teCLa :: Rivista #5

in questo numero contributi di Carmelo Bajamonte, Eleonora Charans, Francesca Gallo, Giuseppe Giugno, Michela Ruggeri, Vincenzo Scuderi.

codice DOI:10.4413/RIVISTA - codice ISSN: 2038-6133
numero di ruolo generale di iscrizione al Registro Stampa: 2583/2010 del 27/07/2010

Storia e arte nel collegio della Compagnia di Gesù a Caltanissetta. Francesco Natale Juvarra e Giovanni Battista Marino nelle decorazioni marmoree della chiesa di Sant’Agata di Giuseppe Giugno

 

L’arrivo della Compagnia di Gesù a Caltanissetta nel 1588 per volere del principe Francesco II Moncada e della madre Aloisia de Luna y Vega suggella la lunga amicizia che legava ormai da tempo i Gesuiti ai Moncada e contribuisce con la costruzione del collegio alla riorganizzazione urbanistica della città, avviata nel tardo Quattrocento con l’apertura della croce di strade incernierata nel trecentesco piano dila Nuntiata. Tale processo prosegue nel 1566 con il trasferimento della piazza Maggiore dall’antico borgo medievale di origine araba al piano dila Nuntiata, compiendosi negli anni ottanta del Cinquecento, con l’apertura dello ‘Stradone del Collegio’ al termine del quale viene edificata la chiesa di S. Agata[1].

Il progetto del collegio venne realizzato dall’architetto gesuita Alfio Vinci: una figura molto cara ai Moncada per il suo coinvolgimento nei numerosi cantieri di architettura sacra e civile affidatigli dalla famiglia[2]. Il disegno del complesso, impostato su un’organizzazione degli spazi in quattro quadranti di quaranta canne di lato ciascuno, sarà oggetto di discussione nei primi anni del Seicento per le difficoltà tecniche legate alla sua esecuzione. Molti saranno, infatti, gli architetti coinvolti nel cantiere dopo la morte di Vinci nel 1592, impegnati a portare avanti i lavori di costruzione dell’edificio e a risolvere le sue numerose problematiche esecutive.

Dopo il coinvolgimento in cantiere dell’architetto Giacomo Frini[3], subentrato a Vinci nel 1592, il disegno del complesso verrà fortemente messo in discussione nei primi anni del Seicento da Natale Masucci e dal rettore Francesco Costarella[4].

In quella circostanza si darà mano all’elaborazione di soluzioni architettoniche alternative all’idea di partenza, ma nessuna di queste troverà effettiva realizzazione, lasciando pressoché immutato il disegno di Vinci. Unica e significativa variante allo schema progettuale approvata tra il 1601 e il 1603 è rappresentata dal nuovo orientamento stabilito per la facciata della chiesa di S. Agata, la cui apertura non doveva più essere sull’antica strada Maggiore o strata Magna, bensì sullo ‘Stradone del Collegio’. Con tale decisione si portava a compimento il progetto di strada con fondale voluto dai Moncada nell’ambito del programma di modernizzazione dello Stato feudale nisseno. Nello sviluppo del progetto di Vinci si dà precedenza al compimento dei locali del ginnasio e della clausura dei Gesuiti, lasciando per diversi anni quasi immutato il sito dove andava edificata la chiesa. Per tale ragione, quando nel 1617 l’architetto Tommaso Blandino subentra a Masucci nella direzione dei cantieri gesuitici di Sicilia e, dunque molto probabilmente, anche in quello nisseno, dell’edificio di S. Agata risultava definito soltanto il perimetro basamentale secondo l’idea d’impianto a croce greca stabilita nel Cinquecento[5]. La costruzione della chiesa va dal 1617 al 1622, anno della sua apertura al culto, proseguendo tuttavia con Bartolomeo e Giovanni Battista Serpotta di Monreale e Marco la Porta di Ciminna nel 1647, impegnati nell’intaglio del portale esterno e del finestrone centrale di facciata, e nel 1654 con maestranze nissene attive nell’esecuzione della facciata dell’edificio e dello scalone monumentale di accesso al sagrato del tempio, quest’ultimo eseguito con la direzione dell’architetto fra’ Pietro da Genova, impegnato in quel tempo nella costruzione di palazzo Moncada[6].

