teCLa - Effemeride 2015

codice DOI: 10.4413/EFFEMERIDE


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L’irradiazione della Vergine
di Ketty Giannilivigni

Il tema biblico relativo all’annuncio dell’angelo di Dio a Maria, miracolosamente gravida, trova rispondenza in tanta parte dell’arte cristiana, in quanto momento essenziale per rendere manifesta la condizione assolutamente unica ed irripetibile del concepimento di Cristo nel ventre di una fanciulla vergine. La rappresentazione figurativa dell’Annunciazione, tuttavia, ha trovato di volta in volta nuovi e diversi modi espressivi e stilistici che hanno rinnovato nel tempo il significato e il ruolo di Maria all’interno della fede cristiana. Se, infatti, nell’arte bizantina la rappresentazione dell’Annunciazione ha mantenuto pressoché invariati gli stilemi figurativi e significanti, come è avvenuto per gli altri temi e personaggi raffigurati dalla chiesa cristiano-ortodossa, gli artisti a servizio della chiesa romana hanno reinterpretato e risignificato, lungo la storia dell’arte cristiano-cattolica, il mistero del concepimento e, quindi, la figura della Madonna. Tuttavia, anche nell’arte occidentale, il tema figurativo dell’Annunciazione, che trova rispondenza nella scarna descrizione contenuta nel Vangelo di Luca,[1] è stato fissato nell’immagine classica della Vergine che all’arrivo dell’angelo è immersa nella lettura.

L’intento di questo scritto non è tuttavia quello di fare una disanima dei diversi modi d’immaginare il momento dell’annuncio a Maria ma di lasciare affiorare alcune analogie e corrispondenze tra l’unicità della figura della Vergine e il culto riservato alla Grande Dea documentato in Europa almeno a partire dal Neolitico Antico.

L’iconografia bizantina della Madonna nell’Annunciazione ci consente di cogliere alcuni aspetti della cultura matriarcale, stanziale e pacifica, ricca di simbologie legate ai misteri di una prima divinità femminile partogenica. Negli antichi mosaici e in molte icone bizantine l’annuncio a Maria è la trasposizione figurativa del racconto di Giacomo e del racconto dello Pseudo-Matteo nei Vangeli apocrifi.[2] Giacomo nel suo protovangelo, dopo aver narrato la nascita e l’infanzia di Maria, introduce il tema dell’annuncio della gravidanza miracolosa con la convocazione delle vergini al cospetto del sacerdote, che chiede loro di tirare «a sorte chi filerà l’oro e l’amianto e il bisso e la seta e il giacinto e lo scarlatto e la vera porpora»[3] per realizzare la tenda da collocare nel Tempio del Signore. «A Maria toccano da filare la vera porpora e lo scarlatto» cosicché ella prende le materie da filare e se ne torna a casa, e qui inizia a lavorare lo scarlatto. Successivamente si reca al pozzo per attingere acqua e sente una voce che le dice: «Ave, o piena di grazia! Il Signore è con te, benedetta fra tutte le donne». Spaventata la Vergine torna a casa, posa la brocca, si siede sullo sgabello e inizia a filare la porpora. Mentre è intenta al lavoro di filatura le compare un angelo che le annunzia: «hai trovato favore presso il Signore di tutte le cose, e concepirai per opera della sua parola»[4]. La Vergine porta quindi lo scarlatto e la porpora al sacerdote, ne riceve la benedizione e si reca poi da Elisabetta, sua parente, che sta filando lo scarlatto. Maria, futura madre di Cristo, e Elisabetta, futura madre di Giovanni il Battista, lavorano entrambe lo scarlatto ma alla Vergine spetta anche filare la vera porpora.[5]

La porpora che per noi è un colore ottenuto da un mollusco gasteropode appartenente alla famiglia dei Muricidae, qui indica il filato. Si potrebbe ipotizzare che, all’epoca della scrittura di Giacomo, il processo di tintura della porpora venisse eseguito in fiocco anziché in matassa e pertanto le fibre, impreziosite dal colore, venivano indicate come porpora. Da un’operazione strettamente tecnica deriverebbero, pertanto, connotazioni simboliche essenziali al racconto di Maria prescelta tra le vergini perché a lei è stato dato il compito di filare la vera porpora.

