teCLa :: Rivista #3

in questo numero contributi di Monica Preti-Hamard - Bénédicte Savoy, Nicoletta Di Bella, Carmelo Bajamonte, Iolanda Di Natale, Roberta Priori Marcella Marrocco.

codice DOI:10.4413/RIVISTA - codice ISSN: 2038-6133
numero di ruolo generale di iscrizione al Registro Stampa: 2583/2010 del 27/07/2010

Scritti d’arte di Carmelo La Farina (1786 - 1852) di Nicoletta Di Bella

Carmelo La Farina, una delle figure più interessanti nel panorama della cultura messinese dei primi decenni del secolo XIX, fu uomo politico, archeologo, erudito e conoscitore, di grande apertura mentale e dotato di una propensione all’indagine filologica di notevole modernità.

Nato a Messina nel 1786, studiò Lettere classiche all’Accademia Carolina. Nel 1815 sostituì Andrea Gallo in qualità di professore di Matematica nella stessa istituzione (divenuta poi Università di Messina), all’età di soli diciassette anni. In seguitò si laureò a Catania in Giurisprudenza e dal 1839 insegnò Geometria Trigonometria e Sezioni Coniche nella neonata Regia Università degli Studi[1].

Davvero lungo l’elenco delle società scientifiche[2] delle quali il Nostro fu membro; socio promotore dell’Accademia Peloritana dei Pericolanti[3], vi fu accolto come socio ordinario col nome di “Accertato”, a soli sedici anni, il 20 marzo 1802 e dal 1830 ricoprì il ruolo di Segretario Generale.

Il primo discorso[4] letto nella prestigiosa istituzione nel luglio 1806, a soli vent’anni, in cui si proponeva di «descrivere le Antichità della nostra Messina, mostrarne le reliquie, ed additarne i mezzi per conservarle»[5], fu proprio a sostegno della necessità dell’istituzione a Messina di una Cattedra di Belle Arti e di un Museo Civico[6], inteso con una impostazione e uno spessore culturale ben diversi rispetto a quelli delle più famose quadrerie di Ruffo, Arenaprimo o Brunaccini[7], delle ricche wunderkammern e delle raccolte di mirabilia, anche se frutto della stessa molteplicità di interessi. In Sicilia infatti, i primi esiti degli orientamenti più attuali rivolgono la propria attenzione agli ‘strati medi’ della popolazione, un pubblico di dotti, scrittori, eruditi e anche artisti, fino a quel momento non ammessi alle grandi collezioni, che con la diffusione dell’istruzione richiedono e ottengono l’accesso agli oggetti e alle fonti[8]. Le raccolte, le biblioteche, insieme alle accademie, diventano i principali strumenti di formazione intellettuale dei nuovi ceti borghesi[9]. Non mancano a diverso livello locale dimostrazioni concrete di organi di propulsione culturale e didattica quali il ‘museo’, con annessa biblioteca e sede dell’Accademia degli Etnei, del principe di Biscari Ignazio Paternò di Castello, «inaugurato a Catania nel 1758 per “l’utilità degli studiosi e il decoro della patria” ammirato dal Riedesel e da Goethe»[10].

Il discorso di Carmelo La Farina può intendersi un vero e proprio manifesto ideologico della sua attività futura: «descrivere le antichità di Messina»[11] – sia quelle ritrovate casualmente tra le macerie scampate ai terremoti sia i manufatti archeologici esito delle campagne di scavo –, recuperandole, mostrando e conservando gli originali nei musei, valutando i danni dell’incuria del tempo e degli uomini e i rischi ancora incombenti, eventualmente sostituendo gli originali con delle copie esposte alle intemperie, come confermerà anche in anni più maturi[12], agganciandosi alla tradizione storiografica precedente, che, già con figure di eruditi quali Francesco Susinno[13], Antonino Mongitore[14], Gaetano Grano[15] e Jakob Philipp Hackert[16], Fedele da San Biagio[17], aveva sottolineato l’importanza del recupero delle fisionomie cittadine attraverso la ricostruzione del panorama artistico locale[18].

Il proposito di realizzare un Museo Civico entro le mura del Palazzo Senatorio aveva riscosso notevole successo tra gli Accademici[19] che, spronati dall’abate Cassinese D. Gregorio Cianciolo[20] – strenuo sostenitore insieme a La Farina e in quegli anni alla loro guida – collaborarono fattivamente mediante la donazione di pregiate opere d’arte[21]. Queste prime collezioni, in seguito, furono ulteriormente implementate grazie alla partecipazione del Senato messinese che intervenne sia assegnando alcuni locali, sia tramite finanziamenti, scambi e acquisti, tra i quali i cinque pezzi superstiti del Polittico di San Gregorio di Antonello da Messina[22].

Intanto La Farina, cui era stata conferita da parte del Senato cittadino la nomina a Prefetto onorario[23]  del neonato Museo Civico sito presso i locali dell’ex Archivio degli Atti Notarili, veniva inviato in vari posti dell’Isola per acquistarvi monete[24], ceramiche, marmi ed altri oggetti che andavano ad ampliare le collezioni[25], ulteriormente accresciute a seguito della soppressione delle Corporazioni religiose nel 1866 e al trasferimento nei locali dell’antico monastero di San Gregorio[26].

L’interesse per l’istituzione di borse di studio e la grande attenzione per le arti figurative compaiono spesso quali tematiche ricorrenti in molti dei dibattimenti cui egli prese parte all’Accademia Peloritana[27]. Il supporto ai giovani artisti è difatti una delle costanti che traspaiono negli scritti dell’erudito messinese[28], sebbene l’apprezzamento per l’arte contemporanea, nel momento in cui vengono meno la committenza religiosa e quella laica tradizionale, sia subordinato alle capacità di emulare l’antico e di esaltare le patrie glorie[29].

Strenuo sostenitore di giovani promesse locali[30], La Farina propugnava presso il Municipio lo stanziamento di borse di studio[31] al fine di consentire alle nuove leve di completare la propria formazione all’estero, perfezionandosi in contesti culturalmente più aggiornati[32]. L’attenzione alla formazione degli artisti è pari all’apprezzamento senza riserve nei confronti dei grandi nomi del momento: tra tutti Antonio Canova, Bertel Thorvaldsen, Pietro Tenerani[33], esponenti di quella cultura neoclassica che ebbe in La Farina uno degli animatori nel contesto messinese e di cui ennesimo riflesso è la passione per l’archeologia.

Ancora nell’Ottocento il pensiero predominante in Sicilia è caratterizzato da riflessioni di impronta winckelmanniana, che avevano consolidato nella coscienza intellettuale locale – grazie anche alla pratica, ancora in voga, da parte di visitatori stranieri, di compiere il viaggio in Sicilia allo scopo di indagare i reperti dell’antichità – l’idea di un retaggio da riscattare, in un contesto di rifiorita attenzione nei confronti dell’archeologia sostenuta anche da molteplici iniziative, quale ad esempio, l’istituzione della “Commissione di Antichità e Belle Arti” ad opera del governo Borbonico nel 1827[34].

Non è semplice delineare brevemente le idee sull’arte dominanti a Messina nella prima metà dell’Ottocento. Sin da un primo sguardo, infatti, risulta evidente come le correnti culturali della città peloritana siano frutto di contraddizioni e integrazioni derivate da un’estrema varietà di situazioni che si concretizzano nell’opera degli artisti e negli scritti degli esponenti della letteratura critica. Il più disaminato dei dibattiti del periodo, la polemica tra Neoclassici e Romantici, vede il Nostro tra i suoi interpreti messinesi[35].

Sebbene la posizione provinciale dei protagonisti della vicenda culturale non consenta di definire quale vera e propria querelle l’atteggiamento conflittuale e le vistose contraddizioni tra le due tendenze di gusto[36], l’attenzione ad estenuati modelli di cultura neoclassica, e l’attrazione verso suggestioni romantiche ancora accademizzanti, mancò di forti tensioni, nonostante il moltiplicarsi di periodici tematici[37], il contributo apportato da studi di stampo europeo[38] e i molteplici saggi di eruditi di cultura illuministico-borghese.

L’aspetto più evidente si ebbe in un’accezione classicistica di derivazione accademica sulla scorta della coeva trattatistica francese[39] che ribadiva i seicenteschi principi di “nobiltà” e “decoro”[40] e gli ormai abusati assunti di supremazia del disegno sul colore e di “Bello” connaturato all’arte classica già ampiamente permeati in ambito locale[41], ma che sfociò in un rinato amore per le arti, esplicitato da molteplici iniziative. L’apporto di alcuni spunti prettamente romantici, maggiormente evidenti dopo gli anni ’30, non venne disdegnato, ma incontrò difficoltà ancor maggiori a causa della poderosa matrice culturale borbonica saldamente ancorata in Sicilia[42] e che all’indomani dell’Unità tornerà a farsi sentire, seppur in senso più eclettico e con diverse implicazioni ideologiche[43]. Nel primo quarantennio del secolo, si affacciavano in Sicilia i primi tentativi di affermare le nuove istanze romantiche, fortemente osteggiate dagli spiriti più conservatori, in una sorta di istinto di protezione del clima intellettuale locale.

Soprattutto tra i membri più giovani dell’Accademia Peloritana emerge qualche tentativo di approccio a posizioni che in ambito extra-isolano appaiono già consolidate, per quanto timidamente difese. Tra i dibattiti discussi in quegli anni all’Accademia, quello del 1832 intitolato Del Romanticismo[44] di Felice Bisazza[45], autore appena ventitreenne, che esponeva la sua testimonianza

 

con un sostanziale fraintendimento dello spirito romantico. La posizione di “equilibrista” che molta critica gli imputò, il tentare una conciliazione tra due schieramenti che nell’Isola vedevano i classici in netta preponderanza sullo sparuto gruppo romantico, rivela non solo la difficoltà (o forse meglio, la paura dettata anche da un abito spirituale irresoluto) di assumere atteggiamenti netti, ma anche la fatica a comprendere fino in fondo la portata della sua stessa proposta[46].

 

Il pungolo liberale portato dai moti del ’48 caldeggerà il pensiero romantico tra i teorici siciliani e i custodi del patrimonio artistico isolano, talvolta incarnati in figure di spicco del movimento risorgimentale[47]. Fino ad allora era mancata in Sicilia una vera e propria speculazione teorica – ad esclusione di generiche indicazioni sui manufatti architettonici[48] – benché una prima manifestazione delle nuove tendenze si fosse palesata sulla stampa periodica[49] – soprattutto in dispute ancora lontane dalla ricerca di vere e proprie nuove articolazioni formali – per progetti e restauri della città, sull’impeto dello slancio architettonico nato successivamente al sisma del 1783[50].

Questa volontà di ricostruzione si orientò in senso estremamente eclettico, in un mix di neomanierismo, revival gotico, riesumazioni rococò e espedienti neopalladiani sulla scia della presenza inglese nella Sicilia di quegli anni[51], in un momento in cui era fortemente sentita l’esigenza di ricostituire un senso di continuità con i fasti del passato seppur adeguandosi nella forma alle richieste della committenza, mentre le nuove spinte romantiche si mantenevano a livello epidermico, insufficienti per modificare in modo profondo la ‘formazione intellettuale’ nel suo complesso, ogni aspetto dell’arte, ma anche la moda, il costume e le arti decorative.

Il tentativo di superamento della percezione di decadenza causata della perdita di modelli culturali per la generazione degli artisti  di quegli anni[52], in bilico tra la memoria di una produzione artistica classicheggiante e i nuovi contenuti ‘spirituali’, riscattava appieno, nella portata degli interessi, la qualità non sempre eccelsa[53], innestandosi perfettamente con la nascita di iniziative quali l’istituzione del Museo Civico e la promozione dei giovani artisti da parte dell’Accademia Peloritana[54].

Tra la fine degli anni ’20 e i primi anni ’30 alcune memorie archeologiche[55] – ma anche un studio di natura scientifica[56] – a firma di La Farina appaiono anche tra le pagine del palermitano “Giornale di Scienze, Lettere ed Arti per la Sicilia”, di cui è collaboratore ordinario[57], già dal 1823, per esplicita richiesta del Marchese delle Favare, Direttore Generale di Polizia e Luogotenente Generale di Sicilia. La partecipazione al “Giornale”, diretto da Giuseppe Bertini, si conclude nel ’33 con la pubblicazione delle prime notizie su un giovane incisore messinese, nell’articolo intitolato Messina. Biografia di Tommaso Aloisio[58].

Il Nostro affronta questioni connesse all’archeologia in diversi saggi. Del 1822 è il volume Su di un antico sarcofago nella chiesa de’ PP. Conventuali di Messina[59], corredato da un’incisione in rame. Ancora nel ’32 ribadisce il suo interesse verso temi di natura archeologica pubblicando nella città dello Stretto un interessante contributo relativo al rinvenimento di un sepolcreto romano[60] a seguito degli scavi della piazza S. Giovanni Gerosolimitano, da lui diretti su incarico del marchese della Cerda. Nel 1844 pubblica per i tipi di Giuseppe Fiumara una memoria intitolata Sopra un anello segnatorio. Considerazioni[61]. Fu anche recensore per la “Sentinella del Peloro”[62], un periodico di idee liberali e progressiste che ebbe però breve vita[63].

Per quanto gli scritti di La Farina risentano della sua formazione classicistica, l’attenzione alle opere dell’antichità si palesa anche nell’interesse per il recupero, la conservazione e la tutela di prodotti medievali[64] e l’esposizione nei musei di «opere vetustissime, […] monumenti rimasti dell’età di mezzo e de’ secoli bassi», oltre che di reperti di storia naturale e di “macchine” moderne[65]. Un’attenzione che, va sottolineato, è un’esigenza di tutela che sebbene arrivi a sfiorare tendenze di gusto romantico[66], è in realtà una necessità di natura conservativa connessa alla volontà di incrementare continuativamente le collezioni museali[67]. Anche in questo caso si tratta di un fenomeno tutt’altro che provinciale, prodotto della cultura illuministica e delle manifestazioni più floride dell’erudizione locale, non legato esclusivamente a rivendicazioni campaniliste nemmeno in quei casi in cui l’apertura critica ed estetica furono meno accentuate[68], bensì diffuso a livello europeo: opere d’arte e vestigia dell’antichità acquistano nuovi significati alla luce dello studio delle fonti e si trasformano a loro volta in «semiofori»[69].

I manufatti di epoca medievale, considerati emblemi di un periodo di magnificenza e autonomia politica dell’Isola, ben si prestavano al ruolo di portavoce del messaggio di «memoria di antiche glorie italiane»[70] e pertanto divennero oggetto delle «cure pressoché esclusive di quanti operavano nel campo della tutela degli edifici storici»[71], dando le mosse ad un’azione di salvaguardia metodologicamente fondata alla ricerca delle origini, promuovendo massicce campagne di interventi, e soprattutto nella seconda metà del secolo, ad operazioni di liberazione dalle superfetazioni settecentesche arrivando talvolta a sconcertanti restauri di ripristino e ad integrazioni, sebbene a Messina in modo meno invasivo che a Palermo[72].

La ricchezza e la varietà delle problematiche affrontate dal poliedrico studioso raggiunge il suo apice nelle lettere pubblicate sui più prestigiosi periodici isolani, in cui rettifica molte notizie errate[73], dà notizia di acquisti effettuati per la «pubblica galleria, in cui come bello sacrario si sono ricolti i dipinti della scuola messinese»[74], oltre che a segnalare la presenza di opere credute perdute – sia a Messina che nelle zone limitrofe – e a suggerire attribuzioni, sempre fornendo un’accurata documentazione in proposito[75]. E ancora ricorda acquisizioni di manoscritti e documenti da parte dell’Accademia Peloritana dei Pericolanti[76], a dimostrazione della modernità del suo atteggiamento di grande apertura verso l’indagine filologica che lo porta al voler sempre trascrivere personalmente le notizie d’archivio, riportando con estrema accuratezza date, firme, iscrizioni di fondamentale importanza per la ricostruzione documentaria, iconografica e iconologica di opere ormai perdute e ad una costante verifica delle fonti (Giuseppe Buonfiglio[77], Placido Samperi[78], Caio Domenico Gallo[79]) e non solo locali, ma anche Vasari[80] e Lanzi[81] cui corregge non poche sviste, dimostrando un atteggiamento estremamente aggiornato, che trovava illustri riscontri nell’ambito della critica filologica internazionale[82]. È il caso della biografia di Onofrio Gabrieli[83] della quale emenda alcuni errori[84], pubblicando tra le altre notizie, il documento di Battesimo che consente di anticipare di tre anni, al 1619, la data di nascita fino a quel momento tramandata dalle fonti[85]. Anticipa anche al 1650[86] il ritorno in patria dell’artista dal soggiorno tra Napoli, Roma e Venezia, grazie ad un documento ritrovato nella Sagrestia della chiesa di S. Paolo delle Monache, che fissa a quella data anche l’esecuzione del Martirio di S. Placido del Marolì[87] , suo concittadino e compagno durante i nove anni del periodo veneziano, di cui Lanzi dà un giudizio molto poco lusinghiero[88].

Tra le comunicazioni più interessanti fornite da La Farina, le notizie relative ad Antonio Catalano[89] nella quarta lettera, indirizzata a Giuseppe Grosso Cacopardo[90], in cui espunge dal catalogo dell’artista la Madonna del Rosario per la chiesa dell’Annunziata “alla Ciaera”, firmata «minchello cardili fec», recuperata dopo il terremoto del 1908 e oggi in deposito al Museo regionale di Messina[91] aggiungendo un altro nome alla famiglia dei pittori Cardillo e la S. Anna nella chiesa di S. Giovanni nel villaggio Castanea[92], chiaramente firmata e datata «gaspar camarda pingebat 1612», estendendo l’arco temporale entro cui collocare l’attività dell’artista[93], cui assegna anche la Madonna del Rosario di Venetico, firmata e datata 1606[94].

Le Lettere Artistiche, dedicate ai più autorevoli membri della cultura isolana – in ordine di successione a Agostino Gallo[95], Pietro Lanza[96], Lazzaro Di Giovanni[97], Giuseppe Grosso Cacopardo[98], Placido Vasta[99], Nicolò Americo Fasani[100], Giuseppe Alessi[101], Gaetano Grano[102], Francesco Arrosto[103], Tommaso Aloysio Juvara[104]– vennero raccolte da La Farina nel 1835 in un volume intitolato Intorno Le Belle Arti, e gli Artisti fioriti in varie epoche in Messina – Ricerche di Carmelo La Farina ordinate in più lettere[105]. Edito a Messina dalla Stamperia Fiumara, la stessa dello “Spettatore Zancleo”, consta di 94 pagine comprendenti l’indice delle lettere e le errata corrige. Ricevette lusinghiere recensioni in ambito locale[106], ma anche su riviste non isolane, ad esempio il “Giornale Arcadico” di Roma, la “Gazzetta Privilegiata” di Bologna.

Una Seconda Parte delle lettere, raccolta da Gaetano La Corte Cailler[107] e da lui intitolata Intorno le Belle Arti, e gli artisti fioriti in varie epoche in Messina - Ricerche ordinate in più lettere, Parte II, Messina 1835-1845, consta di sette lettere indirizzate ad Anastasio Cocco[108], Giuseppe Arifò[109], Carlo Gemmellaro[110], Salvatore Betti[111], Lorenzo Majsano[112], Carmelo Allegra[113], tratte da periodici quali “Lo Spettatore Zancleo”, “il Faro”, “Scilla e Cariddi”[114]. La Corte non seguì l’elenco[115] redatto originariamente da La Farina, ma ne ricopiò le note autografe e fornì copie dattiloscritte degli originali[116], nelle quali, in una chiosa, fornisce la spiegazione del metodo seguito per la redazione di postille e annotazioni[117]. La Corte Cailler precisa anche l’intenzione di La Farina di ripubblicare un volume comprensivo di tutte le lettere, probabilmente ventiquattro[118] e fornisce un lungo elenco degli artisti e degli argomenti che il Nostro aveva trattato o aveva intenzione di trattare[119].

Le lettere impostate secondo una formula stilistica convenzionale, un preambolo dedicato al destinatario, il vero e proprio articolo denso di notizie storiche e documentarie già accennate nel titolo e la conclusione con un breve commiato, come già osservato, furono, inizialmente in gran parte pubblicate sullo “Spettatore Zancleo”[120] e si ponevano in modo speculare agli scritti di Giuseppe Grosso Cacopardo apparsi sul periodico “Maurolico”[121] – della cui Commissione deputata alla compilazione egli fece parte – negli stessi anni.

