editoriale_02
orient-expression



OPEN: Metti una tigre asiatica nel motore
di Daniele Gagliano

Osaka-Aichi solo andata
di Daniele Ronsivalle

FOCUS: Ibridi urbani
di Vincenzo Guarrasi

Urbanistica made in China
di Barbara Lino

Raccontare Tokyo
di Giuseppe Lo Bocchiaro

ACTION: La transizione urbana cinese
di John Friedmann

Ma vicino a Kyoto si applica il protocollo?
di Andrea M. Pidalà

L’Asia vicina: spazi urbani della differenza
di Giada Bini

Invasioni e mercati

NOTE: Asian World Heritage
di Alessandra Badami

NEXT: Città panico
università degli studi di palermo
facoltà di architettura
cattedra di urbanistica

creativicity.magazine
rivista didattica di
culture del piano per la città creativa

direttore:mauriziocarta
redazione:alessandrabadami chiarabucchieri danielegagliano claudiagiangreco francescaitaliano barbaralino andreapidalà danieleronsivalle claudioschifani
Creativicity.magazine
RIVISTA DI CULTURA DEL PIANO PER LA CITTA' CREATIVA
“Quando la Cina si risveglierà, il mondo verrà scosso dalla forza di un terremoto”, con queste parole Napoleone Bonaparte nei primi anni dell’Ottocento riconosceva ancora alla Cina il suo valore di una delle principali economie mondiali, ma non le attribuiva più quello di grande potenza imperiale capace di agire sullo scacchiere internazionale. E si augurava che la situazione non mutasse.
Oggi non abbiamo dubbi: il drago si è svegliato, e con esso anche le tigri asiatiche, e lo scacchiere geopolitico internazionale si è trasformato nel banco di un mercato in cui la battaglia si combatte con la produzione, con l’attrazione di investimenti, con la manodopera – a basso costo o altamente qualificata – con la capacità di immaginare il futuro, con la volontà di produrre nuovi miti non solo economici, ma anche culturali (si ricordi la forza immaginifica di un film come Hero) o sportivi (si pensi al ricco medagliere cinese alle ultime Olimpiadi o alla presenza di uno sfidante cinese alla prossima America’s Cup).
Creativicity dedica questo numero a comprendere il continente asiatico, almeno a comprenderlo dal peculiare punto di vista della capacità creativa.
L’apertura ci introduce nell’occhio del ciclone che l’economia cinese ha prodotto nel mondo, modificando equilibri, scompaginando certezze e protezionismi, agendo sul mercato globale con gli stessi suoi strumenti. Il risveglio del dragone – paradossale per un paese che non ha ancora intrapreso una chiara strada di democrazia e diritti di cittadinanza – sembra stia immettendo un principio di sana concorrenzialità nei mercati chiusi del mondo occidentale. Ritornando a far parlare di qualità, competitività, valore aggiunto, specializzazioni.
I dati socio-economici e i grafici riportati a pagina sette mostrano un continente asiatico che non è solo un grande esportatore di beni di scarso valore o un imitatore sleale, ma è anche un sistema in grande trasformazione capace di condire il “turbocapitalismo” con le spezie della competitività, dell’attrattività, dell’infrastrutturazione, dell’energia, del commercio, dell’educazione e dell’innovazione. L’Asia si svela un continente fatto di grandi città metropolitane che si propongono come potenti nodi, come ampie porte e come solide armature.
Il sogno urbano asiatico ha sempre affascinato, dal rigore dell’architettura orientale alle “visioni di futuro prossimo” che da sempre il Giappone ci ha inviato, dalle più ardite sperimentazioni di Tokyo – spesso perdute nelle traduzioni occidentali – ai paesaggi urbani dei manga, fino alle visioni degli Expo.
Se l’architettura e l’urbanistica giapponese sono state da sempre creatrici di nuove fisiografie urbane, da qualche anno è la Cina – seguita da vicino dall’India – a proporci esperimenti, modelli, assimilazioni e reinterpretazioni. Assistiamo ad un processo molto veloce di trasformazione urbana partita da un’iniziale operazione di mimesi, spesso prodotta dalla facile scelta degli architetti occidentali di utilizzare stili, tecnologie e forme già utilizzate in altri contesti – chiamati forse proprio per questo. Dopo l’iniziale crescita bulimica in cui la nuova potenza asiatica ingurgitava tutto quello che le passava davanti, triturando grandi nomi della produzione industriale, dell’architettura, della moda e producendo talvolta l’inevitabile conseguenza di un approccio compulsivo, oggi assistiamo allo scoccare di alcune scintille di “creatività”. L’architettura e l’urbanistica in Cina – non ancora definibili cinesi – iniziano a riflettere sull’identità, sulla capacità di tracciare una propria strada verso il futuro non replicando i “prodotti” occidentali, ma creando la nuova città asiatica, creativa, consapevole della propria storia, portatrice di innovazione.