Lo stesso episodio relativo alla realizzazione della tenda per il Tempio del Signore viene narrato nel protovangelo dello Pseudo-Matteo con alcune varianti. Qui le vergini filatrici vengono indicate con i nomi di Rebecca, Sefora, Susanna, Abigea, Zahel che assieme a Maria ricevono a sorte dai pontefici la seta, il giacinto, il bisso, la porpora e il lino. A Maria viene affidato il compito di filare la porpora e così le altre fanciulle la chiamano «regina delle vergini», perché se anche è la più piccola tra loro ha meritato di lavorare la materia più preziosa.[6]

Un bellissimo esempio di questo racconto trasposto in immagine lo ritroviamo lungo l’arco trionfale che immette nella zona sacra della chiesa di Santa Maria dell’Ammiraglio, la “Martorana” di Palermo, dove la scena dell’Annunciazione, rappresentata a mosaico, evoca i racconti di Giacomo e dello Pseudo-Matteo nei Vangeli apocrifi. All’estrema sinistra di chi entra nella piccola chiesa di epoca normanna, l’angelo avvolto in un fluttuante mantello bianco e con la verga in mano porta la notizia a Maria. Questa, abbigliata con una veste blu e un ampio manto rosso, è raffigurata all’estremo opposto dell’arco mentre fila la vera porpora. Con la mano sinistra svolge la materia filamentosa rossa posta sulla conocchia da cui si dipana un lungo filo porpora che tirato dalla mano destra termina all’estremità nel fuso[7].

La gestualità della Vergine è rispondente alla tecnica del filare così come la descrive Rosanna Conte in La donna, la conocchia e il fuso: «Ho ancora negli occhi l’immagine di qualche vecchina che prendeva la conocchia nella mano sinistra e con l’indice e il pollice cominciava a tirare una piccola quantità di materia da filare, la arrotolava con le dita bagnate di saliva e la fissava all’estremità superiore del fuso con un nodo scorsoio. Prendeva poi tra il pollice e l’indice della mano destra il fuso e vi imprimeva un movimento rotatorio rapido, che ripeteva ogni volta che tendeva a fermarsi. Questi movimenti continuavano anche per ore».[8]

Ma nella rappresentazione di Maria che fila nella chiesa della Martorana di Palermo, così come in gran parte della figuratività bizantina che descrive lo stesso evento, il lavoro del filare assume connotazioni simboliche. La Vergine fila la vera porpora, simbolicamente il corpo di Cristo, e infatti il lavoro finito è contenuto dentro un cesto adagiato sulla veste della Vergine sotto il ventre. Il fuso sembra infilzare il contenuto rosso del piccolo canestro tanto da rievocare il dolore della passione di Cristo. L’intera immagine della Madonna che fila nel momento dell’annuncio contiene in questo modo il mistero di Maria vergine e madre assieme al percorso circolare della nascita, della morte e della resurrezione di Cristo.

Il gesto della filatrice di imprimere un movimento rotatorio al fuso che inizia a girare su se stesso esercitando la torsione del filo, pur nella concretezza dell’esecuzione e del risultato, rende visibile simbolicamente l’immagine del moto perpetuo e circolare dell’universo così come è descritto da Marija Gimbutas, in Il linguaggio della Dea,a commento della storia di Er narrata da Platone nella Repubblica: «Nella storia di Er, le sfere celesti ruotano intorno a un asse come una grande spira di fuso. Ogni sfera è associata con una sirena […] che canta la sua nota particolare, creando la Musica delle Sfere».[9]

Inquest’opera l’archeologa si propone di riesumare l’«antica religione europea della Grande Dea» attraverso i segni, i simboli le immagini che trovano corrispondenze con la natura, le pratiche, la visione del mondo di una civiltà europea del Neolitico Antico pacifica e matriarcale, sconfitta dalla brutalità della cultura patriarcale e guerriera dalle popolazioni proto-indoeuropee, provenienti dall’alto e medio bacino del Volga, che giunsero in Europa all’incirca tra il 4300 e il 2800 a.C..[10]

