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Patrimonio e Creatività: la nuova alleanza tra identità e innovazione

di Maurizio Carta

[estratto da M. Carta (a cura di), Patrimonio e Creatività, Trento-Barcelona, List - sfoglia su Isuu]


Sicilia patrimonio dell’Umanità
La Sicilia è uno straordinario, profondo, ramificato palinsesto di beni culturali materiali e immateriali. Il Parco Archeologico della Valle dei Templi ad Agrigento, l’Etna, la Villa Romana del Casale, le città tardo barocche del Val di Noto (Caltagirone, Militello Val di Catania, Cata-nia, Modica, Noto, Palazzolo, Ragusa e Scicli), le Isole Eolie, Siracusa e le Necropoli rupestri di Pantalica, Palermo arabo-normanna con il Duomo di Cefalù e quello di Monreale, insieme alla vite ad alberello di Pantelleria, alla Dieta Mediterranea e all’Opera dei Pupi sono i beni che l’UNESCO ha riconosciuto come eredità culturale mondiale. Ma a questi 22.000 ettari di eccellenza planetaria, va aggiunta una estesa e ramificata armatura culturale di parchi e siti archeologici – Selinunte, Segesta, Hymera, Eraclea Minoa, Megara Hyblea tra tutti – una miriade di castelli e torri, chiese e monasteri, bagli, masserie e opifici,testimoni di una ricchezza produttiva, e una estesa rete di centri storici (Gangi e Montalbano Elicona primeggiano tra i borghi più belli d’Italia) che caratterizzano il tessuto insediativo di una terra che è stata madre dei popoli. Sono questi le migliaia di capitoli della nostra infinita storia di civiltà: una ricchezza di beni culturali che fa dell’intera Sicilia un “patrimonio culturale dell’umanità”, titolo autorevolmente riconosciuto dal British Museum con la straordinaria mostra “Sicily. Culture and Conquest”.
Davanti a questa straordinaria eredità e diversità culturale la Sicilia non può continuare a perseguire politiche dei beni culturali che sem-brano somigliare all’esperimento effettuato da Luigi Galvani nel XVIII secolo con le cosce di rane morte, che, attraversate da una corrente elettrica, si muovevano facendo pensare – o sperare – che avessero preso vita e sconfitto la morte. Anche i territori siciliani in declino, le città sfigurate dal degrado della modernità incompiuta o i paesaggi agricoli abbandonati hanno spesso tentato di sconfiggere la morte at-traverso l’immissione di una energia esterna derivata talvolta dal riconoscimento dell’UNESCO, altre volte dall’attrattività turistica di massa, altre volte ancora dai grandi eventi culturali o sportivi. L’effetto è stato spesso tragicamente identico all’esperimento sulla rana: il dinamismo iniziale indotto dall’evento ha simulato una parvenza di vitalità, spesso scambiata – consolatoriamente – con il ritorno alla centralità culturale, con una riattivazione del sistema produttivo o con la rinascita delle città.