Esiste un atteggiamento duale: da un lato l’assimilazione di modelli, ma dall’altro una veloce crescita di consapevolezza, una tensione verso una nuova comunità urbana cinese che sappia utilizzare gli strumenti per la configurazione dello spazio in maniera autonoma, proponendosi come “laboratorio urbano” per la città del futuro prossimo piuttosto che come sottoscala in cui vengono riprodotti in migliaia di esemplari le visioni dell’occidente.
Il futuro asiatico è un futuro urbano: un recente studio della Jones Lang LaSalle del 2003 sulle “stelle nascenti urbane” mostra come le città guida per il mercato immobiliare mondiale sono Shanghai, Pechino, Guangzhou e Shenzhen, in Cina, seguite da Mumbai e Delhi, in India. Oggi le principali megalopoli asiatiche raggiungono complessivamente i 100 milioni di abitanti e la cifra è destinata a raddoppiare nei prossimi anni a causa del vorticoso inurbamento dei circa 2,4 miliardi di abitanti di Cina e India. Oggi possiamo intravedere nella “città infinita” asiatica alcune tracce di un milieu creativo: molti luoghi iniziano ad esprimere la consapevolezza della propria identità e delle risorse accoppiata alla crescita di capacità, competenze e partecipazione nella popolazione che inizia ad interagire e decidere. La base economica delle città asiatiche consente sperimentazioni architettoniche ed urbanistiche secondo un sistema di regole – spesso grazie alla loro assenza – che agevolano l’attuazione delle azioni. Nelle città asiatiche, soprattutto cinesi o coreane, esiste una forte crescita dei bisogni percepiti dai decisori, dagli imprenditori, dagli artisti, dagli scienziati e dai sociologi, capace di produrre una tensione verso la creazione di nuovi quartieri, di nuove città, di nuovi stili di vita, accoppiata ad una capacità per produrre cambiamenti futuri nel campo culturale, scientifico e tecnologico (soprattutto in India). Anche sul versante della tolleranza e del rispetto delle differenze l’Asia sta facendo progressi, mirati ad attrarre quei segmenti di classe creativa che si alimentano della comunicazione informale e spontanea e di un ambiente disponibile ad accogliere la diversità e la varietà. La Cina appare la “nuova frontiera”, con tutte le contraddizioni di un sistema in evoluzione. Infine va segnalato, nel risveglio dell’Asia e nell’autocoscienza del proprio potere, un forte dinamismo (quello che avevamo compreso ieri oggi non è più valido, e le interpretazioni di oggi domani saranno obsolete) necessario a produrre una perturbazione nel contesto ed un conseguente squilibrio tra ciò che è ciò che potrebbe essere, per la presenza di una volontà alla mobilitazione per vincere la sfida contro la marginalità geo-politica, economica e culturale.
La questione asiatica non è solo una vicenda geografica, ma, nel mondo globalizzato, ai fenomeni di colonialismo occidentale corrispondono sempre più evidenti fenomeni di cosmopolitismo nelle nostre città europee, producendo – accanto agli inevitabili conflitti e diseguaglianze – anche nuove fisionomie urbane, nuove popolazioni, nuove aspirazioni ed idee capaci di colorare le visioni di futuro di una società sempre più cosmopolita.
Non siamo forse ancora al “sogno cinese” in alternativa al brusco risveglio dal sogno americano e in attesa che giunga il sogno europeo, ma sicuramente abitiamo il “secolo asiatico” e siamo interessati a comprenderlo non per combatterlo o per rimetterlo a dormire, ma per alimentare un progetto molteplice di futuro, che sappia far dialogare punti di vista, che sappia intrecciare radici e che sappia produrre visioni creative. [maurizio carta]
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