Oltre a decifrare segni e simboli di una civiltà scomparsa, la Gimbutas evidenzia una continuità di pensiero e di pratiche legate alla cultura della Grande Dea nell’arte e nei miti della Grecia classica e del mondo romano e ancora nelle leggende e nel folclore europei. «La torcitura, la filatura, la tessitura e il cucito sono comuni alla greca Atena, alla romana Minerva e alle dee viventi nel folclore europeo: la basca Andrea Mari, l’irlandese Santa Brigit, la baltica Laima, la slava orientale Mokoh/Paraskeva-Pytnitsa […] e la rumena Sfinta Viniri».[11] In particolare la pratica della filatura, ampiamente documentata nell’età del Neolitico Antico con oggetti d’uso contrassegnati dai simboli della divinità femminile, nell’analisi della Gimbutas finisce col designare l’attività della Dea che fila il filo continuo e circolare «della nascita e della morte e del rinnovamento della vita, non solo umana ma di tutta la terra e anzi dell’intero cosmo».[12]

Alla luce della lettura del Il linguaggio della Dea la figura isolata della Madonna che fila nell’arco trionfale della Martorana assume nuove sfumature significanti e sembra aderire alle funzioni e ai nomi della Dea. Maria assorta nel lavoro di filatura evoca la Dea partogenica che presiede «alle sue fondamentali funzioni di Dispensatrice di Vita, Reggitrice di Morte e […] di Rigeneratrice»;[13] richiama la Dea Uccello filatrice e tessitrice dell’esistenza umana;[14] evoca la Madre Terra che accoglie nel suo cesto-ventre rosso le spoglie dei morti;[15] ricorda la Dea Pesce che nell’umidità del cesto-utero raccoglie l’acqua della vita, ovvero la vera porpora.[16]

A Palermo l’Annunciazione a mosaico secondo l’iconografia bizantina, oltre che nella chiesa di Santa Maria dell’Ammiraglio, si può ammirare nella Cappella Palatina e nel Duomo di Monreale. Tra i mosaici di quest’ultima chiesa, nella zona dove sono rappresentati gli episodi del Genesi,compare Eva dopo la cacciata dal Paradiso. La progenitrice dell’umanità, rivestita con una tunica di pelle e crescente lunare in testa, è seduta su un cumulo di terra a forma di collina e poggia i piedi nelle acque di un torrente. Eva, che, avendo smesso di filare, tiene infatti tra le mani conocchia e fuso, sembra essere l’immagine della Grande Dea immersa nella propria sconfitta, mentre la nuova Eva, Maria, fila la vera porpora nell’arco trionfale della chiesa.

L’iconografia della Madonna che fila trova riscontro in diverse icone bizantine che rappresentano il tema dell’Annunciazione. Nell’Annunciata di Ocrida del XI secolo e in quella di Belgrado risalente al XIII secolo Maria, in trono e in assoluta solitudine, fila e potente s’impone l’analogia con "la vecchina" documentata dalle fotografie in La donna, la conocchia e il fuso di Rosanna Conte. Nell’Annunciazione di Usting del XII secolo, la relazione simbolica tra la vera porpora e il corpo di Cristo è resa esplicita: la Vergine, in piedi dinanzi all’angelo, tiene la matassina rossa con la mano sinistra mentre con la mano destra tira il filo verso il petto dove è effigiata l’immagine di Cristo bambino. Nell’Annunciazione di Ocrida e in quella a mosaico conservata nel Museo dell’Opera di Firenze, entrambe del XIV sec., la Madonna non è più raffigurata nell’atto di filare. Essa tiene il lavoro nella mano sinistra e rivolge il palmo della mano destra, posta all’altezza del petto, all’esterno quasi rievocando, sopratutto nel dipinto di Ocrida, il gesto della Vergine nella chiesa della Martorana di Palermo.

Anche nell’Annunciazione del XV sec. conservata presso il Museo Bizantino e Cristiano di Atene la Vergine tiene il lavoro nella mano sinistra mentre il gesto della mano destra ha assunto la forma di saluto all’angelo, così come nelle due Annunciazioni dipinte nelle porte di due altari del XVII sec., conservate nello stesso Museo ateniese, ma in entrambe Maria non ha più in mano il lavoro di filatura bensì un fazzoletto bianco. Da questo breve excursus nell’ambito dell’iconografia bizantina dall’XI al XVII secolo, relativo al tema qui trattato, parrebbe che nel corso del tempo il racconto dei proto-vangeli di Giacomo e dello Pseudo-Matteo sia andato smarrito anche nell’arte cristiano-orientale.

