teCLa :: Rivista #4

in questo numero contributi di Stefano Colonna, Edoardo Dotto, Giuseppe Pucci, Gabriele Scaramuzza, Alexander Auf Der Heyde Stefano Valeri Michele Dantini Clarissa Ricci.

codice DOI:10.4413/RIVISTA - codice ISSN: 2038-6133
numero di ruolo generale di iscrizione al Registro Stampa: 2583/2010 del 27/07/2010

Ne quid nimis: storia di un emblema umanistico da Achille Bocchi ad Alberto III Pio da Carpidi Stefano Colonna

L’affascinante figura del principe, filosofo e mecenate Alberto III Pio da Carpi venne portata all’attenzione degli studiosi da un’illuminante monografia di Hans Semper sulla città di Carpi del 1882[1]. Hans, figlio di Gottfried, il più importante architetto e teorico tedesco della sua epoca, seppe ricostruire con efficacia non solo la genesi dell’intervento urbanistico e architettonico di Alberto, ma anche e soprattutto il momento storico e culturale a lui contemporaneo. I convegni e gli studi successivamente dedicati al principe e alla sua città hanno focalizzato svariati episodi della biografia di Alberto Pio[2], ma restano ancora molti punti oscuri da chiarire. Infatti questo principe umanista rimase spesso in ombra negli studi critici del Novecento e venne inteso, più o meno esplicitamente, come una figura tutto sommato reazionaria quale paladino dell’ortodossia cattolica, avendo avuto l’ardire di prendere le distanze da Erasmo da Rotterdam nel decennio rovente che seguì la pubblicazione delle Tesi luterane del 1517[3]. Leggendo senza preconcetti ideologici le fonti storiografiche e documentarie sappiamo invece che Alberto Pio ricoprì un ruolo politico di primo piano come ambasciatore dell’imperatore, del papa e del re di Francia in un delicato quanto pericoloso triplo gioco condotto con astuzia ed abilità nel difficile tentativo di mantenere il controllo del suo principato di Carpi, minacciato da nemici interni ed esterni conquistando così quella posizione di rilievo nel mondo politico e culturale del Rinascimento italiano ed europeo, che oggi ancora non è stata pienamente riconosciuta.

Questo contributo vuole fornire una chiave di lettura degli interessi emblematici di Alberto III Pio volta a chiarire alcune delle dinamiche culturali da lui attivate all’interno di un dotto percorso di interazione tra testi ed immagini di cui fu parte attiva Aldo Manuzio il vecchio, in quanto suo maestro nelle discipline umanistiche e poi, nel corso degli anni, promotore di attività culturali che presupponevano la messa in opera di una fitta rete di umanisti ed artisti illustratori dei libri prodotti dall’officina editoriale aldina. La complessa vicenda della redazione e stampa dell’Hypnerotomachia Poliphili, da alcuni attribuita a Francesco Colonna frate veneto, da altri invece all’omonimo Francesco Colonna romano signore di Palestrina, rientra a pieno titolo in questo problema. Le numerose prove e i relativi documenti d’archivio prodotti da Maurizio Calvesi a sostegno della sua ipotesi interpretativa e soprattutto la congruità della sua ricostruzione storica, storico-artistica, filosofica e ideologica del problema Polifilo, mi inducono a considerare significativamente plausibile l’attribuzione dell’opera a Francesco Colonna romano e soprattutto a collocare la cultura antiquaria dell’autore all’interno della cerchia dell’Accademia Romana di Pomponio Leto. Sotto questa luce i numerosi rapporti di Alberto III Pio da Carpi con Roma e la sua stessa parentela con Cecilia Orsini, che apparteneva alla stessa famiglia di Orsina Orsini, moglie di Francesco Colonna romano, pongono dunque l’opera culturale carpigiana di Alberto in un’ottica di speciale interesse per l’Urbe e i suoi abitanti che va oltre la teorica ripresa dei modelli dell’antico per arrivare alla diretta frequentazione dei cultori della storia antica di Roma.

Il mio contributo sul motto «Ne quid nimis» vuole mettere in luce un elemento chiave del rapporto culturale tra Carpi e Roma aprendo la strada a nuovi, necessari studi sull’argomento.

