teCLa :: Rivista

in questo numero contributi di Antonio Cuccia, Salvatore Mercadante, Edgard Fiore, Paolo Emilio Carapezza.

codice DOI:10.4413/RIVISTA - codice ISSN: 2038-6133
numero di ruolo generale di iscrizione al Registro Stampa: 2583/2010 del 27/07/2010

Sezione aurea: l’Armonia del Mondo * di Paolo Emilio Carapezza

Iniziai a studiare il numero d’oro, quello che segna la sezione aurea, nel 1981 per il mio corso di lezioni su I Centennari, i sei grandi compositori nati tra 1881 e 1883: Bartok (1881), Malipiero, Szymanowski e Strawinski (1882), Webern e Varèse (1983). Minerale è la musica di Varèse e di Strawinski, vegetale quella di Bartok, animale quella degli altri tre: animale\umana quella di Malipiero e Szymanowski, umana\angelica quella di Webern.
La musica di Bartok ci appare come lussureggiante vegetazione sonora; Ernö Lendvai la connette con le leggi che regolano la vita vegetale e la crescita delle piante: progressione numerica di Fibonacci e sezione aurea.
Che cos’è la Sezione aurea? L’armoniosa divisione di un tutto (N) in una parte maggiore (x) e una parte minore (n): il tutto sta alla parte maggiore come questa sta alla parte minore. Il punto della divisione (x) è espresso da un numero irrazionale. La sezione aurea fu intuita da Pitagora (Samo, c. 570 a.C. – Crotone – Metaponto, 495 a.C.). «Il teorema di Pitagora è oro – scrive Keplero (1571-1631) – la sezione aurea un meraviglioso gioiello». Questi divennero i principi compositivi d’ogni arte, specialmente dell’architettura sacra: primo esempio mirabile il Partenone (V sec. a.C.); ne risultano quasi-simmetria ed euritmia.
Nel 1202 Leonardo Pisano, detto Fibonacci (filius Bonacci), pubblica il Liber Abaci: introduce le cifre numeriche indiane\arabe nella nostra cultura; e svela le origini naturali della sezione aurea.
Parte egli dall’osservazione della crescita delle piante: dalle leggi che la regolano deriva la serie numerica di numeri irrazionali (già anch’essa intuita da Pitagora) che da lui prende nome: “numeri di Fibonacci”. Eccone i primi: 0, 1, 1, 2, 3, 5, 8, 13, 21, 34, 55, 89, etc. usque ad infinitum; ogni numero è la somma dei due precedenti, e man mano che cresce sempre più s’avvicina a quello che segna la proporzione aurea, ma senza mai raggiungerlo!
Nel Rinascimento lo studio della proporzione aurea fu approfondito da Luca Pacioli (1445 c.-1517): e da lui stesso e poi dai massimi artisti subito applicato alle arti (Piero della Francesca, Leon Battista Alberti, Antonello da Messina, Leonardo da Vinci, Josquin des Pres, Michelangelo, il Palladio, etc.).
Onore e grazie a Ninni Greco, che ha proposto la sezione aurea come tema a 50 artisti per la mostra Numero d’oro: “armonia del mondo”,[1] allestita nell’Archivio storico comunale di Palermo; i risultati quasi tutti notevoli, anche se spesso è difficile capire se non siano fuori tema. Segnalo l’Armolodica di Alessandro Bazan, il Cielo d’inverno di Gai Candido, la Gestualità e razionalità alla ricerca del numero d’oro di Carla Horat, Numeri e cosmogonie di Giuseppe La Bruna, A mio padre di Rossella Leone, la Divina proportione di Mario Lo Coco; e, senza obbligo di tema, Il libro cucito di Maria Lai.

Ieri l’altro, per preparare questo mio discorso, ho cercato nel ginepraio della mia biblioteca, e vi ho ritrovato questo affascinante libriccino: M. Livio, La sezione aurea: storia di un numero e di un mistero che dura da tremila anni, Rizzoli, Milano 2003, 9a ed. 2006. Davvero esauriente. Caso volle che nello stesso giorno il postino mi portasse l’ultimo numero de “Le Scienze”, dove subito ho letto un illuminante articolo, intitolato L’universo è casuale?, di George Musser sul celebre aforisma di Albert Einstein: «Dio non gioca a dadi con l’universo». Einstein spiazza a priori gli estremisti, sia creazionisti-deterministi (come Quagliariello) che evoluzionisti-casualisti (come Hawking e Odifreddi), proponendo un doppio livello, determinato e indeterminato, che concilia creazionismo ed evoluzionismo: donde la mia decisione di parlarvi, partendo dal suddetto libriccino, e dalla fortunata casuale coincidenza del felice ritrovamento col tempestivo recapito postale.
Mario Livio da un lato dimostra che sezione aurea e numeri di Fibonacci sono «un canone universale di bellezza» (p. 97) e fondano l’universo creato, «Dalla forma delle galassie alla fillotassi» (ivi), dal macrocosmo astrale al microcosmo naturale, minerale vegetale e animale: «Dai tasselli all’intarsio celeste» è il titolo del penultimo capitolo, e quello dell’ultimo è una domanda, «Dio è un matematico?». Risponde Clifford A. Pickhover: «Non so se Dio sia un matematico, ma la matematica è il telaio con cui Egli ha tessuto la stoffa dell’universo […] Il fatto che la realtà possa essere descritta o approssimata da semplici espressioni matematiche mi fa pensare che la matematica sia nel nucleo della natura» (p. 357). E William Thomson aveva detto: «Quando non possiamo esprimerla con i numeri, la nostra conoscenza è povera e insoddisfacente» (p. 9).
Nelle più antiche cosmogonie mitiche, poi scientificamente convalidate dalle teorie della relatività e del big-bang, all’inizio ci sono il Suono e la Luce, espressioni immediate dell’Energia creatrice. Nella tradizione vedica, alle origini della civiltà indoeuropea, XX secolo a.C.,