Niente di più illusorio! Perché il patrimonio culturale è matrice e motrice dello sviluppo solo se gestito in maniera strategica e integrata, senza vane illusioni e facili entusiasmi. La valorizzazione dell’identità culturale, la conservazione del paesaggio e la qualità dell’ambiente non possono limitarsi alla protezione passiva, ancorché indispensabile, ma richiedono impegno politico, culturale e tecnico per affrontarle come beni collettivi, come generatori di nuova identità e non solo testimoni della storia, come creatori di valore e non solo attrattori di turisti (Carta, 1999).In un mondo che voglia riconquistare la dimensione culturale dello sviluppo – l’UNESCO la invoca da più di venti anni (UNESCO, 1994) – la Sicilia si propone come laboratorio in grado di ricomporre il conflitto tra una società dinamica e un ambiente a misura d’uomo, tra l’onere della conservazione e l’impegno della valorizzazione. I beni protetti dall’UNESCO e i loro contesti chiedono nuove politiche culturali e urbanistiche, nuovi modi di abitare, di muoversi e di produrre. Chiedono di ripensare la pedonalizzazione dei centri storici come un nuovo modo di viverli e non solo di attraversarli, chiedono una adeguata qualità dello spazio pubblico come occasione di incontro, reclamano una mobilità sostenibile e chiedono una fruizione turistica rispettosa dei luoghi, richiedono una cura attenta dell’arredo urbano e domandano adeguate strutture narrative che ci raccontino il passato prefigurandoci il futuro. Reclama-no musei che ne comunichino la storia in forme nuove e con linguaggi adatti a diversi tipi di pubblico. I patrimoni materiali e immateriali della Sicilia «pretendono di non essere isole di qualità protette da una bolla di bellezza in mezzo al degrado, ma chiedono di interagire con i cicli di vita del territorio e con i modelli di sviluppo, pretendendo modelli di gestione efficienti in grado di farli agire come propulsori della qualità della vita degli abitanti, e non solo dei turisti. Chiedono di essere il genoma territo-riale su cui ricostruire un futuro migliore» (Carta, 2014a).
Considerare la Sicilia Patrimonio dell’Umanità è quindi un’occasione per discutere e progettare un modello che non guardi solo ai grandi attrattori culturali, ma che includa anche i territori limitrofi, i centri storici e le periferie, i boschi e i paesaggi agrari, i fiumi e le strade, i porti e gli aeroporti, e soprattutto le persone. Servono azioni che siano capaci di intervenire anche sul capitale sociale, soprattutto sui giovani che potranno trovarvi occasioni di lavoro. Occorre utilizzare le aree di protezione dei beni per attività innovative da proporre alle comunità di cittadini più responsabili e in cerca di luoghi dell’abitare e del produrre più in sintonia con le loro sensibilità culturali.Ho già scritto che dobbiamo cogliere ogni occasione per proporre «un nuovo meridionalismo fondato sulla qualità e non sulla rivendicazione, più consapevole, responsabile e attivo, che inserisca nell’agenda politi-ca la conservazione delle risorse culturali, la sostenibilità ambientale, la cura delle identità e la valorizzazione dei talenti. Ma dobbiamo sfug-gire all’illusione della resurrezione della rana, sostituendo l’energia esogena prodotta troppo spesso da clientelismo e assistenzialismo, con l’energia vitale del capitale culturale materiale e immateriale. Una nuova politica capace di riattivare e accompagnare lo sviluppo del Mezzogiorno chiede una nuova classe dirigente che sappia essere ge-neratrice di visioni, attuatrice di azioni e tessitrice di strategie, anche a partire da quei dieci scrigni di eccellenza» (Carta, 2014b).



Il territorio creativo 3.0
Le riflessioni teoriche e le sperimentazioni sulla creatività urbana come fattore qualitativo, rigenerativo e competitivo elaborate negli ul-timi anni, a partire dai lavori di Landry (2000) e di Florida (2002), hanno originato ulteriori riflessioni teorico-pratiche mirate a fornire una mag-giore dimensione territoriale alla creatività (Landry, 2006). Già nel mio libro “Creative City. Dynamics, Innovations, Actions” (Carta, 2007) ho individuato la necessità di una evoluzione del concetto selezionando i fattori che permettono alla creatività territoriale di diventare paradig-ma di sviluppo sostenibile, creatrice di nuovo paesaggio, custode della memoria e tutore della storia, generatrice di nuove economie della cul-tura e non semplice attrattrice di risorse intellettuali o di investimenti. Oggi il paradigma della creatività territoriale chiede un salto evolutivo per produrre effetti moltiplicativi e rigenerativi sullo sviluppo sosteni-bile fondato sulla dimensione culturale dello sviluppo.La creatività diventa quindi un fattore abilitante dello sviluppo so-stenibile, grazie anche alla promozione politica e culturale condotta del Creative Cities Network dell’UNESCO, il quale può oggi vantare un