 

Alberto Pio da Carpi

La madre di Alberto III Pio da Carpi Caterina Pico era sorella del noto filosofo e principe umanista Giovanni Pico della Mirandola esecutore testamentario di Leonello, padre di Alberto. Il Semper ritiene che molto probabilmente fu proprio Giovanni Pico a chiamare a Carpi Aldo Manuzio Sr. quale precettore di Alberto[4]. Marco Pio, zio di Alberto, appoggiò questa decisione nella speranza di sottrarre ad Alberto la coreggenza di Carpi distraendolo con gli studi umanistici e diede ad Aldo Manuzio il diritto di cittadinanza a Carpi, oltre ad altri privilegi fiscali. Intorno al 1485-90 Alberto cominciò a creare una sua biblioteca di copie di classici antichi.

Ancora nel 1485 Giovanni Pico, Alberto Pio ed Aldo Manuzio progettarono un’impresa editoriale decidendo di affidare ad Aldo la direzione di una stamperia a Novi, ma l’effettiva realizzazione dell’impresa venne ostacolata dai problemi politici che affliggevano Carpi ed Alberto Pio stesso. Cacciato da Carpi da Giberto Pio, Alberto si trasferì a Ferrara dove strinse amicizia con Pietro Bembo che a quel tempo soggiornava presso il padre Bernardo Bembo. Inoltre Alberto conobbe i poeti Strozzi e soprattutto Ludovico Ariosto insieme al quale ascoltò le lezioni di Gregorio da Spoleto sui poeti greci e romani. Sempre a Ferrara Alberto conobbe anche Iacopo Sadoleto e soprattutto Celio Calcagnini, con il quale assistette nel 1498 alle lezioni di Pietro Pomponazzi.

La Pastorello ricorda come nel «[1497 gennaio] Alberto Pio propone all’antico precettore la istituzione, entro i propri dominî, di una Academia, in qua, relicta barbarie, bonis litteris bonisque artibus studeatur. (Inv. 20)»[5]. Vale a dire di un’Accademia nella quale, abbandonata ogni “barbarie”, ci si dedichi allo studio delle buone lettere e delle belle (buone) arti. Quest’importante informazione attesta che le relazioni culturali di Alberto Pio avevano acquistato una sistematicità programmatica degna di rilievo nella cultura umanistica del suo tempo. Nel 1504 Alberto Pio concesse ad Aldo Manuzio il permesso di fregiarsi dell’appellativo di «Pio» e di usarne lo stemma, aquila rossa su campo d’argento. Da quel momento Aldo adotterà il nome di «Aldus Pius Manutius Romanus»[6].

La Di Pietro Lombardi giustamente sottolinea quanto fu incisiva la presenza a Carpi dell’erudito greco Marco Musuro tra il 1499 e il 1503, che costituisce uno dei tanti indizi del filo-ellenismo coltivato dai membri più significativi dell’accademia aldina fin dalle sue origini[7]. Questi sono solo alcuni esempi dell’intensa attività culturale condotta da Alberto III Pio da Carpi negli anni della sua formazione.

Il risultato concreto di tale profonda preparazione umanistica durante il periodo della reggenza di Carpi fu una sistematica attività urbanistica tutta incentrata sul tentativo di emulare la grandezza della Roma antica e moderna con la committenza di edifici tra loro coordinati all’insegna della romanità e del classicismo. Uno dei principali artefici di questo rinnovamento della città di Carpi fu Baldassarre Peruzzi al quale vengono attribuiti gli interventi al Duomo, “firmati” da alcune serliane, con il tentativo di emulare la Basilica di San Pietro di Roma; la facciata della Chiesa della Sagra che intorno al 1515 presenta un’interessante rielaborazione di elementi bramanteschi, ed altri interventi architettonici minori[8]. Il palazzo dei Pio, all’interno del castello, contiene numerosi affreschi e lo splendido quanto raro studiolo rinascimentale in legno policromo di Alberto Pio, pubblicato dalla Sarchi, che merita di essere oggetto di ulteriori studi[9].