Anche nei saggi più brevi La Farina mostra la sua obbiettività e competenza nel ricostruire cronologie di artisti ignorati, nel rinnovare il catalogo di quelli già parzialmente noti e nel documentare personalità fino a quel momento sconosciute, sempre con precisa analisi filologica e riscontro dei documenti d’archivio, manifestando lo sguardo attento dell’esperto conoscitore[122].

Nella quinta lettera[123], la figura di Francesco Laganà, artista pressoché ignoto, viene arricchita da interessanti attribuzioni dell’erudito messinese che gli riconferma la paternità della Madonna del Rosario della chiesa dei PP. Basiliani di Mili Superiore (Me)[124] irridendo l’ignoranza dell’artista che si firma francesco. laganà. § pingebat. 1B38, scambiando la B col il 6. Riconducendo i modi del pittore a quelli di Andrea Quagliata, passa a segnalare due dipinti non ricordati dalle fonti, il San Liberale Vescovo, nella chiesa di S. Liberale a Messina, firmato e datato 1625 e l’Angelo Custode, per il convento di S. Agostino a Taormina, firmato e datato 1627, che considera opere giovanili[125].

È la competenza dettata dall’esperienza e dall’uso di un occhio attento ed allenato che lo spinge a confutare, nella terza lettera, datata 20 gennaio 1834[126] e diretta a Lazzaro Di Giovanni, la permanenza a Messina dell’artista cremonese Giovan Paolo Fonduli[127], affermando che la tavola firmata io. paulus funduli cremonen. pingebat 1593 e rappresentante San Diego, realizzata per il convento degli osservanti di S. Maria di Gesù inferiore e successivamente passata al Museo Nazionale, non fosse stata eseguita nella città del Peloro, come affermato da Grosso Cacopardo[128], ma che si trattasse di una copia di quella dipinta per la chiesa degli Osservanti di Palermo nel 1589 e passata successivamente in casa del Principe di Palagonia.

L’acume nella ricerca d’archivio e l’attenzione nello studio delle fonti, si palesano ancora una volta nella seconda lettera, indirizzata a Pietro Lanza, intitolata Sull’anno di morte di Polidoro Caldara da Caravaggio[129], artista che ebbe grande fortuna nelle pagine della letteratura artistica isolana, nella quale il Nostro, inizia con una lunga annotazione biografica tratta dalle pagine di Vasari[130] e precisa subito: «benché [questo racconto] paja sottile e minuto, m’induce ad alcune osservazioni, da che può torsi argomento di varie inesattezze»[131], dimostrando con acuti ragionamenti come la data del 1543, indicata come anno di morte dell’artista lombardo, fosse errata, anche se sino a quel momento accettata anche dalla trattatistica locale[132] che aveva contestato quanto sostenuto in merito al luogo di sepoltura. Il brano di Vasari viene criticato punto per punto da La Farina che ne demolisce le ipotesi di fondatezza dimostrando la superficialità con cui nelle pagine dell’aretino erano esposti numerosi avvenimenti, quali la realizzazione degli apparati trionfali[133] in occasione della venuta di Carlo V nel 1535, e collocati cronologicamente dal toscano prima dell’esecuzione della celebre Andata al Calvario di Polidoro, oggi al Museo di Capodimonte, di cui si hanno notizie certe[134]. Uno degli argomenti che La Farina porta a sostegno della propria tesi è la data di consegna del dipinto dell’Adorazione dei Pastori, commissionato al Caldara dai confrati di S. Maria dell’Alto (Me), portato a termine, secondo le fonti, dal Guinaccia[135]. Il dipinto, ipotizza La Farina citando Samperi, rimase incompiuto a causa della morte improvvisa dell’artista, da fissarsi dunque poco oltre il 1534[136]; in realtà la data di consegna dell’agosto del ’34 è nota solo dal documento di commissione stipulato il 5 febbraio 1533[137]. Il Nostro sottolinea ancora che dal 1535 cessa ogni notizia sul pittore lombardo; inoltre, nessuna menzione ai fatti criminosi che portarono alla morte di Polidoro è accennata nei registri della Confraternita degli Azzurri, fondata nel 1541 con la funzione di assistere i condannati a morte, né si trovano memorie di eventuali spese processuali nell’archivio della Corte Stratigozionale o nei libri della Tavola Pecuniaria[138]. Questi elementi, lo portarono dunque a sostenere la tesi di un possibile scambio di cifre nella datazione proposta da Vasari[139].

Ancora una volta, sono le puntuali indagini documentarie che consentono a La Farina di rilevare, nella lettera indirizzata a Francesco Arrosto[140], notevoli incongruenze nella cronologia relativa a Giovanni Simone Comandè tramandate dalla storiografia artistica, consentendo di anticipare la tradizionale data di nascita del 1580 al 1558[141].

Lo stesso dicasi per le correzioni apportate alla biografia di Filippo Tancredi[142], figura di spicco nella produzione pittorica non solamente isolana del secolo XVII, di cui anticipa la data di morte dal 1725[143] al 13 ottobre 1722, nella sesta lettera rivolta a Felice Bisazza, nelle quali, ricostruendo il profilo del pittore puntualizza la genealogia materna dell’artista, concludendo con parole taglienti: «[…] quali cose, mio caro Felice, ho voluto sporti, perché tu ti facessi accorto della poca o nissuna diligenza di alcuni scrittori che a furia lanciata ti dicono le più curiose novelle di questo mondo»[144]. Rettifiche a datazioni proposte dalle fonti sono presenti anche nella dodicesima lettera intitolata Si fissa l’anno del ritorno in patria del famoso dipintore Antonino Barbalonga da Messina[145], dedicata a Tommaso Aloisio Juvara, possessore di un bozzetto del Barbalonga per il dipinto raffigurante San Filippo Neri[146].

Le riflessioni dello studioso messinese avevano fornito un ricco apporto alla critica a lui più prossima e a quella successiva, ad esempio nella ricostruzione della figura di artisti poco conosciuti, quali Francesco Laganà, o Andrea Quagliata, o dei pittori Francesco e Stefano Cardillo. Questi ultimi,  padre e figlio, furono oggetto della prima lettera indirizzata ad Agostino Gallo[147], in cui La Farina esordisce evidenziando subito la vaghezza di informazioni sicure relative alla figura dei due artisti,  ribadendo ancora una volta la necessità di valutare senza leggere «a spento lume le altrui opinioni intorno alla cronologia degli artisti, elemento necessariissimo per la storia critica delle belle arti» attingendo «a buone sorgive, dopo non poche operose ricerche, e disamine»[148]. Nella piena applicazione del “metodo” proposto, lo studioso prosegue con una breve analisi delle notizie sui due artisti messinesi pervenute fino alla redazione della Memorie di Hackert-Grano[149]149 che include il pittore “Cardillo” nella scuola di Polidoro, citando Samperi[150], Buonfiglio[151] – che prendeva in esame esclusivamente la figura di Francesco – ma anche Caio Domenico Gallo[152], che a sua volta citava il manoscritto di Francesco Susinno[153].

Nella lettera è presente solo un breve accenno[154] all’attività di ritrattista per cui l’artista era celebre, ma fornisce notizie più attuali citando Grosso Cacopardo[155]che, rifacendosi a sua volta a quanto affermato da Gallo, aveva confutato l’attribuzione a Francesco dei due quadri del Monastero dell’Alto raffiguranti S. Benedetto e S. Bernardo, perduto, e la Visitazione[156], gravemente danneggiata durante il terremoto del 1908 e oggi al Museo Regionale di Messina, mentre gli riferisce la tela firmata «Cardillus me fecit» in un piccolo cartiglio retto nel becco da un cardellino[157], raffigurante la Madonna del Soccorso col Bambino incoronata da angeli tra San Michele e San Francesco della chiesa Madre del comune di Soccorso[158], riportando erroneamente il titolo di Natività.

Anche la Strage degli Innocenti nel chiostro del Carmine, perduta durante il terremoto del 1783[159], è citata da La Farina come opera di Francesco sulla scorta di quanto scritto dal Grosso Cacopardo[160], mentre Susinno la dice opera di Stefano e Gallo la legge inizialmente quale frutto di una collaborazione tra i due, ipotesi che La Farina smentisce decisamente affermando che i pittori non lavorarono mai insieme dato che il padre morì quando Stefano era appena dodicenne[161]. Segnala, ancora, la Madonna di Monserrato per la cappella del castello di “Consaga” (Gonzaga), commissionata da Francesco Beltrandes e datata 1600[162] e il San Francesco per l’Oratorio dei Mercanti, citando il brano in cui l’autore delle Memorie messinesi descrive il dipinto quale opera di «Francesco Cardillo messinese di tanta perfezione che i nostri lo rapportano come opera di Rubens»[163]. Contesta a Grosso Cacopardo di aver anche affermato, riferendo l’opinione di Caio Domenico Gallo, che Cardillo dipingeva con “grazia” e “tenerezza” tali da farlo confondere col Correggio[164] e sottolinea come la sua opinione fosse condivisa da autorevoli firme, quale ad esempio Giuseppe Bertini, che già alla precoce data del ’23 scriveva:

 

chi non darebbe, per figura, in grandi scrosci di risa all’udire lo storico Gallo che credè di Rubens il quadro di S. Francesco fra le spine di Stefano Cardillo? Né ha maggior peso quanto dello stesso scrive il N. A. Questa pittura a chi non conosce il Cardillo, sembra un’opera del Coreggio: tale e tanta è la grazia e la tenerezza colla quale è dipinta[165].

 

È interessante notare come La Farina avesse infatti superato il topos della storiografia siciliana del XIX secolo che tendeva a ricordare acriticamente la produzione artistica isolana del ‘600 nell’ambito del classicismo di derivazione raffaellesca. Il Nostro prosegue l’aspra critica al suo conterraneo osservando come questi perseverava nell’errore, scambiando volutamente padre e figlio «senza quel fior di critica, di cui è usato far tesoro nelle sue filologiche ed artistiche disamine»[166], pur di non ricusare l’attribuzione della Madonna di Monserrato[167] a Stefano, alla luce delle evidenti affinità stilistiche con la Pietà rinvenuta a Castroreale[168], datata 1603 e firmata Francesco[169].

La Farina espunge dunque dal catalogo di Stefano tutte le opere note, perdute e non, seppur lasciando una possibilità per la distrutta Strage degli Innocenti, ipotesi con la quale concorda la critica più recente[170]. Si limita a segnalare alcuni dati biografici reperiti nel corso delle sue ricerche: l’anno di nascita, 1585, il matrimonio con Flavia Cuttuni appena diciottenne, il 27 gennaio 1613, e la data di morte, l’1 febbraio 1635[171].

Alcuni dei temi affrontati nelle lettere erano stati oggetto della rubrica Notizie sui pittori messinesi[172] pubblicata nella “Strenna (o Calendario Astronomico) Il fa per tutti”[173] edita per dieci anni, tra il 1812 e il 1822. Già alla precoce data del 1812, infatti, Carmelo La Farina fornisce alcune brevi notazioni di carattere artistico, non mancando di apportare alcuni importanti e preziosi contributi, segno di un’attenzione che
gli consentirà di effettuare in anni più maturi attribuzioni inedite, supportate dalle sempre più puntuali ricerche in archivio e dalla minuziosa analisi delle opere. È il caso, solo per citare un esempio, della perduta Annunciazione per la chiesa degli Agostiniani “alla Ciaera” del 1585[174], che per primo La Farina assegna a Deodato Guinaccia[175] sulla scorta del confronto stilistico col dipinto di medesimo soggetto realizzato dall’artista per i Carmelitani di S. Teresa a Portareale nel 1551 e oggi al Museo di Messina, già ricordato anzitempo in un piccolo cameo[176].

Oltre ai numerosi scritti per gli atti delle varie istituzioni di cui era membro, gli articoli di tema artistico e le monografie[177], decisamente corposo è anche il numero delle riviste alle quali La Farina apportò contributi di stampo scientifico e letterario.

Per lo “Spettatore Zancleo” e per “Il Faro”, scrisse altri interessanti contributi, quali Congettura sul sito dell’antico Nauloco[178] e la Biografia dell’astronomo messinese Antonio Maria Jaci[179], oltre che alcuni prospetti statistici sulla cittadina dello Stretto[180], che vennero poi continuati sul “Giornale degli Atti dell’Intendenza del Valle di Messina” [181].

Appare dunque evidente la versatilità e l’eclettismo di una figura di intellettuale con aperture e interessi che sembrano presagire la figura del moderno storico dell’arte – con un orizzonte quasi pre-venturiano – che ha di certo avuto un ruolo rilevante nello studio delle vicende artistiche isolane, autore di acute osservazioni e scopritore di utilissime notizie documentarie fondamentali per l’avvio di molte moderne ricerche su artisti siciliani.

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L’autore ringrazia Enzo Brai per la ricerca iconografica e la selezione delle immagini


[1]  Carmelo La Farina fu titolare del prestigioso titolo di Cancelliere Archiviario del Comune. Nel 1811, fu nominato membro e geometra esaminatore della Deputazione metrica di Messina, dove propugnò l’adozione del sistema metrico decimale, sebbene fortemente osteggiato dai più. Nel 1828 venne incarcerato ingiustamente, e tradotto nelle Prigioni Centrali di Palermo, con le accuse di “falsità in pubblica scrittura” riscontrate su alcuni atti durante le ispezioni delle Imperiali Reali Truppe Austriache. La sua innocenza fu accertata dopo un anno di carcere nel forte di Castellammare, a seguito di un ricorso richiesto dal La Farina stesso. Dopo il reintegro alle mansioni, e ripresa la propria attività di erudito, Carmelo La Farina ebbe modo di mostrare la molteplicità dei suoi interessi con una notevole e diversificata mole di pubblicazioni. Fu anche effettivo al Congresso degli Scienziati nel 1846 e membro della Società Economica della Provincia di Messina e di quella della Calabria Ulteriore seconda. Nel 1845-46 ricoprì il ruolo di Giudice di Gran Corte Criminale a Catanzaro. In merito all’attività politica del La Farina – padre del patriota Giuseppe – egli va menzionato anche quale membro del Parlamento siciliano durante la rivoluzione del ’48 in quanto rappresentante dell’Università di Messina. A seguito della restaurazione borbonica fu rimosso dai numerosi incarichi civili e scientifici che ricopriva, compresi quelli universitari, quando il suo nome risultò tra quelli dei professori implicati nelle vicende legate ai moti. Morì a Messina il 28 ottobre 1852. Cfr. G. Molonia, Premessa, in C. La Farina, Intorno alle Belle Arti…, 2004, pp. 11-39; per il ruolo di esaminatore della Deputazione metrica di Messina e gli scritti in proposito, cfr. C. La Farina, Relazione del rapporto tra i pesi e le misure usate in Messina pria di gennaio 1811, ed i pesi e le misure della nuova Legge, in cui vi sono inserite la Tavola di riduzione delle due corde abolite alla generale di Canne 16 per uso de’ Notaj; e le cinque Tavole del nuovo sistema metrico della Sicilia, Letterio Fiumara e Giuseppe Nobolo socj, Messina 1811, pubblicata anche in “Il fa per tutti o sia Calendario, e notizie per l’anno 1813”, 1812, p. 98. Cfr. anche A. Narbone, Bibliografia sicola sistematica o apparato metodico alla storia letteraria della Sicilia, vol. III, G. Pedone, Palermo 1854, p. 30; G. Oliva, Annali della città di Messina continuazione all’opera storica di C. D. Gallo, con cenni biografici dei cittadini illustri della seconda metà del secolo 19, vol. VIII, Società messinese di storia patria, Messina 1954, p. 264.

[2]  La Farina era membro delle siciliane Accademia delle Scienze Lettere ed Arti (Palermo), Zelanti (Acireale), Civetta (Trapani), Lilibetana (Marsala), Floriomontana (Monteleone), e fuori dai confini isolani la Società libera di emulazione (Rouen), l’Istituto di Corrispondenza Archeologica (Roma), l’Etrusca Accademia (Cortona), l’Istituto e Reale Accademia (Firenze, Arezzo), la Valdarnese (Montevarchi), gli Incamminati (Modigliana), e infine gli Eutoliti (San Miniato), Cosentina (Cosenza). Già dal XVII secolo nell’Isola le Accademie assolvono, insieme alle Biblioteche pubbliche e ai Circoli e alle adunanze letterarie, al ruolo di cassa di risonanza della cultura erudita locale. Vi si discettava dei temi più svariati, dando ampio spazio anche a tematiche di respiro europeo, quali il progresso delle Scienze e delle Arti. Cfr. A. Mongitore, Le Accademie di Sicilia, ms. del secolo xviii ai segni QqE32, Biblioteca Comunale di Palermo; D. Schiavo, Saggio sopra la storia letteraria e le antiche Accademie della città di Palermo, E spezialmente dell’Origine, Istituto e Progresso dell’Accademia del Buon Gusto del Sac. Dott. Domenico Schiavo direttore di essa Accademia, Socio Colombario di Firenze, ed Accademico Augusto di Perugia, in Saggi di dissertazione dell’accademia palermitana del Buon Gusto, Stamperia de’ SS. Appostoli in Piazza Vigliena, Presso Pietro Bentivegna, Palermo 1755, vol. I, pp. III-LI; G. Palermo, Sull’utilità delle pubbliche Accademie, S. Sciascia, Palermo 1971, M. Guttilla, Orientamenti estetici e ambiti culturali del restauro tra Settecento e Ottocento nella storiografia artistica: i Dialoghi palermitani di Fedele Tirrito, in Padre Fedele da San Biagio fra letteratura artistica e pittura, catalogo della mostra a cura di G. Costantino, S. Sciascia, Caltanissetta 2002, pp. 73-96; per ulteriore bibliografia si veda Ead., Pittura e incisione del Settecento, in Storia della Sicilia, vol. x, Editalia - Domenico Sanfilippo Editore Roma 2000, pp. 287-364.

[3]   Fondata nel 1728, l’Accademia rivestiva un ruolo di enorme importanza nella vita culturale della Messina del tempo. Basti ricordare che l’Università fu nel 1679 abolita, per essere riaperta solo nel 1838 e che dal luglio 1829 all’Accademia fu concessa la facoltà di conferire lauree. Cfr. G. Oliva,  Memorie storiche e letterarie della Reale Accademia Peloritana di Messina, in “Atti della R. Accademia Peloritana”, a. V-VI (1884-1888), pp. 1-254.

[4]   C. La Farina, Discorso Accademico di D. Carmelo La Farina recitato a 2. Luglio dell’anno 1806, in Discorsi Accademici inediti, ms. sec. XIX della Biblioteca del Museo regionale di Messina ai segni MS 32. 2, pp. 431-449, ripubblicato in M.P. Pavone, Aggiunte alla storiografia artistica messinese del primo Ottocento. I “Discorsi” di due soci dell’Accademia Peloritana: Domenico Bottaro e Carmelo La Farina, in Miscellanea di studi e ricerche, a cura di G. Barbera, “Quaderni dell’attività didattica del Museo Regionale di Messina”, 12, La Grafica Editoriale-Edizioni Di Nicolò, Messina 2002, pp. 77-101 e in part. 92-101. Cfr. G. Oliva, Memorie storiche e letterarie…, a. CLXXXVII-XLXXXVIII, vol. XXVII, Messina 1916, pp. 168-169.

[5]  C. La Farina, Discorso Accademico di D. Carmelo La Farina…, sec. XIX, p. 431 [2002, p 92].  

[6]  Ibid., p. 447 [2002, pp. 99-100].