Ma se il Seicento risulta per il complesso gesuitico e per la chiesa, in particolare, il secolo in cui si portano a compimento tutte quelle trasformazioni architettoniche necessarie per dare sviluppo alla fabbrica secondo le scelte progettuali maturate da Vinci e i ripensamenti seicenteschi, bisognerà guardare al Settecento per assistere allo sviluppo del ricco programma di lavori che interesserà l’architettura interna del tempio. Le opere realizzate verranno rese possibili dai ricchi legati testamentari disposti a favore della chiesa da notabili ed ecclesiastici del luogo, determinando l’arrivo in città di diversi esponenti del commesso marmoreo siciliano, impegnati nella realizzazione delle opere decorative per la cappella di S. Ignazio di Loyola e per l’abside di S. Agata[7].

Interessanti fonti d’archivio attestano la volontà di tradurre in chiave monumentale la cappella di S. Ignazio di Loyola molto prima della realizzazione dei lavori che ne avrebbero definito a inizio Settecento l’immagine oggi conosciuta. Tale dato emerge dal testamento del chierico Leonardo Abbate del 1658, che finanziava la realizzazione di una struttura marmorea con pietre dure per l’altare del santo:

 

in abbellimento di fabrica per ditta cappella di Sant’Ignatio in doratura, petri mischi, colonni, marmi et altri cosi necessarij che ricerchirà decta fabrica di decta cappella e finuta che sarà decta cappella di decti ornamenti di fabrica decti renditi di supra assignati si habbia d’erogari e spendiri in tanti giogali per servitio di detta cappella[8].

 

Si tratta di un intervento mai realizzato, ma assai vicino per forma alla volontà testamentaria dell’abate Giuseppe Sbernia del 1688, con la quale si dà effettivo inizio alle trasformazioni della cappella col coinvolgimento di marmorari trapanesi e messinesi:

 

totum restans ditte hereditatis debeat applicari, erogari et expendi pro beneficio ditte cappelle tam pro fabrica et struttura marmorea et in alijs lapidibus pretiosis quam pro jocalibus, argenteis et aureis benevisis reverendo procuratori ditte hereditatis, ita quod fructus dicte hereditatis non possint expendi nisi tantum pro benefitio et ornamento dicte cappelle et non aliter nec alio modo. Item voluit dittus testator quod cappella predicta sit et intelligatur confinata et clausa usque ad pilastra Ecclesie predicte vicioniora ipsi cappelle et succedente[9].

 

I lavori nella cappella di S. Ignazio di Loyola iniziano nel 1702 col trapanese Giovanni Battista Lombardo, impegnato a realizzare su richiesta di padre Antonio Maria de Valenza, procuratore di Sbernia, l’impalcato architettonico centrale dell’altare, organizzato con colonne binate arricchite da motivi fitomorfi e da prominenze scultoree che raffigurano cherubini contornati di turgidi trionfi di frutta. Al di sopra delle colonne binate, oltre la trabeazione, due spezzoni di frontone chiudono l’intera composizione.

Nell’opera trova ampio spazio l’uso di «marmi bianchi rabiscati di pietri, cioè di pietra paragone, di pietra gialla di Mezzo Juso, di pietra di libeccio e di pietra bardiglia di Genova giusta la forma delli disegni e lavori che sono fatti nel disegno fatto frà d’essi contrahenti e sottoscritto da ditto mastro di Lombardo»[10].

La lavorazione di tutti i marmi avviene a Trapani nella bottega dello scultore, ad eccezione delle quattro colonne marmoree scolpite a Caltanissetta «in octo pezzi cioè ogni colonna in dui pezzi […] e pure d’haverli a stricare et allustrare lustri e lucenti».

