi’. La dispersione della collezione Stroganoff” (pp. 479-480).
Vita artistica. Cronache mensili d’arte was short lived, coming out between 1926 and 1932, initially under the direction of Tullio Gramantieri, then, in 1927, under the direction of Longhi and Emilio Cecchi; between 1928 and 1929 it changed name (Pinacotheca), was interrupted for two years between 1930 and 1931, and had another change of management in 1932, before closing. During those years, it was an important “voice” in historical and artistic debate, also dealing with contemporary issues, such as the “destruction” of the Stroganoff collection (Bortolo Ghiner articles: “‘A dispetto dei santi’. Il disfacimento della collezione Stroganoff”, I, 1926, 1, pp. 12-13; “‘A dispetto dei santi’. Ancora del disfacimento della collezione Stroganoff, ovvero: è stato Crapotti”, I, 1926, 2, pp. 23-26; “ ‘A dispetto dei santi’, I, 1926, 3-4, p. 46).
An in depth analysis of the criticisms Longhi raised and the official responses he received, would provide me the opportunity to introduce some findings I have already published (in La Russie et l’Occident, Rome 2010, pp. 97-121), and others that remain unpublished, which form part of the correspondence on the Stroganoff heritage preserved in the Archivio di Stato in Rome, which appear to involve various officials of the Italian State.

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Il catalogo della Biennale Arte di Venezia. Forme espressive, forme del contenuto
by Tiziana Migliore


The Venice Biennale catalogue, which has documented, for more than a century, art international events, currents  and exponents, has never been a historical recognition. This paper, Italian version
of a monograph in progress, show us its evolution, in the expressive forms as for the semantic features. The author explores, with a semiotic method, the ratio of tension and reciprocal presupposition between the catalogue and the exhibition, in a double movement: retrospective – from present to the past - and perspective - from present to future. This opens a debate on the kind of visitor that the catalogue prefigures and on the concept of cataloging work today.

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La malattia dell'arte, ovvero al di là della body art
by Francesco Paolo Campione


Between the mid-1960s and late 1970s, body art broke up the mechanisms of traditional art, beginning from the medium of representation itself which was no longer the work in its canonical consistency, but the body of the artist intended as a space upon which to show the identity crisis of art itself, the “sickness of the world.” In its more recent offshoots, the performances of Marina Abramović, Orlan, Stelarc, Franko B return to questions regarding the fate of art and its ability to still convey meaning.

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