 

Il motto «Ne quid nimis» nel cortile d’onore del castello di Carpi

Lo splendido cortile d’onore del castello di Carpi presenta un’interessante serie di peducci scolpiti con iscrizioni riferite ad Alberto Pio. In uno di questi emblemi ricorre un motto latino che si ispira alla giusta misura: «Ne quid nimis», traduzione del greco μηδέν Ἂγαν, cioè: «nessun eccesso» scolpito, secondo la tradizione, nel tempio di Apollo a Delfi e poi mutuato nei Sermones di Orazio: «ogni cosa ha la sua misura» e nell’Andria di Terenzio[10]. La versione greca del motto ricorre anche in una copia dell’Apologia in Plautum, splendido esemplare di cinquecentina miniata dell’umanista bolognese Achille Bocchi che fu segretario di Alberto Pio[11]. Il motto appare infine nella versione aldina degli Adagia di Erasmo da Rotterdam. Questa circolazione del motto all’interno di una cerchia umanistica affine mi ha indotto ad approfondire la cronologia dell’apparizione del motto stesso per verificarne le modalità di mutuazione.

Su una facciata del cortile del castello dei Pio a Carpi, secondo il Tiraboschi, una volta si trovava la data 1504[12]. Il Morselli nel 1931 ha pubblicato un documento che attesta che nel 1506 si attendeva alla decorazione degli interni e alla sistemazione delle finestre del palazzo di Alberto III Pio[13]. Secondo Elena Svalduz, stante l’esiguità dei riscontri documentari, purtroppo non è possibile stabilire con certezza la cronologia del cortile, che comunque dovette essere realizzato tra le date 1509 e 1523 che furono incise in due capitelli del quadriportico, come ci riferisce il Semper[14]. La stessa Svalduz comunque ritiene che «una campagna consistente di lavori (forse una ripresa importante del cantiere già avviato) cada tra 1515 e 1518»[15]ed è favorevole a riconoscere una paternità del progetto a Baldassarre Peruzzi, in particolare «nell’articolazione del loggiato superiore»[16].

 

Achille Bocchi e il motto «μηδέν Ἂγαν»

La cinquecentina miniata dell’Apologia in Plautum di Achille Bocchi, stampata a Bologna nel 1508, fu presumibilmente miniata nello stesso anno come copia di dedica ed è oggi conservata nella Biblioteca Casanatense di Roma. Il motto greco vi appare miniato in oro su campo azzurro all’interno di un cartiglio posto in basso nella prima pagina del libro.

Achille Bocchi aveva ottenuto proprio nel 1508 la cattedra bolognese di lettere greche che fu il suo primo insegnamento universitario[17]. Nel 1513 l’umanista seguì Alberto III Pio da Carpi a Roma in qualità di segretario e nella Biblioteca Apostolica Vaticana sono conservate alcune sue lettere manoscritte di quel periodo che ne testimoniano i vivi interessi umanistici[18]. In età matura il Bocchi pubblicherà a Bologna nel 1555 i Symbolicarum Quaestionum … libri quinque, che è forse la più complessa raccolta di emblemi del Rinascimento, ricordando le esperienze romane di quel periodo. Infatti in questa editio princeps del 1555 ricorre anche la citazione dei cosiddetti “geroglifici romani” dell’Hypnerotomachia Poliphili, la celeberrima edizione aldina stampata a Venezia nel 1499, quasi a voler suggellare una condivisione di interessi culturali con la cerchia degli umanisti facenti capo all’Accademia Romana di Pomponio Leto prima e poi ad Angelo Colocci. Achille Bocchi dedicò non a caso la citata Apologia in Plautum proprio al card. Raffaele Riario, che era un amico di Francesco Colonna romano autore dell’Hypnerotomachia[19]. Achille Bocchi doveva essere legato ad Alberto Pio da Carpi e Francesco Colonna romano dal comune filo-ellenismo ampiamente dimostrato nelle rispettive produzioni letterarie e nei fatti concreti legati sia al mondo umanistico bolognese, sia alla produzione tipografica aldina promossa fin dai primordi dal principe carpigiano, sia al contesto antiquariale romano di Alberto Pio[20].