Il programma dei lavori nella cappella non si limita al solo impalcato architettonico centrale, ma prosegue nel 1709 con maestranze messinesi esperte nella lavorazione delle pietre dure, impegnate nell’esecuzione del progetto che Francesco Natale Juvarra, fratello del celebre architetto Filippo, elabora per la decorazione delle ali laterali dell’altare. Francesco Natale appartiene ad una delle più importanti botteghe di maestri argentieri attive a Messina tra Sei e Settecento, al cui interno compaiono assieme a lui il padre Pietro, il fratello minore Filippo e il fratellastro maggiore Sebastiano. Pietro emancipa il figlio Francesco Natale nel 1692, consentendogli di diventare «famoso professore di scultura d’argento o cesellatore» grazie a proficue collaborazioni professionali con importanti personaggi del tempo come Giacomo Amato nell’esecuzione di arredi preziosi e Francesco Lo Judice nella realizzazione dei candelieri del duomo di Messina[11]. L’esperienza nissena risulta in tal senso una novità nell’operato dello scultore, rappresentando di fatto allo stato attuale degli studi il primo caso di progettazione architettonica a lui affidato. Tuttavia non va esclusa la possibilità che nel disegno della cappella abbia avuto parte determinante il fratello Filippo, i cui pensieri potrebbero aver suggerito a Francesco Natale il programma decorativo per le fasce parietali collaterali all’altare ignaziano. Primi ad essere coinvolti nell’esecuzione dell’opera sono nel 1709 i messinesi Pancrazio Bosco, Blasio e Pasquale d’Amato e Giuseppe Vizzari[12], impegnati a realizzare un «palio di marmo ad arabeschi commessi […] quali pietre da mettersi per ditti mastri habiano da essere dure e non molli come si è detto e colorite secondo l’altro dissegno farà don / Francesco Juvarra in grande»[13]. Si tratta di un paliotto d’altare disegnato per la cappella di S. Ignazio, ma mai effettivamente usato perché costruito difformemente all’idea di progetto[14]. Per tale ragione nel 1710 si ordina la sua sistemazione nell’altare maggiore della chiesa, venendo più tardi rimosso per trovare spazio con molta probabilità nella cappella di San Francesco Saverio. La tavola marmorea potrebbe secondo tale ipotesi identificarsi col paliotto che riproduce l’effigie di S. Ignazio nell’atto di ricevere dalla Madonna il libro degli esercizi spirituali nella grotta di Manresa[15]. Nuovi «marmorari» si impegnano nel 1709 a lavorare al progetto juvarriano. Si tratta dei maestri Santo e Lorenzo Bara, padre e figlio, chiamati a realizzare per il prezzo di 50 onze l’«opera di marmi piani, commessi e scorniciati dell’ala sinistra della sudetta venerabile cappella»[16].

Nello stesso anno accanto ai Bara lo scultore Giacomo Antonino Marchetta lavora alla fattura dei putti e delle statue dei santi collocate entro le nicchie conchigliate ricavate nelle fasce parietali collaterali all’altare di S. Ignazio.

All’ala sinistra fa seguito nel 1710 l’elaborazione dei marmi commessi per l’ala destra della cappella, assieme alla lavorazione della lapide sepolcrale dell’abate Giuseppe Sbernia «di arabeschi commessi con le sue armi». A questo si aggiunge la costruzione di un nuovo paliotto d’altare eseguito su progetto di Innocenzo Trabucco:

 

di più ditto mastro Sancto s’obliga fare a ditto reverendo padre Sbernia ditto nomine un novo palio di commesso in due, che doverà aprirsi secondo il disegno concertato […] con doverli ancora dare ditto reverendo padre il pezzo / del verde antico venato da Catania nec non e doverli pagare la metà del disegno di ditto palio fatto da ditto di Trabucco così di pacto. Item che ditto di Barra sia tenuto tutti li uccelli come nel disegno lavorarli e commetterli conforme richiede l’arte cosi di pacto[17].