Tutto il mondo materiale è una musica gradatamente consolidatasi, una somma di vibrazioni, le cui frequenze si allungano nella misura in cui si materializzano. Le più rapide vibrazioni […] costituiscono il vestibolo del Dio creatore e del punto di quiete immobile (M. Schneider, Il significato della musica, Rusconi, Milano 1970, p. 17).

Eraclito di Efeso (535-475 a.C.) così inizia il suo proemio:

Τουδε Λογου τουδ’εοντος, cioè: Di questo Suono,[2] che è, sempre incomprensivi sono gli uomini, e prima d’udirlo e appena uditolo. Essendo state create tutte le cose con questo Suono, da ignoranti dicono e fanno […] Con chi hanno il rapporto più continuo sono in disaccordo (Eraclito, Frammenti, a cura di M. Marcovich, La Nuova Italia, Firenze 1978, p. 8).

Questo passo dell’oscuro Eraclito viene chiarito nel prologo del Vangelo secondo Giovanni:

Εν αρχη ην ο Λογος (In principio erat Verbum, traduce san Girolamo): In principio era il Suono (traduce Marius Schneider), e il Suono era presso Dio, e il Suono era Dio. Tutte le cose furono create col Suono, e senza di lui neppure una delle cose create è stata fatta. In lui era la vita, e la vita era la luce degli uomini; la luce splende nelle tenebre, che non la presero (Giov., I, 1-5).

Ma con Pitagora era avvenuta una rivoluzione: l’attenzione dal Suono si sposta ai rapporti tra i suoni, agli intervalli espressi da rapporti numerici: Εν αρχη ην ο Αριθμος, «In principio era il Numero».
Contro Pitagora insorge Eraclito: «escogitò una sapienza sua propria, nient’altro che nuda erudizione e artificio meschino (πολυμαθειην, κακοτεχνιην)» (Eraclito, Frammenti…, p. 46). L’elemento sostanziale nella concezione pitagorica non è più la Luce e neppure il Suono, ma il Numero: una concezione cosmica concreta, fisica, cede quindi ad una concezione astratta, metafisica. Archetipo del mondo non sono più Luce e Suono, ma rapporti numerici; e i suoni invece che cause originali diventano effetti: gli astri non sono più visti come corporificazioni sonore, come suoni consolidati, ma come produttori – col loro moto – dei suoni cosmici, che realizzano sonoramente l’armonia del mondo. In principio sono quindi i rapporti numerici, quindi il cosmo, quindi l’armonia delle sfere o musica mundana.

Pitagora e i suoi seguaci divulgarono una teoria, certo collegata a più antiche tradizioni: il mondo tutto sarebbe composto secondo rapporti numerici definiti, proprio quelli poi applicati all’accordatura della lira. E non contenti di questa connessione di dissimili, detta da loro armonia, attribuirono il suono persino ai moti degli astri (Marco Fabio Quintiliano, Institutiones oratoriae libri XII: lib. I, cap. 10, par. 12).

Con la musica mundana non congruisce però solo la musica instrumentalis (naturalis delle voci e artificiata degli strumenti), ma anche la musica humana, la composizione dell’organismo umano animato:

Vi sono tre generi di musica: quella cosmica o mundana dapprima, seconda la humana, e terza quella prodotta da alcuni strumenti, quali la cetra, gli auloi e gli altri capaci di melodia (A.M.T. Severino Boezio, De institutione musica).

Da uno stesso archetipo numerico derivano vari gradi d’armonia. Tale concezione è ancora vitale al colmo del rinascimento europeo:

Son tra loro accordati i quattro mondi:
l’uman, l’elementar, gli astri profondi
con l’archetipo; e suona l’universo
in quattro liuti una stessa armonia

(Guy Le Fèvre de la Boderie, 1578, trad. nostra).

La rilettura dell’aureo libriccino di Mario Livio mi ha convinto che Pitagora aveva ragione.