Le opere conservate al Museo Bizantino e Cristiano di Atene, qui citate, testimoniano tuttavia il persistere di una lunga e longeva tradizione figurativa di arte bizantina a Messina. Esse fanno parte di un gruppo di icone provenienti dalla chiesa di San Nicolò dei Greci di Messina che messe in salvo dopo che il terremoto del 1908 colpì la città dello Stretto, furono portate in Grecia e in seguito donate dalla Chiesa di Grecia al Museo Bizantino e Cristiano di Atene. Nel 2013 esse sono state esposte a Messina all’interno di una mostra ben documentata dal catalogo Immagine e scrittura. Presenza greca a Messina dal Medioevo all’età Moderna.[17]

Ma nulla della cultura figurativa greco-bizantina presente a Messina nel Quattrocento si rintraccia nell’Annunciazione che intorno al 1474 «Antonello de Antonio, o degli Antoni a tutti noto come Antonello da Messina»,[18] abitante nella città dello stretto, dipinge per la chiesa di Santa Maria dell’Annunziata di Palazzolo Acreide, oggi conservata presso la Galleria regionale di Palazzo Bellomo di Siracusa. Alla maniera italiana, Antonello inquadra la scena in un interno prospetticamente definito, in cui le figure dell’angelo e della Madonna sono separate da una colonna. Maria presenta il capo scoperto; il manto blu avvolge la sua figura lasciando intravedere la veste in broccato rosso; l’arrivo dell’angelo la sorprende mentre legge il libro adagiato sul leggio di legno intagliato con decori gotici. Un dipinto, dunque, pienamente inserito nel Rinascimento, così come appare rinascimentale agli occhi della critica l’Annunciata della Galleria regionale di Palazzo Abatellis di Palermo, dipinta qualche anno dopo dallo stesso artista.[19]

La spazialità perfettamente prospettica del dipinto, ottenuta attraverso il disegno fiorentino e il colorismo veneto, ed ancora il volto della Vergine aderente alla ritrattistica fiamminga collocano l’opera tra i capolavori della Rinascimento. Ma gli studiosi si sono interrogati soprattutto sull’idea di Antonello di rappresentare Maria Annunciata senza l’angelo. A tal proposito «Zeri (1958) ha indicato come il titolo di Annunciata sia di epoca decadente, e come abbia in certo modo “narcotizzato” la ricerca, rendendola soddisfatta dell’esistente e impedendole di chiedersi se, coerentemente alla forma mentis del Quattrocento, potesse esistere la raffigurazione di un effetto senza la sua causa, o soltanto di una parte dell’azione quale indicativa del tutto».[20] A partire da questo interrogativo l’analisi fin qui condotta apre nuove argomentazioni giacché alquanto suggestive appaiono le analogie tra l’Annunciata di Palazzo Abatellis e la cultura figurativa bizantina peraltro presente anche a Messina all’epoca in cui Antonello dipingeva. La Vergine velata alla maniera orientale è isolata all’interno del dipinto al pari dell’Annunciata di Ocrida e di quella di Belgrado, dove Maria, posta frontalmente allo spettatore, fila la vera porpora. Inoltre, la presentazione della Madonna a mezzo busto nel quadro di Antonello trova precise corrispondenze con le icone dell’Odighitria di cui due esempi, uno del XIV secolo e l’altro del XVI secolo, si possono ammirare nel catalogo della mostra che documenta la presenza greca a Messina nel corso dei secoli[21]. Sorprendenti, inoltre, i raffronti che si possono fare con le raffigurazioni di scuola bizantina della Vergine che secondo la leggenda sarebbero copie di un ritratto di Maria eseguito dall’Evangelista Luca[22]. A Roma sul grande altare barocco della chiesa di Santa Maria in Aracoeli è situata un’icona datata metà dell’XI secolo, copiata, secondo la tradizione, dal dipinto di Luca: qui la Madonna, come nel dipinto di Antonello, è velata e raffigurata a mezzo busto, inoltre poggia la mano sinistra sul petto e solleva quella destra con il palmo rivolto all’esterno. La medesima iconografia è attestata da altre icone presenti in altre chiese romane: quella dei Santi Bonifacio e Alessio, di San Lorenzo in Damaso, di Santa Maria della Concezione in Campo Marzio e di Nostra Signora del Rosario a Monte Mario.

