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in questo numero contributi di Stefano Colonna, Antonio Cuccia, Francesco Paolo Campione, Maria Chiara Bennici, Elvira D'Amico.

codice DOI:10.4413/RIVISTA - codice ISSN: 2038-6133
numero di ruolo generale di iscrizione al Registro Stampa: 2583/2010 del 27/07/2010

Una scheda su un disegno raffigurante l’Andata al Calvario qui restituito a Polidoro da Caravaggio di Antonio Cuccia

Studio per l’Andata al Calvario (recto) / Il Cireneo solleva la Croce (verso)
Matita e tratti di penna
mm. 285 x 320
Palermo, Galleria Regionale della Sicilia, Gabinetto disegni e stampe
inv. Lotto C n. 358
Provenienza: Palermo, Museo Nazionale (inv. Lotto n. 97)

 

È un puro caso che un disegno di tale spessore possa essere sfuggito al vaglio attento degli studiosi che nel catalogo Maestri del Disegno nelle collezioni di Palazzo Abatellis hanno resa pubblica gran parte della straordinaria raccolta del Museo palermitano,[1] lasciandomi il godimento di una scoperta di grande rilevanza. Nel foglio è chiaramente riconoscibile l’episodio dell’Andata al Calvario raffigurato con una veemenza e una tale forza espressiva da non lasciare dubbi sulle capacità dell’autore e sulla collocazione in un preciso momento culturale riconducibile alla Maniera. Non si sa nulla circa la sua provenienza, se non la sua presenza tra i disegni sfusi del Museo Nazionale palermitano transitati nella nuova istituzione di Palazzo Abatellis.[2] Certo è significativa la presenza del disegno a Palermo e il suo legame tematico se non iconografico col celebre Spasimo di Raffaello, oggetto di particolare attenzione da parte di Polidoro da Caravaggio nel confronto, a quanto pare richiesto, a sentire il Susinno,[3] quando venne affidata al pittore lombardo la commissione dell’analogo soggetto per la chiesa messinese dell’Annunziata dei Catalani. L’opera venne consegnata nell’agosto del 1534 dopo lunga gestazione, puntualmente ricostruita dal Marabottini[4] attraverso l’identificazione dei vari bozzetti preparatori. Di tale saggio e della successiva scoperta di altri bozzetti e disegni preparatori tiene conto l’esaustiva mostra di Napoli sul pittore (1988-89). Tali testimonianze attestano il confrontarsi di Polidoro con lo Spasimo di Raffaello a Palermo, dove il quadro era arrivato attorno al 1517. I messinesi sapevano bene che lo scolaro di Raffaello sarebbe stato in grado di fornire un dipinto all’altezza del prototipo del maestro e questo spiega l’impegno di Polidoro nel produrre una messe di studi sul capolavoro palermitano. Ma va puntualizzato che era già trascorso un decennio dalla realizzazione del primo, ed era già accaduto il Sacco di Roma e mutato il tipo di religiosità che adesso, venendo meno quelle serene certezze umanistiche, lasciava spazio ad uno stato di ansioso smarrimento.
A enucleare questo stato d’animo che determinerà in Polidoro quella furia esecutiva dei bozzetti, è l’insuperato contributo del Marabottini, di cui mi sembra particolarmente calzante citare il seguente passo: «È estremamente importante avere potuto stabilire che fin dal 1534 circa Polidoro era capace di esprimersi in questo modo violento e sommario, cavando dalle tavolette effetti singolari di impetuoso non finito […] strisciando segni rapidi e arsicci di terra d’ombra […] accatastando ossessive cubizzazioni formali, assiepando figure, o disciogliendo i gruppi in guizzanti contorni, ravvivati da pochi tocchi striati di chiaro. Ciò significa che il linguaggio dei bozzetti va sviluppando una propria autonomia (parallela a quella dei disegni) nei confronti delle grandi opere da cavalletto».[5] Questa risulta essere la chiave di lettura, condivisa dagli storici, del dipinto messinese, ora a Capodimonte, e di tutta la produzione preparatoria, grafica e pittorica, che documenta mirabilmente il graduale passaggio, elaborato dal pittore, dallo Spasimo palermitano a quello di Messina, divulgato dall’incisione del prete Colagiacomo d’Alibrando.[6]
Tra i bozzetti legati allo studio della pala palermitana il più fedele al prototipo, almeno iconograficamente, con la sola variante della Veronica, è quello del palazzo della Cancelleria a Roma, anche se il linguaggio e il tipo di sensibilità pittorica denunciano già la distanza dal prototipo raffaelliano,[7] mentre gli altri elaborati anticipano quella che sarà la definitiva realizzazione finale. Anche il disegno pubblicato, da Vincenzo Abbate reperito nella cartella “Pietro Novelli” del fondo Sgadari di Lo Monaco della Galleria Regionale di Palazzo Abatellis a Palermo, manifesta lo stretto rapporto con la grande pala dipinta di Polidoro per l’Annunziata dei Catalani di Messina.[8]