[7]  G. Grosso Cacopardo, Saggio storico delli varij Musei che in diversi tempi ànno esistito a Messina, Messina 1853, in Opere, vol. I, scritti minori (1832-1857), a cura di G. Molonia, Società messinese di storia patria, Messina 1994, pp. 434-475; G. La Corte Cailler, Pitture già in casa Arenaprimo, in “Archivio Storico Messinese” (da qui in poi abbreviato in “ASM”), a. III, 1903, pp. 203-207; V. Ruffo, Galleria Ruffo nel secolo XVII in Messina, in “Archivio Storico Siciliano”, n.s., a. XXXIX, 1914, ff. 3-4, pp. 329-349; Id., Galleria Ruffo nel secolo XVII in Messina (con lettere di pittori ed altri documenti inediti), in “Bollettino d’Arte”, a. X, 1916, ff. 1-2, pp. 21-64; ff. 3-4, pp. 95-128; ff. 5-6, pp. 165-192; ff. 7-8, pp. 237-256; ff. 9-10, pp. 284-320; ff. 11-12, pp. 369-388; O. Moschella, Il collezionismo a Messina nel secolo XVII, EDAS, Messina 1977; Ead., Il depauperamento del patrimonio artistico messinese dopo la rivolta, in La rivolta di Messina (1674-1678) e il mondo mediterraneo nella seconda metà del Seicento, atti del convegno (Messina, 10-12 ottobre 1975), a cura di S. Di Bella, L. Pellegrini, Cosenza 1979, pp. 595-604; S. Di Bella, Collezioni messinesi del ‘600: quadri dispersi di pittori siciliani e non, A. Sfameni Editore, Messina 1984; Id., Collezioni messinesi della prima metà del ‘700, A. Sfameni, Messina 1985; Id., Mercato antiquario messinese del ‘700: una vendita di quadri e monete, in Moant IIa Mostra di Antiquariato, catalogo della mostra (Messina, 6-21 maggio 1989), Messina 1989, s.p.; Id. Il collezionismo a Messina nei secoli XVII e XVIII, in “ASM” 74, 1997, pp. 5-90; T. Pugliatti, Antiquariato e collezionismo. Fonti di recupero di un patrimonio disperso, in Moant IIa Mostra…, 1989, s.p.; Ead., Collezionismo e antiquariato a Messina dal Cinquecento al Novecento, in Aspetti del collezionismo in Italia da Federico II al primo Novecento, in “Quaderni del Museo Regionale Pepoli”, Trapani 1993, pp. 95-124; Wunderkammer siciliana, alle origini del museo perduto, catalogo della mostra (Palermo, 4 novembre 2001 - 31 marzo 2002), a cura di V. Abbate, Electa Napoli,  Palermo 2001; D. Ligresti, Sicilia aperta (secoli XCV-XVII). Mobilità di uomini e idee, in “Quaderni - Mediterranea. Ricerche storiche”, 2006, 3, pp. 300-302. 

[8]  K. Pomian, Collezionisti, amatori e curiosi. Parigi - Venezia xvi-xviii secolo, Il Saggiatore, Milano 2007, pp. 54-55. 

[9]  C. De Benedictis, Per la storia del collezionismo italiano, Ponte alle Grazie, Firenze 1991, p. 135. 

[10] Ibid., p. 124. In ambito palermitano si ricordano alcune donazioni che portarono all’istituzione di una pubblica galleria accorpata alla Regia Università degli Studi,  quale quelle del principe di Belmonte ma anche il legato testamentario autografo di Enrico Pirajno barone di Mandralisca, datato 26 ottobre 1853, in cui annunciava la volontà di costituire un «Liceo coi suoi Gabinetti e Biblioteca» nei locali del proprio palazzo. V. Abbate, Per Mandralisca collezionista e studioso, in Giovanni Antonio Sogliani (1492-1544), a cura di V. Abbate, Silvana Editoriale, Cinisello Balsamo 2009, pp. 15-16.

[11] C. La Farina, Intorno le Belle Arti, e gli artisti fioriti in varie epoche in Messina. Ricerche di C. La Farina ordinate in più lettere, parte I, Stamperia Fiumara, Messina 1835, p. 84: «…descrivere le antichità della nostra Messina, mostrare le reliquie ed additare i mezzi come conservarle […] molto si è perduto per incuria del tempo e degli uomini […] e quei pochi [monumenti] che ci rimangono forse anche essi si perderanno coll’andare degli anni, se una giusta provvidenza non darà riparo a questo sconcerto». Cfr. M.P. Pavone, Aggiunte alla storiografia artistica…, p. 100. 

[12]   Cfr. C. La Farina, Su di un antico sarcofago nella chiesa de’ PP. Conventuali di Messina. Pochi cenni del Dottore in ambe le leggi Carmelo La Farina, Professore di Matematica nella R. Accademia Carolina de’ Pubblici Studj, Prefetto del pub. Museo Peloritano ec. Socio corrispondente dell’Accademia del buon gusto, ed attual Promotore in quella de’ Pericolanti, ov’è detto l’Accertato, Antonino d’Amico Arena, Messina 1822, p. 26: «…le antiche iscrizioni, e le medaglie, [...] sono i principali, ed i più irrefrenabili documenti da tramandare alla posterità la storia civile, e religiosa dei popoli». 

[13]   Storiografo e sacerdote, Francesco Susinno (1660/1670 - 1739 circa) fu anche pittore. I molti viaggi di studio, prima a Napoli e poi nel 1700 a Roma, dove conobbe Carlo Maratta, sono evidenti nei frequenti richiami ad opere viste a Messina e provincia, a Catania, a Palermo, a Siracusa e nella vicina Calabria. La sua opera manoscritta Le Vite dei Pittori Messinesi, completata nel 1724, è stata edita nel 1960, a cura di Valentino Martinelli; in essa Susinno dimostra capacità critica e attributiva davvero inusuali per la sua epoca, e grande attenzione alle nuove istanze storiografiche. Cfr. F. Susinno, Le Vite de’ Pittori Messinesi, (Messina 1724), a cura di V. Martinelli, Le Monnier, Firenze 1960. 

[14]   Antonino Mongitore (Palermo, 1663 - 1743), canonico del capitolo della Cattedrale di Palermo, consultore e qualificatore del Sant’Uffizio, ebbe una prolifica produzione letteraria principalmente orientata ad argomenti riguardanti l’ambito siciliano in genere, con un’attenzione particolare alle attività delle numerose accademie dell’epoca. La sua opera Memorie dei pittori, scultori, architetti e artefici in cera siciliani (1740 ca., ed. a cura di E. Natoli, Palermo 1977) fu la principale fonte per il Villabianca (G.M. Emmanuele e Gaetani di Villabianca, Le divine arti della pittura e della scultura, a cura di D. Malignaggi, Giada, Palermo 1988) e per Gaspare Palermo (G. Palermo, Guida istruttiva per potersi conoscere con facilità tanto dal siciliano, che dal forestiere tutte le magnificenze e gli oggetti degni di osservazione della città di Palermo capitale di questa parte dei R. Dominj, Reale Stamperia, Palermo 1816). Alla morte venne sepolto nella chiesa di San Domenico a Palermo.

[15]   Gaetano Grano (Messina, 21 novembre 1754 - Messina, 13 marzo 1828), laureato in medicina, fu precettore di retorica nella Reale Accademia Carolina, presso cui esercitò la carica di bibliotecario dal 1780 al 1828, anno della morte. Nel 1806 figura tra i fondatori del Museo Civico Peloritano. Membro di numerose accademie, tra le quali quella degli Zelanti ad Acireale, fu ripetutamente eletto Presidente dell’Accademia Peloritana dei Pericolanti. Tra le numerose cariche che ricoprì, quella di Priore di S. Maria della Latina nel 1786, quella di Giudice ecclesiastico della Regia Udienza nel 1789 e quella di Giudice delegato della Regia Monarchia in Messina nel 1791. Nel 1814 venne accettato quale membro della commissione per la compilazione dei codici del Regno delle Due Sicilie. Fu infine Giudice Interno del Regio Tribunale di Monarchia in Sicilia nel 1817 e, nello stesso anno, Abate-Regio Priore di S. Andrea di Piazza. Infine, fu Vescovo in Partibus della Santissima Basilica di Terra Santa, Consigliere del Re delle Due Sicilie Ferdinando IV di Borbone. Nel 1821 rifiutò la carica di Luogotenente Generale in Sicilia. Quale corrispondente di Scinà, Landolina e Gregorio, collaborò con J.P. Hackert alla redazione delle Memorie de’ Pittori Messinesi edito a Messina nel 1792. Nel 1797 contribuì alla realizzazione dei Viaggi alle due Sicilie e in alcune parti dell’Appennino dell’abate Spallanzani e nel 1841 pubblicò la Guida alla Città di Messina.

[16]   Jakob Philipp Hackert (Prenzlau, 15 settembre 1737 - San Pietro di Careggi, 28 aprile 1807), artista tedesco, lavorò molto in Italia. Si stabilì a Roma nel 1768 e fu pittore di corte per il re di Napoli. Nel 1792 pubblicò le Memorie de’ Pittori Messinesi, redatto con il notevole apporto di Gaetano Grano che non aveva voluto comparire come autore. Si veda: Memorie de’ Pittori Messinesi di J.F. Hackert e G. Grano, con introduzione note e appendice bibliografica di S. Bottari, in “ASM”, XXVIII-XXXV, n.s., 1934, pp. 1-53.

[17]   Matteo Sebastiano Palermo Tirrito (San Biagio Platani, 18 gennaio 1717 - Palermo, 9 agosto 1801) fu frate cappuccino, pittore di buon livello e letterato; nell’ambiente agrigentino e palermitano ebbe la sua prima formazione, che completò con diversi viaggi a Roma dove fu anche alle dirette dipendenze del papa, che gli commissionò alcuni affreschi. Membro dell’Accademia dell’Arcadia in Roma, dell’Accademia del Buon Gusto a Palermo e dell’Accademia degli Ereini pure a Palermo, frequentò quella rinomatissima di S. Luca presso la cui Scuola del Nudo ebbe occasione di studiare con Sebastiano Conca e Marco Benefial. Fu autore di molteplici componimenti, sebbene in questa sede prema ricordare principalmente i Dialoghi familiari sopra la pittura difesa ed esaltata dal P. Fedele da S. Biagio pittore cappuccino col Sig. Avvocato D. Pio Onorato palermitano alla presenza de’ suoi Allievi nella Bell’Arte, disposti in quindici giornate (Palermo 1788, ed. cons. a cura e con introduzione di D. Malignaggi, Regione siciliana, Assessorato dei beni culturali e ambientali e della pubblica istruzione, Dipartimento dei beni culturali ed ambientali ed educazione permanente, Palermo 2002) in cui affronta, con evidente intento didascalico ma non senza una moderna apertura, la ricostruzione del percorso artistico degli artefici, siciliani e non, che maggiormente contribuirono alla formazione della cultura figurativa della Sicilia, tentando una sintesi di concetti generali e nozioni particolari della coeva teoria sull’arte. R. Cinà, Conoscitori nella Sicilia del Settecento. Padre Fedele da San Biagio, in La critica d’arte in Sicilia nell’Ottocento, a cura di S. La Barbera, Flaccovio, Palermo 2003, pp. 84-86.

[18]   S. La Barbera, Giuseppe Maria Di Ferro teorico e storico dell’arte, in Miscellanea Pepoli. Ricerche sulla cultura artistica a Trapani e nel suo territorio, a cura di V. Abbate, Museo regionale Pepoli, Trapani 1997, pp. 147-166. 

[19] I dibattiti in merito alla sistemazione del neonato museo impegnarono i nomi più illustri dell’élite culturale messinese anche in anni successivi. Si veda ad esempio: G. La Corte Cailler, Sistemazione della Pinacoteca, in “ASM”, a. II, ff. 1-2, 1901-1902, p. 134; Id., Museo Civico, ivi, a. II, ff. 3-4, 1901-1902, pp. 153-155; G. Oliva, Museo Civico, ivi, a. IV, ff. 1-2, 1903, pp. 230-232; Id., Pel riordinamento del Museo, ivi, a. VIII, ff. 1-2, 1907, pp. 147-148; S.A., Per Istituzione di un Museo Nazionale e di un Ufficio dei Monumenti a Messina, ivi, a. XVIII, f. unico, 1917, pp. 135-137.

 

[20] Per la figura di Gregorio Cianciolo, il cui nome è ricordato sull’iscrizione marmorea apposta sulla porta del neonato museo Civico, si vedano: G. Grosso Cacopardo, Biografia del P. D. Gregorio Cianciolo, in “Il Maurolico, Giornale di Scienze, Lettere e Arti”, a. II, vol. 3, n. 7, settembre 1838; G. Coglitore, Storia monumentale-artistica di Messina, Tipografia del Commercio, Messina 1864.

[21] Tra le prime eterogenee collezioni che andarono a costituire il nucleo iniziale delle raccolte del Museo Civico Peloritano ci si avvalse di quelle di Tommaso Alojsio Juvara, Giuseppe Arenaprimo, Gregorio Cianciolo, Giuseppe Grosso-Cacopardo e Giuseppe Carmisino. Facevano parte delle collezioni molti dipinti di scuola messinese, «marmi delle epoche greche, romane e saracene» ma anche oggetti di storia naturale, armi e armature da guerra risalenti alle epoche più svariate. G. Oliva, Memorie storiche e letterarie…, a.a. CLXXXVII-XLXXXVIII, vol. XXVII, Messina 1916, p. 169; cfr. G. La Farina, Messina e i suoi monumenti, Stamperia di G. Fiumara, Messina 1840: «[nel Museo Civico] si trovava una ragguardevole galleria di quadri […] il ricco Presepe di Polidoro di Caravaggio, quadro ricco di figure, e di stupenda composizione; la strage degli Innocenti, ardito lavoro del Rodriguez; la vedova di Naim, sterminato quadro del Menniti; un S. Diego di Gio. Paolo Funduli cremonese; la trasfigurazione di Gesù Cristo di Antonio Catalano; il martirio di S. Placido del Vanoubracken; Giacobbe al pozzo, Saulle e Davidde, Ester, Giacobbe e i suoi figliuoli, Assalonne, Davidde e l’Amalechita, composizioni a mezza figura dello Scilla, ed altri non pochi, per lo più della rinomata scuola messinese»; S. La Farina, Sul Museo Peloritano, Tip. del Commercio, Messina 1860; G. La Corte Cailler, Il Museo Civico di Messina, ms. 1901, ed. a cura di N. Falcone, Pungitopo, Marina di Patti 1981. 

[22]   F. Campagna Cicala, Dal collezionismo privato alle pubbliche raccolte. Recenti acquisizioni del Museo regionale di Messina, in Acquisizioni e documenti sul patrimonio storico-artistico del Museo regionale di Messina, a cura di G. Barbera, “Quaderni dell’attività didattica del Museo Regionale di Messina”, 9, La Grafica Editoriale - Edizioni Di Nicolò, Messina 1999, p.13. 

[23] La Farina ottenne la carica di Prefetto del Museo dal 1813 e per questo incarico gli venne anche attribuito un vitalizio, come sappiamo dalla lettera che scrisse al suo corrispondente Agostino Gallo per essere agevolato in alcune lungaggini burocratiche, legate ai mancati pagamenti. Nella lettera datata 8 maggio 1823 Carmelo La Farina lamenta al suo corrispondente palermitano la lentezza del procedimento di nomina a Prefetto e i molti impedimenti per la consegna delle iniziali 24 onze – poi aumentate a 30 nel 1821 – che avrebbe dovuto ricevere come corrispettivo. Preme perché Gallo si adoperi in suo favore riguardo al ricorso avanzato al Luogotenente Generale di Napoli. Cfr. ms. sec. XIX ai segni Qq 10 110, della Biblioteca Comunale di Palermo; Stato discusso per l’esercizio dell’anno 1822 (Da aver vigore anche pel 1823), opera a stampa conservata presso la Biblioteca del Museo Regionale di Messina. Cfr. anche G. Molonia, Premessa, in C. La Farina, Intorno alle Belle Arti…, 2004, pp. 11-12. 

[24]   Nell’articolo intitolato Congettura del prof. C. La Farina sul sito dell’antico Nauloco (estratto dal “Il Faro che siegue lo Spettatore Zancleo. Giornale di Scienze Lettere e Arti”, a. IV, vol. I, f. 3, Marzo 1836, p. 165-168, nota 2) riguardo al ritrovamento in contrada Bagni, nei pressi dell’attuale Spadafora (Me) di antichi resti murari, di vasche, e di un «vaso di grossa argilla» contenente 200 monete di bronzo coniate dalla zecca di Roma in un arco di tempo che va dall’81 d.C. al 175 d.C. per gli imperatori Domiziano, Nerva, Traiano, Adriano, Antonino Pio e Faustina “minore” moglie di Marco Aurelio, La Farina scrive: «Non poche di queste medaglie furono da me acquistate, ed altre vennero in potere al culto e diligente Grosso Cacopardo».

 

[25] In merito al dipinto raffigurante la Madonna in trono col Bambino tra due Santi di Battista Dalliotta, La Farina scrive: «[…] la quale pittura esistea (nell’anno 1821) nella chiesa di S. Giorgio, nel villaggio di Briga. Al qual villaggio che sta a undeci miglia dalla città io mi recai nel 1832; e chiesi di presente ivi giunto di quel quadro: che vidi in miseranda condizione e tramestato colla polvere e quasi vile oggetto calcato. Me ne venne dolore: che veder così volti in bassi gli egregi dipinti, o quei che servono a fermare, o rischiarare le nostre memorie, non può che con generoso fremito patirsi. E quindi curai, come meglio potei, farne acquisto. E nella quadreria diedi non indecoroso loco a quella pittura». Cfr. C. La Farina, Lettera VII. Si adducono…, 1835, pp. 101-102. Gioacchino Di Marzo è tra i primi studiosi ad accogliere questa attribuzione, cfr. Delle Belle arti in Sicilia dal sorgere del secolo XV alla fine del XVI, vol.  iii, libro  vii, Palermo 1862, p. 301.

[26] Cfr. G. La Corte Cailler, Museo Civico, in “ASM”, 1902, II, 3-4, pp. 153-155; Id., Per riordinamento del Museo, in “ASM”, 1907, VIII, 1-2, pp. 147-148; Id., Per l’istituzione di un Museo Nazionale e di un Ufficio dei Monumenti a Messina, in “ASM”, 1917, XVIII, , pp. 153-155; F. Campagna Cicala, Dal collezionismo…, p. 13. Per la costituzione di Musei Pubblici e Gallerie e l’acquisizione di opere e strutture sia tramite donazioni volontarie sulla base di modelli «evergetici» che tramite sequestri da parte delle istituzioni, si veda K. Pomian, Collezionisti, amatori…, pp. 352-354. Sui problemi e le scelte effettuate dal nuovo stato nazionale in relazione al patrimonio artistico acquisito con la soppressione delle Corporazioni religiose cfr. P. Picardi, Il patrimonio artistico romano delle corporazioni religiose soppresse, protagonisti e comprimari (1870-1885), De Luca Editori D’Arte, Roma 2008.

[27]   Miscellanea in due volumi di manoscritti relativi a trattazioni e discorsi declamati dai soci dell’Accademia Peloritana dei Pericolanti, raccolte tra il 1737 e il 1803 e il 1803 e il 1808, ai segni Ms. 32. 2 della Biblioteca Regionale del Museo di Messina.

[28]   C. La Farina, Messina. Biografia di Tommaso Aloisio, in “Giornale di Scienze, Lettere ed Arti”, t. 42, n. 53, f. 125,1833, pp. 197-200.

[29]   M.P. Pavone, Aggiunte alla storiografia…, pp. 77-101.  

[30]   Tra i molti artisti, lo scultore Giuseppe Arifò, l’incisore Tommaso Alojsio Juvara, il pittore Michele Panebianco, ma anche gli scienziati Carmelo Pugliatti e Natale Catanoso.  

[31]   C. La Farina, Belle arti, in “Lo Spettatore Zancleo”, III, n. 32, 1835, pp. 254-255; Id., Belle Arti, in “Lo Spettatore Zancleo”, III, n. 33, 7 ottobre 1835, pp. 263-264.

[32]   Si veda ad esempio, su Giuseppe Arifò, pensionato messinese a Roma per studiare scultura presso lo studio di Pietro Tenerani: ibid.  

[33]   Fu dietro pressioni di Carmelo La Farina che il Senato messinese assegnò al Tenerani la commissione per il monumento bronzeo a Ferdinando II di Borbone che fu eseguito a Monaco di Baviera nel 1839 e che venne fuso durante i moti insurrezionali del 1848. Per Tenerani (Torano (Rt), 1789 - Roma 1869) e le vicende relative alla realizzazione del monumento a Ferdinando di Borbone si veda O. Raggi, della vita e delle opere di Pietro Tenerani, del suo tempo e della sua scuola nella scuola, Firenze 1880; S. Susinno, Premesse romane alla scultura purista dell’Ottocento messinese, in La scultura a Messina nell’Ottocento, catalogo della mostra a cura di L. Paladino, (21 agosto - 31 ottobre 1997), Assessorato regionale dei Beni Culturali, ambientali e della Pubblica Istruzione, Messina 1997, p. 51;  S. Grandesso, Pietro Tenerani (1789-1869), Silvana, Cinisello Balsamo 2003.