Ma se si torna a Palermo è impossibile non scorgere come il gesto della mano destra dell’Annunciata di Antonello ripeta in maniera astratta e retorica il lavoro svolto dalla stessa mano nell’Annunciazione della Martorana, ovvero la torsione del filo della vera porpora ottenuta mediante l’impulso motorio impresso dalla mano. Degno di considerazione è inoltre l’elemento figurativo delle mani che nell’arte bizantina sono non solo “nodi” focali della rappresentazione, indicativi dei personaggi rappresentati, ma altresì parole in contrappunto dialettico con i volti scevri da qualsiasi connotazione emotiva. Il gesto dell’Annunciata di Palermo che trova quindi precisi riferimenti nella figuratività bizantina non corrisponde, tuttavia, alla gestualità di Maria negli altri dipinti di analogo tema eseguiti dallo stesso pittore.

Nell’Annunciazione di Siracusa e in quella raffigurata nel Polittico di San Gregorio al Museo regionale di Messina così come nell’Annunciata di Monaco, il gesto di Maria che incrocia le mani sul petto evoca il raccoglimento, la preghiera, l’accettazione della gravidanza miracolosa. Nel quadro di Antonello custodito a Palazzo Abatellis il palmo della mano destra della Vergine rivolto verso il visitatore ha una potenza catalizzante e dialoga col volto anche questo potentemente espressivo e misterioso. Maria qui è Annunciata perché fila dall’interno la vera porpora ― questo potrebbe essere il senso dei lembi del manto tenuti assieme dalla mano sinistra; ella appare come l’Odighitria, che con la destra mostra la direzione, la via; la «determinazione fisiognomica»[23] del suo volto sembra tesa quasi a recuperare l’atto di Luca che ritrae la Vergine.[24] In relazione a quest’ultimo elemento figurativo la tradizione orale, pur sconfessata dalla critica, che Antonello avesse ritratto nei panni di Maria suor Eustochia dei Calafati[25], riformatrice dell’ordine di Santa Chiara nella Messina del Quattrocento, mi pare un’ipotesi suggestiva e verosimile, avvalorata dal racconto che la vuole colpita dalle stigmate proprio sulle mani.

Secondo l’analisi fin qui condotta, l’Annunciata di Palermo sembrerebbe condensare dunque in una piccola tavola più livelli di lettura accreditando l’opera alla grande arte del Rinascimento, alimentata dal desiderio di creare immagini non solo belle ma colte, ricche di riferimenti simbolici, opere in cui la tensione intellettuale dei significati sottesi si scioglie nel perfetto equilibrio e nella pura bellezza accessibili all’intera umanità. Antonello, dunque, come altri grandi artisti della sua epoca, consegna all’immagine femminile custodita a Palermo l’impronta del proprio passaggio sulla terra.

Dal 1954 la tavola del grande pittore messinese ha trovato la propria dimora nella penombra di una piccola stanza al secondo piano della Galleria di Arte Medievale e Moderna di Palazzo Abatellis. Carlo Scarpa, che ha disegnato il percorso espositivo della Galleria, l’ha collocata al centro come un magnete del circoscritto ambiente, pietra angolare illuminata dalla luce proveniente da una grande finestra che la investe di traverso. Il visitatore, in questo modo, dopo aver attraversato e superato il grande Salone delle Croci, perviene alla visione di Maria che piano piano si rivela al suo sguardo.