Su scala diversa si configura il nostro disegno, che invece testimonia una fase molto prossima al bozzetto del palazzo della Cancelleria, pur anticipando dei motivi che ritornano nel disegno “Sgadari”: il tracciato corsivo a ghirigori del paesaggio e la figura del Cristo di profilo come nell’incisione ispiratrice di Luca di Leida. Più concretamente ritengo che il foglio in questione costituisca l’elaborazione di un momento successivo al bozzetto romano ma che dà inizio allo scardinamento compositivo dello stesso, a cominciare dal soldato vessillifero che nel disegno mantiene l’elmo piumato, ma accorpa la figura che gli sta di fronte nel gesto di brandire il rotolo nella visione frontale del cavallo mentre, non tenendo conto della centralità del Cristo-portacroce, così come configurato nello Spasimo di Palermo e nel bozzetto romano, lo relega in controparte quale appendice di un cono immaginario disposto in diagonale, denso di figure concitate che popolano il tragico corteo. Tale nuova disposizione radicalmente trasformata, rispetto al prototipo di Raffaello, che rappresentava un raro momento di incontro tra Cristo e la madre, ostacolato dagli aguzzini, ora qui si configura come l’intervento del Cireneo, che sgrava dal peso della croce il Cristo caduto. Sul retro un particolare del medesimo quadro però abbozzato conferma l’intenzionalità di focalizzare tale episodio. Entrambi i disegni su foglio bianco sono tracciati a matita, sul recto soltanto alcune striature nell’angolo inferiore sono a penna. Il segno grafico è incisivo e ripetuto, e si avvale di ombreggiature – tale si riscontra nei disegni a penna del periodo messinese – il tratto è sintetico, veloce, volutamente non definito, di forte impatto e con quel carattere “impressionistico” largamente utilizzato nei bozzetti. E proprio un bozzetto si può definire tale disegno dove si colgono il carattere drammatico della scena e l’immediatezza del messaggio trasmesso da una gestualità marcata: il soldato a cavallo intima al Cireneo, individuabile nel personaggio con la mano alzata, di farsi carico della croce che due pietosi astanti sollevano dalle spalle del Cristo. A conferma dell’autografia polidoriana si offrono svariati richiami espressivi che ricorrono nel percorso figurativo del pittore a cominciare dalla mano sventagliata dal Cireneo, spesso ricorrente come negli Studi per il Cristo della Trasfigurazione di Londra[9] o nell’apostolo posto al centro nel disegno ripassato (?) della Trasfigurazione di Berlino.[10].
È riconoscibile il carattere risentito del cavallo e l’elmo piumato del cavaliere nel bozzetto della Cancelleria e c’è nel Cristo piegato il ricordo dell’angelo inginocchiato della rondella monocroma dell’altare della Pescheria a Napoli. Ma trovo scontato rilevare che c’è un’evidenza più profonda, aldilà dei rimandi su cui si potrebbe ancora continuare riscontrabile proprio nel ductus disegnativo nervoso, instabile e tenacemente espressivo ben evidente nella resa delle mani (si veda la nodosità della mano dell’uomo a cavallo) e dei volti parlanti e dei profili resi di tre quarti, la forte definizione incisiva degli occhi, della bocca, con i loro appoggi d’ombra, retaggio peculiare di un “naturalismo espressivo”.
A conclusione di questa dissertazione non poteva passare inosservata la figura in movimento, posta in primo piano al centro della composizione, le cui gambe muscolose e la stessa articolazione dei piedi richiamano prepotentemente i due pastori in ginocchio e in piedi posti ad apri-quinta della Natività di Altobasso, commissionata al pittore nel febbraio del 1533, di lunghissima gestazione e con supposti interventi di aiuti.[11] Ci troviamo di fronte a una interferenza tra i due dipinti capisaldi dell’attività del pittore a Messina in apparenza in contraddizione ma che è possibile giustificare grazie ai contributi confluiti nella basilare mostra napoletana dell’88-89. Dalla disamina espletata dal De Castris[12] risulta che la Natività commissionata nel febbraio del 1533 «giaceva ancora incompiuta nella mente o già nella bottega del pittore» negli anni tra il 1534 e ’35 per impegni che egli andava espletando inerenti all’Andata al Calvario e agli apparati in onore di Carlo V. «Se ne deduce che la Natività,lungi dall’essere realizzata secondo contratto fra il 1533 e il 1534, era ancora in fase di ideazione nel 1535; cade così ogni imbarazzo nella difficile sovrapposizione fra questa pala e quella ben diversa con l’Andata al Calvario, fra l’altro di certo iniziata vari anni prima».[13]
Questa congiuntura, caratterizzata dal sovrapporsi di idee, si palesa chiaramente nel nostro disegno testé scoperto[14] che si rivela di straordinaria rilevanza, aldilà della qualità, per l’apporto conoscitivo che reca al menzionato momento creativo denso di continue sollecitazioni che sotto forma di ideazioni si riversano sulle due opere capitali in cantiere. Proprio a una di queste ideazioni trovo opportuno associare un disegno a penna e acquerello raffigurante l’Adorazione dei pastori al Louvre (inv. 6068), che secondo De Castris[15] riprende motivi della grande Andata al Calvario ed è databile al 1533. Ebbene non è un puro caso che in questo disegno, come pure nel nostro, si riscontri un tratto corsivo e sintetico nel delineare il paesaggio con tratti veloci e nervosi, quasi fosse uno scarabocchio. Trovo che i due disegni si sostengano a vicenda pur differenziandosi, il primo nella sua struttura finalizzata a imbrigliarne l’idea, mentre il nostro più concretamente a impiantare un dettato prossimo a essere realizzato.
A chiusura, ottemperando ai limiti di una scheda, non posso non chiedermi, sollecitato da questa scoperta, se il soggiorno di Polidoro a Palermo non abbia avuto quivi una qualche ricaduta sullo sviluppo della cultura pittorica in considerazione dell’incontro scontato con Vincenzo da Pavia, col quale egli si suppone abbia lavorato nella bottega di Raffaello.