 

Achille Bocchi, Alberto Pio ed Erasmo da Rotterdam

A ben vedere infatti la cosiddetta “magnificenza” di Alberto III Pio da Carpi va spiegata, oltre che dal letterario e teorico riferimento ad Aristotele, come suggerito da Luisa Giordano[21], anche e soprattutto come un’adesione ai valori della romanità sperimentati personalmente durante il soggiorno nell’Urbe, con la visione diretta della Roma antica e moderna coltivata dalla cerchia degli umanisti dediti allo studio filologico ed antiquariale della proto-archeologia. L’adozione di un motto come il «Ne quid nimis» può essere considerata un riferimento autobiografico all’attività diplomatica di Alberto Pio, che richiede, come noto, un continuo auto-controllo dei sentimenti e delle emozioni. Ma la scelta di questo motto da parte di Achille Bocchi riporta l’attenzione sul fatto che gli umanisti coltivavano il sogno di un Rinascimento dell’antichità classica intesa soprattutto come fonte inesauribile di antica saggezza da mettere al servizio del retto agire e del buon governo.

Il motto «Ne quid nimis» compare nell’edizione aldina del 1508 degli Adagia di Erasmo da Rotterdam, mentre è assente in quella parigina del 1505 e quindi risulta coevo all’Apologia in Plautum di Achille Bocchi[22].

L’adesione a quest’ideale della “misura” si realizzò sia sul piano filosofico e letterario, che in quello delle arti e in architettura, tramite l’intelligente operato di Baldassarre Peruzzi.

L’architetto toscano aveva saputo portare gli ideali della Roma di Raffaello nella Carpi di Alberto Pio, creando un decoro urbano ispirato al misurato equilibrio dell’architettura antica, filtrata dalla sensibilità e dai valori dell’Umanesimo.

In piena armonia con quest’orientamento culturale Aldo Manuzio aveva concentrato il suo interesse sul motto di grande successo «Festina Lente», vale a dire: «affrettati lentamente» – analogo a «Ne quid nimis» per il suo significato profondo – motto attribuito all’imperatore Augusto, che, unito all’immagine dell’àncora col delfino ispirata ad una moneta antica, divenne la marca tipografica della stamperia di Manuzio[23]. Nel giugno del 1502 apparve infatti la prima àncora su edizione aldina (Poëtae Christ. Vet. II)[24] che era stata però anticipata da una xilografia connessa con il motto «Semper festina tarde» nella già citata Hypnerotomachia Poliphili, stampata nel 1499[25].

A partire dalla princeps parigina furono pubblicate diverse edizioni degli Adagia di Erasmo[26], che differivano per il numero dei proverbi contenuti: la Collectanea, cioè la princeps del 1500, ne pubblicava 818 mentre le Adagiorum Chiliades, vale a dire l’edizione veneziana di Aldo Manuzio del 1508, ne conteneva ben 3.260[27]. Il commento di Erasmo al celeberrimo motto «Festina Lente» apparve nell’edizione del 1508[28].

In questo caso risulta evidente come Erasmo si sia ispirato ad Aldo Manuzio stesso nel citare il motto «Festina Lente» all’interno dell’edizione aldina degli Adagia del 1508. Non è escluso che Achille Bocchi ed Alberto III Pio da Carpi possano aver suggerito ad Erasmo anche il motto «Ne quid nimis», pur se, com’è ovvio, entrambi i motti potevano essere una semplice e diretta citazione di fonti antiche. La circolazione del motto in questa cerchia di intellettuali sta a significare l’ormai maturo interesse degli umanisti per il concetto di mediocritas, che Orazio definiva aurea[29], inteso come teoria del giusto mezzo e della misura, che è il portato filosofico degli studi estetico-matematici sulla prospettiva e sulla sezione aurea che da Filippo Brunelleschi e Leon Battista Alberti in poi aveva caratterizzato la ricerca architettonica e pittorica di matrice

umanistica, in sintonia con lo spirito dell’arte e della cultura classica mediate attraverso le ricche personalità di questi illustri interpreti.

Appendice

[Da: Erasmus Roterodamus, Adagiorum chilias, Amsterdam,
1998, vol. II.2.596:]

 

Alterum diversis verbis eandem ferme sententiam complectitur Μηδέν γαν, id est Ne quid nimis, quam quidem tanquam vulgo celebratam Terentius in Andria etiam Sosiae libertini personae tribuit. Diogenes Laertius Pythagorae adscribit. Aristoteles tertio Rhetoricorum libro ad Biantem autorem refert tractans de iuvenum immoderatis affectibus, quos ait ubique nimia vehementia peccare; nam et amare nimium pariter et odisse nimium. Senes non item, sed ut ipsius Aristotelis utar verbis: Κατά τήν Βίαντος Ύποθήκην καί φιλοςιν ς μισήσοντες κα μισοσιν ς φιλσοντες, id est Iuxta Biantis admonitionem et amant tanquam osuri et oderunt tanquam amaturi. Sunt qui Thaleti tribuant, sunt qui Soloni teste Laertio. Plato quodam loco ex Euripide citat. Neque desunt, qui ad Homerum veluti fontem referant, cuius hi versus sunt in Odysseae:

Νεμεσσμαι δ κα λλ

νδρ ξεινοδόκ, ς κ’ξοχα μν φιλέσιν

ξοχα δ’ χθαίρσιν̇ άμείνω δ’ασιμα πάντα,        id est

Mihi nequaquam is placet hospes,

Qui valde praeterque modum simul odit amatque,

Sed puto rectius esse, ut sint mediocria cuncta.

Idem in Iliados K:

Τυδείδη, μήτ’ρ με μάλ’ ανεε μήτε τι νείκει,         id est

Ne nimis aut laudes, Tytida, aut vituperes me.

Equidem ad Hesiodum referre malim. Cuius illud est in opere, cui titulus ργα

κα μέραι:

Μέτρα φυλάσσεσθαι καιρς δ’π πσιν ριστος,      id est

Mensuram serva, modus in re est optimus omni.

Euripides cum aliis aliquot locis tum in Hippolyto coronato:

Οτω τ λίαν γ σσον παιν

Το μηδν γαν,          id est

Sic equidem minus approbo quicquid

Est vehemens quam quod vulgus ait:

Ne quid nimium.

Pindarus apud Plutarchum: Σοφο δ κα τ μηδν γαν πος ανησαν περισσς,

Id est Sapientes hoc verbum, ne quid nimis, praeter modum laudarunt. Sophocles in Electra:

Μήθος χθαίρεις περάχθεο μήτ έπιλάθου,      id est

Ne nimium praeterque modum te torqueat ille,

Quem odisti, sed nec neglexeris immemor hostem.

Plautus in Poenulo: Modus omnibus in rebus, soror, est optimus. Eodem pertinet Homericum illud Iliados N:

Παντων μν κόρος στί, κα πνου κα φιλτητος

Μολπς τε γλυκερς, κα μύμονος ρχηθμοο,   id est

Cunctarum rerum saties contingit, amorisque

Et somni et blandae citharae choreaequae decentis.

Id imitatus videtur Pindarus in Nemesis:

Κρον δ χει

Κα μέλι κα τά τέρπν νθ φροδίσια,   id est

Satietatem habet et mel et iucundi flores Venerei.  Plinius libro xi.: Perniciosissimum autem et in omni quidem vita, quod nimium. Horatius:

Est modus in rebus, sunt certi denique fines,

Quos ultra citraque nequit consistere rectum.

Rursus idem:

Virtus est medium vitiorum utrinque redactum.

Phocylides: Ράντον μέτρον ριστον, id est Omnium modus optimus. Et Alpheus in epigrammate:

Τ μηδν γρ γαν γαν με τέρπει,     id est

Hoc ne quid nimium, nimis placet mi.

Quintilianus scripsit modum in pronunciatione regnare, quemadmodum in caeteris omnibus. Denique Plutarchus in Camillo docet pietatem esse mediam inter contemptum numinum et superstitionem: δ ελάβεια κα τ μηδν γαν ριστον, id est Pietas autem, quod aiunt, ne quid nimis optimum est. Nihil autem est rerum omnium, in quo non peccari queat nimietate praeter amorem Dei, quod aliis verbis fatetur et Aristoteles pro deo supponens sapientiam. Huc pertinet quod ex poeta quopiam refert Athenaeus libro i. de laudibus vini:

Πάσας δ’ κ κραδίας νίας νδρν λαπάξει

Πινόμενος κατ μέτρον πρ μέτρον δ χερείων,   id est

Atqui omnes hominum pellit de pectore curas,

Si modice biberis, sin absque modo nociturum est


[1] Sono arrivato a studiare Alberto III Pio da Carpi a partire da ricerche relative al suo segretario Achille Bocchi. In una conferenza tenuta su Achille Bocchi Phileros ho parlato anche di Alberto nel Seminario su L’Età di Bocchi. La filosofia simbolica nel XVI secolo (Bologna, Accademia delle Scienze, 7-9 maggio 1998), organizzato dal Dipartimento di Filosofia, Dipartimento di Italianistica e Dipartimento di Arti Visive dell’Università degli Studi di Bologna. Il testo presentato in questo convegno, di cui non vennero stampati gli atti, opportunamente rivisto ed aggiornato, è pubblicato in S. Colonna, Phileros: il soprannome accademico e umanistico di Achille Bocchi in Dal Razionalismo al Rinascimento. Per i quaranta anni di studi di Silvia Danesi Squarzina, a cura di M.G.Aurigemma, Campisano, Roma 2011, pp. 47-52. Avevo a suo tempo ripreso l’argomento bocchiano all’interno di un contributo sull’Hypnerotomachia, su invito di Alessandro Scarsella dietro presentazione di Silvia Urbini, che ringrazio, anche nella Giornata di Studi Verso il Polifilo 1499-1999 organizzata dalla Biblioteca Civica, Assessorato alla Cultura della Città di San Donà di Piave (Centro Culturale Lenardo da Vinci, 31 ottobre 1998) e ancora, su invito di Manuela Rossi, che ringrazio, nella Giornata di Studi organizzata dal Museo Civico del Comune di Carpi (Sala dei Mori il 16 dicembre 1999), con il mio intervento Semper Festina Tarde e Ne quid nimis: storia di due emblemi umanistici. Il presente testo inedito costituisce una rielaborazione di quello presentato nei due predetti convegni.

[2]  Si veda in particolare Alberto III e Rodolfo Pio da Carpi collezionisti e mecenati (Atti del seminario internazionale di studi, Carpi, 22 e 23 novembre 2002), a cura di M. Rossi, (Tavagnacco, Arti Grafiche Friulane), Comune di Carpi, Museo civico; Soprintendenza beni storici e artistici di Modena e Reggio Emilia, 2004, con bibliografia precedente. Restano comunque fondamentali: Alberto Pio III, Signore di Carpi (1475-1975), Modena, Aedes Muratoriana, Deputazione di storia patria per le antiche provincie modenesi, Biblioteca, Nuova serie, 36, Modena 1977; C. Vasoli, Alberto III Pio da Carpi, Carpi, Comune di Carpi, Assessorato ai servizi culturali, 1978; Società, politica e cultura a Carpi ai tempi di Alberto III Pio (Atti del convegno internazionale, 19-21 maggio Carpi 1978), Padova, Antenore, 1981 ed E. Svalduz, Da castello a “città”: Carpi e Alberto Pio (1472-1530), Roma, Officina, 2001.

[3]  Alberto III Pio da Carpi, Ad Erasmi Roterodami expostulationem responsio accurata et paraenetica, a cura di F. Forner, Firenze, L.S. Olschki, 2002, 2 voll.

[4]  H. Semper, F.O. Schulze, W. Barth, Alberto Pio, amico dei dotti e del sapere, in Id., Carpi. Una sede principesca del Rinascimento, (Dresda, 1882), traduzione di A. D’Amelio, A.E. Werdehausen, a cura di L. Giordano, ETS, Pisa 1999, cap. V, p. 96.

[5]  E. Pastorello, Di Aldo Pio Manuzio: Testimonianze e Documenti, in “La Bibliofilia”, 1965, a. 67, disp. 2, pp. 163-220, p. 168.

[6]  H. Semper, F.O. Schulze, W. Barth, Alberto Pio, amico dei dotti…, p. 111.

[7]  Alberto III e Rodolfo Pio…, p. 215. Sul filo-ellenismo di Aldo si veda il vecchio ma ancora valido contributo di A. Firmin-Didot, Alde Manuce e l’Hellénisme a Venise, Typographie D’Ambroise Firmin-Didot, Paris 1875 ed ora G. Benzoni, L’eredità greca e l’ellenismo veneziano, L.S. Olschki, Firenze 2002 e Bizantio, Benetia kai ho hellenophrankikos kosmos : (13os - 15os aionas); Praktika tu Diethnus Synedru pu organotheke me ten eukairia tes hekatonteridas apo te gennese tu Raymond-Joseph Loenertz o.p., Benetia, 1-2 dekembriu 2000 = Bisanzio, Venezia e il mondo franco-greco (XIII - XV secolo), a cura di Ch. A. Maltezou, P. Schreiner, Venezia, Istituto Ellenico di Studi Bizantini e Postbizantini di Venezia, Venezia 2002.

