teCLa :: Rivista #3

in questo numero contributi di Monica Preti-Hamard - Bénédicte Savoy, Nicoletta Di Bella, Carmelo Bajamonte, Iolanda Di Natale, Roberta Priori Marcella Marrocco.

codice DOI:10.4413/RIVISTA - codice ISSN: 2038-6133
numero di ruolo generale di iscrizione al Registro Stampa: 2583/2010 del 27/07/2010

Appunti su uno scritto poco noto di Agostino Gallo di Carmelo Bajamonte

Il panorama della letteratura artistica siciliana dell’Ottocento riguardo alle arti decorative presenta esiti di natura mistilinea. Sull’argomento disponiamo di una nutrita produzione letteraria[1], sebbene si tratti per la più parte di studi municipalistici di computisti eruditi, spesso approntati con un armamentario teorico spuntato: nella prima metà del XIX secolo, è facile scorgere tali declinazioni nelle pagine di padre Benigno da Santa Caterina[2], di Giuseppe Maria Fogalli[3] o di Giuseppe Maria Di Ferro[4], le cui notazioni sulle arti sono sparse in testi di varia natura (biografie, guide, panegirici, testi confessionali). Anche nella stampa periodica si trovano affrontati alcuni aspetti della produzione delle arti tecniche come negli articoli del canonico Cesare Pasca, su cui avremo occasione di tornare nell’apparato critico[5]. Sembra restituire, invece, una sensibilità diversa, e in un’inedita ottica nazionalistica, uno scritto compilato nel giro di anni successivi all’Unità da uno dei maggiori intellettuali siciliani del periodo.

È da assegnare infatti ad Agostino Gallo[6] il merito di aver posto in congruo rilievo, in un libretto singolare quanto negletto[7], un’area distinta di attività artistiche indagata nelle sue vicende e contestualizzata nei livelli più vari. Lo studio, coscienziosamente preparato con la volontà di individuare le caratteristiche distintive della cultura isolana in seno a quella italiana, è rimasto a oggi in una sorta di limbo, escluso sia dalla letteratura del XVIII secolo – che possiamo ritenere di mediocre gittata perché occupatasi di arte in maniera episodica e disaccentata – sia dal sistema storiografico del secolo seguente, quando con il fiat di Gioacchino Di Marzo la critica d’arte in Sicilia fu[8].

Agostino Gallo – è forse il caso di rammentarlo – è un poliedrico esponente della Repubblica delle lettere, organico alle istituzioni culturali (fu socio di accademie italiane, Deputato della R. Università, Segretario Archeologo della Commissione di Antichità e Belle Arti di Palermo), pubblicista e ben provveduto divulgatore con le chiavi di un’ampia comunicazione. ‘Giano bifronte’ fra enciclopedismo settecentesco e nuovi approcci alla storia dell’arte, si darà a più imprese spezzettate lasciando una congerie di appunti, rimasti in gran parte manoscritti per troppa abbondanza di propositi[9]. In questo articolato apparato bibliografico, quanto andremo a leggere rappresenta una messa in ordine di appunti e interventi pubblicati su periodici delle Due Sicilie, dedicati all’intaglio ligneo[10] o ad artefici poco noti al grande pubblico quali Michele Laudicina[11] o Girolamo Bagnasco[12].

Apparso prima sul quindicinale “Diogene” di Palermo – un giornale scientifico e letterario diretto dall’amico e biografo Paolo Sansone, che si avvaleva di Gallo in veste di redattore – l’apografo viene poi girato al “Giornale Arcadico” di Roma[13], diretto dall’archeologo e Commissario alle antichità dello Stato Pontificio Pietro Ercole Visconti[14], nipote di Ennio Quirino, al quale erano giunti da Palermo anche altri lavori fra cui la Necrologia di Giuseppe Patania[15] e una Vita di Angelo Marini[16]. Il lavoro sarà infine pubblicato come estratto, sempre nel 1863, con i tipi dello stabilimento Barcellona di Palermo.

Dedicata all’«insigne scultore italiano che nelle forme corrette ed eleganti e nella grazia ingenua elevò l’arte a maggior gloria» – cioè a Pietro Tenerani, uno dei segnatari del Manifesto del Purismo (1843), forse l’artista (in Sicilia nel 1838[17]) che più di ogni altro in quel momento incarnava gli ideali estetici dello scrittore – l’operetta riprende il disegno del Saggio su’ pittori del 1842[18], di cui ricalca sia le motivazioni ideologiche – nell’esercizio di una critica militante versata soprattutto negli artisti contemporanei – sia il modo di organizzare la materia, basato con gesto di riepilogo su una rassegna di personalità e indirizzi che ancorché stringata testimonia nel numero la vivacità del caleidoscopio siciliano.

Gallo compendia in una ventina di pagine un profilo storico-artistico ideologizzato e mirato a riabilitare la regione nel novero delle scuole artistiche italiane. Nel contesto di un Ottocento nazionalistico[19], è dunque messa a punto una strategia tendente a costituire in unità le singole realtà locali secondo precise priorità: fare l’Italia artistica sulla base di una convergente proposta storiografica; compensare il ritardo accumulato nei confronti degli ‘esteri’; e, nel caso specifico della Sicilia, legittimare l’appartenenza a pieno titolo a tale sistema sopraregionale non senza partigianeria e un pervasivo spirito di revanche[20]. Un’urgenza di cui si farà interprete anche un giovanissimo Gioacchino Di Marzo che nel primo volume Delle Belle Arti esibiva il manifesto

 

di far noto ai siciliani i vanti eccelsi di questa terra […]; mostrare altresì agli stranieri che non è vano lo studio dei nostri monumenti, ed esortarli che prima di scrivere dell’universa Italia vengano qui e veggano, e non ci appartino dalla gran famiglia degli stati italiani[21].

 

Ora l’aspetto da porre in rilievo è la modalità con la quale Gallo tenta di risolvere un complesso d’inferiorità, ingaggiando il confronto su un terreno secondo lui propizio, quello delle arti decorative, riconosciute di pari dignità estetiche e creative rispetto alle maggiori. In un discorso che lo scrittore riteneva suscettibile di approfondimenti[22], l’attenzione si appunta in prima battuta su tale ambito, nell’intento di rivendicarne la preminenza nello scenario italiano, poiché nella «sede natia di Cerere» una tradizione artistica che affondava radici in un passato antico aveva visto prosperare la glittica, la ceroplastica, il commesso marmoreo, l’arte dello smalto, i capolavori di argenteria e oreficeria, la maiolica, tutte arti non secondarie per l’incommensurabile estro inventivo e la perfezione tecnica che le significava.

Aggiunti al commentario i testi di due autori di solida preparazione – Andrea Pietro Giulianelli[23] e Aubin-Louis Millin[24] – Agostino Gallo produce in apertura un elenco d’intagliatori dell’antichità, tralasciando ex professo – e rimarca con intonazione sarcastica – i nomi degli incisori siciliani di gemme e di medaglie, «per annunziarli il primo nella mia storia delle nostre belle arti antiche e moderne, e non esporli innanzi alla rapacità di qualche pirata [scil. Gioacchino Di Marzo] che scrivacchia sullo stesso argomento»[25]. Lo scrittore dimostra di aver letto anche Angelo Mazzoldi[26] dal quale fa discendere uno schema di periodizzazione delle arti, nate etrusche, sul suolo italico, anziché greche, che incontra l’ascendente della sua parabola nel Rinascimento.

 

Che in Italia risorgesse prima che altrove il disegno figurativo dopo il rinascimento delle arti è stato provato da tutti gli scrittori anche stranieri. Ed essendo esso base ed elemento indispensabile dell’intaglio in pietre dure e della incisione o cesellatura in metalli, certo è che l’Italia dovea precedere in questi rami tutte le altre nazioni[27].

 

Chiosa poi:

 

l’arte di incidere in pietre dure piccolissime figure ed ornati offre maggiori difficoltà che quella di scolpire in grande nel marmo, ed è per sé stessa oggetto di massimo lusso reale o principesco, e di gran costo per il tempo indispensabile a condurre gli oggetti a perfezione, così non poteva salire al massimo grado di essa che nel secolo del più squisito gusto e più fastoso lusso e di maggior ricchezza in Italia, che fu tutto il corso del XVI secolo[28].

 

Non credo sia necessario uno sforzo interpretativo per riconoscere la piena continuità con la tradizione filo-rinascimentale, giocata su un’idea conservatrice del Disegno, padre delle arti e fondamento del bello. Ma Gallo, in maniera ancor più radicale, e quasi ribaltando lo schema evolutivo e le dinamiche cicliche di progresso e decadenza dell’arte, trovava già nella Sicilia dell’età classica il principio di una perfezione, sboccata poi nel XII secolo e rifiorita nel Cinquecento. La Sicilia, dove la gliptica era già diffusa nelle colonie greche, produsse «infiniti lavori di tal genere della più bella invenzione, del più elegante disegno, e della più diligente e graziosa esecuzione»[29]; oggetti piccoli e facilmente trasportabili, «divenuti preda degli avidi viaggiatori» e portati nei loro musei, che «hanno dovuto incitare i loro artisti o a imprenderne simili, o a migliorare il loro bulino, e certo a propagarvi l’amore di quest’arte»[30].

L’esaltazione del primato italiano, cui si giunge attraverso scorciatoie idealistiche e letterariamente retoriche, induce Gallo a confutare la «strana opinione» di Cesare Cantù[31] sul primato della Francia nell’arte dello smalto: egli fa così osservare che in Sicilia sin dall’epoca normanna e aragonese si realizzarono mirabilia di arte suntuaria quali la Corona di Costanza[32], il «calice di forma greca, fregiato di antiche miniature e smalti»[33] custodito nella chiesa di S. Maria di Randazzo[34], il Paliotto Carandolet del Tesoro della Cattedrale di Palermo[35]. Qui è opportuno rilevare la piena sintonia con un clima culturale sensibile alla riscoperta etico-estetica del medioevo normanno-svevo, anche in termini di tutela e restauro architettonico[36], in anni che videro a guida del dicastero della Istruzione Pubblica Michele Amari storico islamista[37].