 

Innocenzo Trabucco si inserisce nel progetto juvarriano col disegno delle scale e del nuovo paliotto per l’altare di S. Ignazio, non più «in tabula marmorea integra» come quello precedente, ma su due piani commessi, decorato con la riproduzione di motivi floreali e uccelli[18]. Lo sviluppo del cantiere nella cappella va avanti sino al 1710, quando i Bara abbandonano i lavori incorrendo nella lunga vertenza legale contro la Compagnia nissena con l’accusa di «furto e baratteria»[19]. Per tale ragione i lavori verranno affidati ai messinesi Masi, Pasquale e Blasio D’Amato e Pancrazio Bosco, impegnati a rifare tutte quelle parti del progetto juvarriano mal eseguite dai Bara.

I lavori nella chiesa di S. Agata proseguono nel 1753 con la riqualificazione architettonica della parete absidale.

Ciò è attestato dalla licenza che il provinciale Vespasiano Trigona concede al gesuita Antonio Calafato per dar corso alla decorazione dello spazio sacro:

 

Le significo inoltre d’aver jo dato al padre Antonio Calafato la licenza di continuare gli incominciati ornamenti de marmi per il cappellone, purché lasciate intatta la scalèa dell’altare maggiore, per cui vostro rettore dimostra / principalmente avere il suo impegno, contentandosi per ora di portare a perfezione li due prospetti collaterali dell’altare maggiore, per li quali egli trovasi non che impegnato ma altresì obbligato in virtù d’alberano: molto più che avendo jo osservato il disegno delli nominati prospetti non mi è sembrato o per la qualità delli marmi o per la loro combinazione disdicevole alla magnificenza di cotesta basilica[20].

 

Nell’esecuzione dell’opera vengono coinvolti lo scultore palermitano Giovanni Battista Marino, allievo di Francesco Ignazio Marabitti, e il catanese Domenico Battaglia. Il sodalizio artistico tra le due figure è comprovato dal trasferimento di Marino intorno al 1750 a Catania, dove assieme a Battaglia lavora in diversi cantieri di architettura come a Siracusa tra il 1729 e il 1767 nella costruzione dell’altare a colonne tortili dell’ala sinistra del transetto del duomo e nel 1744 nella stessa città nella scalinata della chiesa del collegio, facendovi ritorno qualche anno dopo al fianco di Marabitti per la decorazione dell’altare di S. Ignazio, opera portata a termine nel 1752 con Battaglia su progetto di Melchiorre Spedalieri[21].

A Caltanissetta Marino non viene chiamato soltanto ad intervenire sulla parete absidale di S. Agata, ma esegue per la cappella di

S. Ignazio l’altorilievo marmoreo che raffigura il santo con le quattro parti del mondo, sul modello dell’apoteosi di S. Ignazio realizzata da Marabitti tra il 1749 e il 1751 per la chiesa dei Gesuiti di Catania[22].

L’intervento di Marino e Battaglia consiste nel «foderare di pietre marmoree, cioè di marmo bianco di Saravezza, di rosso di Francia, di verde di Venezia e di pietra di libice, il fondo del cappellone della chiesa di ditto venerabile collegio»[23], mantenendo inalterata su richiesta del padre provinciale la scalea dell’altare.

Il programma dei lavori, eseguito probabilmente su progetto degli stessi scultori, pone al centro della parete absidale la grande pala d’altare che raffigura il martirio di S. Agata, impreziosita da una cornice in pietra di paragone al di sopra della quale viene disposto uno scudo, arricchito da due putti realizzati da Marino. A lui si devono pure i putti e i simulacri di san Michele e della Madonna inseriti nelle nicchie aperte nelle ali collaterali all’altare maggiore[24].