panorama di esperienze concrete portate avanti da 116 città in tut-to il mondo, sia grandi metropoli creative, come Shanghai, Berlino e Roma, che più piccole ma dinamiche città, come Saint-Etienne, Dakar o Fabriano. E spesso è il paradigma del metabolismo creativo che viene proposto come un potente selettore di strategie e di progetti, poiché agisce scegliendo i cicli da riattivare per alimentarne di nuovi, esplorando le ricadute operative del metabolismo urbano creativo attraverso progetti di rigenerazione e la attivazione di nuovi cicli di vita. Il territorio del metabolismo creativo, quindi, interagisce con grande capacità connettiva con il patrimonio culturale, alla ricerca di luoghi ancora vitali ma sottoutilizzati, di luoghi potenti dell’identità culturale ma sconnessi dalle dinamiche di sviluppo, di luoghi fragili ma di rino-manza globale e li reintegra nel sistema territoriale in quanto strategi-camente rilevanti e necessari a consolidare il ruolo culturale e sociale, nonché a ottimizzarne la gestione e ad attivarne la funzione produttiva nell’economia della conoscenza.Il nuovo territorio creativo di terza generazione (Carta, 2011) dovrà offri-re preziose occasioni di reale sviluppo, capace di produrre effetti sia nel dominio della conservazione delle risorse culturali materiali e immate-riali, sia nel dominio delle risorse territoriali identitarie, sia nel dominio dei beni collettivi che nel dominio del partenariato pubblico-privato.Nella transizione verso il territorio creativo 3.0 i nuovi fattori di svilup-po umano sostenibile sono la Cultura, la Comunicazione e la Coopera-zione (Carta, 2009). La Cultura è il fattore primario della creatività poi-ché è una risorsa che affonda le radici nel palinsesto della storia delle città, dei territori e dei paesaggi e che protende i suoi rami nel futuro. La cultura mediterranea è un rizoma composto da luoghi e da persone, da patrimoni tangibili e intangibili, ma anche da identità civica e visio-ne di futuro. L’armatura culturale mediterranea costituisce la struttura fibrosa dei luoghi e delle comunità, il loro carattere distintivo capace di resistere alle tentazioni della globalizzazione omologante. Le risorse culturali, quindi, non si limitano ad attraversare le reti immateriali della storia, dell’arte o della formazione, non si accontentano di attivare eventi e manifestazioni temporanee, ma pretendono di concretizzarsi in luoghi e occasioni di incontro per la comunità, di consolidarsi in servizi e di vivere attraverso le nuove centralità culturali. La cultura come fattore di creatività e sostenibilità richiede un poderoso progetto di territorio.Il secondo fattore di creatività territoriale è la Comunicazione, cioè la capacità di informare, divulgare e coinvolgere in tempo reale gli abi-tanti e, sempre di più, i molteplici fruitori che attraversano i territori della cultura, che li permeano, che li connettono con altre realtà, in un sempre più vasto reticolo culturale globale. La città mediterranea è sempre stata un potente strumento comunicativo, e la sua funzione informativa e dialogica è uno dei più potenti fattori di creatività, poiché consente di far addensare il milieu – l’ambiente fisico e umano – entro cui agiscono gli attori della trasformazione, orientando risorse e attori verso obiettivi comuni e verso orizzonti condivisi.Infine, il terzo fattore è la Cooperazione, intesa come forma attiva della partecipazione, nuova dimensione progettuale del cosmopoliti-smo mediterraneo. La sfida del territorio creativo richiede sempre più una integrazione cooperativa delle differenze, nella comune tensione verso la collaborazione delle diverse culture al progetto di futuro. Il territorio creativo non è solo più aperto, multiculturale e multietnico, ma è capace di mobilitare le sue diversità verso il nuovo progetto di territorio, attivando forum, realizzando luoghi di prossimità dove age-volare il confronto e la visione collettiva, localizzando nuove centralità multiculturali. Gli ambienti più creativi sono quelli che generano una piattaforma permanente di cooperazione, un ecosistema fertile che genera una miriade di innovazioni a partire dalla cooperazione tra le parti, come avviene, ad esempio, nella barriera corallina: ecosistema di inesauribile energia creativa e cooperativa.Patrimonio culturale e territorio creativo, economia dell’esperienza e progettazione integrata, efficace governance e condivisione sono oggi i necessari strumenti per guidare i processi di sviluppo dei territori fondati sulla loro matrice culturale, ma al contempo devono costitu-ire risorse e procedure del nuovo progetto di futuro che leghi insieme l’eredità culturale e l’innovazione sociale, il patrimonio archeologico e il paesaggio, l’identità e l’evoluzione, il patrimonio e la creatività.