Nel paragrafo successivo è toccato il tema della «porcellana ben dipinta con figure ed ornati» e Gallo trova idoneo lodare – dopo Faenza, Ginori e la Real Fabbrica di Napoli – i «buoni lavori» delle officine Malvica alla Rocca[38] per la raffinata eleganza dei motivi ornamentali neoclassici; allunga invece una fitta ombra sulle cineserie e con accenti energici ne stigmatizza il brutto nei «vasoni dipinti della Cina e del Giappone, pesantissimi per la porcellana […] goffi per le ridicole figure di quegli stupidi cinesi, da stupidi artisti effigiati e dipinti»[39]. Qui Gallo spara a zero, malevolo e con un tono pontificale, espressione di quel classicismo che ne aveva irreggimentato il gusto, orientandone le direttrici della ricerca storiografica nonché molte scelte collezionistiche fra cui, appunto, i “bianchi” Malvica[40].

Preso l’abbrivo dagli elenchi di intagliatori scrutati da Vasari e Baldinucci (i.e. Matteo del Nassaro, Giovanni Jacopo Caraglio, Valerio Vicentino, Alessandro Cesari, Jacopo da Trezzo, Annibale Fontana e gli altri), Gallo fa splendere, in un’ideale linea di continuità, la pleiade dei comprimari siciliani. Apre un artista di prim’ordine, Valerio Villareale[41] scultore-restauratore del Real Museo Borbonico, direttore degli scavi di Pompei, e dal 1815, anno del suo rientro a Palermo, professore di Scultura e direttore dello Stabilimento di Belle Arti della R. Università degli Studj[42], il quale

 

più per diletto e per picca di emulare l’antico volle ancora incider cammei e gemme, e vi riuscì egregiamente, come nella scultura in marmo [con opere che] son modello di elegante stile e contestano che ancor vive tra’ siciliani l’antico genio ellenico[43].

 

È arcinoto che negli anni dell’apprendistato romano l’artista, introdotto nel circuito antiquario grazie anche alla mezza parentela con lo scultore incisore e medaglista Benedetto Pistrucci[44], era molto concentrato nella realizzazione di gemme incise benvolute all’emporio d’arte della capitale in fibrillazione per l’antico[45].

Il mercato di monete e medaglie celebrative, placchette e bassorilievi su pietre dure – tramite cui si erano incrementate le collezioni archeologiche di musei locali quali il Salnitriano[46] o il Martiniano[47] – toccò l’apice con la cultura neoclassica e, dalla fine del ’7 all’800, svolse un’importante funzione di educazione al gusto antico[48]. Queste classi di oggetti concorsero a orientare il fare artistico verso l’imitazione dei classici anche nella didattica accademica; furono argomento d’illustrazioni[49] corredate da tavole con effigi gemmali o monetali costituenti l’enorme congegno mnemotecnico di un museo cartaceo, che rivela – lo ha notato Pomian[50] – l’interesse essenzialmente iconografico verso le immagini incise su tali manufatti (al di là della qualità della pietra). Saremmo dunque in errore se sottovalutassimo il ruolo-guida dell’antiquaria, in Sicilia vicaria della critica d’arte fino ai primi tre decenni del XIX secolo, o il gran fermento della coeva stampa periodica[51] di cui i tanti articoli apparsi nel “Giornale di Scienze, Lettere e Arti per la Sicilia” di Palermo reggono un’esauriente campionatura[52]. Al di là del redditizio commercio dell’antico – anche a prezzi stracciati stando alla testimonianza di un fine collezionista, l’erudito danese Frederik Münter, che fu tra noi sullo scorcio del XVIII secolo[53] – non dovrebbero esser trascurati i buoni esiti di un mercato parallelo di oggetti moderni venduti per autentici. Perché «anche falsificare poteva essere un gioco, ma era soprattutto una sfida: nei confronti dell’antico che si imitava, nei confronti degli esperti cui si sottoponeva l’opera»[54], come ricorda Gallo in quell’aneddoto[55] su un ‘falso antico’ acquistato da un grand-tourist, realizzato proprio da Villareale, abilissimo nel modellare anche statuette fittili à la grecque[56].

Objets d’art per amatori facoltosi decisi a procacciarsi cammei – spesso adeguati alle funzioni decorative dell’oreficeria e montati in gioielli e parures – o incisioni su conchiglia, un materiale più economico della pietra dura e anche più facile da scolpire visto che per incidere le valve non era necessario il banco con castelletto[57]. Opere spesso premiate pubblicamente con medaglie d’oro o d’argento[58] nelle mostre periodiche organizzate dal Reale Istituto d’Incoraggiamento di arti e manifatture, da Ferdinando II di Borbone «con tanta sapienza al bene di questo regno stabilito»[59]. Di più: l’ambiente orafo trova sponda negli interventi sui periodici (si leggano per esempio gli encomi sull’orafo palermitano Giovanni Fecarotta[60]) e, su scala nazionale, in pubblicazioni come il saggio di “oreficeria archeologica” licenziato a Firenze nel 1862 dall’orafo e antiquario romano Augusto Castellani[61].

Volevo continuare questo ragionamento e notare come, non a caso, l’altra figura menzionata sia il già ricordato Michele Laudicina, professore di Gliptica a Trapani[62], che «diessi di proposito alla incisione de’ cammei e gemme che copiava dagli antichi, e per tali li vendeva a gran prezzo agli stranieri»[63]. Artista prolifico «molto esperto e risoluto nel maneggio del bulino», bravo sì, ma con un talento più imitativo che originale, non riuscendo altrettanto ispirato nei lavori d’invenzione, se una sua agata orientale raffigurante Ferdinando I a cavallo lasciò un tale scontento nell’entourage reale che all’artista non fu corrisposto nemmeno il pattuito[64]. Laudicina – epigono di Villareale come i fratelli Giuseppe e Raffaele[65] – istruì nell’arte di intagliare cammei e incidere conchiglie i due nipoti Michele jr. – scomparso nel 1837 – e Giuseppe, ancora attivo nel 1863 «con riputazione di valoroso artista»[66].

Salutato da Gallo come uno dei migliori artisti contemporanei, Tommaso Aloysio Juvara, allievo di Vincenzo Camuccini a Roma e di Paolo Toschi a Parma e «fra i primi incisori italiani moderni pel corretto disegno, per la morbidezza delle carni, la grazia e la varietà del bulino, imitativa degli oggetti»[67]. La storia dell’incisione, oltre Vincenzo Catenacci o Filippo Rega, non può prescindere da altri nomi eccellenti, primi fra tutti i fratelli Bartolomeo e Luca Costanzo da Sambuca[68], principali artefici della produzione medaglistica dei Borbone[69], «che seppero imitar sì bene le più rare monete greco-sicule, fra le quali la Sicheliotan, da illudere i più esperti conoscitori stranieri che le compravano come antiche»[70]. Laudator temporis acti, Gallo pratica ancora il luogo winckelmanniano della superiorità degli antichi cui i moderni fanno bene a tendere – «il genio eccitato dal clima e da’ grandi modelli»[71] – e svela un debole verso oggetti simili, amati anche sotto forma di impronte, che amava mostrare nella casa-museo all’Olivella summa delle sue esperienze e luogo di incontro per artisti, dotti, visitatori[72].

Non meno interessanti mi sembrano le glosse sul medaglista Giuseppe Barone[73], su Ignazio Melazzo – «valente e franco incisor di medaglie» ma scaltro contraffattore di conî, al fresco già dal 1827[74] –; sull’orafo Marco Di Chiara, allievo di Giuseppe Patania e Valerio Villareale, del quale Gallo aveva scritto nel 1839 su “L’Oreteo” di Palermo[75]; su Paolo Cataldi, infine, altro «abilissimo orafo, che speculò un metodo e una macchina per riprodurre medaglie antiche»[76]. In particolare, l’attività di quest’ultimo artista, originario di Buccheri e attivo nel Val di Noto, risulta documentata in alcune carte d’archivio inedite da cui vien fatto di supporre che il problema delle falsificazioni fosse tenuto in un certo conto dalla politica culturale borbonica[77].

Non è l’unico riferimento all’attività di falsari, su cui sono riuscito a recuperare una casistica eterogenea testimoniante non solo l’esistenza di un mercato di copie e contraffazioni nei conî – che automaticamente consentiva alle richieste di un collezionismo competitivo disposto a tutto pur di completare le serie mancanti – ma un largo orizzonte che intriga storia economica e storia del gusto, argomento che rinvio volentieri a una prossima occasione. Del resto già Domenico Sestini, regio antiquario di S.A.R. il Granduca di Toscana, ricorda come nel XVIII secolo a Catania, città in cui prestava servizio come bibliotecario presso Ignazio Paternò Castello V principe di Biscari, godesse largo successo un’officina di falsificatori esperta nell’imitazione degli esemplari più rari[78].

Detto questo occorre aggiungere che non solo l’anticomania caratterizzava la cultura artistica isolana, ma tutta una produzione di cui Gallo arguisce il pregio intrinseco dai materiali trattati con un raffinamento creativo di straordinaria sottigliezza e vivacità. Ma lasciamolo dire:

 

In Sicilia diverse produzioni naturali, come le agate, i diaspri, e altre pietre a diversi colori, l’ambra, il corallo, le madriperle, le conchiglie, hanno apprestato agli artisti nell’intaglio i materiali più belli e svariati, onde effigiarvi graziose figurine. Talché fu promosso un commercio attivissimo con gli stranieri da più secoli, principalmente sostenuto da Trapani, città addetta a tali incisioni, e feconda di vivaci e industriosi ingegni[79].

 

Oltre alla silografia impiegata per i libri illustrati nell’editoria sin dal XV secolo[80], la Sicilia poteva vantare a parere dello scrittore il primato assoluto nell’uso delle «gemme fittizie», le paste vitree colorate e dorate. Invenzione per consuetudine ascritta al francese Homberg agli inizi del XVIII secolo, ma qui già attestata in epoca fenicio-punica[81], ricomparsa con l’arte musiva in età normanna e tornata in voga nell’Ottocento con Angelo e Luigi Gallo[82], fratelli di Agostino, tramite molteplici impieghi anche nel campo del restauro «per riparare i guasti degli antichi musaici»[83].