[8]  Sugli interventi carpigiani di Baldassarre Peruzzi si veda la bibliografia di Carpi già citata e inoltre: E. Svalduz, «Bellissime investigazioni»: su alcuni progetti di Baldassarre Peruzzi per Alberto Pio da Carpi, in Baldassarre Peruzzi 1481-1536, a cura di Ch. L. Frommel, A. Bruschi, H. Burns, F.P. Fiore, P.N. Pagliara, Marsilio, Venezia 2005, pp. 181-197 e 533-538. Per quanto riguarda l’urbanistica carpi-giana si veda A. Corboz, Le piazze imperiali dell’Italia del Nord (Vigevano e Carpi): un’ipotesi di lavoro, in La famiglia e la vita quotidiana in Europa dal ‘400 al ‘600 Fonti e problemi, Atti del convegno internazionale (Milano, 1-4 dicembre 1983), Como, New press, Roma 1986, pp. 427-441.

[9]  A. Sarchi, The “studiolo” of Alberto Pio da Carpi, in Drawing relationships in northern Italian Renaissance art: patronage and theories of invention, edited by G. Periti, with an introd. by Ch. Dempsey, Ashgate, Aldershot 2004, pp. 129-151.

[10]  Un’ottima pagina web sulla mediocritas è stata scritta da Paola Cosentino per il sito Italica della RAI ed è leggibile all’indirizzo internet: http://www.italiaca.rai.it/scheda.php?scheda=rinascimento_categorie_mediocritas.. Pagina visitata in data 28 luglio 2011. Italo Pantani mi ricorda gentilmente, e lo ringrazio, che il motto «Ne quid nimis» appare anche nei Promessi Sposi di Alessandro Manzoni.

[11]  A. Bocchi, Achillis Bononiensis Apologia in Plautum. Vita Ciceronis auctore Plutarcho nuper inuenta ac diu desiderata, Ioannes Anto. Pla [: de Benedictis ], [Bologna]1508. Ho consultato la cinquecentina a stampa con decoreazioni minate posseduta dalla Bilioteca Casanatense di Roma ed avente la segnatura: [RARI 922]. Mentre le Orationes, altro volume della Casanatense, sempre di A. Bocchi, consistono in un codice pergamenaceo del XVI sec. impreziosito da ricche miniature ed hanno la collocazione: [MSS.1526]. Ringrazio Antonio Adorisio per la segnalazione delle miniature presenti in questi due volumi della Casanatense.

[12]  H. Semper, F.O. Schulze, W. Barth, Alberto Pio, amico dei dotti…, La residenza del principe Pio, cap. IX, p. 162. Sul palazzo del principe si veda A. Garuti, Il Palazzo dei Pio di Savoia nel «castello» di Carpi. Appunti per la storia edilizia e artistica dell’edificio, Panini, Modena 1983.

[13]  A. Morselli, Alberto e la corte di Carpi in un documento d’amministrazione, in “Memorie storiche e documenti sulla città e l’antico principato di Carpi”, XI, 1931, pp. 153-183. Si veda ora E. Svalduz, «Fabbriche infinite»: il palazzo di Alberto Pio, in Il palazzo dei Pio a Carpi. Sette secoli di architettura e arte, a cura di E. Svalduz, M. Rossi, Marsilio, Venezia 2008, pp. 71-115.

[14]  Ibid. Sul cortile si vedano anche A. Sammarini, Di alcuni bassi-rilievi nel cortile dell’antico palazzo Pio in Carpi, in “Memorie storiche e documenti sulla città e sull’antico principato di Carpi”, I, 1877, pp. 315-328 e L. Giordano, Il cortile del Palazzo Pio in Carpi, in Baldassarre Peruzzi. Pittura scena e architettura nel Cinquecento, Istituto della Enciclopedia Italiana, Roma 1987, pp. 669-687.

[15]  E. Svalduz, «Fabbriche infinite»…, p. 92.

[16]  Ibid., p. 101.