[34]   F.P. Campione, La nascita dell’estetica in Sicilia, in “Aestethica Preprint”, 76, aprile 2006, pp. 27-48.

[35]   Per la figura di La Farina e un utile spaccato sull’entourage culturale in cui gravitava, si veda F. Bisazza, Della presente civiltà messinese. Lettera di Felice Bisazza al suo degno amico Gaetano Grano, in “Lo Spettatore Zancleo”, II, n. 44, 31 dicembre 1834, pp. 340-350. La Farina è citato insieme a Giuseppe Grosso Cacopardo «per l’amore per le patrie cose». Cfr. G. Molonia, Premessa, in C. La Farina, Intorno alle Belle Arti…, 2004, p. 17.

[36] Per l’apertura italiana verso la cultura europea e tedesca sulla stampa periodica sulla scorta degli scritti di Madame Amia Luisa de Staël-Holstein, che, come è ben noto, diede l’avvio della discussione fra classicisti e romantici con la pubblicazione nel gennaio 1816 dell’articolo intitolato Sulla maniera e l’utilità delle traduzioni sul periodico «La Biblioteca italiana», cfr. C. Carmassi, La letteratura tedesca nei periodici italiani del primo Ottocento (1800-1847), Jacques e i suoi quaderni editore, Pisa 1984. A Messina un acceso dibattito si ebbe a seguito della pubblicazione dell’articolo dei fratelli Antonino e Vincenzo Linares Un colpo d’occhio sulla letteratura siciliana nel 1835 tra le pagine del palermitano “Il Vapore. Giornale istruttivo e dilettevole accompagnato dal figurino di moda” (1836, a. III, t. III, n. 19, pp. 249-251), diretto dagli stessi Linares. Lo scritto non dava sufficiente risalto al ruolo dei letterati messinesi nella vicenda culturale del tempo; riferendosi all’attività giornalistica dello “Spettatore Zancleo”, il compilatore asseriva che «se la passava a far riviste, a dare e soffrire ingiurie», che il “Maurolico” «appariva come il sole di febbraio»; riguardo a “L’amico delle donne”: «un nuovo giornale usciva con l’anno 1835 in Messina tutto croci, tutto sepolcri, tutto romantico, e moriva in sul nascere»; per “L’Innominato”: «un secondo ne appariva e con qual nome? Voi chiederete, non so io, non sa lui, non ebbe battesimo». La polemica, iniziata dai compilatori dello “Spettatore Zancleo” (1836, a. V, nn. 4, 5, 17) e fomentata successivamente sulla “Trinacria” (1836, n. 17) con accuse di parzialità che nascondevano in un malcelato campanilismo, ragioni politiche, raggiunse il suo apice con attacchi personali ai redattori del “Vapore” – che ribatterono (1836, vol. III, n. 24, pp. 193-194) a loro volta sostenuti dai redattori palermitani de “Il Telegrafo” (1836, n. 48), della “Cerere, giornale officiale di Sicilia” (1836, nn. 19, 148, 184 e 189), dell’“Imparziale” (1836, nn. 39, 42 e 47) – causando la sospensione da parte delle autorità dello “Spettatore Zancleo”. Le offensive si acuirono ulteriormente tra le pagine de “Il Faro” (1836, n. 7), al punto da giungere ad una sfida a duello tra due redattori delle testate, impedita in extremis dal duca di Cumia, direttore generale della polizia siciliana. Alcune firme messinesi comparse in questa controversia andarono a formare il nucleo costitutivo della seconda edizione del “Maurolico”, col sostegno del “Gabinetto Letterario”, stampata, ancora una volta, dai torchi di Tommaso Capra nel 1841. Cfr. G. Arenaprimo, La stampa periodica in Messina dal 1675 al 1860. Saggio storico e bibliografico, in “Atti della R. Accademia Peloritana”, VIII, 1892-1893, p. 89; G. Oliva, Annali della città di Messina…, 1893, pp. 271-272, 290-291; Una lezione ai Signori fratelli Linares, compilatori del «Vapore», Malta, Nuova tip. Italiana, 1836, 4° (irreperibile già ai tempi di Oliva che lo precisa in Annali…, pp. 271-272); A. e V. Linares, Alla gioventù messinese i fratelli Linares sulla lezione pubblicata colla data apocrifa di Malta in risposta all’articolo di polemica del «Vapore», diretto ai compilatori del «Faro», Palermo, Lao, 1836, 4°; G. Pitrè, ad vocem Felice Bisazza, in Nuovi profili biografici contemporanei italiani, Palermo 1868, p. 191; N.D. Evola, Polemiche giornalistiche e albori di italianità in Sicilia, estratto da “La Sicilia nel risorgimento italiano”, a. III, f. I, pp. 3-18; M.I. Palazzolo, Intellettuali e giornalismo nella Sicilia preunitaria, Società di Storia patria per la Sicilia Orientale, Catania 1975; S. La Barbera, Linee e temi della stampa periodica palermitana dell’Ottocento, in Percorsi di critica. Un archivio per le riviste d’arte in Italia dell’Ottocento e del Novecento, a cura di R. Cioffi, A. Rovetta, Vita e Pensiero, Milano 2007, pp. 87-121. 

[37]   Tra i primi periodici che diffusero le idee romantiche, il già citato la “Biblioteca italiana. Giornale di Letteratura Scienze ed Arti” (Milano 1816-1859), l’“Antologia. Giornale di Scienze, Lettere e Arti” (Firenze 1821-1832), quasi a continuazione del “Conciliatore”, del “Giornale Euganeo” e del “Gondoliere” in Veneto, il “Progresso delle scienze, delle lettere e delle arti” (1832-1834) e “Il Vesuvio” (1835) a Napoli. Cfr. Storia letteraria d’Italia, a cura di A. Balduino, L’Ottocento, a cura di A. Balduino, tomo 2, ed. cons. Piccin nuova libraria, Padova 1990, p. 879. F. Bernabei, C. Marin, Critica d’arte nelle riviste lombardo-venete. 1820-1860, Canova Edizioni, Treviso 2007; D. Levi, Cavalcaselle. Il pioniere della conservazione dell’arte italiana, Giulio Einaudi Editore, Torino 1988, Ead., Storiografia artistica e politica di tutela: due memorie di G.B. Cavalcaselle sulla conservazione dei monumenti (1862), in Gioacchino Di Marzo e la Critica d’Arte nell’Ottocento in Italia, atti del convegno (Palermo 15-17 aprile 2003), a cura di S. La Barbera, Officine Tipografiche Ajello e Provenzano, Bagheria 2004, pp. 53-76 ; A.C. Tomasi, Giovanni Battista Cavalcaselle conoscitore e conservatore, Marsilio Editore, Venezia 1998. In ambito isolano va evidenziata la fitta rete di rapporti con gli intellettuali del continente, che avveniva tramite una serrata corrispondenza, con lo scambio e la collaborazione tra testate, ove non mancarono vivaci dibattiti e polemiche e la circolazione della produzione letteraria. Tra i periodici siciliani, il “Giornale di Scienze, Lettere e Arti per la Sicilia”, pubblicato a Palermo da 1823, diretto dall’abate Giuseppe Bertini fino al 1833 quando vi subentrò Vincenzo Mortillaro di Villarena. Fu a causa delle tendenze indipendentiste del Mortillaro che la pubblicazione fu soppressa nel ’42 per poi riprendere nel ’48 col titolo di “Giornale di Scienze Lettere ed Arti per la Sicilia. Nuova Serie”, di cui furono editi solo quattro fascicoli; “Il Mercurio siculo” (1818; 1823-1831); “La Cerere, giornale officiale di Sicilia” (1823-1847); “Lo Stesicoro, Giornale catanese” che comincia le sue pubblicazioni il primo aprile del 1835 durante la provvisoria sospensione del “Giornale del gabinetto letterario dell’Accademia Gioenia” (1834, 1839-43, 1850-51) e prosegue la stampa fino al luglio del 1836; “La Specola”, che cessa la sua attività, dopo un solo anno di pubblicazioni, iniziate il primo febbraio del 1840 e terminate il 15 giugno del 1841; i messinesi il “Maurolico”, pubblicato dal 5 ottobre 1833 all’aprile del 1840, lo “Spettatore Zancleo” (Messina 1831-1836, 1839-1847) e il “Faro” (Messina 1836-1839). Cfr. N. D. Evola, Polemiche giornalistiche e albori di italianità in Sicilia, estratto da “La Sicilia nel risorgimento italiano”, a. III, f. I, gennaio-giugno 1933, pp. 3-18; M.I. Palazzolo, Intellettuali e giornalismo nella Sicilia preunitaria, Società di Storia patria per la Sicilia Orientale, Catania 1975; Percorsi di critica…, 2007, e in part. i saggi di C. Bajamonte, F.P. Campione, S. La Barbera. Per la figura di G. Bertini si veda ad vocem Bertini Giuseppe, in Dizionario Biografico degli Italiani (da questo momento D.B.I.), vol. IX, Roma 1967, pp. 546-547; ad vocem in Enciclopedia della Sicilia, a cura di C. Napoleone, Ricci, Parma 2006, p. 162.  

[38]   K.F. von Rumohr, Italienische Forschumgen, 3 voll., Berlin-Stettin 1827-1831, Schlosser, Frankfurt am Main 1920; A. Thiers, Salon de 1822 et collection des artiche insérés an Constitutionnel, sur L’Exposition de cette année, Maradan, Paris 1833; Id., Salon de 1824, in “Le Constitutionell”, 30 agosto 1824, pp. 3-4; J.D. Passavant, Rafael von Urbino und sein Vater Giovanni Santi, Brockhaus, Leipzig 1839-1858; E.J. Delécluze,  Louis David, son école et son temps, Didier Libraire-editeur, Paris, 1855; G.B. Cavalcaselle – J.A. Crowe, The early flemish painters. Notices of their lives and works, J. Murray, London 1857 (ed. it. Storia dell’antica pittura fiamminga, Le Monnier, Firenze 1899); Id., A history of Painting in North Italy: Venice, Padua, Vicenza, Verona, Ferrara, Milan, Friuli, Brescia, from the fourtheenth to sixteenth century, 2 voll, J. Murray, London 1871; Id., Storia della pittura in Italia dal secolo ii al secolo xvi, Le Monnier, Firenze 1886-1908 (ed. it. A cura di A. Mazza, voll xi, Le Monnier, Firenze 1908); G. Morelli  (I. Liermolieff), Kunstkritische Studien uber italienische Malerei: Die Galerien Borghese und Doria Pamphli in Rom, F. A. Brockhaus, Leipzig 1890, (ed. it. Della pittura italiana: le gallerie Borghese e Doria Pamphili in Roma, studii storico critici, Treves, Milano 1897); Id., Die Galerien zu München und Dresden, F. A. Brockhaus, Leipzig 1891; Id., Die Galerie zu Berlin, F. A. Brockhaus, Leipzig 1893; Giovanni Morelli e la cultura dei conoscitori, Atti del Convegno Internazionale (Bergamo 4-7 giugno 1987) a cura di G. Agosti, M. E. Manca, M. Panzeri, con il coordinamento scientifico di M. Dalai Emiliani, 3 voll. Pierluigi Lubrina Editore, Bergamo 1993.

[39]   A.C. Quatremère de Quincy, Essai sur la nature, le but et les moyens de l’imitation dans les beaux arts. Par m. Quatremère de Quincy, Jules Didot, Paris 1823, motiva l’arte proprio in quanto apparenza, l’imitazione in quanto atto creativo ‘altro’, preparando la giustificazione del Romanticismo. Cfr. R. Schneider, L’esthétique classique chez Quatremére de Quincy, Hachette, Paris 1910; P.H. Valenciennes, Eléments de perspective pratique à l’usage des artistes suives de réflexion et de conseils à un élève sur la peinture et particulièrment sûr le genre de paysage, Desenne, Duprat, Paris 1800; L. Venturi, Storia della critica d’arte, Einaudi, Torino 1964, p. 251; L. Gallo, “Sentimento del colore” e “Colore del sentimento”: la riscoperta di Pierre-Henri de Valenciennes nell’opera di Lionello Venturi, in Lionello Venturi e i nuovi orizzonti di ricerca della storia dell’arte, Atti del convegno internazionale di studi (Roma 10-11-12 marzo 1999, Accademia Nazionale dei Lincei, Università “La Sapienza”, Facoltà di Lettere e Filosofia, Istituto di Storia dell’arte Università “La Sapienza”, Museo Laboratorio di Arte Contemporanea), a cura di S. Valeri, in “Storia dell’Arte” n. 101 (n.s. 1) Nuova Serie - Gennaio-Aprile 2002, Anno XXXIII, diretta da M. Calvesi e O. Ferrari, CAM Editrice, Roma 2002, pp. 118-129.

[40]    M.P. Pavone, Storiografia artistica, in Mostra sulla cultura e le ipotesi di ricostruzione della Messina del terremoto. La trama culturale, a cura di F. Campagna Cicala, G. Campo, (Messina 18 febbraio - 18 marzo 1989), Assessorato regionale dei beni culturali ambientali e della p.i. (Palermo), Amministrazione provinciale, Amministrazione comunale, Facoltà di scienze politiche, Messina 1989, pp. 40-43.

[41]    P. Fedele da San Biagio, Dialoghi sopra la pittura….

[42]   M.P. Pavone, Storiografia artistica a Messina nell’Ottocento: Carmelo La Farina, Giuseppe Grosso Cacopardo, Carlo Falconieri e Giuseppe La Farina, in “ASM”, 52, 1988, pp. 23-60 e in part. 23- 24; G. Molonia, Arte cultura e società a Messina nell’Ottocento, in La scultura a Messina…, 1998.

[43]    M.P. Pavone, Aggiunte alla storiografia…, 2002, p. 78.

[44]    F. Bisazza, Del Romanticismo, Memoria letta da Felice Bisazza nella ordinaria ragunata del 27 settembre 1832 della Classe di Belle Arti della Regia Accademia Peloritana, Pappalardo, Messina 1833 (poi in F. Bisazza, Opere…, vol. III). Cfr. anche G. Oliva, Memorie storiche e letterarie…, a.a. CLXXXVII-XLXXXVIII, vol. XXVII, Messina 1916, pp. 208-210.

[45]   Felice Bisazza (Messina, 1809-1867), poeta, traduttore e teorico della poesia romantica, collabora a molti periodici, specie messinesi: “L’Osservatore Peloritano”, “Il Maurolico”, “Lo Spettatore Zancleo”, “L’Innominato”, “Il Faro”, “La Sentinella del Peloro”, “Il Nuovo Faro”, “La Rivista Periodica”, “L’Amico delle Donne”, “La Trinacria”, “Aristocle”, “Il Giornale del Gabinetto Letterario”, “La Farfalletta”, “Scilla e Cariddi”, “La Lanterna”, “Empedocle”, “La Lucciola”, “Il Tremacoldo”, “Il Caduceo”, “L’Eco Peloritano”, “L’Estro”, “L’Interprete”, “Gazzetta di Messina”, “La Parola Cattolica”, “Il Dicearco”, “Il Veridico”. Per Bisazza cfr. ad vocem in Enciclopedia della Sicilia…, p. 167; S. Ribera, Biografia di Felice Bisazza, in F. Bisazza, Opere di Felice Bisazza da Messina pubblicate per cura del Municipio, 3 voll., Tipografia Ribera, Messina 1874; M. Tosti, Felice Bisazza e il movimento intellettuale in Messina nella prima metà del XIX secolo, Prem. Off. Graf. La Sicilia, Messina 1921; I. Stellino, Felice Bisazza, in La cultura estetica in Sicilia fra Ottocento e Novecento, a cura di L. Russo, “Annali della Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università degli Studi di Palermo – Studi e Ricerche”, 18, 1990, pp. 13-29; S. Correnti, La cultura siciliana agli albori del XIX secolo, in “Studi e ricerche di Sicilia”, CEDAM, Padova 1963, pp. 65-110.

[46]    F.P. Campione, La nascita dell’estetica…, p. 60.

[47]  Tra i protagonisti dei moti risorgimentali che si occuparono di Belle Arti, risaltano i nomi, oltre che di Carmelo La Farina, anche dei più accesi difensori del pensiero romantico in Sicilia, quali il figlio di quest’ultimo, Giuseppe, di Felice Bisazza, Francesco Paolo Perez, Lionardo Vigo, Domenico Ventimiglia e Gaetano Daita.

[48]   Va notato, a tale proposito, la varietà di argomentazioni relative alla rivalutazione dell’architettura medievale, evidenziando come il fenomeno sia strettamente connesso al recupero delle tradizioni nazionali e in particolare alle istanze patriottico-risorgimentali. Cfr. F. Tomaselli, Il ritorno dei Normanni – Protagonisti ed interpreti del restauro dei monumenti a Palermo nella seconda metà dell’Ottocento, Officina, Roma 1994, p. 44; P. Palazzotto, Teoria e prassi dell’architettura neogotica a Palermo nella prima metà del XIX secolo, in Gioacchino Di Marzo…, pp. 225-237.

[49]    A tale proposito Pavone menziona l’articolo di Enrico De Sangro ne “Il Tremacoldo”, a. I, n. 28, 1856. Cfr. M.P. Pavone, Storiografia artistica a Messina nell’Ottocento: Carmelo La Farina, Giuseppe Grosso Cacopardo, Carlo Falconieri e Giuseppe La Farina, in “ASM”, 52, 1988, p. 28.

[50]    Per la bibliografia relativa si veda G. Molonia, La stampa periodica a Messina (1808-1863) – Dalla «Gazzetta Britannica» alla «Gazzetta di Messina», Di Nicolò, Messina 2004; cfr. anche La produzione bibliografica. Premessa all’esposizione bibliografica in Mostra sulla cultura…, pp. 44-53.

[51]    Per la bibliografia relativa cfr. M. Accascina, Profilo dell’architettura a Messina dal 1600 al 1800, Edizioni dell’Ateneo, Roma 1964, cap. VI e relative note, pp. 228-229; F. Basile, Lineamenti della storia artistica di Messina. La città dell’Ottocento, Edizioni Leonardo, Roma 1960, con esauriente bibliografia in nota.

[52]    V. Saccà, La Cattedra di Belle Arti nella Università di Messina, Tipografia D’Amico, Messina 1900, p. 96.

[53]   M.P. Pavone, Storiografia artistica in Mostra sulla cultura…, pp. 40-43.

[54]    Ibid.

[55]   Del 1829 una memoria archeologica in una lettera indirizzata a Giuseppe Bertini, Direttore del “Giornale di Scienze, Lettere e Arti per la Sicilia” intitolata Su una antica iscrizione scoperta in Messina e che oggidì si conserva nel Museo Peloritano. Lettera del Dott. Carmelo La Farina Prefetto dello stesso all’Ab. Giuseppe Bertini, in “Giornale di Scienze, Lettere e Arti per la Sicilia”, 1829, t. 25, f. 73, pp. 76-78 (estratto dal “Giornale Letterario di Sicilia”, n. LXXIII, Palermo MDCCCXXIX, ristampato con aggiunte nel 1832). Cfr. E. Braun, Archeologia. Scavi taorminesi, in “Il Faro che siegue lo Spettatore Zancleo. Giornale di Scienze Lettere e Arti”, a. IV, vol. I, 1836, pp. 251-253; G. La Farina, Messina e i suoi…, 1840, p. 75; G. Rizzo, Iscrizioni tauromenitane, in “ASM”, IV, 1903, ff. 1-2, p. 108.

[56]   C. La Farina, Sopra una scaturigine di acqua sulfurea in Messina ed analisi di essa acqua, in “Giornale di Scienze, Lettere e Arti per la Sicilia”, 1823, tomo 2, n. 53, fasc. 4, pp. 82-83.

[57]  I periodici siciliani dell’Ottocento. Periodici di Palermo, vol. I, a cura di P. Travagliante, C.u.e.c.m.,  Catania 1995, p. 24.

[58]    C. La Farina, Messina. Biografia di Tommaso…, pp. 197-200.

[59]    Id., Su di un antico sarcofago…, 1822.