Suscita attenzione anche il passo sul fantasioso artificio dei marmi policromi al quale Gallo affida tutta la sua soddisfazione per il genio siciliano: «Il talento speculativo de’ siciliani si valse di questi marmi per imitar la natura nel comporre con vari pezzetti, secondo le proprie tinte, fiori, piante e ornati che risultano di grande effetto e bellezza»[84]. Un giudizio molto positivo che potrebbe spendersi sia per l’ornamentazione barocca sia per lavorazioni del XIX secolo, come i pavimenti e i rivestimenti in marmo e mosaico della neogotica casa Forcella, citati a non finire dalla contemporanea letteratura artistica come non plus ultra di bello artificio[85].

Gallo scandaglia la cattivante peculiarità del mischio siciliano – cui, a differenza del mosaico fiorentino impiegato negli opifici medicei solo per «mobili e tavolini», è tributato «l’onore di anteriorità e d’invenzione […] laonde Palermo può andare fastosa per questo riguardo più che la bella ed elegante Firenze e la magnifica Roma» – con cui dal XVII secolo si approntò il rutilante addobbo permanente per chiese e cappelle. Nell’iperbole di queste righe – più che sottolinearvi la scarsa conoscenza di un’opera quale la Cappella dei Principi, mausoleo di Ferdinando I de’ Medici (1604), e dei relativi studi monografici[86], a dimostrazione del fatto che nella città toscana non si producessero soltanto arredi lapidei – può essere applaudita la maturità di giudizio sul valore delle decorazioni a marmo mischio che a quella data non doveva essere così pacifica, se l’autore biasima in una nota la dismissione degli apparati marmorei e la demolizione della parrocchia di S. Giacomo la Marina di Palermo[87], avvenute proprio nel 1863 quando il suo scritto odorava ancora di inchiostro.

Fra le «sottospecie» della scultura è annoverata l’argenteria depauperata lungo i secoli da alienazioni consumate «con pietosa fraude». È il caso di annotare che l’arte degli argentieri del XVII secolo, fucina di “macchine” barocche come l’Urna di S. Rosalia (1631) della Cattedrale di Palermo[88], si ritrova affiliata stilisticamente alla blasonata scuola gaginiana tardo rinascimentale, giacché sono «gli ultimi scolari degli scolari di Antonio Gagini»[89], e soprattutto Nibilio[90] – che Gallo confonde con Niccolò, figlio di Giacomo, stando alla lezione tràdita da Vincenzo Auria nel Gagino redivivo (1698) –, a essersi distinti per le loro belle fatiche, fra cui ricorda il paliotto di seta ricamata con placche d’argento per i benedettini di S. Martino delle Scale[91].

Non mancano cenni alla ceroplastica, «ch’è pure de’ tempi greci e romani in Sicilia, non indietreggiò nell’epoca moderna, particolarmente in Palermo»[92], e a un’artista ricca di intuizioni, Anna Fortino, allieva di Rosalia Novelli e Giacomo Serpotta[93], alle cui «opere squisite» Agostino Gallo aveva fatto assumere un rilievo di primo piano già nell’articolo uscito su “Passatempo per le Dame”[94]. Affine all’arte della cera è la coroplastica «madre del cisello e dell’incisione», in cui si distinsero in epoca classica Demofilo, Gorgaso e il pittore Zeusi, il cui luogo natale (Eraclea Minoa) era stato prima reclamato alla Sicilia[95]. Sono trascorsi pochi anni dal 1858, quando Raffaello Politi, corrispondente di Gallo, pubblica i Cenni biografici su’ valentissimi plasticisti da Caltagirone Bongiovanni e Vaccaro[96], già passati sul “Poliorama Pittoresco” di Napoli nel 1843[97]. Il palermitano sembra guardare all’excursus storico della ceramica tratteggiato dall’amico siracusano, con cui scambiava idee, libri, quadri[98]: è comparabile l’impostazione diacronica culminante proprio nei gruppi di terracotta dei Bongiovanni di Caltagirone, «addetti a modellare in argilla i costumi villaneschi delle nostre contrade con tal verità ed espressione da recar sorpresa e diletto.
Laonde sono avidamente ricercati e comprati dagli stranieri»[99].

Mi occorre spendere qualche parola in merito a una certa insistenza di Gallo sulla commerciabilità di queste manifatture, elemento che è forse uno dei più significativi nel suo opuscolo, da decifrare come pieno convincimento di un alto standard qualitativo e di un possibile allargamento imprenditoriale per alcune officine di industria artistica[100], che avevano ottenuto incoraggianti riconoscimenti anche nell’International Exhibition di Londra del 1862[101]. È facile accorgersene anche quando il palermitano illustra i presepi in legno, tela e colla di «un certo Matera», elogiato per la «insuperabile semplicità, verità ed espressioni ne’ pastori»[102]. L’occhio da conoscitore ne coglie le specificità del linguaggio con i richiami al naturalismo pittorico seicentesco e alle sculture di Bernini – come era stato già notato da Jacob Burckhardt[103] – e l’attitudine per una messa in scena atipica rispetto alla tradizione napoletana, i cui scarabattoli «senza l’artificio d’un paesaggio artistico, non producevano il bell’effetto di quelli di Palermo»[104].

Prima di finire un’ultima osservazione: con questi brevi accenni Gallo arma la prora verso ulteriori studi che cadono ai primissimi anni del Novecento, in un’ottica riferibile, grosso modo, alla museologia e alla storia del collezionismo – si prenda come esempio il tentativo di approfondimento svolto da Salvatore Romano proprio sulle opere di Giovanni Matera[105] – o al problematico aspetto dell’attribuzionismo e alla fortuna critica di artefici di difficile identificazione, come i Nolfo scultori trapanesi, sulle cui tracce doveva muovere, con risultati non sempre illuminanti, il canonico trapanese Fortunato Mondello[106].

Ho idea, dunque, che la proposta d’interpretazione affacciata da Agostino Gallo – un autore che anche in anni recenti non ha smesso di appassionare la critica – si ponga principalmente come un superamento del divario fra arti alte e applicate in una nuova prospettiva nazionale. Un primo apporto, non senza distorsioni campanilistiche e tratti inconferenti, ma però apprezzabile nell’attesa del riconoscimento che le seconde vivranno presto in Sicilia, solo che si rifletta sulla fondazione del Museo Artistico Industriale diretto dallo scultore Vincenzo Ragusa (1884)[107], sulla vivace diffusione di periodici specialistici[108], e sull’Esposizione Nazionale di Palermo del 1891-’92, con numerose divisioni dedicate alle arti industriali[109].

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L’autore ringrazia Enzo Brai per la ricerca iconografica e la selezione delle immagini


[1]  Sul tema cfr. S. La Barbera, Le arti decorative nelle fonti e nella letteratura artistica siciliana, in Splendori di Sicilia. Arti Decorative dal Rinascimento al Barocco, catalogo della mostra a cura di M.C. Di Natale, Charta, Milano 2001, pp. 260-277.

[2]  Benigno da Santa Caterina, Trapani nello stato presente, profana e sacra, mss. del 1810-1812, custoditi ai ss. 199-200 presso la Biblioteca Fardelliana di Trapani.

[3]  G.M. Fogalli, Memorie biografiche degl’illustri trapanesi per santità, nobiltà, dottrina ed arte, ms. della I metà del XIX secolo, custodito ai ss. 14 C 8 presso la Biblioteca del Museo regionale “A. Pepoli” di Trapani.

[4]bsp; Per il trapanese Giuseppe Maria Berardo Di Ferro e Ferro cfr. S. La Barbera, Giuseppe Maria Di Ferro teorico e storico d’arte, in Miscellanea Pepoli. Ricerche sulla cultura artistica a Trapani e nel suo territorio, a cura di V. Abbate, Trapani 1997, pp. 147-166.

[5]   C. Pasca, Cenno di Cesare Pasca beneficiale della real cappella Palatina di Palermo. Delle pietre dure e dell’arte di lavorarle – Dell’uso e commercio dei marmi – Su gli smalti e l’arte del mosaico – Sulle crete e l’arte di lavorar la terra cotta – Delle terre che si possono usare nella pittura e dell’asfalto, in “La Lira. Giornale artistico-letterario-teatrale” [poi “La Lira”], a. I, n. 26, 27 marzo 1852, pp. 101-102: «Ho voluto qui brevemente parlare dello stato attuale di alcune arti in Sicilia, e delle materie indigene che servono all’esercizio di esse, per essere un soggetto poco trattato dagli altri. Mi sono prefisso in questo un doppio scopo: di promuovere dai privati imprenditori il miglioramento di esse arti, e l’introduzione dei materiali proprî del nostro suolo, e quando l’opera de’ privati non bastasse chiedere la protezione della pubblica autorità». Ivi, p. 101.

[6]  Per il profilo di Agostino Gallo (1790-1872) cfr. F.P. Campione, Agostino Gallo: un enciclopedista dell’arte siciliana, in La critica d’arte in Sicilia nell’Ottocento. Palermo, a cura di S. La Barbera, Flaccovio, Palermo 2003, pp. 107-127.

[7]  A. Gallo, Sull’influenza ch’esercitarono gli artisti italiani in varii regni d’Europa ad introdurvi, diffondervi o migliorar l’arte d’intagliar cammei in pietre dure e tenere, incidere in rame, cesellare e smaltare in argento e in oro, Tipografia Barcellona, Palermo 1863.

[8]  Per la figura e l’opera di Gioacchino Di Marzo cfr. S. La Barbera, Gioacchino Di Marzo critico d’arte dell’Ottocento, in Sul Carro di Tespi. Studi di storia dell’arte per Maurizio Calvesi, a cura di S. Valeri, Bagatto Libri, Roma 2004, pp. 211-228.