 

 

Appendice documentaria

 

Segni diacritici usati nella trascrizione dei documenti:

  /       inizio di una nuova carta

[…]      omissione di parte del documento

 …       parte non decifrabile del documento

 

1702, 1 novembre. Capitoli sulla costruzione dell’altare di S. Ignazio di Loyola col coinvolgimento dello scultore trapanese Giovanni Battista Lombardo

 

Testamur quod magister Joannes Battista Lombardo scarpellinus civis huius urbis Drepani mihi notaro cognito presens coram nobis sponte teneatur et debeat prout promisit et promittit seque sollemniter obligavit et obligat reverendo patri Antonio Maria de Valenza Societatis Jesu uti procuratori reverendi patris Hieronimi Sbernia eiusdem Societatis Jesu tamquam administratoris generalis hereditatis quondam reverendissimi abbatis […] don Joseph Sbernia eius olim fratris a quo fuit instituta heres universales venerabilis cappella divi Ignatij Loijole Collegij Societatis Jesu civitatis Calatanissette vigore sui testamenti et codicillorum in actis quondam notarii Joseph Falci dicte civitatis Calatanissette diebus preteritis virtute huiusmodi procurationis cum potestate ampliandi celebrate in actis notarii Pauli Curcuruto Calatanissette sub die vigesimo tertio maij none indicionis 1701 et stante potestate predicta / ampliandi dictus pater de Valentia procuratorio nomine predicto dictam precalendatam procurationem elargavit et elargat ac ampliavit et ampliat ad faciendum et stipulandum presentem contractum et omnia et singula in presenti contractu contenta omni meliori modo mihi etiam notario cognito presenti et ditto nomine stipulanti etiam me notario pro dicta hereditate dicti quondam reverendissimi abbatis don Joseph Sbernia seu pro dicta cappella divi Ignatij Loiole dicti Collegij Societatis Jesu civitatis Calatanissette legitime stipulante ut dicitur di havere a fare e construere una cappella di marmi bianchi rabiscati di pietri, cioè di pietra paragone, di pietra giarla di Mezzo Juso, di pietra di libeccio e di pietra bardiglia di Genova giusta la forma delli disegni e lavori che sono fatti nel disegno fatto frà d’essi contrahenti e sottoscritto da ditto mastro di Lombardo, da detto padre procuratore e dal reverendo sacerdote don Antonino Castro con che li dui scalini della pradella / dell’altare habbiano di essere di pietra nigra del petro palazzo di questa città di Trapani et il sudetto mastro di Lumbardo tutti li lavori e disegni delli sudetti marmi bianchi rabiscati come sopra scalini et ogn’altra cosa sia obligato di haverli a fare e quelli habbiano d’essere di quella grandezza, altezza, larghezza, lavori, disegni, colonnati et altri come sopra descritti, annotati e fatti in detto disegno fatto e sottoscritto di loro proprie mani come sopra, esclusi però li quattro colonni nudi tantum et dumtaxat per li quali sudetti quattro colonni nudi tantum il sudetto mastro di Lumbardo non sia tenuto né obligato farli e che la sudetta cappella di detti marmi bianchi rabiscati come sopra detto mastro di Lombardo l’habbia da fare qui in Trapani per servitio della detta cappella di Santo Ignatio Loijola di detto Collegio di Caltanissetta e per fare e lavorare detta cappella di detti marmi bianchi rabiscati come sopra scalini et ogn’altra cosa / giusta il sudetto disegno il sudetto mastro di Lombardo sia obligato così per il materiale di detti marmi e di detti rabischi pietre et di ogn’altro materiale ch’è necessario in ordine alli pietri tantum et dumtaxat come per tutte le mastrie che ci vorranno et habbia da incominciare di dimane innante e seguire successivamente con tutti quelli mastri che sono necessarij senza mai levare mano e darla lesta di tutto punto ad altius per tutto il mese di aprile dell’anno duodecima inditione 1704 et ogni cosa di detta cappella s’habbia da consignare delata e posta qui in