[60]   Id., Sposizione di alcune lapidi sepolcrali rinvenute in Messina nel largo di S. Giovanni Gerosoliminitano di Carmelo La Farina, Segretario Generale della Reale Accademia de’ Pericolanti, Prefetto del Museo Peloritano e Corrispondente della Commissione di Antichità e Belle Arti, per A. D’Amico Arena, Messina 1832. Cfr. I. Bitto, Le iscrizioni greche e latine di Messina, vol. I, Di.Sc.A.M, Messina 2001, pp. 87-94, nn. 29-32.

[61]    Id., Sopra un anello segnatorio. Considerazioni, Stamperia G. Fiumara, Messina 1844.

[62]    Id., Rassegna critica. Antichità termitane. Esposte da Baldassarre Romano, Palermo un vol. in ­­8° di pag. 175 con 2 tavole, in “Sentinella del Peloro. Foglio Periodico”, a. I, 2° sem., n. 29, Messina 15 Aprile 1841, pp. 229-231.    

[63]   Edita per i tipi di Michelangelo Nobolo, la “Sentinella del Peloro. Foglio Periodico” con il motto “Avanti”, dal 1 ottobre 1839 al n. 30 del 30 aprile 1841. Sebbene fossero previste 36 uscite annue la pubblicazione fu molto irregolare: tra gennaio e luglio 1840 furono pubblicati solo 10 numeri. Tra il 1839 e il 1841 ospitò numerosi saggi di storia dell’arte di Giuseppe La Farina, tra i quali Messina e i suoi…, (1840) che fu gravemente censurato. Cfr. G. Molonia, La stampa periodica…, p. 116-117. 

[64]    I «monumenti di antichità del medioevo» per cui la Commissione di Antichità e Belle Arti «promuoverà e regolerà i ristauri; imprenderà e regolerà gli scavamenti di antichità di pubblica appartenenza», ponendoli per la prima volta sullo stesso piano di quelli «di archeologia», solo dopo il maggio 1863, quando l’allora Ministro per la pubblica Istruzione Michele Amari emanò un rivoluzionario regolamento specifico per la Sicilia per la tutela del patrimonio culturale che comprendeva anche l’introduzione di un moderno sistema di catalogazione degli oggetti d’arte. La Commissione provinciale di Messina fu istituita col Regio Decreto n. 2885 del 23 dicembre 1875. Si veda anche Regio decreto 3 maggio 1863 n. 772 che approva il regolamento della Commissione di Antichità e Belle Arti della Sicilia, Archivio Centrale dello Stato, Direzione Generale di Antichità e Belle Arti, Roma, I vers., b. 501; cfr. F. Tomaselli, Il ritorno dei Normanni…, pp. 57-58.

[65]    C. La Farina, Discorso Accademico…, sec. XIX, p. 449 [2002, pp. 100-101].

[66]    Tra le pagine dello “Spettatore Zancleo” Giuseppe La Farina esplicita in un articolo intitolato Il romanticismo dello spettatore, ciò che «intendiamo noi per romanticismo […] quel sistema che pone il bene per fine di ogni scienza ed arte, il bello per mezzo, l’inspirazione per principio […]. Il nostro romanticismo è quello che si addice ad un uomo che non degrada se stesso, è quel sistema che mira a perfezionamento, che tende a progresso, che (come li appella il compagno Silvio Pellico)[Silvio Pellico fu prigioniero nel carcere dello Spielberg insieme a Giorgio Guido Pallavicino Trivulzio, che fu presidente della Società nazionale italiana fondata da Giuseppe La Farina insieme a Daniele Manin. L’associazione si poneva come obiettivo l’unificazione e l’azione popolare, ribadendo il principio dell’indipendenza italiana, promuovendo la posizione moderata di Cavour a discapito dei metodi insurrezionali mazziniani; disponeva di un suo organo periodico: “Il Piccolo corriere d’Italia”] dominerà l’Europa, perché nasce dal presente stato di civiltà e non vi è forza umana che possa far gire retrogrado un popolo quando una forza morale a perfezionamento lo sospinge». G. La Farina, Il romanticismo dello spettatore, in “Spettatore Zancleo”, 1835, a. III, n. 10, pp. 75-76; P. Barocchi, Testimonianze e polemiche figurative in Italia, G. D’Anna, Messina, Firenze 1972, pp. 71 e ss.; Ead., Storia moderna dell’arte in Italia. Manifesti polemiche documenti.Dai neoclassici ai puristi 1780-1861, vol. I, Giulio Einaudi Editore, Torino 1998; S. Bordini, L’Ottocento 1815-1880, Carocci, Roma 2002, pp. 41-47; C. Savettieri, Dal Neoclassicismo al Romanticismo, Carocci, Roma 2006, pp. 132-153. Giuseppe La Farina, patriota, figlio di Carmelo, nacque a Messina nel 1815. Nel 1835 si laureò in giurisprudenza nell’Università di Catania. Partecipò attivamente al dibattito tra classicisti e romantici e curò tra le pagine de “Lo Spettatore Zancleo” le recensioni di opere letterarie, storiche, musicali, teatrali, i resoconti di avvenimenti artistici e culturali ed una rubrica fissa intitolata “Rassegna di giornali siciliani”. Partecipò al movimento insurrezionale antiborbonico del 1837, a seguito del quale fu costretto a lasciare Messina e a stabilirsi a Firenze. Nel marzo 1838 tornò a Messina, ma nel 1841 nuovamente accusato di cospirazione, fu costretto a tornare a Firenze dove rimase fino al febbraio del 1848. Tornato in Sicilia fu chiamato a far parte, come deputato messinese, del nuovo Parlamento di Palermo. Assunse il Ministero della Pubblica Istruzione e fece anche parte della missione diplomatica inviata in alcune capitali della penisola per raccogliere consensi verso il governo siciliano. Fu, per un anno, alla direzione del ministero della Guerra. Per cinque anni fu esule prima a Marsiglia, poi a Parigi e infine a Tours. Nel 1854 si trasferì a Torino. Dopo l’ingresso di Garibaldi a Palermo nel 1860, Cavour gli diede il delicato incarico di rappresentare in Sicilia il governo, dal quale fu cacciato. Nel 1861 fu eletto deputato e poi vice presidente della Camera. Morì a Torino il 5 settembre 1863. Le sue ceneri furono portate a Messina nel 1872 in occasione dell’inaugurazione del Gran Camposanto. Per G. La Farina si veda Giuseppe La Farina, Atti del convegno di Studi (Messina, 21-22 maggio 1987), a cura di P. Crupi, Pungitopo, Marina di Patti 1989.

[67]    «Mi conforta il riflettere non esser nuovo in Italia il pensiero di raccogliere ogni documento storico o notizia riguardante l’arte del disegno, […] sia di una città o provincia che, dell’intera nazione». Cfr. C. La Farina, Discorso Accademico…, 2002, p. 86, nota 16.

[68]    C. De Benedictis, Per la storia…, p. 133.

[69]    K. Pomian, Collezionisti, amatori…, pp. 47.

[70]   F. De Stefano, Storia della Sicilia dall’XI al XIX secolo, a cura di F.L. Oddo, Laterza, Bari 1977, p. 263.

[71]    F. Tomaselli, Il ritorno dei Normanni…, p. 45.

[72]   Nella seconda metà del secolo si avrà un’intensificazione delle operazioni volte alla tutela, ma anche al ripristino, degli edifici di epoca medioevale, molto trasformati da interventi seguiti al terremoto del 1783. Con Giuseppe Patricolo (Palermo, 1834-1905) alla guida dell’Ufficio Regionale per la Conservazione dei Monumenti dal 1884 si assistette a Messina al compimento di numerose campagne di restauro «con la stimolante prospettiva di poter finalmente porre a confronto l’architettura normanna palermitana con gli esempi più tardi della città peloritana». Tra gli esempi più pregnanti a Messina, si citano i restauri del Duomo ad opera di G. Patricolo. Cfr. G. La Monica, Giuseppe Patricolo restauratore, ILA Palma, Palermo 1985, di San Francesco, di Santa Maria degli Alemanni, di Santa Maria della Scala, dell’Annunziata dei Catalani. Cfr. M.A. Oteri, La cultura neomedievalista a Messina nell’Ottocento e i restauri della chiesa di S. Francesco d’Assisi, in Francescanesimo e Cultura nella provincia di Messina, atti del Convegno di studio (Messina 6-8 novembre 2008), Biblioteca francescana – Officina di studi medievali, Palermo 2009, p. 219 e pp. 213-224.

[73] Cfr. C. La Farina, Intorno le Belle Arti…, 1835 e in part. Lettera VI. Si purga di talune mende la biografia di Filippo Tancredi. Al chiaro e gentile Felice Bisazza, pp. 47-56; Lettera IX. Si stabilisce l’epoca della morte di Antonio Catalano, ed altra pittura si produce di Gaspare Camarda. Al chiarissimo Giuseppe Grosso Cacopardo pp. 72-74; Lettera XI. Si producono alcuni dipinti di G. Simone Comandè, del Van-Houbracken, del Bova, del Menniti. Al Chiarissimo Dr. Francesco Arrosto, pp. 81-83; Lettera XII. Si fissa l’anno del ritorno in patria del famoso dipintore Antonino Barbalonga da Messina. Al Valoroso Artista Tommaso Aloisio, pp. 84-90; Id., Lettera XIV. Si producono per la prima volta talune statue di Gio. Battista Mazzolo, scultore messinese, e si corregge un trascorso del Vasari nella vita del Frate Montorsoli. All’alacre ingegno di Giuseppe Arifò, in “Lo Spettatore Zancleo. Giornale Periodico”, a. III, n. 29, 29 luglio 1835, pp. 228-231; Id., Lettera XV. Si corregge da talune mende la biografia di Onofrio Gabriele, pittore da Messina. Al Chiarissimo Dr. Carlo Gemellaro Professore di Storia Naturale nella R. Università degli Studi in Catania, in “Il Faro che siegue lo Spettatore Zancleo. Giornale di Scienze Lettere ed Arti”, a. IV, vol. I, 1936, pp. 37-49; Id., Lettera XVI. Memorie del dipintor da Firenze Filippo Paladini. Al chiarissimo professore Salvatore Betti Segretario perpetuo dell’Accademia Pontificia di S. Luca, in “Il Faro. Giornale di Scienze, Lettere ed Arti”, a. IV, t. II, n. VIII,1836, pp. 65-77.

[74]   C. La Farina, Intorno le Belle Arti…, 1835, p. 64 e in part. Lettera VII. Si adducono…, pp. 57-65.

[75]   Ibid., e in part. Lettera IV. Di alcuni dipinti di Antonio Catalano finor sconosciuti, e di altri a lui non direttamente attribuiti. Al culto e gentile Giuseppe Grosso Cacopardo, pp. 37-42; Lettera V. Si aggiunge Francesco Laganà al novero dei pittori messinesi, e si annunciano altri dipinti di Andrea Quagliata. All’Onorando Ab. Placido Vasta, pp. 43-46; Id., Intorno le Belle Arti, e gli artisti fioriti in varie epoche in Messina. Ricerche di C. La Farina ordinate in più lettere, parte II, Messina 1835-1845 e in part. Lettera XIII. Si tiene parola del messinese dipintore Stefano Giordano, e della Cena del Signore dallo stesso condotta. Al Chiarissimo Dr. Anastasio Cocco, in “Lo Spettatore Zancleo. Giornale Periodico”, a. III, n. 24, 17 giugno 1835, pp. 190-191.

[76]   Pavone precisa che Carmelo La Farina manifesta una notevole soddisfazione in occasione dell’acquisto del manoscritto degli Annali del Gallo da parte dell’Accademia Peloritana. Cfr. M.P. Pavone, Aggiunte alla storiografia…, p. 86, nota 13.

[77]    G. Buonfiglio e Costanzo, Messina, Città Nobilissima descritta in viii libri, (Venezia1606), rist. anast., a cura di P. Bruno, G. B. M., Messina 1985.

[78]    P. Samperi, Iconologia della gloriosa Vergine Madre di Dio protettrice di Messina, Messina 1644. Cfr. la rist. anast. in 2 voll. con introduzioni di G. Lipari, E. Pispisa, G. Molonia, Intilla, Messina 1990 e Id., Messana S.P.Q.R. Rerumq. Decreto Nobilis Exemplaris et Regni Siciliae Caput Duodecim titulis illustrata. Opus posthumum r. p. Placidi Samperii Messanensis Societatis Jesu in duo volumina distributum…2 voll., typis Rev. Cam. Archiep. Placidi Grillo, Messina 1742.

[79]    C.D. Gallo, Annali della Città di Messina Capitale del Regno di Sicilia, vol. I, Messina 1756 (contiene l’Apparato agli Annali…), vol. II, 1758; vol. III, 1804; vol. IV 1875. Cfr. Annali della Città di Messina, Tipografia Filomena (poi Reale Accdemia peloritana, poi Società messinese di storia patria), Messina 1877-1882.

[80]    A differenza di Grosso Cacopardo, nella Lettera XIV. Si producono per la prima volta…, La Farina è critico nei confronti dello storiografo toscano, cui accusa un’imprecisione relativamente alla vita del Montorsoli, quando scrive «avendo trovato [i messinesi] un uomo secondo il gusto loro, diedero, finite le fonti, principio alla facciata del Duomo, tirandola alquanto innanzi». Lo studioso precisa che sull’architrave della porta a sud ovest è riportato l’anno di costruzione, 1518, e che il 1528 è indicato sull’architrave della porta laterale, ricordando che il Montorsoli giunse a Messina solo nel 1547; cfr. G. Vasari, Vite de’ più eccellenti pittori, scultori e architetti scritte da Giorgio Vasari pittore e architetto aretino illustrate con note di Mons. Giovanni Gaetano Bottari e P. Della Valle. Con la Vita dell’autore scritta da lui medesimo e l’introd. Alle tre arti del disegno, architettura, scultura e pittura, 16 voll., Societa tipografica de’ classici italiani, contrada di s. Margherita, no 1118, Milano 1807-1811, t. 13, p. 580. Dalle ricerche documentarie (Registri senatori del 1534 e 1535, vol. 28, fol. 42, cfr. C. La Farina, Intorno alle Belle Arti…, 2004, pp. 155-156, nota 9) La Farina desume inoltre che nel 1534 il Mazzolo realizzò tre delle quattordici statue marmoree per la porta maggiore del Duomo; in “Lo Spettatore Zancleo”, a. III, n. 29, Messina 29 luglio 1835, pp. 228-231. Cfr. anche F. Caglioti, Due opere di Giovambattista Mazzolo nel Museo regionale di Messina (ed una d’Antonello Freri a Montebello Jonico) in Aspetti della scultura a Messina dal XV al XX secolo, a cura di G. Barbera,  “Quaderni dell’attività didattica del Museo Regionale di Messina”, 13, 2003, pp. 37-60; S. Di Bella, Scultori ed opere da alcuni documenti d’archivio, ibid., pp. 155-164; S. La Barbera, La scultura della Maniera a Messina. Note di letteratura artistica, ibid., pp. 135-154; Ead., La scultura della Maniera nella letteratura artistica messinese, in AA.VV., Fontane d’acqua a Messina, Catalogo della mostra a cura di G. Barbera, Regione Siciliana, Assessorato Beni Culturali, Messina 2004, pp. 133-152. Confuta anche le imprecisioni riguardo alle note biografiche di Filippo Paladini, e in particolare Lanzi che riferendo quanto scrive Gregorio (Discorsi intorno alla Sicilia di Rosario di Gregorio abbate di S. Maria di Roccadia e Professore del diritto publico siciliano della R. Università di Palermo. Con discorsi inediti, Pedone e Muratori, Palermo, t. I, p. 210) gli attribuisce il San Giuseppe di Casteltermini, opera del trapanese Andrea Carreca, per il quale chiede un parere ad Agostino Gallo: «Mi occorre pregarvi per una nota delle dipinture così esistenti di F. Paladini, e s’è possibile con la indicazione degli anni della loro esecuzione, dovendomi valere in un articolo che vado a scrivere su quest’artista, di cui la biografia scritta dal Grosso contiene a mio avviso diverse lagune, ed inesattezze». Cfr. Lettera di Carmelo La Farina ad Agostino Gallo, 20 agosto 1835, ms. sec. XIX, QqG 10 110 della Biblioteca Comunale di Palermo. Cfr. Lettera XVI. Su Filippo Paladino, in “Il Faro. Giornale di Scienze, Lettere ed Arti”, a. IV t. II, n. VIIII, 1836, pp. 65-77. 

[81]   La Farina consultò l’opera di Lanzi nella sesta edizione: L. Lanzi, Storia Pittorica della Italia, 6 voll., Milano, G. Silvestri, 1823. Cfr. C. Gauna, La Storia Pittorica di Luigi Lanzi. Arti Storia e Musei nel Settecento, L.S. Olschki, Firenze 2003. Nella Lettera I. Su i pittori Francesco e Stefano Cardillo da Messina La Farina è estremamente polemico nei confronti del Lanzi. Scrive infatti: «Non è a dirsi quanta diligenza, ed amore ci vogliono in questi benedetti studî, quanto lieto ozio, e sorriso di fortuna; ma quanta più pacatezza, e meno slancio, e meno impeto nel giudicare: nel giudicare quindi in siffatte cose ci vuol fermezza, e non interrotte ricerche, e studio i vecchi archivî, che mal si adattano ad occhi infermi, come quelli ad esempio, che invece di compilare delle opere le copiano, e non le san copiare, e certi altri di cui giova far silenzio.» (Intorno alle Belle Arti, e gli artisti fioriti in varie epoche in Messina - Ricerche di Carmelo La Farina ordinate in più lettere, Stamperia Fiumara, Messina 1835, p. 3). Per Lanzi si veda L. Lanzi, Storia Pittorica della Italia dal Risorgimento delle Belle Arti fin presso la fine del XVIII secolo, 6 voll. (Bassano 1795-1809), ed. a cura di M. Capucci, 3 voll. Sansoni editore, Firenze 1968-1974; G. Perini, Luigi Lanzi: questioni di stile, questioni di metodo, in Gli Uffizi: quattro secoli di una galleria. Fonti e documenti, atti del convegno internazionale di studi, (Firenze 20-24 settembre 1982), a cura di P. Barocchi e G. Ragionieri, Bonechi Editoriale, Firenze 1982, pp. 215-265; Sulle diverse edizioni della Storia Pittorica cfr. P. Barocchi, Sulla edizione lanziana della Storia pittorica dell’Italia, 1795-1796, in “Annali della Scuola Normale Superiore. Classe di lettere e filosofia”, s. IV, quaderni nn. 1-2, (Giornate di studi in onore di Giovanni Previtali, a cura di F. Caglioti), 2000, pp. 293-319; Ead., Sulla edizione del 1809 della “Storia pittorica dell’Italia” di Luigi Lanzi, in “Saggi e Memorie di storia dell’arte”, n. 25, 2001, pp. 297-307; M. Rossi, Le fila del tempo. Il sistema storico di Luigi Lanzi, in “Quaderni della Fondazione Carlo Marchi”, n. 31, L.S. Olschki, Città di Castello (PG) 2006, pp. 57-92.

[82]    Per la critica delle fonti, l’originalità dell’opera d’arte contrapposta alla copia, l’osservazione di opere d’arte tra spiritualità e tecnica nella letteratura critica del tempo si veda, ad esempio, K.F. von Rumohr, Italienische…. 

[83]   Onofrio Gabrieli (Gesso (Me) 1619 - 1706). Si veda Onofrio Gabrieli 1619-1706, catalogo della mostra a cura di G. Barbera e F. Campagna Cicala (Gesso (Me), 27 Agosto-29 Ottobre 1983), Industria Poligrafica della Sicilia, Messina 1983; ad vocem in D.B.I., 51, Catanzaro 1998, pp. 68-70; ad vocem in Enciclopedia della Sicilia…, 2006, p. 429.

[84]   Lionardo Vigo nelle Lettere di L.V. a Ferdinando Malvica sopra una gita da Catania a Randazzo, in “Effemeridi scientifiche e letterarie per la Sicilia”, t. X, f. 29 (Palermo maggio 1934, pp. 196-218) scambia il San Michele arcangelo con l’angelo Custode.

[85]    C. La Farina, Lettera XV. Si corregge da talune mende…, 1836, pp. 37-49. Sulle lettere artistiche di Carmelo La Farina, cfr. infra.