[9]  G.M. Mira, Bibliografia Siciliana ovvero Gran Dizionario Bibliografico delle opere edite e inedite, antiche e moderne di autori siciliani o di argomento siciliano stampate in Sicilia e fuori, vol. I, Gaudiano, Palermo 1875, pp. 387-394; A. Gallo, Autobiografia (ms. XV. H. 20.1.), ed. a cura di A. Mazzè, Biblioteca centrale della Regione siciliana di Palermo, Palermo 2002, in particolare pp. 100-132.

[10]  A. Gallo, Notizia intorno all’arte dell’intaglio in legno dell’epoca Sveva in Sicilia, in “Effemeridi scientifiche e letterarie per la Sicilia” [poi “ESLS”], t. V, a. II, 1833, pp. 94-96.

[11]  Id., Necrologia, in “ESLS”, t. V, a. II, 1833, pp. 104-105, in cui tra i lavori di «tutto finimento» del Laudicina sono menzionati gli oggetti della collezione del principe di Trabia.

[12]  Ibid., pp. 105-107.

[13]  A. Gallo, Sull’arte dell’intaglio in pietre dure o tenere in Italia. Saggio di Agostino Gallo da Palermo, in “Giornale Arcadico di Scienze, Lettere ed Arti” [poi “GASLA”], t. CLXXXI, n.s. XXXVI, gennaio-febbraio 1863, 1864, pp. 50-85.

[14]  Per il quale cfr. D. Pacchiani, Un archeologo al servizio di Pio IX: Pietro Ercole Visconti (1802-1880), in “Bollettino dei Monumenti, Musei e Gallerie Pontificie”, XIX, 1999, pp. 113-127. In anni precedenti il rapporto fra Agostino Gallo e Pietro Ercole Visconti era stato animato dalla polemica letteraria su Angelo Costanzo e Vittoria Colonna, come ricordato da A. Gallo, Risposta alle osservazioni critiche del chiar. cav. Pietro Ercole Visconti sulla vita di Angelo di Costanzo scritta da Agostino Gallo, in Poesie italiane e latine e prose di Angelo di Costanzo or per la prima volta ordinate e illustrate con la giunta di molte rime inedite tratte da un antico codice la versione poetica de’ carmi latini e la vita dell’autore per opera di Agostino Gallo siciliano, Lao, Palermo 1843.

[15]  A. Gallo, Necrologia di Giuseppe Patania, in “GASLA”, t. CXXIV, gennaio-febbraio-marzo,1852, pp. 344-354

[16]  Id., Vita di Angelo Marini siciliano insigne scultore ed architetto del secolo XVI per la prima volta messo in luce da Agostino Gallo da Palermo, in “GASLA”, t. CLXXIII, n.s. XXVII, giugno, luglio e agosto 1861, 1862, pp. 327-356.

[17]  Allo scultore carrarese il Decurionato messinese commissionò la statua in bronzo di Ferdinando II. Cfr. L. Paladino, Situazione della scultura a Messina nell’Ottocento, in La scultura a Messina nell’Ottocento, catalogo della mostra a cura di L. Paladino, Assessorato regionale BB.CC.AA. e P.I., Messina 1997, pp. 19-25.

[18]  A. Gallo, Saggio di Agostino Gallo su’ pittori siciliani vissuti dal 1800 al 1842, in G. Capozzo, Memorie su la Sicilia tratte dalle più celebri accademie e da distinti libri di società letterarie e di valent’uomini nazionali e stranieri con aggiunte e note per Guglielmo Capozzo socio di varie accademie, vol. III, Virzì, Palermo 1842, pp. 123-147. Per il Saggio cfr. S. La Barbera, Il «Saggio sui pittori siciliani vissuti dal 1800 al 1842» di Agostino Gallo, in Le parole dei giorni. Scritti per Nino Buttitta, vol. I, a cura di M.C. Ruta, Sellerio, Palermo 2005, pp. 358-377.

[19]  Vedi F. Bologna, La coscienza storica dell’arte d’Italia, Garzanti, Milano 1992, in part. pp. 165 e ss. Per la situazione siciliana cfr. S. La Barbera, Dall’erudizione alla connoisseurship alla critica d’arte in Sicilia. Metodologia degli studi sull’arte dalla fine del secolo XVIII ai primi decenni del XX secolo, in Metodo della ricerca e Ricerca del metodo. Storia, arte, musica a confronto, atti del convegno di studi (Lecce, 21-23 maggio 2007) a cura di B. Vetere con la collaborazione di D. Caracciolo, Congedo, Galatina 2009, pp. 283-310.

[20]  «Si comprendeva ormai che la migliore aureola glorificante da offrire alla Sicilia consisteva nell’esaltarne il valore, per cosi dire, materno nei confronti della cultura italiana: la Trinacria, erede incorrotta e continuatrice di greci e di latini, ponte tra la classicità e i tempi nuovi dell’Italia moderna». G.C. Marino, L’ideologia sicilianista. Dall’età dei «lumi» al Risorgimento, Flaccovio, Palermo 1971, p. 199.

[21]  G. Di Marzo, Delle Belle Arti in Sicilia dai Normanni sino alla fine del secolo XIV, vol. I, Salvatore Di Marzo, Palermo 1858, pp. 67-68.

[22]  «[…] in altri miei saggi proverò del pari che ciò avvenne anche per l’architettura, per la scultura in marmo, la pittura e la musica e per molte invenzioni utili al consorzio civile». A. Gallo, Sull’influenza…, p. 19. Un’urgenza evidentemente molto sentita da Agostino Gallo che nel 1863 aveva fondato insieme con alcuni studiosi siciliani anche l’Assemblea di Storia Patria, con lo scopo di far conoscere il contributo dato dalla Sicilia all’Unità italiana e al progresso della civiltà. Cfr. V. Di Giovanni, La prima Società di Storia Patria in Palermo (1777-1803), in “Archivio Storico Siciliano”, n.s., a. VIII, 1883, pp. 497 e ss.

[23]  A.P. Giulianelli, Memorie degli Intagliatori moderni in pietre dure, cammei, e gioje, dal Secolo XV fino al Secolo XVIII, Fantechi e Compagni, Livorno 1753.

[24]  Introduzione allo studio delle pietre intagliate del Sig. A.L. Millin. Conservatore degli antichi monumenti nella Biblioteca di Parigi, e Professore d’istoria e delle antichità nella medesima. Dal francese nell’idioma italiano ridotta, Solli, Palermo 1807. Il nome di Aubin-Louis Millin de Grandmaison circola moltissimo in Sicilia sia attraverso il Dizionario portatile delle favole (Bassano 1804) che con questa Introduzione allo studio delle pietre intagliate, pubblicata in prima edizione a Parigi nel 1796, tradotta a spese di Francesco Abate e stampata nel 1807 per i tipi Solli. L’edizione previde un apparato di «poche note, che riguardano alcuni articoli dell’arte d’intagliare in Sicilia» e su artisti dello scolpire in piccolo, come i fratelli trapanesi Andrea e Alberto Tipa. In aggiunta alla descrizione delle pietre e della «parte meccanica della gliptica», di tipologie e collezioni italiane e europee, una parte dello scritto è dedicata alla «critica delle pietre intagliate» cioè a dire «l’arte di formare un giudizio, sia intorno alla bellezza, ovvero all’antichità delle medesime», nella consapevolezza che «il saper distinguere le pietre antiche da quelle moderne è cosa assai difficile, e si sono da se stessi ingannati i più abili conoscitori», p. 43. Per Aubin-Louis Millin (Parigi 1759-1818) cfr. M. Preti-Hamard-B. Savoy, infra.

[25]  A. Gallo, Sull’influenza…, p. 5, nota 2. Le notizie manoscritte sono ora A. Gallo, Lavoro di Agostino Gallo sopra l’arte dell’incisione delle monete in Sicilia dall’epoca araba sino alla castigliana (ms. XV. H. 15, cc. 1r-45v) Notizie de’ figularj degli scultori e fonditori e cisellatori siciliani ed esteri che son fioriti in Sicilia da più antichi tempi fino al 1846 raccolte con diligenza da Agostino Gallo da Palermo (ms. XV. H. 16, cc. 1r-25r; ms. XV. H. 15, cc. 62r-884r), ed. a cura di A. Anselmo, M.C. Zimmardi, Biblioteca centrale della Regione siciliana di Palermo, Palermo 2004. Sulle polemiche fra Gallo e Di Marzo cfr. A. Mazzè, L’incompiuta Storia delle Belle Arti: progetti e polemiche, in A. Gallo, Notizie intorno agli architetti siciliani e agli esteri soggiornanti in Sicilia da’ tempi più antichi fino al corrente anno 1838. Raccolte diligentemente da Agostino Gallo palermitano per formar parte della sua Storia delle belle Arti in Sicilia (ms. XV. H. 14), ed. a cura di A. Mazzè, Biblioteca centrale della Regione siciliana di Palermo, Palermo 2000, pp. V-XXIII.

[26]  A. Mazzoldi, Delle origini italiche e della diffusione dell’incivilimento italiano all’Egitto, alla Fenicia, alla Grecia e a tutte le nazioni asiatiche poste sul Mediterraneo, Guglielmini e Redaelli, Milano 1840.

[27]  A. Gallo, Sull’influenza…, pp. 5-6.

[28]  Ivi, p. 6.

[29]  Ibid.

[30]  Ibid.

[31]  Ibid. Con molta probabilità con riferimento alla lettera Sugli smalti pubblicata dal briviese a Milano nel 1833.

[32]  Ibid. Sull’opera, custodita nel Tesoro della Cattedrale di Palermo, cfr. C. Guastella, in Federico e la Sicilia dalla terra alla corona, vol. II, arti figurative e suntuarie, catalogo della mostra a cura di M. Andaloro, Ediprint, Siracusa 1995, scheda 6, pp. 63-74; M.C. Di Natale, Ori e argenti del Tesoro della Cattedrale di Palermo, in M.C. Di Natale, M. Vitella, Il Tesoro della Cattedrale di Palermo, Flaccovio, Palermo 2010, pp. 39-52.

[33]  A. Gallo, Sull’influenza…, p. 20.