Trapani nella potega di detto mastro di Lombardo di havere ad assistere così al carricato di detta cappella come al discarricare et anche habbia d’assistere all’assettare la sudetta cappella con essere pure obligato detto mastro di Lombardo ad andarvi personalmente benché li sudetti pezzi di marmi, rabischi et altri di / detta cappella habbiano d’andare a risico, periculo e fortuna di detto padre procuratore dicto nomine e la sudetta cappella detto mastro di Lombardo sia obligato di haverla a fare del modo e forma come sopra bene e magistrabilmente conforme ricerca l’arte et ogni cosa sia a benvista del sudetto reverendo sacerdote don Antonino Castro alias. Pro pretijs et magisterij in totum unciarum quatricentarum in pecunia justi ponderis ut dicitur a muzzo et accordio inter dictos contrahentes habito et tractato sollemni stipulatione vallato et iuramento firmato in compotum quarum quidem unciarum quatricentarum dictus magister de Lumbardo dixit et fatetur habuisse et recepisse a dicto reverendo patre de Valentia procuratorio nomine predicto stipulante uncias viginti in pecunia iusti ponderis de contanti renunciando. Et reliquas uncias tricentas octuaginta dictus reverendus pater de Valentia procuratorio nomine predicto dare et solvere promisit et promictit ac / se obligavit et obligat dicto magistro de Lumbardo stipulanti seu persone legitime pro eo hic Drepani in pecunia justi ponderis successive videlicet laborando solvendo in pacem. Processit ex patto che detto mastro di Lombardo oltre dette onze quattrocento habbia e debbia d’havere quando và in Caltanissetta e da ditta città di Caltanissetta ritorna in questa città di Trapani accesso e recesso franco, assieme con l’infrascritte tre altre persone e mentre dimora in detta città di Caltanissetta pure habbia d’havere mangiare e bevere franchi assieme con tre altre persone che porterà per assistere così al discarricato come nell’assettare detta cappella. E più detto mastro di Lombardo sia tenuto et obligato conforme in virtù del presente s’ha obligato et obliga al sudetto reverendo padre di Valenza procuratorio nomine predicto stipulante d’havere a lavorare li quattro colonni di pietra di libeccio che ci deve consignare il sudetto / padre di Valenza ditto nomine in octo pezzi cioè ogni colonna in dui pezzi quali quattro colonni in detti otto pezzi detto mastro di Lombardo sia obligato lavorarli in detta città di Caltanissetta e pure d’haverli a stricare et allustrare lustri e lucenti a specchio con quell’altri mastri che ci vorrà fare lavorare ditto di Lombardo et habbiano da essere bene e magistribilmente lavorati conforme li vorrà detto reverendo padre procuratore dicto nomine e di quando incomincia a lavorarli e stricarli et allustrarli come sopra detto di Lumbardo non possa levare mano per infino che sono lesti di tutto punto et anche detto mastro di Lombardo sia obligato dette quattro colonni in detti otto pezzi d’haverle a commettere seu unire con li suoi perni e tutto il materiale ce l’habbia da dare detto padre procuratore solamente sia obligato detto di Lombardo per le semplici mastrie tantum et dumtaxat alias. / Pro magisterio ad rationem tarenorum quatuor in pecunia iusti ponderis singulo die pro persona dicti magistri de Lumbardo et pro alijs personis laborantibus in dictis columnis ad rationem tarenorum duorum in pecunia iusti ponderis etiam singulo die pro quolibet persona et ultra cum esu et potu tam pro dicto de Lumbardo quam pro dictis alijs personis laborantibus in columnis predictis quod quidem magisterium dictus pater procurator de Valentia dicto nomine dare et solvere promisit et promictit ac se obligavit et obligat dicto magistro de Lumbardo stipulanti seu persone legitime pro eo in dicta civitate Calatanissette in pecunia justi ponderis succe. videlicet laborando solvendo in pacem […].