[86]   Confuta Grosso Cacopardo (Memorie de’ pittori messinesi e degli esteri che in Messina fiorirono dal secolo XII sino al secolo XIX, Messina 1821, p. 134) che data il rientro a Messina al 1662.

[87]    Domenico Marolì (Messina 1612 - Scaletta Zanclea (Me) 1676). Allievo di Antonello Riccio, studiò anche a Venezia presso il Veronese. Operò a Bologna. Ridotto in schiavitù dai turchi che assalirono la nave che lo riportava in patria, riuscì a tornare a Palermo, dove realizzò numerosi dipinti. Rientrato a Messina fu coinvolto negli avvenimenti politici del 1674 e dovette emigrare. Ritornò prima a Venezia e morì in Spagna durante i moti del 1676. Per la bibliografia a lui relativa si veda ad vocem in L. Sarullo, Dizionario artistico dei siciliani. Pittura, a cura di M.A. Spadaro, Novecento, Palermo 1993, pp. 334-335; ad vocem in Enciclopedia della Sicilia…, p. 547.

[88]   L. Lanzi, Storia Pittorica della Italia…, vol. I, p. 468, nota 2.

[89]    Antonio Catalano detto “l’Antico” (1560 - 1630). Per la bibliografia a lui relativa si veda ad vocem in Dizionario artistico..., 2, pp. 87-88; T. Pugliatti, La pittura del Cinquecento in Sicilia. La Sicilia orientale, Electa, Napoli 1993, pp. 256-269, 337, note. 4-5; ad vocem in Enciclopedia della Sicilia…, p. 251.

[90]    C. La Farina, Lettera IX. Si stabilisce l’epoca…, 1835, pp. 72-74.

[91]   Domenico Cardillo, ad vocem in Dizionario artistico..., 2, p. 74. L’opera è certamente  databile alla seconda metà del XVI secolo, data la presenza nel paesaggio di sfondo della lanterna del porto nel braccio di S. Raineri, costruita su disegno del Montorsoli nel 1555. Oggi la firma citata da La Farina è illeggibile, essendo andata distrutta la parte inferiore della tavola. Cfr. Cardillo, ad vocem in D.B.I., 19, Istituto dell’Enciclopedia Italiana, Roma 1976, pp. 770-772.

[92]   Il dipinto, citato in Messina e dintorni. Guida a cura del Municipio, Prem. stab. G. Crupi, Messina 1902, pp. 383, risulta disperso. T. Pugliatti, Arte e storia nella provincia di Messina, Samperi, Messina 1986, pp. 56, 72, precisa che nella chiesa esiste ancora il dipinto attribuito al Camarda raffigurante l’Immacolata e Santi, attribuito con certezza da G. La Farina, Messina e i suoi…, p. 154.

[93]    Gaspare Camarda (1570 ca. - 1655), allievo di Antonio Catalano, quando scrive La Farina era documentato solo fino al 1606. Per la sua figura e la bibliografia a lui correlata si veda ad vocem in Dizionario artistico…, 2, pp. 65-66; T. Pugliatti, La pittura del Cinquecento…, pp. 264-266.

[94]    C. La Farina, Lettera IX. Si stabilisce l’epoca…, 1835, pp. 72-74.

[95] Agostino Gallo (Palermo 7 febbraio 1790 - 16 maggio 1872) collezionista di quadri, libri, cimeli di ogni tipo relativi alla storia, alla cultura e all’arte siciliana. Raccolse 152 ritratti ad olio di siciliani illustri che donò alla Biblioteca comunale di Palermo. La sua collezione di 103 quadri fu invece donata al Museo nazionale e oggi è conservata presso la Galleria regionale di Palazzo Abatellis. Fra le molte sue opere riguardanti la letteratura, la storia, l’archeologia, l’arte, le poesie, le liriche, le biografie, i saggi di critica d’arte, ricordiamo il Saggio su pittori siciliani vissuti dal 1800 al 1842 del 1842, e la manoscritta Storia delle Belle Arti in Sicilia dall’epoca greca sino al secolo XIX, oggi edita a stampa (a cura di A. Mazzè, Regione siciliana, Assessorato dei beni culturali ambientali e della pubblica istruzione, Palermo 2000). Membro di moltissime accademie e associazioni culturali, italiane e straniere, collaborò a numerose pubblicazioni periodiche, fra le quali “L’Ape. Gazzetta letteraria di Sicilia” (1822), il “Giornale di scienze, lettere e arti per la Sicilia (1832-1840) e “L’Indagatore siciliano”. Promosse la realizzazione di un Pantheon di glorie siciliane nella chiesa di S. Domenico, in cui fossero eretti monumenti commemorativi ai siciliani più illustri e oggi è lì sepolto, ricordato da un mezzobusto opera di Benedetto Civiletti. Per la figura di Agostino Gallo e per la bibliografia a lui relativa si veda ad vocem Dizionario dei siciliani illustri, F. Ciuni, Palermo 1939, pp. 236-237; ad vocem in D.B.I., 51, Istituto dell’Enciclopedia Italiana, Catanzaro 1998, pp. 697-699; ad vocem in Enciclopedia della Sicilia…, pp. 433-434; F.P. Campione, Agostino Gallo: un enciclopedista dell’arte siciliana, in La critica d’arte dell’Ottocento, a cura di S. La Barbera, Flaccovio, Palermo 2003, pp. 107-127.    

[96] Pietro Lanza Branciforti, Principe di Scordia, di Trabia e di Butera (Palermo 19 agosto 1807 - Parigi 27 giugno 1855). Letterato, politico patriota, fu, giovanissimo, direttore della sezione Lettere ed Arti nell’Accademia di Scienze, Lettere ed Arti e della Commissione Antichità e Belle Arti. Dal 1835 al 1837 fu Pretore di Palermo ed in seguito, dal 1841 al 1848, ministro degli Affari ecclesiastici per il Regno delle due Sicilie. Attivo durante i moti del 1848, durante il governo provvisorio assunse la presidenza del Quarto comitato (amministrazione civile, istruzione pubblica e commercio). Costretto all’esilio dopo la restaurazione borbonica, morì a Parigi. Numerosi i suoi scritti di natura storica e letteraria; si ricordano in particolare Degli Arabi e del loro soggiorno in Sicilia del 1832, apprezzato da Michele Amari, e Considerazioni sulla storia di Sicilia dal 1532 al 1789 da servir d’aggiunte e di chiose al Botta del 1836. Per la figura di Pietro Lanza e per la bibliografia a lui relativa si veda ad vocem in Dizionario dei siciliani…, p. 287.

[97] Lazzaro Di Giovanni (Palermo 1769 - 5 novembre 1856), intellettuale e conoscitore del patrimonio artistico cittadino, fu «custode e intendente di Belle Arti della collezione d’arte dell’Università di Palermo, nucleo iniziale del futuro Museo Nazionale insieme alla raccolta di Giuseppe Ventimiglia e Cottone, principe di Belmonte, di cui il Di Giovanni fu fidecommissario. Redasse l’inventario della collezione e curò l’allestimento nei locali dell’università adibiti a pinacoteca, riordinò la raccolta di disegni. Ufficiale della Regia Segreteria di Stato della Sicilia dal 1815 fino alla morte, sospese l’incarico nel 1820, probabilmente per la partecipazione ai moti rivoluzionari palermitani. Membro della Commissione di Antichità e Belle Arti, curò il restauro del Paradiso di Pietro Novelli. Scrisse un circostanziato inventario delle opere d’arte esitenti nelle chiese di Palermo, che lasciò manoscritto». Per la figura di Lazzaro Di Giovanni e per la bibliografia a lui relativa si veda ad vocem in D.B.I., XV, Istituto dell’Enciclopedia Italiana, Roma 1991, p. 43; L. Di Giovanni, Le opere d’arte nelle chiese di Palermo, trascrizione e commento critico a cura di S. La Barbera, Flaccovio, Palermo 2000.

[98]   Giuseppe Grosso Cacopardo (Messina 2 settembre 1789 - 18 dicembre 1878), fu storico dell’arte, erudito, archeologo. Continuatore dell’opera del Grano Memorie de’ pittori messinesi (1821), fu anche autore della prima Guida per la città di Messina (1841). Fondatore e redattore del “Maurolico”. Per la figura di Giuseppe Grosso Cacopardo e per la bibliografia a lui relativa si veda ad vocem in Dizionario dei siciliani…, 1939, pp. 259-260; ad vocem in D.B.I., LX, Istituto dell’Enciclopedia Italiana, Roma 2003, pp.11-13.

[99] Per la figura di Placido Vasta, si veda G. Oliva, Annali della città di Messina…, vol. VIII, 1954, pp. 351-352.

[100]   Nicolò Americo Fasani, fu «Uffiziale di carico nella real Segreteria e Ministero di Stato dell’Interno di Napoli». Cfr. G. Molonia, Intorno alle Belle Arti…, p. 101, nota 1. 

[101]   Giuseppe Alessi (Enna 1 febbraio 1774 - Catania 31 agosto 1837), sacerdote e canonista, fu geologo, archeologo e numismatico. Iscritto a numerose accademie italiane e straniere, insegnò Diritto Canonico all’Università di Catania. Lasciò la sua collezione geologica all’Accademia Gioenia di Catania e la biblioteca e la raccolta di reperti archeologici alla Chiesa Madre di Enna. Tra i suoi scritti ricordiamo la Storia Critica della Sicilia dai tempi favolosi alla caduta dell’Impero Romano, 2 voll., dai torchi dei FF. Sciuto, Catania 1834-1843. Per la figura di Giuseppe Alessi e per la bibliografia a lui relativa si veda ad vocem in Dizionario dei siciliani…, p. 27; ad vocem in Enciclopedia della Sicilia…, pp. 101-102.

[102]  Gaetano Grano, (Messina, 21 novembre 1754 - 13 marzo 1828) medico, ma anche latinista, letterato, storico, antiquario, studioso di numismatica e paleografia, di storia naturale, fisica, filosofia e legge. Fu precettore di retorica nella Reale Accademia Carolina, della quale, nel 1780, gli fu conferita la carica di bibliotecario, che mantenne fino alla morte nel 1828. Fu più volte Presidente dell’Accademia Peloritana dei Pericolanti e Socio dell’Accademia degli Zelanti di Acireale. Nel 1806 contribuì alla fondazione del Museo Civico Peloritano. Ricoprì numerosi incarichi istituzionali e non: Priore di S. Maria della Latina (1786), Giudice ecclesiastico della Regia Udienza (1789) , Giudice delegato della Regia Monarchia in Messina (1791), Membro della commissione per la compilazione dei codici del Regno delle Due Sicilie e Giudice Interno del Regio Tribunale di Monarchia in Sicilia (1814), Abate-Regio Priore di S. Andrea di Piazza, Vescovo in Partibus della Santissima Basilica di Terra Santa, Consigliere del Re delle Due Sicilie Ferdinando IV di Borbone (1817). Nel 1821 Luogotenente Generale in Sicilia, carica da lui rifiutata. In contatto con numerosi personaggi di rilievo della cultura del tempo come Domenico Scinà, Saverio Landolina ed Rosario Gregorio. Coadiuvò Jakob Philipp Hackert nella stesura delle Memorie De’ Pittori Messinesi (Messina 1792), anche se non volle che il suo nome vi figurasse. Collaborò anche con l’Abate Lazzaro Spallanzani alla redazione dei Viaggi alle due Sicilie e in alcune parti dell’Appennino”. Da segnalare la Guida alla Città di Messina, anche questa pubblicata anonima nel 1826. Possessore di una pregiatissima collezione naturalistica e di una ricca pinacoteca purtroppo dispersa. Cfr. ad vocem in Enciclopedia della Sicilia…, p. 466; V. Scarcella, Cenni biografici di mons. Gaetano Grano, estratto da “Il Maurolico, Giornale del Gabinetto Letterario di Messina”, n.s., a. I, f. 7, 1842; G. Noto, Elogio del dotto prelato monsignore don Gaetano Grano, Firenze, co’ tipi di G. Marenich, 1828; G. Oliva, Annali della città di Messina…, p. 240-243.

[103]   Francesco Arrosto (Messina 2 luglio 1798 - marzo 1840), successe al padre Gioacchino alla cattedra di chimica della reale Accademia Carolina che gli fu tolta a seguito della sua partecipazione ai moti del 1837. Fu membro effettivo della Società economica della valle di Messina che gli assegnò il premio “Paolo Cumbo”. Fu membro della Labronica di Livorno e socio benemerito della Reale Accademia peloritana in cui, dal 1829, ricoprì la carica di segretario per la classe di scienze fisiche e matematiche. Per la figura di Francesco Arrosto e per la bibliografia a lui relativa si veda ad vocem in Dizionario dei siciliani…, pp. 48-49; ad vocem in Enciclopedia della Sicilia…, p. 130.

[104]  Tommaso Alojsio Juvara (Messina 13 gennaio 1809 - 30 maggio 1875), incisore, formatosi alla scuola del Camuccini, fu presidente della Calcografia Camerale. Insegnò calcografia a Messina nel ’46, a Napoli nel ’50 e a Roma nel ’72, condividendo la carica di Direttore con Paolo Mercuri. Tra le sue opere più celebri, la Madonna alla Reggia di Napoli e il San Carlo Borromeo, di fronte alle quali si suicidò nel 1875. Per la figura di Tommaso Alojsio Juvara e per la bibliografia a lui relativa si veda Litografia, in “Passatempo per le Dame”, a. 4, n. 28, 9 luglio 1836, pp. 125-126 [ma 225-226]; A. Gallo, Lettera di Agostino Gallo all’egregio incisore Tommaso Aloisio Messinese professore d’intaglio in Napoli, in “La Lira”, a. I, n. 51, 6 novembre 1852, pp. 203-204; Id., Sull’influenza ch’esercitarono gli artisti italiani in varii regni d’Europa ad introdurvi, diffondervi o migliorar l’arte d’intagliar cammei in pietre dure e tenere, incidere in rame, cesellare e smaltare in argento e in oro, Tipografia Barcellona, Palermo 1863, p. 13; A. Gallo, Notizie degli incisori siciliani, a cura di D. Malignaggi, Università degli studi di Palermo, Palermo 1994, pp. 125-128. T. Aloysio-Juvara, Della storia e dello stato odierno dell’arte dell’incisione, in “Nuove Effemeridi Siciliane di Scienze, Lettere ed Arti”, a. I, dispense IX-X, dicembre 1869 - gennaio 1870, pp. 404-416; ad vocem in Dizionario dei siciliani…, p. 276; ad vocem, in Allgemeines Lexikon der bildender Kunstler, a cura di U. Thieme - F. Becker XIX, F. Ullmann, Leipzig 1926, pp. 357-358; ad vocem in Enciclopedia della Sicilia…, p. 511; Neoclassicismo e aspetti accademici. Disegnatori e incisori siciliani, a cura di D. Malignaggi, Università degli studi di Palermo, Palermo 2004.

[105]   La prima raccolta riporta in copertina Ricerche di Carmelo La Farina ordinate in più lettere, mentre sul frontespizio appare la dicitura Intorno Le Belle Arti, e gli Artisti fioriti in varie epoche in Messina - Ricerche di Carmelo La Farina ordinate in più lettere. Stampata a Messina nel 1835 dai torchi dei Fiumara, fu annunciata da Felice Bisazza tra le pagine dello “Spettatore Zancleo” nella rubrica Rivista Letteraria (“Lo Spettatore Zancleo”, III, n. 25, 1 luglio 1835, p. 93), e fu recensita da molte riviste dell’epoca. Una Seconda Parte fu raccolta da Gaetano La Corte Cailler che la intitolò Intorno le Belle Arti, e gli artisti fioriti in varie epoche in Messina - Ricerche ordinate in più lettere, Parte II, Messina 1835-1845 che però non fu mai pubblicata.

[106]   Recensione di S. Betti, Intorno le Belle Arti, e gli artisti fioriti in varie epoche in Messina; ricerche di Carmelo La Farina ordinate in più lettere - Messina 1835 dalla Stamperia Fiumara, in “Il Faro. Giornale di Scienze, Lettere ed Arti”, a. IV, t. II, 1836, pp. 98-99; pubblicato anche in C. La Farina, Intorno alle Belle Arti…, 2004, pp. 229-230; Recensione di G. Di Lorenzo, Intorno le Belle Arti, e gli artisti fioriti in varie epoche in Messina; ricerche di Carmelo La Farina ordinate in più lettere - Messina 1835 dalla Stamperia Fiumara, in -8° di pag. 93, in “Giornale di scienze, letteratura ed arti per la Sicilia”, a. XIII, vol. 50, t. II, aprile - maggio - giugno 1835, pp. 207-210.

[107]  Gaetano La Corte Cailler (Messina 1 agosto 1874 - 26 gennaio 1933) inizia giovanissimo a collaborare con alcuni giornali locali, scrivendo di storia ed arte messinese e nel 1898 ottiene un impiego come copista presso la Cancelleria del Tribunale di Messina. Nel 1899 è nominato socio ordinario della Reale Accademia Peloritana ed è socio fondatore e firmatario del primo Statuto sociale della Società Messinese di Storia Patria. Nel 1901 viene immesso in servizio come guardasala al Civico Museo Peloritano, allora ospitato nel soppresso monastero di S. Gregorio, di cui compila una guida. Diviene direttore nel 1904. Nel 1902 il Municipio pubblica la Guida di Messina e dintorni del quale La Corte Cailler è uno dei maggiori estensori. Strenuo ricercatore di documenti d’archivio riguardanti la storia e la cultura artistica di Messina, dopo il terremoto del 1908, la famiglia si trasferisce a Palermo per pochi anni. Ritornato a Messina, il 2 giugno 1910 ricostituisce, con i pochi amici sopravvissuti, la Società Messinese di Storia Patria. Ricopre numerosi ruoli: ispettore onorario comunale di Antichità e Belle Arti, componente della Commissione conservatrice dei monumenti, degli scavi ed oggetti di antichità ed arte della Provincia di Messina, ispettore bibliografico onorario. Per G. La Corte Cailler si veda “ASM”, III serie, XXXII, 41, Messina 1983, volume interamente dedicato alla sua figura, e in particolare: G. Molonia, Gaetano La Corte Cailler: note biografiche, ivi, pp. 17-27; G. La Corte Cailler, Il mio Diario, a cura di G. Molonia, 3 voll., Edizioni g. b. m., Messina 1998-2003; S. La Barbera, Dalla coinnosseurship alla nascita della Storia dell’arte in Sicilia: il ruolo di Adolfo Venturi, in Adolfo Venturi e la Storia dell’arte oggi, Atti del Convegno (Sapienza Università di Roma, 25-28 ottobre 2006) a cura di M. D’Onofrio, Franco Cosimo  Panini Editore, Modena 2008, pp. 309-328. 

  

[108] Anastasio Cocco (Messina 29 agosto 1799 - 26 febbraio 1854) fu farmacologo e naturalista. Nel 1819, a vent’anni, fu ammesso all’Accademia Peloritana dove lesse il suo primo discorso Sull’origine, progressi ed utilità della botanica. Dal 1827 professore di Materia medica alla Reale Accademia Carolina, appena elevata al rango di Università, professò la necessità di basare lo studio e l’applicazione delle scienze mediche sul metodo dell’osservazione, dell’analisi e della sperimentazione. Dal 1851 fu segretario della Reale accademia Peloritana. Per la figura di Anastasio Cocco e per la bibliografia a lui relativa si veda ad vocem in Dizionario dei siciliani…, p. 127; ad vocem in Enciclopedia della Sicilia…, p. 287.

[109]   Giuseppe Arifò (Messina 1803-1842), scultore. Studiò a Roma presso l’Accademia di S. Luca con il Tenerani insieme ad Antonio Gangeri, Giuseppe Prinzi e Saro Zagari. Le sue opere, menzionate tra gli altri anche da Gaetano La Corte Cailler (Il Museo Civico di Messina…, p. 173), sono ad oggi scomparse. Per la biografia di Giuseppe Arifò e la bibliografia a lui relativa si veda ad vocem in L. Sarullo, Dizionario artistico dei siciliani. Scultura, a cura di B. Patera, Novecento, Palermo 1995, p. 10.

