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Urban Makers: i nuovi cittadini bricoleurs

Makers, fablabers, urban farmers, startuppers, smart citizens, co-workers sono termini che sempre più spesso escono dal lessico specialistico in cui sono nati per diventare i protagonisti della città contemporanea, attori dell’urbanistica, della politica e della società nella terza rivoluzione industriale in cui siamo entrati. Scriveva Italo Calvino che di una città non godi le sette o le settantasette meraviglie, ma la risposta che sa dare a una tua domanda. E le città contemporanee sono sempre più protese a fornire risposte a domande: non solo di residenza, lavoro e servizi, ma domande di assistenza, di sicurezza, di bellezza, di qualità, di felicità, di innovazione, di partecipazione e di democrazia. E la risposta a queste domande viene sempre meno solo dai soggetti istituzionali e formali, i sindaci o gli amministratori, i tecnici o i gestori di servizi, le istituzioni o le imprese, per diventare una risposta collettiva che vede il coinvolgimento proattivo dei nuovi cittadini-artigiani, dei nuovi “facitori di città”.

Nelle città contemporanee, mettendo insieme digitale e reale, i cittadini tornano ad essere fabbricanti e non soltanto di beni e servizi da mettere in commercio, ma diventano agricoltori per tornare ad animare parti di città dismessa attraverso l’agricoltura urbana, oppure diventano lavoratori della conoscenza attraverso gli atelier o gli incubatori creativi, oppure producono eventi culturali attraverso il crowfunding, gestiscono teatri, talvolta prima occupandoli e poi amministrandoli come una istituzione e non una reazione all’abbandono. Oppure sono i nuovi artigiani della rivoluzione digitale: tornitori di oggetti con le stampanti 3D, fabbricatori di sensori, o sono riparatori, in un momento in cui riparare diventa più importante che gettar via, e in cui riciclare diventa più importante che rottamare o produrre ex novo. E questi nuovi cittadini artigiani sono una risposta che le comunità danno ai bisogni degli anziani, di coloro che non si possono permettere di accedere al mercato, o ai servizi. I cittadini-makers diventano gli amplificatori delle nuove sensibilità nei confronti della qualità del paesaggio, dell’ambiente e del risparmio energetico, rinnovando il ruolo tradizionale dell’associazionismo, non limitandosi più a indicare il problema ma diventando parte della soluzione, e facendosene carico in maniera attiva e responsabile.

Oggi i city makers adottano parti di città, adottano stili di vita e comportamenti più efficaci, adottano modelli di consumo solidale e equo, oppure sono cittadini smart, costantemente connessi alla rete con i loro dispositivi, diventando centinaia di sensori della città, o i router della comunicazione che amplificano il messaggio e lo portano lì dove non sarebbe arrivato. Oppure sono coloro che segnalano inefficienze prima che diventino emergenze, coloro che si rendono conto di un problema e con il geoblogging ne trasmettono l’esistenza all’amministrazione pubblica spesso soggetta a maggiore inerzia cognitiva, distratta da troppe emergenze. Infine, sono coloro che riattivano spazi inutilizzati che le amministrazioni non riescono a ripensare e riutilizzare, restaurandoli, riciclandoli, riusandoli e aprendoli alle comunità urbane creative. Sono i bricoleurs di una città che alle strategie di sviluppo accompagna sempre più spesso le tattiche di manutenzione, di riparazioni e di riciclo. Riattivano edifici industriali, vecchie stazioni o caserme dismesse per farli tornare luoghi della produzione, rianimano spazi pubblici restituendogli il valore di luoghi di comunità. Tutto questo sta diventando la città contemporanea. E non è un futuro che ci attende, ma è un presente in molte città, negli Usa, in Europa, e anche in Italia. Nello Spazio Grisù a Ferrara, una grande factory creativa nell’ex caserma dei vigili del fuoco, si crea una nuova alleanza tra talento e lavoro. A Matera è stato avviato l’esperimento Unmonastery, mettendo alcuni edifici a disposizione di gruppi di giovani innovatori e makers che si impegnino nella loro cura e nell’offrire alla comunità consulenza e supporto per la rifunzionalizzazione di spazi comunitari, la realizzazione di orti urbani, la mediazione culturale, l’innovazione tecnologica e la gestione dei rifiuti, intervenendo sul benessere, la connettività sociale, lo sviluppo delle competenze e il miglioramento delle risorse sociali locali. A Favara il Farm Cultural Park ha riciclato, spesso in autocostruzione, un quartiere degradato e abbandonato, trasformandolo in un centro culturale e turistico internazionale dedicato all’arte contemporanea, all’architettura e al design e sta contribuendo con numerose iniziative di progettazione condivisa al recupero dell’intero centro storico per restituirlo agli abitanti e per connetterlo, attraverso le reti internazionali del turismo artistico, con altri omologhi luoghi europei. Altri esempi sono i numerosi orti urbani che nascono nelle città, sempre meno diletto di chi ama il giardinaggio e sempre più agricoltura multifunzionale in grado di reggere un mercato nuovo, un mercato biologico del prodotto a Km zero, della certificazione del produttore e della qualità del prodotto contro il junk food.

Tutto questo sta tornando ad essere la città: una città fatta non soltanto di cittadini che domandano, ma sempre più spesso di cittadini che rispondono. Una città non fatta solo di consumatori di prodotti che vengono realizzati altrove, spesso molto lontano e con scarsa qualità e salubrità, ma fatta di produttori per l’autoconsumo o per il consumo di altre città in un’ottica metropolitana. Una città fatta non solo di censori ma di sensori, non di reattivi ma di proattivi. Se la città non chiede solo che vi sia la risposta ad una domanda, ma che via sia la risposta a migliaia di domande diverse, in lingue diverse, con tempi e gradi di emergenza diversi, allora c’è bisogno di migliaia di cittadini che siano in grado di rispondere. Consapevoli, come diceva Shakespeare, “What is the city but the people?”, makers, aggiungiamo noi.

[© Maurizio Carta, pubblicato in "Balarm", n.32, 2014 - © Foto di Francesca Marchese]