(ASCl, Corporazioni religiose soppresse, vol. 184, ff. 68 r - 71 v).

 

1709, 18 gennaio. Contratto d’obbligo per la costruzione di un paliotto d’altare in marmi mischi nell’altare di S. Ignazio di Loyola ad opera dei messinesi Brancasio Bosco, Blasio e Pasquale d’Amato e Giuseppe Vizzari

 

Jesus. Presenti innanti noi nomine testimonijs infrascripti li mastri Brancasio Bosco del quondam Vincentio, Blasio d’Amato e Paschale d’Amato del quondam Giovanni Maria e Giuseppe Vizzari figlio maritato […] Messani da me notaio conosciuti sponte insolidum renunciando si obligarono et obligano fare al reverendo padre Heronimo Sbernia della Compagnia di Gesù presente cognito et interveniente come procuratore et amministratore dell’eredità della venerabile cappella di Sant’Ignazio nel devoto Collegio di Caltanissetta un palio di marmo ad arabeschi commessi giusta la forma del disegno sottoscritto da ambedue esse parti rimasto in potere di ditto reverendo padre di Sbernia con mettere il marmo e le pietre dure e non molli li sudeti mastri eccettuata la pietra di calcara, la pietra agata, el corallo quali li habia di dare ditto reverendo padre di Sbernia ditto nomine a ditti mastri serrati e boni per patto. Quali pietre da mettersi per ditti mastri habiano da essere dure e non molli come si è detto e colorite secondo l’altro dissegno farà don / Francesco Juvarra in Grande. … di patto che ditto palio l’habiano da lavorare nel venerabile Colleggio della Compagnia di Messina e darlo finito di tutto punto per tutta la festa di Pasqua Resurectione proxima ventura 1709. Ita che ditto palio habia da essere ben visto al ditto di Juvarra et al reverendo padre Salvadore Costa di ditta venerabile Compagnia alli quali ditti mastri donano facoltà di potere aggiungere e levare secondo dimanda l’arte […]. E questo per raggione di prezzo, mastria et ogn’altra cosa a raggione di tarì 18 lo palmo incluso lo marmo mastria et ogn’altra cosa così di accordio e in conto e pro modo li ditti mastri in solidum confessano havere havuto e ricevuto dal ditto reverendo padre di Sbernia ditto nomine stipulante onze otto di denari contanti di giusto prezo e numero come costa, lo resto per quanto importerà lo ditto reverendo padre s’obliga pagarlo alli ditti mastri in / in solidum travagliando pagando coll’exequtione per patto. In patto che lo disegno di ditto di Juvarra l’habiano di pagare esse parti a metà così di patto. […].

(ASCl, Corporazioni religiose soppresse, vol. 184, ff. 258 r - 259 r).

 

1753, 4 agosto. Contratto d’obbligo per la trasformazione della parete absidale della chiesa di S. Agata col coinvolgimento degli scultori Giovanni Battista Marino e Domenico Battaglia

 