[110]  Carlo Gemmellaro (Catania 4 novembre 1787 - 21 ottobre 1866) fu medico chirurgo, zoologo, botanico e archeologo. Prese parte alla battaglia di Waterloo. Dal 1831 fu nominato professore di Storia Naturale prima e di Geologia e Mineralogia poi, all’Università di Catania. Noto soprattutto per i suoi studi di vulcanologia, creò una fiorente scuola di geologi tra le fila dei membri della catanese Accademia Gioenia. Per la figura di Carlo Gemmellaro e per la bibliografia a lui relativa si veda ad vocem in Dizionario dei siciliani…, p. 243; R. Cristofolini, Carlo Gemmellaro, geologo e vulcanologo, in L’Accademia Gioenia. 180 anni di cultura scientifica (1824-2004). Protagonisti, luoghi e vicende di un circolo di dotti, a cura di Mario Alberghina, Giuseppe Maimone Editore, Catania 2005, pp. 131-135.

[111] Salvatore Betti (Orciano di Pesaro (An) 1792 - Roma 1882) fu professore di Storia dell’arte, Mitologia e Costumi presso l’Accademia Pontificia di San Luca in cui subentrò a Guattani, nel 1830, nel ruolo di segretario perpetuo. Strenuo difensore del classicismo, assunse posizioni palesemente antiromantiche nei suoi scritti tra le pagine del “Giornale Arcadico di Scienze, Lettere ed Arti” che diresse dal 1819. Per la figura di Salvatore Betti e per la bibliografia a lui relativa si veda ad vocem in D.B.I., vol. IX, Istituto dell’Enciclopedia Italiana, Roma 1967, pp. 724-726; A. Cerutti Fusco, Gaspare Salvi (1786 - 1849) Architetto e professore di architettura teorica nell’Accademia di San Luca e il dibattito architettonico del tempo, in La cultura architettonica nell’età della restaurazione, a cura di G. Ricci, G. D’Amia, Mimesis, Milano 2002, p. 281.

[112]   Lorenzo Maisano (S. Lucia del Mela (Me) 1791 - Messina 1847), medico, insegnò Medicina Pratica all’Università di Messina. Membro fondatore della Società Cuveriana di Parigi, fu anche socio ordinario della Commissione Provinciale di Vaccinazione, socio ordinario prima e vicedirettore poi della Prima Classe di Scienze Fisiche, Matematiche e Naturali dell’Accademia Peloritana dei Pericolanti e socio corrispondente di quella di Scienze Mediche di Palermo, della Gioenia di Catania e di quella degli Zelanti di Acireale. Per la figura di Lorenzo Majsano si veda R. Lombardo, Biografia del fu Lorenzo Majsano, professore di Clinica Medica scritta da Raffaele Lombardo, professore di Fisiologia, Tip. di Commercio, Messina 1847.

[113]  Carmelo Allegra (Messina 1810 - 1880), sacerdote, insegnante di francese. Fondatore del giornale “Scilla e Cariddi”, periodico di carattere politico. A causa della sua attività antiborbonica fu diffidato dalla Questura ed incarcerato nel 1847. Durante la rivoluzione del 1848 diresse “L’aquila siciliana”, in seguito rinominata “Trinacria”. Sospeso dall’insegnamento al tempo della restaurazione borbonica, scrisse Prose di vario genere (Messina 1846) e collaborò a numerose testate. Per la figura di Carmelo Allegra e per la bibliografia a lui relativa si veda ad vocem in Dizionario dei siciliani…, pp. 28-29.

[114]  Diretta da Carmelo Allegra, fu pubblicata bimestralmente dal 1843 al 1846 per i tipi di Michelangelo Nobolo. Tra i collaboratori, oltre Carmelo La Farina, Giovanni Giamboj, Marino Zuccarello Patti, Remigio Bisignani, Leonardo Antonio Forleo, Saverio D’Amico, Nicolò Camarda, Giovanni Minà Morici, Domenico Ragona Scinà, Antonio Fulci, Ercole Tedeschi Amato, Lodovico Fulci Gordone, Andrea Di Gregorio, Silvestro La Farina, Antonio Minà La Grua, Felice e Domenico Bisazza, Luigi Pellegrino, Giovan Battista Calapai, Riccardo Mitchell, Lorenzo Maisano, Francesco Bertolami, Carlo Gemmellaro, Giuseppe De Spuches, il barone Pasquale Galluppi. G. Arenaprimo, La stampa periodica…, 1892-1893, pp. 84-85.

[115]   La numerazione è fedele da XIII a XVI. La Corte Cailler ipotizza che la lettera XVII, da “Scilla Cariddi”, che non riuscì a reperire, possa non essere mai esistita, o al più che potesse trattare di Giuseppe Camarda o di Letterio Paladino, argomenti annunciati per le lettere XIX e XX, anch’esse mancanti. G. La Corte Cailler, Intorno le Belle Arti…, p. 82 bis. La lettera inizialmente numerata dal La Farina come XVII e intitolata Si riconosce per opera di Luca Villamaci la statua di S. Vittorio Angelica fu pubblicata col numero XVIII tra le pagine del “Il Faro. Giornale di Scienze, Lettere e Arti”, a. VI, t. IV, fasc. 15, 1838.

[116]   Solo per le lettere XIII, XIV, XV e XVIII. La lettera XVI fu ritagliata dal giornale.

[117]   La Corte Cailler aggiunge delle integrazioni, e riporta, oltre alle glosse di La Farina, anche gli emendamenti apportati dall’Arenaprimo che aveva posseduto il manoscritto autografo dopo Grosso Cacopardo, cui era pervenuto dopo la morte dell’autore.

[118]   «In breve anderò a pubblicare la seconda parte delle mie lettere, che non sono meno di altre dodici…», ancora «Io vado nel parere, completando la pubblicazione di circa altre 12 lettere, ristampate tutte in un volume con qualche addizione alle prime…». Cfr. Lettera di Carmelo La Farina ad Agostino Gallo datata 11 giugno 1835 e Lettera di Carmelo La Farina ad Agostino Gallo datata 20 agosto 1835, ms. della Biblioteca Comunale di Palermo, XIX sec., ai segni 2 Qq G 110.

[119]   Francesco e Stefano Cardillo, Polidoro Caldara, Deodato Guinaccia, Gio. Paolo Funduli, Antonio Catalano, Francesco Laganà e Franco Bonajuto, Gio. e Nicolino Van Houbracken, Filippo Tancredi, Dalliotta, Giannotto, Giovanni Fulco, Antonello Resaliba, Animali del presepe, Gaspare Camarda, Salvatore Mittica, Ignazio Brugnani, Comandè, Antonino Bova, Mariano Menniti, Antonino Barbalonga, Stefano Giordano, Gio. Battista Mazzolo, Onofrio Gabrieli, Filippo Paladino, Domenico Campolo, Andrea Quagliata, Michele Maffei.

[120]   Il periodico, di chiara connotazione nazionalistica e taglio antimunicipalistico, di dichiarato intento politico letterario, foggiato sul modello del “Giornale di Scienze Lettere e Arti” di Bertini e vicino ideologicamente alla “Antologia” del Gabinetto Vieusseux, fu pubblicato a partire dal 1831 per i tipi d Giuseppe Fiumara. Nel 1836, il giornale sempre guidato dal La Farina, dovette cambiare il suo titolo in “Il Faro” a causa delle polemiche politico-letterarie sostenute contro il palermitano “Il Vapore” dei fratelli Linares, appoggiati dalla polizia. I compilatori, spinti da «l’amore per la bella patria» manifestarono, immediatamente dopo la sospensione, la volontà di riprendere le pubblicazioni con l’intento di «condurre al vero per mezzo del bello […] per svegliare gli spiriti divenuti ormai neghittosi per un sonno troppo lungo per causa del quale troppo à sofferto l’amor nostro nazionale» con l’obbiettivo di «portare nella ognor massa crescente dell’umano sapere quell’unità che manca e senza della quale non avran pace gli animi, né i popoli vera quiete» (“L’Indagatore”, 1834, I, pp. 61-35). “Il Faro” aveva in copertina una epigrafe (Felix quem faciunt alien pericola cautum) e un verso (La verità nulla menzogna frodi). Dal 1839 il giornale riacquistò il nome di “Spettatore Zancleo” e il proprio stampo prettamente politico e continuò le sue pubblicazioni settimanali in modo regolare fino al 1847. Cfr. S. La Barbera, La stampa periodica palermitana…, p. 87-121. Qualche sporadico numero di natura letteraria uscì con scarso successo, con contributi di autori minori. Cfr. G. Arenaprimo, La stampa periodica…, 1892-1893, pp. 158-160, 162-166; G. Oliva, Annali della città di Messina…, estratto da “La Sicilia nel risorgimento italiano”, a. III, f. I, pp. 3-18.

[121]   Pubblicato dal 5 ottobre 1833 all’aprile del 1840. Tra i principali corrispondenti i nomi dell’intellighenzia siciliana del periodo: oltre al citato Grosso Cacopardo, Francesco Arrosto, Felice Bisazza, Antonio Catara Lettieri, Anastasio Cocco, Agostino Gallo, Carlo Gemelli, Alojsio Juvara, Agatino Longo, Lorenzo Maisano, Raffaello Politi, Carmelo Prestigiovanni, Giovanni Saccano, Antonio Sarao, Domenico Ventimiglia, Lionardo Vigo. Dal maggio 1841 la nuova serie del giornale in cui La Farina figura tra i corrispondenti, fu edita per i tipi di Tommaso Capra col titolo di “Il Maurolico. Giornale del Gabinetto Letterario di Messina”. Intitolato solo “Giornale del Gabinetto Letterario di Messina” dal 1842 al 1 settembre 1874, quando fu chiuso per ordine del Governo. Cfr. G. Arenaprimo, La stampa periodica…, 1892-1893, pp. 166-169; G. Oliva, Annali della città di Messina…, 1893, pp. 263, 270-271.    

[122]  Relativamente alle attribuzioni ai pittori messinesi Francesco e Stefano Cardillo, nella prima lettera indirizzata ad Agostino Gallo, La Farina manifesta i sui dubbi precisando la propria appartenenza a quella schiera di «eletti, che non leggono a spento lume le altrui opinioni intorno alla cronologia degli artisti, elemento necessariissimo per la storia critica delle arti belle». Cfr. C. La Farina, Lettera I. Su i pittori Francesco e Stefano Cardillo da Messina, in Intorno alle Belle Arti…, 1835, p. 3.

[123]   Cfr. C. La Farina, Lettera V. Si aggiunge Francesco Laganà…, 1835, pp. 43-46.

[124] V.M. Amico, Dizionario topografico della Sicilia. Tradotto dal latino ed annotato da Gioacchino Di Marzo, t. I, Tipografia di Pietro Morvillo, Palermo 1855, p. 119. Il dipinto è oggi conservato presso la parrocchia dei SS. Pietro e Paolo.

[125] Per Andrea Quagliata (Messina 1594 - 2 giugno 1660), si veda ad vocem in Dizionario artistico..., 2, p. 431; ad vocem in Enciclopedia della Sicilia…, p. 809. Per i dipinti citati cfr. G. La Corte Cailler, Sicilia monumentale. Alcune opere d’arte osservate in Taormina, in “Atti della R. Accademia Peloritana”, a. XVII, 1902-1903, p. 92.

[126]   C. La Farina, Lettera III. Se il Pittor Gio: Paolo Fondoli Cremonese possa noverarsi tra gli esteri, che in Messina fiorirono, in Intorno alle Belle Arti…, 1835, pp. 31-36.

[127]  Cfr. G. Biffi, Memorie per servire alla storia degli artisti cremonesi, ed. critica a cura di L. Bandera Gregori, in “Annali della Biblioteca Statale e Libreria Civica di Cremona”, a. XXXIX, n. 2, 1989.

[128]  G. Grosso Cacopardo, Memorie de’ pittori messinesi…, pp. 88-89.

[129]   C. La Farina, Lettera II. Sull’anno di morte di Polidoro Caldara da Caravaggio, in Intorno alle Belle Arti…, 1835, pp. 17-30.

[130]  G. Vasari, Vite de’ più eccellenti pittori…, t. 9, pp. 248 e sgg.

[131]   C. La Farina, Lettera II. Sull’anno di…, 1835, p. 21.

[132]  Vasari lo vuole nella chiesa Cattedrale, mentre Buonfiglio e Gallo asseriscono che sia tumulato nella chiesa del Carmine. J.P. Hackert, G. Grano, Memorie de’ Pittori Messinesi, Stamperia reale, Napoli 1792, p. 22; G. Grosso Cacopardo, Memorie de’ pittori messinesi…, p. 47; C.D. Gallo, Annali della Città di Messina…, vol. I, 1756, p. 98. Alle opere citate da Grosso Cacopardo, La Farina aggiunge al catalogo dell’artista lombardo due opere di piccole dimensioni, che curiosamente comprendevano entrambe un piccolo autoritratto del pittore. Si tratta di un Martirio di S. Placido, che ricorda in casa del «fu Presidente Finocchiaro» e poi passato in collezione Geraci, già citato da G. Bertini (Estratti di opere di autori siciliani. Memorie de’ pittori Messinesi, ecc. Sei Lettere MSS. di Giuseppe Grosso Cacopardi. Continuazione dell’Estratto, in “Giornale di Scienze, letteratura e Arti per la Sicilia”, a. I, t. IV, 1823, pp. 101-102) e una Deposizione dalla croce, nello studio dei fratelli Giuseppe, Letterio e Pietro Subba, passata successivamente in mano al La Farina stesso. Le attribuzioni sono accettate anche dalla critica successiva, cfr. G. Di Marzo, Delle Belle arti…, 1862, p. 231; T. Pugliatti, La pittura del Cinquecento…, p. 132. Infine segnala anche un S. Giacomo apostolo, perduto nel terremoto del 1693, per la chiesa dei Conventuali di Catania nella cappella dei Principi della Torre (F. Cagliola, Almae siciliensis Provincaie Ordinis Minorum Canventualium S. Francisci manifestationes novissimae, sex explorationibus camplexae, Venezia 1644, ed. a cura di F. Rotolo, Palermo, Officina di Studi Medievali, 1984, p. 73).

[133]  Ci rimangono svariati disegni e schizzi oltre che una testimonianza diretta e particolareggiata in un libretto in versi opera di Colagiacomo d’Alibrando, datato il 1 settembre 1534 e dedicato al nobile Pietro Ansalone committente del dipinto; C. d’Alibrando, Il Triompho il qual fece Messina nella Intrata del Imperator Carlo V e Molte altre cose Degne di notizia…, Messina 1535, pubblicato anche in C.D. Gallo, 1758, t. II, libro VII, pp. 499-516. Cfr. A. Marabottini, Polidoro da Caravaggio, Edizioni dell’Elefante, Roma 1969, pp. 176, 215, 333-334; P. Leone De Castris, Polidoro da Caravaggio fra Napoli e Messina, Roma 1988-1989, pp. 130-132.

[134]  Tutte le notizie relative al dipinto si evincono dal libretto di Colagiacomo d’Alibrando, dedicato a Pietro Ansalone. Cfr. T. Pugliatti, La pittura del Cinquecento…, p. 121; P. Leone de Castris, Polidoro da Caravaggio…, pp. 130-131.

[135]  Per l’opera, Marabottini (Polidoro…) ipotizza il nome di Stefano Giordano. Teresa Pugliatti considera l’ipotesi attributiva al Guinaccia «improponibile per ragioni cronologiche» (La pittura del Cinquecento…, 1993, p. 124).

[136]  In ambito isolano solo G. Di Marzo (Delle Belle arti in Sicilia…, 1862, p. 235) concorda con La Farina nel correggere la data di morte proposta da Vasari, anticipandola al ’34.

[137]  E. Mauceri, Polidoro da Caravaggio a Messina, in “Sicilia”, 1928, gennaio, pp. 3-5. È stato suggerito (T. Pugliatti, La pittura del Cinquecento…, pp. 123-125) che dato l’alto numero di richieste, l’esecuzione della pala dell’Alto fosse stata rimandata, ipotesi confortata dalla presenza nello stesso gruppo di schizzi e di studi, sia del gruppo di angeli avvinghiato al tempietto dell’Adorazione dei Pastori, che di apparati per i “Trionfi” per Carlo V. Cfr. Il disegno conservato al Kupferstichkabinett di Berlino, inv. K.d.Z. 26458, 79.D.34; cfr. A. Marabottini, Polidoro…, pp. 176, 215, 333-334.

[138]   Lo stesso La Farina precisa che i libri del Banco iniziano dal 1837, sebbene Gallo negli Annali li dati a partire dal 1586. Ci informa che molti dei tomi furono rubati e venduti come carta dopo il terremoto del 1783. Cfr. C. La Farina, Lettera II. Sull’anno di morte…, 1835, pp. 28-29, nota “p”.

[139]  MANCA NOTA

[140] C. La Farina, Lettera XI. Si producono alcuni dipinti…, 1835, pp. 81-83.

[141]   Gaetano La Corte Cailler è concorde: «Non è possibile che Comandè, nato nel 1580, assistesse alla scuola di Paolo Veronese, morto nel 1588». Cfr. le annotazioni autografe, ripubblicate in C. La Farina, Intorno alle Belle Arti…, 2004, p. 130, n. 4. Già Susinno ne Le Vite de’ pittori messinesi (ms. 1742, ed a cura di V. Martinelli, Pubblicazioni dell’Istituto di storia dell’arte medievale e moderna, Facoltà di lettere e filosofia, Università di Messina, Firenze 1960, pp. 121-125) e Mongitore nelle Memorie dei pittori, scultori, architetti e artefici in cera siciliani (1740 ca., ed. a cura di E. Natoli, S.F. Flaccovio, Palermo 1977, p. 100), datano la nascita dell’artista al 1558.

[142]   Filippo Tancredi (Messina 1655 - 1722). Per la sua figura e la bibliografia a lui relativa si veda M. Guttilla, Filippo Tancredi, in “Quaderni dell’A.F.R.A.S.”, n. 3, Palermo 1974; ad vocem in Dizionario artistico..., 2, pp. 518-519; M. Guttilla, Pittura e incisione nel Settecento, in Storia della Sicilia, Editalia - Domenico Sanfilippo Editore 2, Roma 1999, pp. 290-297; Ead., Gli studi pioneristici di Maria Accascina sulla pittura del Settecento. Sviluppi, conferme e piccole novità, in Storia, critica e tutela dell’arte nel Novecento. Un’esperienza siciliana a confronto con il dibattito nazionale, Atti del Convegno Internazionale di Studi in onore di Maria Accascina (Palermo - Erice 14-17 giugno 2006), a cura di M.C. Di Natale, Salvatore Sciascia Editore, Caltanissetta 2007, pp. 300-315 e in part. 309; ad vocem in Enciclopedia della Sicilia…, p. 946; Ead., Cantieri decorativi a Palermo dal tardo Barocco alle soglie del Neoclassicismo, in Il Settecento e il suo doppio, Rococò e Neoclassicismo, stili e tendenze europee nella Sicilia dei viceré, atti del convegno internazionale di studi (Palermo 10-12 novembre 2005), a cura di M. Guttilla, Kalòs, Palermo 2008, pp. 177-207 e in part. 185.

[143]   J.P. Hackert, G. Grano, Memorie de’…, p. 64; G. Grosso Cacopardo, Memorie de’ pittori messinesi…, p. 207.

[144]  C. La Farina, Lettera VI. Si purga di talune…, 1835, pp. 47-56.

[145]   Id., Si fissa l’anno del ritorno in patria del famoso dipintore Antonino Barbalonga da Messina. Al Valoroso Artista Tommaso Aloisio, in Intorno alle Belle Arti…, 1835, pp. 84-90.

[146]   Alojsio Juvara rispose a La Farina con una lettera intitolata Intorno a taluni dipinti di Antonino Barbalonga, pubblicata nel 1837 ne “Il Faro. Giornale di Scienze, Lettere ed Arti”, a. V, v. III, n. 13, pp. 69-76; la lettera è ripubblicata in Appendice, II – Belle Arti, in C. La Farina, Intorno alle Belle Arti…, 2004, pp. 221-229.

[147]    Datata “Messina, 9 dicembre 1833”, cfr. C. La Farina, Lettera I. Su i pittori..., 1835, pp. 3-16.

[148]   Ibid., p. 3. 

[149]   J.P. Hackert, G. Grano, Memorie de’…, p. 19.

[150]   P. Samperi, Messana S.P.Q.R.…, p. 614, n. 267; Id., Iconologia della gloriosa…, p. 601.

[151]  G. Buonfiglio e Costanzo, Messina, Città Nobilissima…, 18r.