E veniamo all’illuminante saggio di George Musser L’universo è casuale? (in “Le Scienze”, n. 567, novembre 2015, pp. 88-93). Egli ci spiega che la celebre sentenza di Albert Einstein, «Dio non gioca a dadi con l’universo», è stata male interpretata; Einstein non era, come abbiamo detto, un estremista creazionista, ma neppure un estremista evoluzionista: non pensava che l’universo fosse un orologio meccanico, in cui tutto è preordinato, né un tavolo da gioco d’azzardo, in cui tutto è lasciato al caso. Guardiamo il saggio di Musser a volo d’uccello:

L’indeterminismo è un prerequisito del libero arbitrio umano […] l’universo è sia deterministico che indeterministico […] la distinzione dipende dal livello specifico dell’indagine […] Einstein cercava un livello sub-quantistico deterministico, senza negare che il livello quantistico fosse probabilistico […] La nozione stessa dei quanti, le unità discrete di energia, fu introdotta da lui nel 1905, e per un decennio e mezzo fu […] l’unico a difenderla […] Ma Einstein e i suoi contemporanei dovevano risolvere un problema serio: i fenomeni quantistici sono casuali, la teoria quantistica però non lo è (p. 90). Ogni teoria è un punto di passaggio verso una teoria più grande […] La casualità quantistica […] è il risultato di processi più profondi […]: la meccanica quantistica è una teoria di grana grossa che esprime il comportamento collettivo degli elementi fondamentali della natura. Ma non ha la risoluzione necessaria per comprenderli a livello individuale. […] La fisica può essere probabilistica anche se la realtà sottostante è deterministica […]: l’indeterminismo può emergere dal determinismo. Il livello quantistico e sub-quantistico, e qualsiasi altra coppia di livelli […] (p. 91) rappresentano tipi distinti di strutture, e dunque obbediscono a diversi tipi di leggi […] Una fisica microscopica deterministica non conduce necessariamente a una fisica macroscopica deterministica […] Sebbene il livello […] superiore sia basato su quello inferiore, è autonomo […] Non mescolare i livelli! […] Il mondo è deterministico o indeterministico? La risposta non dipende solo dalle leggi fondamentali del moto ma anche dal livello di descrizione del sistema […] Una fisica microscopica indeterministica può condurre a una fisica macroscopica deterministica […] (p. 92). Il mondo è una torta a strati composta da determinismo e indeterminismo […] Libero arbitrio: […] Per essere liberi abbiamo bisogno dell’indeterminismo a livello umano, non a quello delle particelle […] Il livello degli esseri umani e quello delle particelle sono autonomi […] Né noi né le nostre azioni esistiamo al livello microscopico della materia, ma solo al livello macroscopico della mente. Il macro-indeterminismo al disopra del micro-indeterminismo assicura il libero arbitrio […] Descrivere le azioni come meccanismi degli atomi del cervello sarebbe […] un’impostura. Occorrono piuttosto i concetti della psicologia: desiderio, possibilità, intenzione […] Un’interpretazione della teoria quantistica […] fu sviluppata dopo la morte di Einstein nel 1955: […] il multiverso […] un insieme di universi paralleli […] che si comporta deterministicamente nel complesso, ma ci appare non deterministico, perché noi siamo in grado di osservare solo un universo […] I nostri corpi e i nostri cervelli sono piccoli multiversi, e da questa molteplicità delle possibilità deriva la nostra libertà (p. 93).

Il mondo dunque è stato creato; la sua complessità non può essere frutto del puro caso, ma nella sua evoluzione il caso ha avuto, e continua ad avere, la sua parte: la creazione è stata deterministica, ma l’evoluzione è probabilistica. La divina provvidenza è trascendente, quindi predeterminata, secondo Agostino: «Il mondo non è retto da un destino cieco ma dalla provvidenza del sommo Dio, come anche i platonici sostengono» (Agostino, La città di Dio, libro IX, 13, 2). Ma è invece immanente, quindi indeterminata, secondo Gian Battista Vico: la sua Scienza nuova

deve essere una dimostrazione […] di fatto istorico della Provvedenza […] una storia agli ordini di quella, senza veruno umano scorgimento o consiglio, e sovente contro essi proponimenti degli uomini, ché quantunque questo mondo sia stato criato in tempo e particulare, però gli ordini ch’ella v’ha posto sono universali ed eterni.[3]

La proporzione aurea, come abbiamo visto, è insita e predeterminata nella creazione. Grazie alla proporzione aurea, fonte d’ogni bellezza!

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* Lezione per la conclusione della mostra Numero d’oro: “armonia del mondo” (Domenica 15 novembre 2015).

1 Numero d’oro: “armonia del mondo”. Segni-di-segni, sculture, sculture di aria, di ombra, di luce, colore. Officina di opere in forma di libro-progetto (Palermo, Archivio Storico Comunale, 16 ottobre – 15 novembre 2015) a cura di A. Greco.

2 La parola greca Λογος (Verbum in latino) significa “discorso di parole sonoramente realizzate”: donde la traduzione, sotto citata, di Marius Schneider delle prime parole del Vangelo secondo Giovanni.

3 G.B. Vico, La scienza nuova secondo l’edizione del 1744, 2 voll., a cura di P. Rossi, Rizzoli BUR, Milano 1963, p. 166.

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Temi di Critica - numero 12

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