[34]  E. Mauceri, Monumenti di Randazzo, in “L’Arte”, IX, 1906, pp. 185-192, fig. 3, p. 186; S. Bottari, Le oreficerie di Randazzo, in “Bollettino d’Arte”, a. VII, s. II, n. I – luglio, 1927, pp. 301-309, fig. 1; M. Accascina, Oreficeria di Sicilia dal XII al XIX secolo, Flaccovio, Palermo 1974, p. 127.

[35]  A. Gallo, Vita di Angelo Marini…, p. 348, nota 1. Per l’opera cfr. C. Guastella, in Federico e la Sicilia…, vol. II, scheda 21, pp. 123-133; M. Vitella, I manufatti tessili della Cattedrale di Palermo, in M.C. Di Natale, M. Vitella, Il Tesoro…, pp. 112-114.

[36]  F. Tomaselli, Il ritorno dei Normanni. Protagonisti ed interpreti del restauro dei monumenti a Palermo nella seconda metà dell’Ottocento, Officina, Roma 1994, pp. 55 e ss. Sul mito del medioevo nel XIX secolo cfr. I. Porciani, Il Medioevo nella costruzione dell’Italia unita: la proposta di un mito, in Italia e Germania. Immagini, modelli, miti fra due popoli nell’Ottocento: il Medioevo, a cura di R. Elze, P. Schiera, Il Mulino - Duncker & Humblot, Bologna-Berlin 1988, pp. 163-191.

[37]  Senatore del Regno unitario dal 1861 per volere di Cavour, Michele Amari (1806-1889) resse il dicastero dal dicembre del 1862 al settembre del 1864.

[38]  R. Daidone, Le officine palermitane di maiolica della seconda metà del Settecento. Testimonianze e documenti, in Terzo fuoco a Palermo 1760-1825. Ceramiche di Sperlinga e Malvica, catalogo della mostra a cura di L. Arbace, R. Daidone, Arnaldo Lombardi, Palermo 1997, pp. 17-29.

[39]  A. Gallo, Sull’influenza…, p. 9. Per le cineserie cfr. H. Honour, L’arte della cineseria. Immagine del Catai, Sansoni, Firenze 1963. Per le ricadute locali P. Palazzotto, Riflessi del gusto per la cineseria e gli esotismi a Palermo tra Rococò e Neoclassicismo: collezionismo, apparati decorativi e architetture, in Argenti e cultura Rococò nella Sicilia centro-occidentale 1735-1789, catalogo della mostra a cura di S. Grasso, M.C. Gulisano, Flaccovio, Palermo 2008, pp. 535-561.

[40]  Gallo ci informa che nella sua collezione erano: «due statuette, una sacerdotessa, ed una Melpomene, che son pregevoli». A. Gallo, Intorno ad un lavoro di maiolica in Palermo, rappresentante la Beata Vergine col Bambino, modellato da Luca della Robbia fiorentino, in “GASLA”, t. CLIX, n.s. XIII, gennaio-febbraio, 1859, pp. 59-73. L’articolo, dedicato a una robbiana con la Madonna col Bambino del convento di S. Domenico di Palermo, anticipa alcuni temi dell’opuscolo sulle arti applicate siciliane di cui noi. Per la robbiana con la Madonna del cuscino cfr. F. Negri Arnoldi, Due esempi di terracotta in Sicilia, in Splendori di Sicilia…, pp. 108-113.

[41]  Per Valerio Villareale (1773-1854) cfr. D. Malignaggi, Valerio Villareale, catalogo a cura di D. Favatella, “Quaderni dell’A.F.R.A.S. Scultura”, 1, Palermo 1976. Si veda anche I. Bruno, Valerio Villareale un Canova meridionale, allegato a “Kalós – arte in Sicilia”, a. XII, n. 1, Gennaio-Marzo 2000. Per l’attività di restauratore cfr. V. Chiaramonte, Valerio Villareale, scultore e conoscitore, tra cultura antiquaria e restauro, in Gli uomini e le cose. I. Figure di restauratori e casi di restauro in Italia tra XVIII e XX secolo, atti del convegno nazionale di studi (Napoli, 18-20 aprile 2007) a cura di P. D’Alconzo, ClioPress, Napoli 2007, pp. 25-57.

[42]  F. Meli, La Regia Accademia di Belle Arti di Palermo, Le Monnier, Firenze 1939, nota 1, p. 27. Villareale v’insegnò anche Glittica e Osteologia dal 1827 al 1837.

[43]  A. Gallo, Sull’influenza…, p. 12. Qui Gallo riprende un topos della letteratura su Villareale come artista neoclassico che «ha più diritto alla nostra gratitudine per aver preso la scultura da mani di Ignazio Marabitti che immegliandola bensì non poté però rialzarla alle vere sue forme di bellezza per le capricciose e sconce maniere invalse verso la metà del secolo XVIIo». E. Amato, La Psiche del sig. Valerio Villareale, in “Il Contemporaneo. Giornale periodico di Scienze e Lettere, di Arti e Mestieri”, a. I, n. 4, 15 febbraio 1846, p. 32.

[44]  Nel 1802 Villareale sposò Teresa Lucchi cugina del Pistrucci. Cfr. G.A. Guattani, Memorie enciclopediche romane sulle Belle arti, antichità etc., vol. I, Salomoni, Roma 1806, p. 124. Si veda pure Sgadari di Lo Monaco, Pittori e scultori siciliani dal Seicento al primo Ottocento, Agate, Palermo 1940, p. 151.

[45]  S. Costanzo, Valerio Villareale, in “Passatempo per le Dame” [poi “PpD”], a. 4, n. 38, 17 settembre 1836, pp. 301-305 scrive che l’artista «anche in questo ramo [la gliptica] seppe trarsi l’altrui ammirazione facendo de’ non pochi squisiti lavori che gli procacciaron fama perché di un’attitudine originalissima, e con quei tagli assoluti di che i Greci usavano per dar finimento ad opere di cotal natura» p. 303. Per la situazione romana vedi L. Pirzio Biroli Stefanelli, Glittica, medaglistica, oreficeria. Artisti-artigiani per l’Europa, in Maestà di Roma da Napoleone all’Unità d’Italia. Universale ed Eterna Capitale delle Arti, catalogo della mostra, Electa, Milano 2003, pp. 517-520; A. Pinelli, Il Neoclassicismo nell’arte del Settecento, Carocci, Roma 2005, pp. 69-77. Imprescindibile F. Haskell, N. Penny, L’antico nella storia del gusto. La seduzione della scultura classica 1500-1900, Einaudi, Torino 1984.

[46]  Per il museo, istituito dal gesuita Ignazio Salnitro nel 1730 nei locali del Collegio Massimo dei Gesuiti di Palermo, cfr. R. Graditi, Il museo ritrovato. Il Salnitriano e le origini della museologia a Palermo, Assessorato regionale BB.CC.AA. e P.I., Palermo 2003.

[47]  Sul museo dell’antica abbazia benedettina di San Martino delle Scale la cui origine (1744) si deve all’iniziativa del priore Giuseppe Antonio Requesens e di don Salvadore Maria Di Blasi, cfr. V. Abbate, «Ut mei gazophilacii … nova incrementa pernosceres»: Salvadore Maria Di Blasi e il Museo Martiniano, in Wunderkammer siciliana alle origini del museo perduto, catalogo della mostra a cura di V. Abbate, Electa, Napoli 2001, pp. 165-176; R. Equizzi, Palermo San Martino delle Scale. La collezione archeologica: storia delle collezione e catalogo delle ceramiche, «L’Erma» di Bretschneider, Roma 2006.

[48]  Per gli aspetti più generali di questo fenomeno cfr. E. Paul, Falsificazioni di antichità in Italia dal Rinascimento alla fine del XVIII secolo, in Memoria dell’antico nell’arte italiana. I generi e i temi ritrovati, t. II, a cura di S. Settis, Einaudi, Torino 1985, pp. 413-439; K. Pomian, Collezionisti, Amatori e Curiosi. Parigi-Venezia XVI-XVIII secolo [1987], il Saggiatore, ed cons. Milano 2007, pp. 306 e ss.; Le gemme incise nel Settecento e Ottocento. Continuità della tradizione classica, atti del convegno di studio (Udine, 26 settembre 1998) a cura di M. Buora, «L’Erma» di Bretschneider, Roma 2006.

[49]  R. Politi, Un cammeo in onice, in “Poliorama Pittoresco. Opera periodica diretta a diffondere in tutte la classi della società utili conoscenze di ogni genere, e a rendere gradevoli e proficue le letture in famiglia”, a. VII, sem. II (11 Febbrajo – 5 Agosto 1843), n. 51, 29 luglio 1843, pp. 401-403; Id., Due cammei e due intagli in onice descritti dall’artista Raffaello Politi, Stamperia dell’Intendenza, Noto 1847. L’articolo è corredato dalla litografia di G. Riccio del cammeo appartenente alla variegata collezione di Politi; il secondo contributo, dedicato a Nicola Santangelo, ministro segretario di stato di Francesco I, è una succinta descrizione di quattro gemme antiche della medesima collezione. Su Politi cfr. C. Bajamonte, Raffaello Politi (1783-1870). Fra antiquaria e critica d’arte, tesi di Dottorato di Ricerca in Storia dell’arte medievale, moderna e contemporanea in Sicilia (ciclo XVIII - 2004/2007), Università degli Studi di Palermo, Tutor Prof.ssa Simonetta La Barbera. Per il periodico napoletano cfr. N. Barrella, Il dibattito sui metodi e gli obiettivi dello studio sull’arte a Napoli negli anni quaranta dell’Ottocento e il ruolo di «Poliorama Pittoresco», in Percorsi di Critica. Un archivio per le riviste d’arte in Italia dell’Ottocento e del Novecento, atti del convegno (Milano, 30 novembre – 1 dicembre 2006) a cura di R. Cioffi, A. Rovetta, Vita e Pensiero, Milano 2007, pp. 21-34.