 

Re-immaginare le politiche culturali
“Re-shaping Cultural Policies” (2015) è il nuovo rapporto dell’UNESCO sulle politiche attive per il patrimonio culturale materiale e immateriale come motore di sviluppo sostenibile, creativo e intelligente. Il Rapporto attualizza e valuta l’impatto della “Convention on the Protection and Promotion of the Diversity of Cultural Expressions” (2005) sulle politiche, piani e programmi orientati allo sviluppo culturale sostenibile. Il Rapporto sostiene la necessità che le industrie culturali e creative si-ano integrate nelle politiche per la sostenibilità. La pianificazione deve, con sempre maggiore impegno, riconoscere il contesto culturale in cui
i piani di sviluppo sono messi in atto, attivando, nelle scelte localizza-tive e di riqualificazione ambientale, il ruolo dinamico che le industrie culturali e creative possono svolgere nel raggiungimento degli obiettivi economici e sociali sia a livello locale che regionale. Un principio es-senziale dello sviluppo culturalmente sostenibile sottolineato dall’UNESCO è l’equità nei confronti dei gruppi più vulnerabili della società, attuando strategie mirate per superare lo svantaggio nell’accesso alla partecipazione culturale, ma anche incrementando la vigilanza per garantire che le politiche culturali in alcuni settori – soprattutto quelle relative alla valorizzazione – non abbiano effetti collaterali negativi, riducendo l’ampiezza degli effetti nei confronti del capitale sociale.Il Rapporto, quindi, invita i governi, i tecnici e le comunità a re-immaginare le politiche culturali, rimodellandone le componenti costitutive al fine di attivare adeguati ecosistemi culturali e creativi in grado di produrre i necessari fattori abilitanti dello sviluppo sostenibile.Possiamo individuare quattro livelli di azione di politiche urbane e ter-ritoriali capaci di attivare ecosistemi che connettano i diversi cluster e distretti culturali (Caroli, 2004), sempre più frequenti sul territorio, e che ricompongano le dimensioni materiali e immateriali della cultura. Innanzitutto un’efficace politica urbana deve rafforzare la competitivi-tà dei distretti attraverso l’adozione di strategie capaci di valorizzare le potenzialità della città (storia, risorse, connessioni, brand) e di favorir-ne l’integrazione con la dimensione metropolitana per aumentarne sia la massa che l’ampiezza, e quindi la potenza. È quindi indispensabile il rafforzamento delle infrastrutture di mobilità e di comunicazione, intervenendo soprattutto sui nodi di connessione alle grandi reti trans-nazionali (porti e aeroporti), nonché lo sviluppo dell’offerta di servizi alle imprese, soprattutto di servizi innovativi e ad alto valore aggiunto che ne facilitino l’azione di networking. Non va trascurata l’importan-za degli interventi per l’ampliamento e il rafforzamento del capitale umano e dei livelli di competenze e professionalità disponibili, agendo sulla formazione e sulla ricerca nonché sulla facilitazione dell’intera-zione tra gli attori all’interno dei cluster e tra quelli inter-cluster, anche attraverso la nascita di soggetti di intermediazione (agenzie, società miste, advisor, patti).
