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Territorio è laboratorio. La responsabilità sociale dell'urbanistica

Il territorio è un laboratorio: aperto e plurale, sensibile e dialogico, reticolare e molteplice. Straordinaria riserva di resilienza per chi la sappia utilizzare, generatore di serendipità e propulsore di creatività per il progetto. Per gli urbanisti e i pianificatori è il campo necessario della sperimentazione attraverso cui sfuggire alle rischiose aporie che spesso deformano le nostre teorie. È il luogo dell’abduzione dove il ragionamento urbanistico verifica un'ipotesi per spiegare i fatti empirici, codificando poi le regole secondo cui un segno (una funzione, una norma, un progetto) acquisterà il proprio significato. La sperimentazione per la ricerca – e per l’insegnamento – in urbanistica è produttrice di una verifica creativa a cui la pratica progettuale fornisce stimolo per l’elaborazione teorica e per produrre adeguate norme e regolazioni. Nel rapporto con il territorio, quindi, l’abduzione urbanistica è una forma di ragionamento suscettibile di accrescere il nostro sapere, permettendo di ipotizzare nuove idee e di immaginare soluzioni.
La sfida di "re-immaginare l’urbanistica", di ripensarne missione, paradigmi e strumenti è oggi indispensabile per il riscatto della qualità dell’azione pubblica in un'Italia che voglia rilanciare lo sviluppo attraverso il motore della qualità. Il rilancio dell'agenda pubblica per le città dovrà essere un driver che le rimetta in grado di guidare la ripresa della produttività dei territori, il miglioramento della qualità dei servizi, l’incremento della sostenibilità ecologica degli insediamenti, il ripensamento di un welfare più solidale, l'incremento dell'intelligenza delle infrastrutture e il radicamento della sensibilità al paesaggio. Il ripensamento del modello insediativo italiano – metropolitano, urbano e rur/urbano – è necessario per affrontare le sfide di Europa 2020 per città più generative, adattative e resilienti. E il ritorno della priorità urbana al centro dell’agenda europea è l'occasione per ridefinire i profili di competitività, di sostenibilità e di coesione, e l’opportunità per ripensare il “ruolo sociale” della pianificazione territoriale e dell’urbanistica.
Il perseguimento di questi obiettivi – per ampiezza di intenti e integrazione trasversale – richiede di innovare percorsi formativi e procedure professionalizzanti rispetto alle nuove domande emergenti, perché siano in grado di concorrere al miglioramento della domanda di politiche territoriali pubbliche e del partenariato privato, e quindi a una diversa qualificazione e responsabilizzazione della committenza. La responsabilità etica, l'impegno civile e il ruolo sociale dell’urbanistica richiamano la necessità di rafforzare la dimensione sperimentale della disciplina nelle università e, conseguentemente, di ridefinire i rapporti tra insegnamento, ricerca e sperimentazione, nonché di aggiornare i criteri di valutazione della produzione scientifica. La pianificazione territoriale è infatti attività progettuale, sperimentale e incrementale, frutto di un sapere complesso, eterogeneo che non evolve solo attraverso la riflessione teorica, ma anche con un costante confronto esperienziale con la realtà spaziale, sociale, economica e istituzionale delle città e dei territori.
Se il territorio è il laboratorio dell'urbanistica e l'università è sperimentazione, allora non possiamo sottrarci dal riparare la frattura tra ricerca urbanistica e sperimentazione progettuale, ricomponendo l'alleanza tra ricerca e progetto, teorie e prassi. Naturalmente dobbiamo chiederci se qualsiasi pragmatica è una sperimentazione e se qualsiasi attività professionale concorre abduttivamente ad arricchire il corpus disciplinare, o se si tratta di esercizio pratico (pur sempre utile per allenare la mente e la mano). Così come ci dobbiamo chiedere se una pubblicazione scientifica alimenti il medesimo corpus o se si tratti di utile materiale compilativo.
Per rispondere alla domanda di cosa ci sia dentro le nostre ricerche e come verifichiamo la loro qualità, efficacia, performatività e impatto, ai parametri endogeni relativi alla qualità scientifica dovranno essere affiancati indicatori esogeni per valutare il trasferimento scientifico, tecnico e sociale. Dovrà essere valutata la capacità di produrre risultati tangibili e misurabili nella città e nel territorio da parte di una disciplina che voglia e possa tornare a un ruolo di indirizzo progettuale nella rigenerazione insediativa e ambientale, di propulsione e convergenza delle risorse e di generazione di qualità diffusa e non solo di meccanica regolazione e di controllo di conformità. Dovremmo elaborare un vero e proprio "urban impact factor” che leghi la sperimentazione universitaria con gli effetti prodotti sul territorio. Obbligo della sperimentazione urbanistica promossa attraverso la ricerca universitaria – sia dal singolo studioso sia attraverso una equipe che agisce intra moenia – deve essere la restituzione al territorio degli esiti della sperimentazione: per tornare a pensare e praticare l'urbanistica come generatrice di beni comuni.
Questa dimensione sperimentale della disciplina impone una modifica dei limiti posti all’esercizio dell’attività libero-professionale dei professori universitari a tempo pieno dalla L. 240/2010, riconsiderando i criteri astratti di generalizzata e pregiudiziale incompatibilità per allineare le regole dell’università italiana con quelle previste, anzi agevolate, in altri contesti internazionali. Anche in Italia la sperimentazione urbanistica entro le università dovrà essere regolata e disciplinata, limitata e guidata da un criterio di reciprocità dei vantaggi, chiedendo al docente di contribuire all’autofinanziamento del dipartimento universitario con i proventi della propria attività e di concorrere alla riconoscibilità del ruolo istituzionale dell’università nel territorio di riferimento e, quindi, al perseguimento della “terza missione”. Una incompatibilità di principio si rivela penalizzante, ai fini scientifici e didattici, per i professori dei dipartimenti che formano progettisti, contribuendo a impoverire la qualità formativa dei corsi di laurea e, conseguentemente, quella dei futuri progettisti che dovranno concorrere in un mercato del lavoro sempre più internazionale e competitivo, in cui altri urbanisti e pianificatori saranno più allenati nell'arena sperimentale.
L'ampia e approfondita discussione promossa da Accademia Urbana, le ipotesi di liberalizzazione del tempo pieno e di agevolazione dell’attività intra moenia hanno mostrato una solida condivisione del punto di vista tra i partecipanti e una profonda sintonia di visione prospettica.
Adesso è il momento di agire per restituire alla ricerca urbanistica il suo naturale laboratorio: il territorio.

[© Maurizio Carta, pubblicato in Urbanistica Informazioni, n. 252, nov-dic 2013]