[50]  K. Pomian, Dalle sacre reliquie all’arte moderna. Venezia-Chicago dal XIII al XX secolo, il Saggiatore, Milano 2004, in part. pp. 192 e ss.

[51]  F. Minolfi, Intorno ai giornali e all’odierna cultura siciliana cenno di Filippo Minolfi, Gabinetto Tipografico all’insegna di Meli, Palermo 1837; E. Rocco, Giornali siciliani, in “Il Progresso delle Scienze, delle Lettere e delle Arti. Opera periodica compilata per cura di G.R.”, vol. IX, a. III, Napoli 1834, pp. 262-268. Il periodico napoletano, fondato nel 1832 e diretto da Giuseppe Ricciardi, si occupò anche di periodici “al di là del Faro”. Sul ruolo della stampa periodica cfr. S. La Barbera, Linee e temi della stampa periodica palermitana dell’Ottocento, in Percorsi di Critica…, pp. 87-121.

[52]  Vedi per esempio N. Maggiore, Ricerche su di alcune medaglie di Camarina antica città della Sicilia, in “Giornale di Scienze, Lettere e Arti per la Sicilia” [poi “GSLA”], t. 28, fasc. 84, 1829, pp. 269-288; G. Politi, Invito a’ dotti Archeologi per la interpretazione d’un antico Cammeo di Giuseppe Politi siracusano, in “GSLA”, t. 49, fasc. 146, 1835, pp. 127-134; O. Abbate, Lettera al chiarissimo P. Vito Cavallo. Per un cammeo, in “L’Oreteo. Nuovo Giornale”, a. II, n. 23, 1840, pp. 182-183. Per i lineamenti dell’antiquaria in Sicilia cfr. D. Scinà, Prospetto della storia letteraria di Sicilia nel secolo decimottavo, vol. II (Palermo 1825), Edizioni della Regione Siciliana, Palermo 1969, pp. 76-107; vol. III (Palermo 1827), pp. 117-141. Per gli studi di numismatica nel XIX secolo cfr. R. Macaluso, Storia degli studi di numismatica antica in Sicilia: F. Ferrara, G. Alessi, C. Gemmellaro, G. Romano, in “Sicilia Archeologica. Rassegna periodica di studi, notizie e documentazione edita dall’Ente Provinciale per il Turismo di Trapani”, a. XI, n. 38, dicembre 1978, pp. 59-65.

[53]  «Le dette monete son vendute per un certo discreto prezzo […] in guisachè senza molta spesa se ne può acquistare una mediocre raccolta». F. Münter, Viaggio in Sicilia di Federico Munter tradotto dal tedesco dal tenente d’artiglieria cav. D. Francesco Peranni con note e aggiunte del medesimo. Prima versione italiana, vol. I, Abbate, Palermo 1823, p. 149. Cfr. E. Di Carlo, Dai Diarî di Federico Münter (il suo soggiorno a Palermo), in “Archivio Storico per la Sicilia”, a. IV-V, 1938-1939, pp. 471-481; T. Fischer-Hansen, Frederik Münter in Syracuse and Catania in 1786: antiquarian leglislation and connoisseurship in 18th century Sicily, in Oggetti, uomini, idee. Percorsi multidisciplinari per la storia del collezionismo, atti della tavola rotonda (Catania, 4 dicembre 2006) a cura di G. Giarrizzo, S. Pafumi, Fabrizio Serra, Pisa-Roma 2009, pp. 117-137.

[54]  C. Savettieri, Dal Neoclassicismo al Romanticismo, Le fonti per la Storia dell’arte, 6, Carocci, Roma 2006, p. 131.

[55]  «[…] fu presentato da un rivenditore ad un viaggiatore un bel cammeo imitante l’antico, inciso dal nostro artista, e quegli volendosi accertare di esser greco, ne chiese il suo parere. Il Villareale si tolse scaltramente d’imbarazzo con indicargli un antiquario che dicea di aver maggior conoscenza di lui in quel genere; e confermato dal medesimo di essere antico, il viaggiatore lo comprò a gran prezzo». A. Gallo, Sull’influenza…, p. 12.

[56]  «Lo egregio scultore palermitano Valerio Villareale modellò con questa creta [un particolare tipo di argilla proveniente dal feudo Misercannone presso Monreale] come per saggio dei gruppi di figure diverse, e riuscirono così belle da imitare le statuette greche». C. Pasca, Sulle crete e l’arte di lavorare la terra cotta, in “La Lira”, a. I, n. 33, 15 maggio 1852, pp. 129-130. Durante il XIX secolo con questa stessa argilla rossa furono realizzati dalla R. Fabbrica di Napoli anche vasi figurati del tutto simili ai classici. [J.J. Haus], Dei vasi greci comunemente chiamati etruschi delle lor forme e dipinture dei nomi ed usi loro in generale colla giunta di due ragionamenti sui fondamentali principj dei Greci nell’arte del disegno e sulla pittura all’encausto, Reale Stamperia, Palermo 1823, p. 16; cfr. pure G. Galbo Paternò, Sull’arte ceramografica in Sicilia e su gli esperimenti che si sono ai nostri giorni eseguiti. Pochi ricordi di Giovanni Galbo-Paternò Baronello di Montenero, Virzì, Palermo 1847.

[57]  C. Pasca, Cenno di Cesare Pasca…, p. 102. Nell’articolo oltre a Michele Laudicina e ai Tipa è ricordato il trapanese Giovanni Anselmo, intagliatore di conchiglie attivo intorno alla metà del XVIII secolo.

[58]  M.S.G. [Stefano Mira e Sirignano Marchesino di San Giacinto], Reale Istituto d’Incoraggiamento, in “PpD”, a. II, n. 23, 7 giugno 1834, pp. 180-181. Nella premiazione del 1834, tenutasi come quella di Napoli il 30 maggio giorno onomastico di Ferdinando II, fra le tante furono conferite medaglie d’argento a Gioachino Bongiovanni di Caltagirone per le manifatture di terracotta, ad Alberto di Giorgio da Trapani per manifatture di coralli, agli argentieri Antonino Pampillonia e Giovanni Ficarrotta (o Fecarotta). Quest’ultimo fu insignito della medaglia d’argento anche nel 1836, «per diversi perfetti lavori in oro e argento a smalto e cesellatura», e nel 1846. Nel 1838 ottenne la medaglia d’oro. Nell’esposizione del 1836 fu premiata con medaglia d’argento anche Teresa Gargotta e Salinas (madre di Antonino) «per lavori di conchiglie indigene maestrevolmente eseguiti». S. Costanzo, Reale Istituto d’Incoraggiamento, in ivi, a. 4, n. 24, 11 giugno 1836, pp. 192-195. Su questi temi cfr. C. Bajamonte, I “musei effimeri” dell’Ottocento. L’origine delle esposizioni d’arte in Sicilia, in c.d.s.

[59]  Proemio, in “Effemeridi scientifiche e letterarie e lavori del R. Istituto d’Incoraggiamento per la Sicilia”, a. III, t. IX, Gennaio Febbrajo e Marzo, 1834, p. IV. Il Reale Istituto – fondato il 9 novembre 1831 da Ferdinando II su modello del precedente istituito a Napoli che aveva avviato la consuetudine delle premiazioni periodiche per le migliori manifatture del Regno (1826) – mirava a promuovere le attività legate all’agricoltura, al commercio e alle manifatture. Mediante l’organizzazione delle esposizioni di belle arti, con modalità simili a quelle di altre città italiane, risultò uno dei cardini del sistema dell’arte del XIX secolo. L’istituto fu sottoposto alla Commissione di Pubblica Istruzione ed Educazione e dotato di una sorta di bollettino d’informazione intitolato “Novello Giornale del Reale Istituto d’Incoraggiamento”. Negli anni 1834-1838 le “Effemeridi” di Palermo pubblicheranno i resoconti dei lavori a firma dell’abate Emmanuele Vaccaro segretario del R. Istituto. Gli elenchi di belle arti e dei premi conferiti furono continuati nella forma di opuscoli fino al periodo postunitario. Cfr. R. Busacca, Sullo Istituto d’incoraggiamento e sulla industria siciliana. Ragionamento economico di Raffaele Busacca, Gabinetto Tipografico all’insegna di Meli, Palermo 1835. Sotto l’aspetto artistico, uno dei rarissimi contributi lo offre D. Malignaggi, Accademie e promozioni delle arti nei primi anni dell’Ottocento siciliano, in La formazione professionale dell’artista. Neoclassicismo e aspetti accademici, a cura di D. Malignaggi, Palermo 2002, pp. 7-27. Per il quadro italiano S. Pinto, La promozione delle arti negli Stati Italiani dall’età della riforma all’Unità, in Storia dell’arte italiana. Parte seconda. Dal Medioevo al Novecento, Vol. II, Dal Cinquecento all’Ottocento. II Settecento e Ottocento, Einaudi, Torino 1982, in part. pp. 791-1079; Arti Tecnologia Progetto. Le esposizioni d’industria in Italia prima dell’Unità, a cura di G. Bigatti, S. Onger, Franco Angeli, Milano 2007.

[60]  Cfr. K., Di un ostensorio, in “Il Buon Gusto. Giornale istruttivo e dilettevole per la Sicilia”, a. I, n. 17, 1 aprile 1852, p. 66-67; Y., Belle Arti. Un grande ostensorio, in “La Lira”, a. I, n. 29, 17 aprile 1852, p. 115. Si veda anche Sul grande ostensorio dei RR. PP. Benedettini di S. Martino lavoro di Giovanni Fecarotta incisore e giojelliere di Palermo. Parole di un amico ed ammiratore di lui, Palermo 1854. Gli scritti trattano della «più bella opera di oreficeria, che ai nostri giorni si fosse mai veduta […] in argento dorato; pezzi d’oro e gemme», realizzata per i pp. Benedettini di San Martino delle Scale da Giovanni Fecarotta. Per l’ostensorio oggi perduto cfr. S. Barraja, Un episodio di conservazione della suppellettile ecclesiastica, in L’eredità di Angelo Sinisio. L’Abbazia di San Martino delle Scale dal XIV al XX secolo, catalogo della mostra a cura di M.C. Di Natale, F. Messina Cicchetti, Palermo 1997, fig. 3, p. 321. Gli appunti manoscritti di Gallo sull’orafo, risalenti al quarto decennio del XIX secolo, sono ora A. Gallo, Notizie degli incisori siciliani, a cura di D. Malignaggi, Palermo 1994, pp. 123-124. Per gli aspetti tecnico-innovativi dell’oreficeria siciliana cfr. R. Vadalà, Nuove forme dell’oreficeria europea nella Sicilia dell’Ottocento, in Storia, critica e tutela dell’arte nel Novecento. Un’esperienza siciliana a confronto con il dibattito nazionale, atti del convegno internazionale di studi in onore di Maria Accascina (Palermo-Erice, 14-17 giugno 2006) a cura di M.C. Di Natale, Salvatore Sciascia, Caltanissetta 2007, pp. 466-474.