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1 Maestri del Disegno nelle collezioni di Palazzo Abatellis, catalogo della mostra (Palermo, 15 dicembre 1995 – 29 febbraio 1996), a cura di V. Abbate, Sellerio, Palermo 1995.

2 Ringrazio la Direzione di Palazzo Abatellis, in particolare la dottoressa Evelina De Castro per la gentile fornitura delle immagini. E ringrazio ancora Salvatore Pagano per le notizie circa la provenienza del disegno.

3 F. Susinno, Le vite dei Pittori Messinesi (ca. 1724), a cura di V. Martinelli, Le Monnier, Firenze 1960, p. 56.

4 A. Marabottini, Genesi di un dipinto (l’Andata al Calvario di Polidoro a Capodimonte), in “Commentari”, XVIII, 1967, 1-3, pp. 170-185; A. Marabottini, Polidoro da Caravaggio, 2 voll., Edizioni dell’Elefante, Roma 1969, p. 191.

5 Ibidem.

6 Polidoro da Caravaggio fra Napoli e Messina, catalogo della mostra (Napoli, 11 novembre 1988 – 15 febbraio 1989), a cura di P. Leone de Castris, Mondadori-De Luca, Milano-Roma 1988, p. 170.

7 T. Pugliatti, Pittura del Cinquecento in Sicilia. La Sicilia Orientale, Electa Napoli, Napoli 1993, pp. 114-139.

8 V. Abbate, in Polidoro da Caravaggio…, 1988, pp. 125-127.

9 Scheda IX. 5, in Polidoro da Caravaggio…, 1988, p. 112.

10 Scheda IX. 6, in Polidoro da Caravaggio…, 1988, pp. 112-114.

11 Per tutta la problematica relativa al quadro cfr. Scheda XI b.6 in Polidoro da Caravaggio…, 1988, pp. 148-150; Opere d’Arte Restaurate nel Messinese, a cura di F. Campagna Cicala, Regione siciliana, Assessorato per i Beni culturali ed ambientali e Pubblica istruzione, Soprintendenza per i beni ambientali, architettonici, artistici e storici della Sicilia orientale, [Messina] 1979.

12 P. Leone De Castris, in Polidoro da Caravaggio…, 1988, pp. 141-142.

13 Ivi, p. 141.

14 Va detto che il nostro disegno è stato pubblicato in una miscellanea curata da M.A. Spadaro, Raffaello e lo Spasimo di Sicilia, Accademia di Scienze Lettere e Arti di Palermo, Palermo 1991, p. 24, fig. 33 ma riferito a ignoto del secolo XVII, riconducibile a modi novelleschi.

15 P. Leone De Castris, in Polidoro da Caravaggio…, 1988, scheda XI b.6, pp. 148-150. Si veda anche A. De Marchi, Raffaello, Polidoro e lo Spasimo di Sicilia: un caso di scuola, in L’officina dello sguardo. Scritti in onore di Maria Andaloro. Immagine, memoria, materia, vol. 2, a cura di G. Bordi, I. Carlettini, M.L. Fobelli, M.R. Menna, P. Pogliani, Gangemi, Roma 2014, pp. 119-126.

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Temi di Critica - numero 14

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