La ieraticità iconica della Vergine nell’Annunciata di Palazzo Abatellis, si presta ad un’ulteriore e suggestiva lettura che supera le epoche e gli stili e che può spiegare il carattere catalizzatore e magnetico del dipinto. Perno della piccola tavola, la figura piramidale della Madonna, leggermente ruotata verso destra, accenna un impercettibile movimento su se stessa, come l’immagine del fuso nella descrizione delle sfere celesti di Platone. Il volto della Vergine assume la configurazione di una luna quasi piena all’interno dell’azzurro cosmico del manto contrassegnato dai segni della Grande Dea:[26] la V disegnata dai due lembi di tessuto tenuti assieme dalla mano sinistra della Vergine assurge a simbolo della Dea, filatrice e tessitrice dell’esistenza umana e dell’intero cosmo; la grande M astrattamente descritta dal perimetro azzurro si svela segno dell’umidità femminile, fonte rigenerante della vita. In questo contesto potente appare la visione scorciata del palmo della mano destra di Maria che rievoca le impronte di mani femminili presenti in alcune grotte del Neolitico Antico che, nella lettura della Gimbutas[27] sono manifestazioni della Dea, simboli del suo tocco che infonde energia e segni di una cultura matriarcale anteriore alla parola scritta e all’incarnazione del Verbo rappresentati dalle pagine del libro posto sul leggio nel dipinto di Antonello.

La religiosità simbolica del femminile, celata e cristallizzata dentro la rappresentazione bizantina, viene rivitalizzata da Antonello nell’Annunciazione di Palermo, «una delle massime espressioni della pittura europea di tutti i tempi»[28] ma soprattutto una di quelle immagini dell’arte realizzate dai grandi maestri, che hanno colto, sia pure per via intuitiva, il legame fra la sapienza della Dea, l’irradiazione della Vergine e i misteri della natura.

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1 Luca, I, 26-38.

2 I Vangeli Apocrifi, a cura di M. Craveri, Einaudi, Torino, 1997.

3 Protovangelo di Giacomo, X, 2.

4 Protovangelo di Giacomo, XI, 1-2. Le parole dell’angelo nel Vangelo di Giacomo ricalcano quelle dell’angelo in Luca (ed. cit., Luca, I, 26-38).

5 Protovangelo di Giacomo, XII, 1-2.

6 Protovangelo dello Pseudo Matteo, VIII, 5.

7 Per questa iconografia si veda E. Kitzinger, I mosaici di Santa Maria dell’Ammiraglio a Palermo, Istituto Siciliano di Studi Bizantini e Neoellenici Palermo, Nuova Alfa Editoriale, Bologna 1990, pp. 173-175.

8 R. Conte, La donna, la conocchia e il fuso, www.ponzaracconta.it, 2013.

9 M. Gimbutas, Il linguaggio della Dea, Longanesi e C., Sancasciano 1990, p. 71.

10 Ibid., pp. XV-XXI.

11 Ibid., p. 68.

12 Ibid., p. XIX.

13 Ibid., pp. XIX-XX.

14 Ibid., pp. 67-68.

15 Ibid., pp. 151-157.

16 Ibid., pp. 258-263.

17 Immagine e scrittura. Presenza greca a Messina dal Medioevo all’età Moderna, Fondazione Federico II, Palermo, 2013.

18 Antonello da Messina, l’opera completa, catalogo della mostra (Roma, 18 marzo – 25 giugno 2006), a cura di M. Lucco, Silvana Editoriale, Cinisello Balsamo 2006, p. 17.

19 M. Collareta, Antonello e il tema dell’Annunciazione, in Antonello da Messina, l’opera completa…, pp. 65-73.

20 Cfr. in Antonello da Messina, l’opera completa…, p. 234.

21 Immagine e scrittura. Presenza greca a Messina dal Medioevo all’età moderna, catalogo della mostra (Messina, 23 marzo – 24 maggio 2013; Palermo, 8 giugno – 25 agosto 2013), Fondazioen Federico II, Palermo 2013.

22 P. Strini, Icone in Roma attribuite, per tradizione, a San Luca, www.piccoloeremodellequerce.it.

23 G.C. Argan, Storia dell’arte italiana, vol. II, Sansoni per la Scuola, Firenze 2000, pp. 300-301.

24 M. Collareta, Antonello e il tema dell’Annunciazione..., pp. 72-73.

25 E. Pisapia, Calafato, Eustochia, beata, in Dizionario Bibliografico degli italiani, vol. 16, 1973, (www.treccani.it).

26 M. Gimbutas, Il linguaggio della Dea…, pp. 3-23.

27 Ibid., pp. 305-309.

28 M. Lucco, in Antonello da Messina, l’opera completa…, p. 234.

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