[61]  A. Castellani, Dell’oreficeria antica. Discorso di Augusto Castellani, Le Monnier, Firenze 1862. Su Augusto Castellani (1829-1914) cfr. I Castellani e l’oreficeria archeologica italiana, catalogo della mostra, «L’Erma» di Bretschneider, Roma 2005. Cfr. anche G. Pucci, Antichità e manifatture: un itinerario, in Memoria dell’antico nell’arte italiana. Dalla tradizione all’archeologia, t. III, a cura di S. Settis, Einaudi, Torino 1986, pp. 251-292; P. Giusti, Gioielli e «bisciuttieri» a Napoli nell’Ottocento, in Civiltà dell’Ottocento. Le arti a Napoli dai Borbone ai Savoia. Le arti figurative, catalogo della mostra, Electa Napoli, Napoli 1997, pp. 221-225.

[62]  F. Mondello, Bozzetti biografici di artisti trapanesi de’ sec. XVII, XVIII e XIX, Tip. Modica-Romano, Trapani 1883, pp. 40-44; F. Pipitone, La graduale trasformazione dalla bottega artigiana all’accademia nella prima metà dell’Ottocento in Sicilia, in La formazione professionale dell’artista. Neoclassicismo e aspetti accademici, a cura di D. Malignaggi, Università degli Studi di Palermo, Palermo 2002, in part. pp. 55-74; R. Vadalà, Corallari e scultori attivi a Trapani e nella Sicilia occidentale dal XV al XIX secolo, in Materiali preziosi dalla terra e dal mare nell’arte trapanese e della Sicilia occidentale tra il XVIII e XIX secolo, catalogo della mostra a cura di M.C. Di Natale, Assessorato regionale BB.CC.AA. e P.I., Palermo 2003, ad vocem, pp. 382-383.

[63]  A. Gallo, Sull’influenza…, p. 12. Cfr. pure Id., Notizie degli incisori…, pp. 131-134; M.C. Di Natale, Gioielli di Sicilia, Flaccovio, Palermo 2000, pp. 255-260.

[64]  A. Gallo, Necrologia…, p. 105; Id., Notizie de’ figularj degli scultori e fonditori…, pp. 255-256.

[65]  Id., Sulla scuola di scultura fondata in Palermo dal sig. Valerio Villareale, in “PpD”, a. 5, n. 19, 13 maggio 1837, pp. 145-148.

[66]  Id., Sull’influenza…, p. 13.

[67]  Ibid. Si veda inoltre Litografia, in “PpD”, a. 4, n. 28, 9 luglio 1836, pp. 125-126 [ma 225-226]; A. Gallo, Lettera di Agostino Gallo all’egregio incisore Tommaso Aloisio Messinese professore d’intaglio in Napoli, in “La Lira”, a. I, n. 51, 6 novembre 1852, pp. 203-204; Id., Notizie degli incisori…, pp. 125-128. T. Aloysio-Juvara, Della storia e dello stato odierno dell’arte dell’incisione, in “Nuove Effemeridi Siciliane di Scienze, Lettere ed Arti”, a. I, dispense IX-X, dicembre 1869 – gennaio 1870, pp. 404-416. Sul rapporto fra Agostino Gallo e l’artista cfr. Lettere di Tommaso Aloysio Juvara ad Agostino Gallo, a cura di G. Molonia, in “Messenion d’oro. Trimestrale di cultura e informazione”, n.s., n. 20, aprile-giugno 2009.

[68]  A. Gallo, Notizie degli incisori…, pp. 116-117; D. Malignaggi, L’Acquaforte. Vincenzo Riolo, Francesco La Farina, Bartolomeo e Luca Costanzo Incisori, Palermo 2008. Si veda pure P. Sgadari di Lo Monaco, Pittori e scultori…, p. 35 che definisce Luca «abilissimo contraffattore di quadri antichi di cui fece poco scrupoloso commercio».

[69]  Cfr. E. Ricciardi, Medaglie del Regno delle Due Sicilie 1735-1861, I.T.E.A. Edit. Tip., Napoli 1930.

[70]  A. Gallo, Sull’influenza…, p. 14, nota 1. Sulla moneta cfr. Esame della celebre medaglia antica battuta in nome di tutti i siciliani coll’epigrafe del signor marchese G. Haus, in “GSLA”, t. 18, fasc. 52, 1827, pp. 71-97. Fra i contributi più recenti al problema delle monete con la leggenda segnalo E. Sjoqvist, Numismatic notes from Morgantina.1. The Sikeliotan Coinage, in “Museum Notes”, American Numismatic Society, n. 9, 1960.

[71]  A. Gallo, Sull’influenza…, p. 18.

[72]  G. Raymondo Granata, Duecentosessanta giorni in Palermo nel 1861 ovvero biografia e gabinetto scientifico-artistico dell’archeologo signor Agostino Gallo, Stamperia del Commercio, Messina 1863, p. 51 ricorda infatti «dodici grandi e mezzani quadri formante un’accolta di circa 1500 medaglie in gesso, in gran parte cavate da camei e gemme antiche».

[73]  Un elenco delle sue medaglie è in A. Gallo, Lavoro di Agostino Gallo sopra l’arte dell’incisione..., pp. 39-40.

[74]  «Ignazio Milazzo, come imputato di contraffazione di moneta, fu rinchiuso nella casa di correzione di Palermo al 26. Dicembre 1827. A 2. Marzo 1830 fu condannato all’Ergastolo». Archivio di Stato di Palermo [poi A.S. Pa.], Real Segreteria di Stato presso il Luogotenente Generale in Sicilia. Polizia, filza 222, fasc. 20/2, doc. 908, verbale in data in data 13 agosto 1835. Per le notizie sull’orafo cfr. A. Gallo, Notizie degli incisori…, pp. 129-130.

[75]  Ibid., Sopra una medaglia di Tiziano incisa in metallo da Marco di Chiara, in “L’Oreteo. Nuovo Giornale”, a. I, n. 1, 1839, pp. 5-6.

[76]  Id., Sull’influenza…, p. 14, nota 2.

[77]  A.S. Pa., Real Segreteria di Stato presso il Luogotenente Generale in Sicilia, Ripartimento Interno, Busta 18, Relazione di Gabriele Judica Regio Custode delle antichità di Noto al ministro Marchese Ferreri, in data 16 novembre 1818, cc. 23-24.

[78]  D. Sestini, Sopra i moderni falsificatori di medaglie greche antiche nei tre metalli e Descrizione di tutte quelle prodotte dai medesimi nello spazio di pochi anni, Tofani, Firenze 1826, per il quale cfr. S. Pafumi, Museum Biscarianum. Materiali per lo studio delle collezioni di Ignazio Paternò Castello di Biscari (1719-1786), Alma, Catania 2006, p. 113.

[79]  A. Gallo, Sull’influenza…, p. 15. Gallo accenna in nota alla collezione del conte Corrado Ventimiglia che contava 400 varietà di pietre dure. Su una raccolta del XVIII cfr. il Catalogo di una raccolta di pietre dure native di Sicilia esistente presso l’abate D. Domenico Tata, Raimondi, Napoli 1772. Su questi temi cfr. soprattutto M.C. Di Natale, I maestri corallari trapanesi dal XVI al XIX secolo, in Materiali preziosi…, pp. 23-56.

[80]  Cfr. Immagine e testo. Mostra storica dell’editoria siciliana dal Quattrocento agli inizi dell’Ottocento, a cura di D. Malignaggi, Assessorato regionale BB.CC.AA. e P.I., Palermo 1988.

[81]  «Perocché in alcuni sepolcri greci e cartaginesi, apertisi in diverse città di Sicilia e in quelli di Palermo nella strada di Mezzomonreale [l’area della necropoli punica di corso Calatafimi] de’ tempi Fenici e Cartaginesi, si sono rinvenute fiale, vasettini e gingilli di ragazzi in vetri colorati». A. Gallo, Sull’influenza…, p. 16. Su questi aspetti si veda A. Spanò Giammellaro, I vetri della Sicilia punica, Unione Accademica Nazionale, Corpus delle Antichità Fenicie e Puniche, Bonsignori, Roma 2008.

[82]  Per le attività dei fratelli Gallo cfr. A. Rotolo, La cultura meccanica siciliana dal XVII al XIX secolo, Fondazione Ignazio Buttitta, Palermo 2009, pp. 118-120.

[83]  A. Gallo, Sull’influenza…, p. 16. Si veda anche C. Pasca, Su gli Smalti e l’Arte del Mosaico, in “La Lira”, a. I, n. 31, 1 maggio 1852, pp. 122-123, in cui, oltre a Angelo Gallo, è ricordato Sebastiano Zerbo, che a seguito dell’incendio scoppiato nel 1811 all’interno del Duomo di Monreale nel 1817 ne restaurò i mosaici con l’impiego di paste vitree. Sulle pratiche del restauro musivo cfr. M. Guttilla, Un interprete del restauro musivo dell’Ottocento: Rosario Riolo e il suo ambiente, in Gioacchino Di Marzo e la Critica d’Arte nell’Ottocento in Italia, atti del convegno di studi nazionali (Palermo, 15-17 aprile 2003) a cura di S. La Barbera, Palermo 2004, pp. 246-262.