Infine, è indispensabile l’attivazione di strumenti di incentivazione fiscale e finanziaria che indirizzino la connessione al cluster di attività già forti nel panorama della creatività o lo stimolo di nuove attività latenti a partire dal capitale sociale delle aree meno centrali.Il secondo livello riguarda le politiche urbane per la distribuzione degli effetti dei cluster creativi all’intera città in un’ottica geo-ecosistemica, rivolte soprattutto alle agevolazioni per la riduzione dell’impatto am-bientale ed energetico, e allo stimolo alla responsabilità sociale delle imprese insediate, ad esempio prevedendo nei piani e nei progetti ur-bani norme per l’incentivazione della compensazione monetaria degli oneri urbanistici e per la redistribuzione negoziata di parte degli utili in interventi per la qualità urbana. Il progetto urbanistico consapevole deve saper guidare e regolare la localizzazione delle attività e delle imprese nell’ecosistema creativo in modo da ridisegnare i flussi gene-rati, ma soprattutto per riequilibrare le centralità, evitando il rischio di una congestione prodotta dalla nuova domanda di suolo e di servizi. Il trasferimento degli effetti del successo di un cluster deve essere attuato attraverso azioni di trasferimento sull’immagine complessiva della città, sul rafforzamento del brand ai fini del potenziamento della credibilità e della conseguente attrattività di investimenti, popolazione e fruitori, anche attraverso flagship projects utilizzati come elementi di accreditamento (Bilbao ha ormai fatto scuola). Naturalmente non sappiamo ancora come saranno ridefiniti alcuni dei più noti progetti urbani a causa delle crisi economica globale, ma non vi è dubbio che in tempo di interventi anti-crisi sul versante infrastrutturale ed edilizio il possesso da parte di alcune città di una precisa strategia e di piani di ampio respiro e coerenza agevola l’incardinamento delle risorse pubbliche laddove esiste già un interesse del privato a non perdere gli investimenti iniziali (la continuità e il rilancio dei progetti di Nantes, di Marseille o di Hamburg ne sono una evidenza empirica).
Al terzo livello appartengono le azioni per ridurre gli effetti negativi prodotti dalla presenza di un cluster creativo, sia attraverso azioni nei confronti delle dinamiche del mercato immobiliare – per evitare fenomeni di gentrification, che ridurrebbero la necessaria diversità culturale e generazionale comprimendo la creatività – sia attraver-so politiche compensative (controllo degli affitti, quote di riserva per l’edilizia sociale, agevolazioni fiscali per le giovani coppie, ecc.). Anche il miglioramento delle condizioni della mobilità urbana, attraverso una pianificazione delle infrastrutture, il potenziamento dell’intermodalità e una adeguata gestione dei sistemi di trasporto pubblico, contribui-sce in maniera attiva a evitare l’aggravio della congestione e il consu-mo di suolo e a rafforzare l’ottica ecosistemica.Infine, è necessario agire sul capitale sociale, non solo in termini di miglioramento della qualificazione del mercato del lavoro, ma promuo-vendo l’empowerment e agevolando l’autoimprenditorialità e i reticoli associativi, in modo da facilitare la trasformazione verso i settori della creative economy. L’intensità e la prossimità delle relazioni tra i sogget-ti istituzionali e i portatori di interessi che agiscono nell’ecosistema è infatti un fattore determinante del successo, che richiede all’urbanistica il progetto e la regolazione di luoghi e condizioni che facilitino il manife-starsi di tali relazioni. In questo senso, la presenza di luoghi di prossimità e di relazione (urban center e living lab, centri di municipalità e incubatori, co-housing e co-working) e la localizzazione di servizi culturali, sportivi o di loisir, rappresentano una condizione importante per il rafforzamento del capitale sociale tra gli attori che agiscono nell’ecosistema.Il nuovo ecosistema culturale chiede nuove politiche pubbliche, le quali possono essere sintetizzate in alcune opzioni operative che compongono una necessaria Agenda Urbana dello sviluppo culturalmente sostenibile:
a) utilizzare la cultura come “motore ecologico” per rinnovare la politi-ca culturale delle città europee e mediterranee attraverso il potenziamento del ruolo propulsivo delle città nella diffusione della nozione e dei principi della sostenibilità culturale;
b) diffondere il ruolo degli “agenti culturali di prossimità” per migliorare il governo del patrimonio e delle attività culturali, attraverso l’impegno delle autorità locali nel rafforzamento della sussidiarietà come pre-condizione per uno sviluppo centrato sull’identità culturale e basato su specifici strumenti di governo;
c) estendere la “diversità culturale” come fattore abilitante per poten-ziare la diffusione delle culture, attraverso la diffusione dei prin-cipi di sostenibilità considerati come componenti di un processo creativo, locale e teso all’integrazione;
d) assicurare il “diritto alla cultura” per potenziare il processo di responsabilizzazione culturale, attraverso l’assunzione di un pro-tagonismo sociale come una delle componenti della sostenibilità culturale, rafforzando il coinvolgimento della popolazione come fattore chiave dello sviluppo;
e) intercettare le “neo-economie della cultura” per ampliare le oppor-tunità economiche, attraverso la promozione di un’economia che tenda verso la sostenibilità culturale delle decisioni e degli inve-stimenti allo scopo di assegnare al settore pubblico il compito di incentivare il mercato verso l’incremento degli investimenti orien-tati alle politiche culturali;
f) promuovere una vera “governance culturale” per verificare l’efficacia gestionale, attraverso la promozione da parte delle autorità locali di strategie maggiormente sostenibili nei confronti dei paesaggi culturali.

Le azioni che compongono l’Agenda urbana per uno sviluppo culturalmente sostenibile non offrono solo un set di politiche, processi e strumenti, ma inducono una vera e propria metamorfosi della governance della dimensione culturale dello sviluppo, nella quale patrimonio culturale e creatività non sono più solo matrici delle rispettive connotazioni (l’identità e l’innovazione) o delle rispettive opzioni operative (la conservazione e la trasformazione). Diventano, invece, il genoma dello sviluppo sostenibile, le componenti di un nuovo metabolismo culturale del territorio. Sono azioni in grado di attivare nuovi processi osmotici, di tessere connettori e di generare interfacce in grado di riconnettere le politiche culturali alle politiche di sviluppo, rimodellandole verso un rinnovato protagonismo del capitale culturale nella transizione econo-mica e sociale che stiamo attraversando.

Bibliografia
Caroli M.G. (a cura di) (2004), I cluster urbani, Il Sole24Ore, Milano.
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Carta M. (2007), Creative City. Dynamics, Innovations, Actions, List, Barcelona.Carta M. (2009), “Culture, communication and cooperation: the three Cs for a proactive crea-tive city”, in International Journal of Sustainable Development, vol. 12, n. 2/3/4.
Carta M. (2011), “Città creativa 3.0. Rigenerazione urbana e politiche di valorizzazione delle armature culturali”, in M. Cammelli e P.A. Valentino (a cura di), Citymorphosis. Politiche culturali per città che cambiano, Giunti, Firenze.
Carta M. (2014a), “Armature culturali di sviluppo. Rigenerazione urbana e politiche culturali”, in A. Capuano (a cura di), Paesaggi di rovine e paesaggi rovinati, Quodlibet, Macerata.
Carta M. (2014b), “Re-immaginare il Sud. Le sfide del buongoverno per la metamorfosi dello sviluppo”, in M. Russo (a cura di), Urbanistica per una diversa crescita. Progettare il territorio contemporaneo, Donzelli, Roma.
Florida R. (2002), The Rise Of The Creative Class: And How It’s Transforming Work, Leisure, Community And Everyday Life, Basic Books, New York.
Landry C. (2000), The Creative City: A Toolkit for Urban Innovators, Earthscan, London.
Landry C. (2006), The Art of City Making, Earthscan, London.
UNESCO (1994), The Cultural Dimension of Development. Towards a practical approach, UNE-SCO, Paris.
UNESCO (2015), Re-shaping Cultural Policies. A Decade Promoting the Diversity of Cultural Expressions for Development, UNESCO, Paris.