[17]  L’opera di Achille Bocchi è stata oggetto di uno studio di Adalgisa Lugli che ha precorso i tempi fornendo per prima una lettura critica moderna di questo importante umanista bolognese: A. Lugli, Le “Symbolicae Quaestiones” di Achille Bocchi e la cultura dell’emblema in Emilia, in Le Arti a Bologna e in Emilia dal XVI al XVII secolo, CLUEB, Bologna 1982, pp. 87-96. Si vedano poi le monografie di E.S. Watson, Achille Bocchi and the emblem book as symbolic form, Cambridge university press, Cambridge 1993 e quella di A. Angelini, Simboli e questioni: l’eterodossia culturale di Achille Bocchi e dell’Hermathena, Edizioni Pendragon, Bologna 2003 con bibliografia precedente.

[18]  S. Colonna, Arte e Letteratura. La civiltà dell’emblema in Emilia nel Cinquecento, in La pittura in Emilia e in Romagna. Il Cinquecento, a cura di V. Fortunati, Electa, Milano 1995, vol. I, pp. 102-128. Si veda per esempio il Barb. Lat. 2029.

[19]  Per l’attribuzione dell’Hypnerotomachia Poliphili, Aldo Manuzio Sr., Venezia 1499, a Francesco Colonna romano signore di Palestrina si veda M. Calvesi, Identificato l’autore del Polifilo, in «L’Europa artistica letteraria e cinematografica», 6, 1965, pp. 9-20; Id., Il sogno di Polifilo prenestino, Officina, Roma 1980 e Id., La pugna d’amore in sogno di Francesco Colonna romano, Lithos, Roma 1996, dove viene messa in luce l’amicizia di quest’ultimo con il card. Raffaele Riario alle pp. 61, 97, 144, 217, 260 e 261; e S. Colonna, La fortuna critica dell’Hypnerotomachia Popliphili, CAM Editrice, Roma 2009 (in corso di ampliamento e di riedizione).

[20]  Nel mio articolo Phileros: il soprannome... citato nella nota 1 ho messo in luce come il soprannome greco «Phileros» adottato da Achille Bocchi nell’Apologia in Plautum del 1508, potrebbe derivare dalla conoscenza di un’epigrafe facente parte della collezione Carpi in Roma e tramandata da un disegno di Pirro Ligorio, dove appunto ricorre questo nome antico.

[21]  L. Giordano, Alberto Pio e l’edificare per magnificenza, in Il palazzo dei Pio…, pp. 117-121.

[22]  Desiderii Herasmi ...Veterum maximeque insignium paroemiarum, id est Adagiorum, Impressum hoc opus Parhisiis, in via divi Marcelli; ac domo que indicatur Divina Trinitas, Augustino Vincentio Caminado a mendis vindicatore, 1505. Non ho potuto controllare tutte le edizioni parigine degli Adagia di Erasmo, comunque ringrazio molto Luisa Nieddu che mi ha aiuto nella ricerca consultando l’esemplare della Bibliothèque Nationale de France “Mitterand” di Parigi segnato [RES- Z- 945] e riscontrando l’assenza del motto «Ne quid nimis».

[23]  «1499 ottobre 14. Primo accenno ed interpretazione personale della marca tipografica aldina. (Inv. 42) Me semper habere comites (ut oportere aiunt) Delphinum et Ancoram. Nam et dedimus multa cunctando et damus assidue», Io ho sempre come amici (come dicono sia opportuno) Delfino ed Ancora. Abbiamo fatto e facciamo, spesso, infatti, molte cose in collaborazione. Cfr. E. Pastorello, Di Aldo Pio Manuzio…, p. 169.

[24]  Ibid., p. 171.

[25]  Questa coincidenza potrà essere oggetto di ulteriori approfondimenti.

[26]  Un elenco è fornito in Bibliotheca Erasmiana. Répertoire des oeuvres d’Érasme. 1.er Serie: Liste sommaire et provisoire des diverses edition de ses oeuvres, Direction de la bibliothèque de l’Université de l’état, Gand 1893.

[27]  M. Mann Phillips, Adages of Erasmus: a study with transl. by Margaret Mann Phillips, University Press, Cambridge 1964, p. X.

[28]  Ibid. Ringrazio Rossana Castrovinci per avermi aiutato nel reperimento di fotoriproduzioni degli Adagia.

[29]  Orazio, Odi, 2, 10, 5.



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Temi di Critica - numero 4

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