[84]  A. Gallo, Sull’influenza…, p. 16.

[85]  Cfr. C. Pasca, Cenno di Cesare Pasca…, p. 102; Sull’interno della casa del Sig.r Marchese Forcella in Palermo. Cenno di Angelo Osnato da Caronia, Messina 1845. Si tratta di Palazzo Forcella-de Seta, riconfigurato dal 1833 per volere del marchese Enrico Carlo Forcella secondo un eclettismo revivalistico che qui trova forme compiute e originali. Cfr. G. Di Benedetto, Palazzo Forcella-de Seta, in “Kalós – arte in Sicilia”, a. 10, n. 2, Marzo-Aprile 1998, pp. 24-31. P. Palazzotto, Teoria e prassi dell’architettura neogotica a Palermo nella prima metà del XIX secolo, in Gioacchino Di Marzo e la Critica d’Arte…, pp. 228-230.

[86]  Mi riferisco in particolare a A. Zobi, Notizie storiche riguardanti l’Imperiale e Reale stabilimento dei lavori di commesso in pietre dure di Firenze raccolte e compilate da Antonio Zobi, Le Monnier, Firenze 1841.

[87]  Sulla chiesa cfr. A. Mazzè (a cura di), Le parrocchie, Flaccovio, Palermo 1979, pp. 73-153.

[88]  Per l’arca cfr. M.C. Di Natale, S. Rosaliae Patriae Servatrici, Palermo 1994, pp. 11-80.

[89]  A. Gallo, Sull’influenza…, p. 18.

[90]  Le prime precisazioni sull’argentiere Nibilio Gagini, nipote di Antonello, si devono a G. Di Marzo, I Gagini e la scultura in Sicilia nei secoli XV e XVI. Memorie storiche e documenti, 2 voll., Tipografia del Giornale di Sicilia, Palermo 1880 e 1883. Cfr. M.C. Di Natale, Gioacchino Di Marzo e le arti decorative, in Gioacchino Di Marzo e la Critica d’Arte…, pp. 157-167. 

[91]  Cfr. M.C. Di Natale, Paliotto, scheda II.37, in Ori e Argenti di Sicilia dal Quattrocento al Settecento, catalogo della mostra a cura di M.C. Di Natale, Electa, Milano 1989, pp. 211-212.

[92]  A. Gallo, Sull’influenza…, p. 19.

[93]  Cfr. A. Turrisi Colonna, Sopra Anna Fortino. Lettera di Annetta Turrisi Colonna a Nicolò suo fratello, in “ESLS”, a. VI, t. XXIII, 1838, pp. 36-42. Sulla Fortino scriverà anche S. Mira e Sirignano, Biografie e cose varie, Tipografia del Giornale di Sicilia, Palermo 1873, pp. 76-84.

[94]  A. Gallo, Lavori artistici in cera di Anna Fortino palermitana, in “PpD”, a. 4, n. 33, 13 agosto 1836, pp. 261-264.

[95]  Id., Sulla vera patria di Zeusi pittore dell’epoca greca e cenni biografici dello stesso per Agostino Gallo, Palermo 1861. Lo studio fu ripubblicato in “GASLA”, t. CLXXV, n.s. XXX, gennaio-febbraio, Roma 1863, pp. 81-148.

[96]  R. Politi, Cenni biografici su’ valentissimi plasticisti da Caltagirone Bongiovanni e Vaccaro riprodotti con aggiunte e parte istorica dell’arte di modellare in creta, Tipografia Blandaleone, Girgenti 1858. Si veda inoltre A. Ragona, I figurinai di Caltagirone nell’Ottocento, Sellerio, Palermo 1996.

[97]  R. Politi, Giacomo Bongiovanni e Giuseppe Vaccaro, in “Poliorama Pittoresco”, a. VII, sem. II (11 Febbrajo – 5 Agosto 1843), n. 32, Napoli 18 Marzo 1843, pp. 249-250. L’articolo è accompagnato da uno «schizzo litografico» raffigurante il gruppo con il Ciabattino. Anche nella stampa periodica locale sono segnalati contributi sui due maestri calatini. Cfr. P. Palazzotto, Cronache d’arte ne «La Cerere» di Palermo, in Percorsi di Critica…, pp. 123-142.

[98]  Cinquantuno lettere autografe ad Agostino Gallo (7 Maggio 1826 – 12 Settembre 1866), ms. del sec. XIX, custodito ai ss. 2 Qq G 113, n. 36 presso la Biblioteca comunale di Palermo.

[99]  A. Gallo, Sull’influenza…, p. 18. Altre notizie su Giacomo e Giuseppe Vaccaro Bongiovanni sono in Id., Notizie de’ figularj degli scultori e fonditori…, pp. 269-272.

[100]  Anche Francesco di Paola Avolio esprime l’idea di rilanciare economicamente il settore dell’arte dei figulini e di «svegliare l’addormentate braccia ad opere migliori». F. Avolio, Delle antiche fatture di argilla che si ritrovano in Sicilia, Lorenzo Dato, Palermo 1829, pp. xlii-xliii. Gioacchino Di Marzo ricorda, piuttosto, l’importanza delle officine trapanesi: «Da più di un secolo gli artisti trapanesi si rivolsero a cavar profitto dall’abbondanza degli alabastri del patrio territorio, e dalla pesca del corallo e delle conchiglie», nominando fra gli artisti Giovanni Anselmo, Andrea e Alberto Tipa, Michele Laudicina e Pietro Bordino «di cui si sono venduti eccellenti lavori a fondo ed a rilievo sopra agate orientali». Dizionario topografico della Sicilia di Vito Amico. Tradotto dal latino ed annotato da Gioacchino Di Marzo chierico distinto della Real Cappella Palatina, vol. II, Pietro Morvillo, Palermo 1856, p. 624.

[101]  Nel catalogo dell’Esposizione di Londra – classi 33 (Works in precious Metals and their imitations and Jewellery) e 35 (Pottery) – figurano fra gli altri Giuseppe Laodicini (!) per i cammei su conchiglia, il corallaro trapanese Carlo Guida, Gaetano Armao di Santo Stefano di Camastra per riproduzioni di vasi etruschi, Giuseppe Vaccaro Bongiovanni. Questi artisti parteciparono anche all’Esposizione Nazionale di prodotti agricoli e industriali e di belle arti di Firenze del 1861.

[102]  A. Gallo, Sull’influenza…, p. 19. Per Giovanni Matera (1653-1718) cfr. G. Bongiovanni, Giovanni Antonio Matera un grande scultore di figure “in piccolo”, allegato a “Kalós – arte in Sicilia”, a. III, n. 6 Novembre-Dicembre 1991. Si veda pure G. Cocchiara, I pastori del Matera, in “Sicilia”, n. 36, 1962, nn.

[103]  J. Burckhardt, Il Cicerone. Guida al godimento delle opere d’arte in Italia [1855], vol. I, Sansoni, Firenze 1992, p. 784.

[104]  A. Gallo, Sull’influenza…, p. 19. Sul presepe napoletano si veda almeno L. Correra, Il Presepe a Napoli, in “L’Arte”, II, 1899, pp. 325-346; F. Mancini, Il Presepe napoletano. Scritti e testimonianze dal secolo XVIII al 1955, SEN, Napoli 1983; M. Piccoli Catello (a cura di), Il Presepe Napoletano. The Neapolitan Crib, Guida, Napoli 2005.

[105]  S. Romano, Di alcune eccellenti figure in legno scolpite dal trapanese Matera verso il 1700 e che ora trovansi a Monaco nel Museo Nazionale bavarese, in “Archivio Storico Siciliano”, n.s., a. XXVII, 1902, pp. 241-255. Puntualizza quanto scritto da Salvatore Romano F.A. Belgiorno, I presepi di Matera a Monaco tra storia e leggenda, in “Kalós – arte in Sicilia”, a. 14, n. 3, Giugno-Settembre 2002, pp. 6-9.

[106]   F. Mondello, L’Arte nel Presepio per le piccole figure degli scultori Nolfo di Trapani, con 4 illustrazioni, ms. del 1905, custodito ai ss. 190 presso la Biblioteca Fardelliana di Trapani. Per il canonico trapanese (1834-1908) cfr. M. Vitella, Fonti del XIX secolo per la Storia dell’arte in Sicilia: il canonico Fortunato Mondello, in Metodo della ricerca…, pp. 407-420.

[107]  Cfr. V. Crisafulli, 1884 Vincenzo Ragusa e il Museo Artistico industriale Scuole Officine, in 1884 Vincenzo Ragusa e l’Istituto d’Arte di Palermo, a cura di V. Crisafulli, Kalós, Palermo 2004, pp. 13-41.

[108]  Si veda per esempio R. Cinà, Arte e gusto sulle pagine de “L’Arte Decorativa Illustrata”, in “teCLa-Effemeride”, 2010, www.unipa.it/tecla/effemeride/1_effemeride.php, DOI 10.4413/  EFFEMERIDE. Sulla rivalutazione delle arti decorative rimando a G.C. Sciolla, La riscoperta delle arti decorative in Italia nella prima metà del Novecento. Brevi considerazioni, in Storia, critica e tutela dell’arte nel Novecento…, pp. 51-58; F. Bologna, Dalle arti minori all’industrial design. Storia di una ideologia, Laterza, Bari 1972.

[109]  Esposizione Nazionale 1891-92 in Palermo. Catalogo generale, Stabilimento Tipografico Virzì, Palermo s.d. [ma 1891]; “Palermo e l’Esposizione nazionale del 1891-92. Cronaca illustrata”, Treves, Milano 1892; “L’Esposizione Nazionale illustrata di Palermo. 1891-92”, Sonzogno, Milano 1892. Cfr. A.M. Fundarò, Le arti industriali siciliane nell’Esposizione di Palermo, in Dall’artigiano all’industria. L’Esposizione Nazionale di Palermo del 1891-1892, a cura di M. Ganci, M. Giuffrè, Società Siciliana per la Storia Patria, Palermo 1994, pp. 237-264.



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Temi di Critica - numero 3

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