[152]  C. D. Gallo, Annali della Città di Messina…, vol. III, 1804, pp. 107, nota 21, 183.

[153]   F. Susinno, Le Vite…, p. 168.

[154]   C. La Farina, Lettera I. Su i pittori..., 1835, p. 4. La Farina aveva già accennato ai dipinti dell’Alto in Notizie di alcuni Pittori Messinesi, in “Il fa per tutti …”, 1812, p. 127

[155]  G. Grosso Cacopardo, Memorie de’ pittori messinesi…, pp. 26, 64, ascrive a «un Cardillo da Messina» fiorito «verso gli ultimi del 1400» i due dipinti. Anche G. La Farina (Messina e i suoi…, pp. 57-58) concorda con questa ipotesi. Gallo è citato pure da Di Marzo (Delle Belle arti in Sicilia…, 1862, p. 171) che ricorda i due dipinti e in merito alla Visitazione precisa, che «in un angolo si scorge con tutta leggiadria dipinto un cardellino, siccome emblema del cognome del dipintore. Il quale così innanzi si mostra in quell’opera, per singolar progresso dell’arte nel comporre con grande sviluppo le figure, nel disegnare e colorire con somma energia e con profonda scienza, e nel trattar con molta abilità la prospettiva, ch’è degno di appartener veramente alla scuola del cinquecento; e forse fiorì al di là dell’epoca, che il Gallo stabilì per lui nel cadere del decimo quinto secolo». La segnalazione è ripresa successivamente da Brunelli che però non concorda con Di Marzo in merito all’ipotetica datazione. Lo studioso riscontra i modi del Giuffrè nello stile dell’artista che nel dipinto raffigurante la Visitazione «pose e non pose la sua firma. Non scrisse il nome ma in un angolo pose un cardellino…» sulla base del raffronto con un dipinto di analogo soggetto realizzato per la chiesa del Varò a Taormina (E. Brunelli, Note antonelliane, in “L’Arte”, 1908, pp. 300-304 e in part. 300-301; cfr. ad vocem Cardillo in Allgemeines Lexikon der bildender Kunstler, a cura di U. Thieme - F. Becker, V. F. Ullmann, Leipzig 1911, p. 585,  Id., Antonino Giuffrè, il vecchio Cardillo, Alfonso Franco, in “Giornale di Sicilia”, 21 maggio 1931, p. 3). Per le ipotesi sulla figura di un ‘maestro Cardillo’ si vedano anche G. Columba, Terremoto di Messina. Opere d’arte recuperate dalle R. Soprintendenze dei Monumenti, dei Musei e delle Gallerie di Palermo, Stabilimento tipografico Virzì, Palermo 1915, p. 42, che riferisce l’attribuzione di Carmelo La Farina; E. Mauceri, Dipinti inediti dei sec. XV e XVI nel Museo Nazionale di Messina, in “Bollettino d’Arte”, a. XIII, ff. 5-6-7-8, maggio-agosto 1919, pp. 77-79; Id., Il Museo Nazionale di Messina, La Libreria dello Stato, Roma 1929, p. 39; S. Bottari, Ricerche intorno agli Antonelliani, in “Bollettino d’Arte”, s. II, a. X, f. VII, gennaio 1931 (a. IX), pp. 291-316 e in part. 315-316, nota 24; Id., Introduzione, in J.P. Hackert, G. Grano, Memorie di Pittori Messinesi, Stamperia Reale, Napoli 1792, ed. con introduzione, note e appendice bibliografica a cura di S. Bottari, in “ASM”, n.s., a. XXVIII-XXXV, 1934, p. 19.

[156]  La critica più recente è concorde nel ritenere che il dipinto non possa essere assegnato a Francesco. Cfr. Cardillo, ad vocem in D.B.I., 19, Istituto dell’Enciclopedia Italiana, Roma 1976, pp. 770-772; ad vocem in Dizionario artistico..., 2, pp. 74-75; ad vocem in Enciclopedia della Sicilia…, p. 228.

  

[157]  G. Rosini, Storia della pittura italiana esposta coi monumenti, presso Niccolo’ Capurro, Pisa 1845, vol. v, p. 43; T. Pugliatti, La pittura del Cinquecento…, pp. 168-170.

[158]   Frazione di Gualtieri Sicaminò (Me). Per i Cardillo si veda, ad vocem in D.B.I., XIX, Roma 1976, pp.780-782.

[159]   C.D. Gallo, Apparato agli Annali…, p. 183.

[160]  G. Grosso Cacopardo, Memorie de’ pittori messinesi…, p. 64; F. Susinno, Le Vite…, p. 168; C. D. Gallo, Annali della Città di Messina…, vol. III, 1804, p. 183; C. La Farina, Lettera I. Su i pittori…, 1835, p. 13

[161]  G. Grosso Cacopardo, Memorie de’ pittori messinesi…, 1821, p. 64; F. Susinno, Le Vite…, p. 168; C. D. Gallo, Annali della Città di Messina…, vol. III, 1804, p. 183; C. La Farina, Lettera I. Su i pittori…, 1835, p. 13.

[162]  Questo dipinto era citato da Grosso Cacopardo come opera del solo Stefano. La Farina riporta Samperi che la definisce «opera a meraviglia bella» P. Samperi, Iconologia della gloriosa Vergine…, p. 601. Cfr. Memorie de’ pittori messinesi…, pp. 102-103.

[163]  G. cita il documento parzialmente pubblicato dal padre (C. La Farina, Lettera I. Su i pittori..., 1835, p. 14) ribadendo che «questa pittura dava il Gallo al Rubens, ed il Grosso a Francesco Cardillo; ma non è d’attribuirsi né all’uno né all’altro. Nel catalogo de’ confrati, che ha cominciamento col 1588, sta scritto “Agostino Massena genovese entrò li 11 marzo 1629; regalò l’egregio quadro, che si conserva nel nostro Oratorio di quando il P. S. Francesco si gettò nudo tra le spine: opera di eccellente pittore fatta venire dal medesimo dalle Fiandre. Il prezzo è costato duecento scudi di nostra moneta.” Or dunque è a dirsi che al Cardillo non partiene, né tantomeno al Rubens, il quale nel 1629 era già da un decennio passato da questa vita», cfr. Messina ed i suoi monumenti, Messina 1840, p. 71; parimenti Salvatore Lanza descrive il dipinto informando che «si attribuisce a Rubens o a Francesco Cardillo, ma pare non possa essere né dell’uno né dell’altro, avuto riguardo all’anno in cui fu eseguito», cfr. Guida del viaggiatore in Sicilia, Palermo 1859, p. 134. In questi anni l’attenzione alla penetrazione della cultura fiamminga in Sicilia si ha anche da parte di Gioacchino Di Marzo che ne La Pittura in Palermo nel Rinascimento, del 1899, segnala alcuni esempi di opere ed artisti provenienti dalle Fiandre evidenziandone il forte impatto in ambito locale. Questi studi saranno approfonditi dallo studioso anche nel saggio intitolato Di Antonello da Messina e dei suoi congiunti (in Documenti per servire alla Storia di Sicilia, pubblicati a cura della Società Siciliana per la Storia Patria, s. IV, v. IX, Palermo 1903 e saranno ulteriormente indagati metodologicamente nello scritto degli ultimi anni dedicato al pittore anversate Guglielmo Borremans (Guglielmo Borremans di Anversa, pittore fiammingo in Sicilia nel secolo XVIII (1715-1744), Virzì, Palermo 1912). Grosso Cacopardo, Guida per la città di Messina scritta dall’Autore delle Memorie de’ pittori Messinesi, presso Giuseppe Pappalardo, Siracusa (Messina) 1826, rist. anast. Bologna 1989, p. 29. Giuseppe La Farina

[164]  G. Grosso Cacopardo, Guida per la città di Messina…, 1826, rist. anast. Bologna 1989, p. 120.

[165]  G. Bertini, Saggio sulle Memorie de’ Pittori Messinesi, ed Esteri, che in Messina fiorirono: Messina 1821, n. 8 Fasc. I e II, in “L’Iride. Giornale di Scienze, Lettere ed arti per la Sicilia”, a. I, t. II, Palermo 1822, pp. 100-118 e in part. Parte II. Estratti di autori siciliani…, in “Giornale di Scienze, Letteratura ed Arti per la Sicilia”, a. I, t. IV, 1823, p. 87.    

[166]  C. La Farina, Lettera I. Su i pittori..., 1835, p. 9.

[167]  Nel volume posseduto da La Corte Cailler, appartenuto a Grosso Cacopardo prima e all’Arenaprimo poi, è presente una postilla apposta nel 1903 ricopiata dagli originali autografi di La Farina, in cui si precisa che «Il quadro della Madonna di Monserrato, nella cappella del forte Gonzaga “venne sotto i nostri occhi, da chi lo aveva in serbo, audacemente trafugato”». Cfr. Premessa, in C. La Farina, Intorno alle Belle Arti…, 2004, p. 50, nota 20. 

[168]  G. Grosso Cacopardo, Belle Arti. Continuazione delle Lettere sulla pittura dell’Autore delle Memorie dei Pittori Messinesi. Lettera III, “Maurolico. Foglio periodico”, s. I, n. 6 (Messina 9 novembre 1833), pp. 42-43; cfr. G. Grosso Cacopardo, Opere…, 1994, pp. 30-31.   

[169]   Queste ultime due opere, insieme alla tela con la Madonna col Bambino, Sant’Anna e Santa Venera della chiesa Madre di Novara di Sicilia, firmata “Ego feci” entro un piccolo cartiglio portato dal solito cardellino, datato 1607 e dunque probabilmente sua ultima opera, sono le uniche sopravvissute. Dal Registro dei Morti della chiesa del convento di S. Girolamo dei Domenicani di Messina, al foglio 194, si evince che Francesco Cardillo morì il 29 ottobre 1607, come lo stesso La Farina informa. Cfr. G. Borghese, Condizioni di Novara sotto l’aspetto della civiltà e dell’arte, in “ASM”, 1905, a. VI, ff. III-IV, pp. 223-262; Id., Novara di Sicilia e le sue opere d’arte (da documenti inediti), in “ASM”, 1906, a. VII, ff. III-IV, pp. 223-262; Cardillo, ad vocem in D.B.I., XIX, Roma 1976, pp.780-782, osserva che sia la Pietà che la Madonna e Santi di Novara rivelano l’adesione a modi manieristico-controriformati e una spiccata attenzione verso effetti naturalistici e cromatici vicini ai modi di Antonio Catalano l’Antico, discordando in modo piuttosto evidente dalle espressioni della Madonna di Soccorso, in cui evidenti caratteri polidoreschi spiccano nel registro inferiore, specie nella figura del demone. Cfr. P. Leone de Castris, Polidoro da Caravaggio…, p. 178, 184; T. Pugliatti, La pittura del Cinquecento…, pp. 169-170.

[170]   Cfr. Cardillo Francesco, ad vocem in Dizionario artistico..., 2, pp. 74-75; ad vocem in Enciclopedia della Sicilia…, 2006, p. 228.

[171]  Reg. dei Matrimoni, fol. 41, retro, num. 173. Pubblica anche notizie riguardo ai fratelli di Stefano, figli di Francesco, formatosi alla scuola di Antonello Rizzo, del quale sposò la figlia Giovannella da cui ebbe quattro figli: Stefano (21 febbraio 1595), Vincenzio (29 agosto 1596) morto a soli ventotto anni, Flavia (30 novembre 1600), Anna Maria (5 febbraio 1603). Cfr. Reg. dei Morti, fol. 33, num. 910; Reg. dei Matrimoni, della Parrocchiale Chiesa di S. Nicolò dell’Arcivescovado del 1593, fol. 98, retro; Morto il 6 gennaio 1625, Reg. dei Morti, fol. 6, num. 144; Reg. dei Natali, della Parrocchiale Chiesa di S. Nicolò dell’Arcivescovado sotto i giorni indicati. G. Molonia fa notare che C.D. Gallo, erroneamente segnala Stefano come l’ultimo dei figli e non il primo quale è effettivamente (Annali della Città di Messina…, t. III, Messina 1803, p. 107, nota 21).

[172]   Nel 1812 riporta notizie relative a Pietro Oliva, Polidoro, Guinaccia, Mariano e Antonio Riccio (C. La Farina, Notizie di alcuni Pittori Messinesi, in “Il fa per tutti o sia Calendario, e notizie per l’anno bisestile 1812”, 1812, pp. 121-127) e segnala notizie Su un antico sarcofago esistente a Messina (in Ibid., pp. 41-43). In nota menziona anche un breve saggio sulla famiglia degli «Antonii» in riferimento alle Memorie degli artisti messinesi di Grosso Cacopardo, «dottissimo anonimo concittadino», pubblicate l’anno precedente in un articolo intitolato “Strenna Galante dell’Animoso Accademico Peloritano», cfr. C. La Farina, Notizie di alcuni Pittori Messinesi, in Ibid., pp. 121, nota 1. Nel 1813 riferisce di G. S. Comandè, A. Catalano, A. Rodriguez (C. La Farina, Continuazione delle notizie su alcuni Pittori Messinesi, in “Il fa per tutti o sia…”, 1812, pp. 139-144); nel 1814 cita M. Minniti, A. Socino, F. Giannitti, D. Marolì, A. Quagliata (C. La Farina, Continuazione delle notizie su alcuni Pittori Messinesi, “Il fa per tutti o sia …”, 1814, pp. XX-XXIV). 

[173]  “Il fa per tutti o sia Calendario, e notizie per l’anno bisestile 1812” (1813, 1814, 1815, 1816, 1817, 1818, 1819, 1820, 1821, 1822) fu pubblicato dal 1812 per dieci anni, dai torchi di Giovanni del Nobolo. Cfr. G. Arenaprimo, La stampa periodica…, 1892-1893, p. 147, nota 1; Id., Almanacchi e Strenne di altri tempi, in “Eros. Rivista artistica letteraria”, I, 1900, f. I, pp. 9-12.

[174]  L’opera era stata riferita in precedenza alla “scuola di Polidoro”, o più genericamente definita “di stile raffaellesco”. Cfr. C.D. Gallo, Apparato agli Annali…, 1755, p. 172; G. Grosso Cacopardo, Guida per la città di Messina…, 1826, p. 2; Id., Guida per la…, 1841, p. 2.

[175]   C. La Farina, Lettera VII. Si adducono varie notizie..., 1835, pp. 60-61. L’attribuzione è accettata con qualche riserva da G. La Farina (Messina e i suoi…, 1840, pp. 38-39), e successivamente da G. Di Marzo (Delle Belle arti in Sicilia…, 1862, p. 309), s.a., Messina e dintorni, guida a cura del Municipio, Prem. stab. G. Crupi,  Messina 1902) e A. Salinas e G.M. Columba (Terremoto di Messina (28 dicembre 1908). Opere d’arte recuperate dalle RR. Soprintendenze dei Monumenti, dei Musei e delle Gallerie di Palermo, Palermo 1915, p. 25), che lo dicono «recuperato nel museo», sebbene non figuri tra le opere esistenti. Cfr. T. Pugliatti, La pittura del Cinquecento…, p. 332, nota 8.       

[176]  Id., Notizie di alcuni Pittori Messinesi, in “Il fa per tutti…”, 1812, p. 125.

[177]  Si ricordano tra le altre: C. La Farina, Elogio funebre per Sua maestà Ferdinando I Borbone, Re del Regno delle Due Sicilie, nella straordinaria tornata della reale Accademia de’ Pericolanti del dì 8. Febbraio 1825. Letto dal Socio Carmelo La Farina Dottore in ambe le leggi, professore di matematica nella reale Accademia Carolina, deputato, ed esaminatore geometra per l’equazione de’ pesi, e delle misure, prefetto del pub. Museo, ed Accademico del Buon Gusto, Giuseppe Fiumara, Messina 1825; Id., Inno da cantarsi nel Real Teatro della Munizione della Città di Messina la sera de’ 29 luglio 1828 nella sempre lieta occasione di essere ornato dall’Eccellentissimo Signore Marchese della Favara, brigadiere de’ reali Eserciti, Gentiluomo di Camera con esercizio, Cavaliere degl’insigni Reali Ordini di S. Gennaro, e di S. Ferdinando, e del Merito, cavaliere di 1.ma Classe dell’ordine Imper. Austriaco della Corona di Ferro, Cavaliere di Giustizia del Real Ordine Militare di S. Stefano P. e M. Consigliere di Stato Ministro Luogotenente Generale di S. M. (D. G.) in questa parte de’ Reali Dominj ec. ec. ec. Parole di Carmelo La Farina, Antonino d’Amico Arena, Messina 1828; Id., Pell’assunzione alla Sacra porpora di D. Francesco di Paola Villadicani, Cardinale del titolo di S. Alessio, Arcivescovo di Messina ec.ec., Discorso pronunziato nella Reale Accademia Peloritana il dì 12 ottobre 1843 dal suo Segretario Generale Professore Carmelo La Farina giudice di tribunale civile, Stamperia di G. Fiumara, Messina 1843; Id., Cenni biografici dell’eminentissimo principe D. Francesco di Paola Villadicani, patrizio messinese dei principi di Mola, dei marchesi di Condagusta, dei baroni Lando, Pirago, e Cartolano, Cardinale Presbitero si S. R. C., del titolo di S. Alessio, già Vescovo di Ortosia, Arcivescovo di Messina, Conte di Regalbuto, Barone di Bolo, Signore di Alcara, ec. ec. ec., per Carmelo La Farina, Giudice di Gran Corte Criminale, Professore di Geometria e Trigonometria nell’Università Messinese, prefetto del Pubblico Museo, Membro effettivo del VII Congresso degli Scienziati Italiani, Membro dell’istituto di corrispondenza Archeologica di Roma, della Società libera di emulazione di Roano, e dell’Etrusca della Valdarnese di Montevarchi, degl’Incamminati di Modigliana, degli Entoleti di S. Miniato, dell’Accademia di Scienze e Lettere di Palermo, degli Zelanti di Aci-Reale, della Civetta di Trapani, della Lilibetana di Marsala, dell’Accademia Cosentina, della Florimontana di Monteleone, Membro della Società Economica della Provincia di Messina, e di quella della Calabria Ulteriore Seconda, segretario Generale della Reale Accademia Peloritana, Stamperia di Tommaso Capra, Messina 1846.

[178]  C. La Farina, Congettura del prof. C. La Farina…, Marzo 1836, pp. 165-168. Cfr. F. Bisazza, Archeologia. Congettura del professore Carmelo La Farina, sul sito dell’antico Nauloco. Messina (estratto dal Faro, fascicolo III, Marzo 1836) 8. Di pag. 6, in “Il Faro che siegue lo Spettatore Zancleo. Giornale di Scienze Lettere e Arti”, a. IV, vol. II, f. 9, Settembre 1836, pp. 190-191.

[179]   C. La Farina, Congettura del prof. C. La Farina sul sito dell’antico Nauloco, estratto dal “Il Faro che siegue lo Spettatore Zancleo. Giornale di Scienze Lettere e Arti”, a. IV, vol. I, f. 4, Aprile 1836, pp. 253-260. 

[180]   C. La Farina, Statistica della Città di Messina, in “Lo Spettatore Zancleo”, a. II, n. 22, Messina 28 Maggio 1834, p. 176; ivi, a. II, n. 22, Messina 3 Giugno 1835, p. 173-175; Id., Statistica della Città di Messina in “Il Faro. Giornale di Scienze Lettere e Arti”, a. IV, vol. I, Messina 1836, pp. 311-314; ivi, a. V, vol. III, “da Gennaro a Giugno”, Messina 1837, pp. 81-85.

[181]   C. La Farina, Statistica della Città di Messina, in “Giornale degli Atti per l’Intendenza del Valle di Messina”, a. 1835, f. III, pp. 62-63. Edito dal 3 maggio 1818, giorno dell’insediamento nel palazzo municipale del Barone di Mandrascate, Intendente del Vallo di Messina, il periodico fu pubblicato con regolarità, inizialmente ogni decade, poi dal 1822 divenne mensile e nel ’37 se ne pubblicò un solo numero di appena 8 pagine, a causa della epidemia di colera che aveva colpito la città. Dal numero 4 del 1838 mutò il suo nome in “Giornale dell’Intendenza della Provincia di Messina e le pubblicazioni durarono fino al 1859. G. Molonia, La stampa periodica…, 2004, p. 68.



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Temi di Critica - numero 3

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