Noi sottoscritti Giovanni Battista Marino della città di Palermo ed al presente abitatore di questa città di Catania e mastro Domenico Battaglia di questa sudetta città insolidum in virtù del presente scritto seu alberano ci oblighiamo al venerabile Collegio della Compagnia di Gesù della città di Caltanissetta e per essa al reverendissimo padre Michele Calafato di ditta Compagnia di Gesù come procuratore del sudetto venerabile Collegio di foderare di pietre marmoree cioè di marmo bianco di Saravezza, di rosso di Francia, di verde di Venezia e di pietra di libice il fondo del cappellone della chiesa di ditto venerabile Collegio in un colli due pelastri di detto cappellone, da farsi però ditti pelastri a libro e di più far la cornice del quadro dell’altare maggiore di pietra paragone e questo a tenore del disegno a tal effetto seriam.e fattosi colla specificazione della diversità delle pietre sudette con dovere noi sudetti e sottoscritti di Marino e Battaglia mettervi tutto il materiale di marmo bianco e pietre diverse sudette e per conseguenza dovrà da noi medesimi sudetti e sottoscritti di Marino e Battaglia comprarsi ditto materiale a nostre spese ed a nostre spese pure di tutto punto lavorarsi, lustrarsi a specchio tutti li pezzi e finalmente collocarsi poi in ditta chiesa seu foderarsi il cappellone e pelastri e farsi e collocarsi la cornice e scudo e sudetti coll’assistenza di noi medesimi. Tal modo che tanto per il materiale sudetto lavoro e lustro di esso quanto per la collocazione del medesimo in niente sia obligato il ditto venerabile Collegio e per esso ditto reverendissimo padre Calafato procuratore come sopra solamente però detto venerabile Collegio e per esso io sudetto e sottoscritto padre Michele Calafato procuratore in virtù del presente scritto seu alberano mi obligo far la fabrica di calce ed arena che abbisognerà farsi al di dietro sopra la quale dovranno collocarsi dalli ditti e sottoscritti di Marino e Battaglia li sudetti pezzi, cornice e scudo lavorati e lustrati a specchio come supra siccome devo io sudetto e sottoscritto padre Michele ditto nomine far trasportare da Catania sino a Caltanissetta tutto ditto materiale a mie spese ed a mie spese pure locarsi le cavalcature che necessiteranno per l’accesso e ricesso di detti di Marino e Battaglia e dell’altri mastri che li medesimi dovranno ivi mandare. Caso che però se / per accidente si fracassasse e scantonasse qualche pezzo per strada dovranno li sudetti di Marino e Battaglia riconciarlo a loro spese e travagli sovra luogo come noi sudetti e sovrascritti di Marino e Battaglia in virtù del presente ci oblighiamo riconciarlo o rifarlo a nostre spese e travagli siccome ci oblighiamo a ben commettere i pezzi sudetti di tutto detto servizo nel collocarli come fare comparire tutto un pezzo li pelastri, la cornice, lo scudo el cappellone sudetti e finalmente in virtù del presente ci oblighiamo comprar detto marmo paragone e pietre sudette di tutta qualità siccome di tutta qualità fare il lavoro senza che vi fossero pezzi scantonati anche in minutis minima parte né collocare pezzi che non ben commettessero l’un coll’altro e sopra ogn’altro tutto ditto materiale, lavoro, lustro ed altri sudetti devono essere benvisti al ditto padre Calafato ditto nomine ed al procuratore del sudetto venerabile Collegio a segnocchè se le pietre comprande non sarranno di qualità o se di qualità non ben lavorate non lustrate a specchio o non ben commesse sia lecito a ditto padre Calafato ditto nomine rifiutarle per rifarsi da noi sudetti e sottoscritti di Marino e Battaglia o farseli fare ditto padre Calafato ditto nomine da altri virtuosi a nostri danni, spese ed interessi con doversi tutto allestirsi e collocarsi pel mese di marzo venturo 1754 per pacto in pacem alias come supra. E questo per ragione di staglio tra marmo, pietre, lavoro, lustro e tutt’altro sopraditti in tutto alla ragione di tarì otto il palmo cioè tarì 8 per ogni palmo quadro superficiale apparente per patto a riserva però dello scudo sudetto pel quale sia obligato io sudetto e sottoscritto padre Calafato ditto nomine pagare ai sudetti di Marino e Battaglia onze ... come patto. In conto noi sudetti e sottoscritti di Marino e Battaglia confessiamo in virtù del presente aver ricevuto dal sudetto padre Michele ditto nomine onze cento trenta quattro e lo resto io sudetto e sottoscritto padre Michele ditto nomine in virtù del presente m’obligo soccorrere di tempo in tempo ai sudetti di Marino e Battaglia / e collocato poi e terminato ditto servizio allestirsi e questo per libro in potere di me sudetto sottoscritto procuratore Michele ditto nomine al quale come patto in pace ed in denari alias. Di più io sudetto e sottoscritto Giovanni Battista Marino solo in virtù del presente m’obligo al ditto padre Michele ditto nomine fargli per ditta chiesa di ditto venerabile Collegio due statue di marmo bianco cioè una della Madonna Santissima e l’altra di san Michele Glorioso siccome numero sei pottini pure di marmo bianco da perfezzionarsi e consegnarsi ditte statue e pottini nel sudetto mese di marzo proximo venturo 1754 come pacto in pacem alias come supra col patto però che se non piaceranno a ditto padre Michele ditto nomine dovrò io sudetto e sottoscritto di Marino rifarli a mie spese come patto. E questo per ragione di staglio tra marmo e lavoro cioè in quanto alle due statue a ragione di onze trentadue l’una ed in quanto alli sei pottini a ragione di onze cinque l’uno collocate e buone. […].

(ASCl, Corporazioni religiose soppresse, vol. 190, ff. 331 r - 332 r).

 

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* Questo contributo costituisce la revisione di studi già precedentemente pubblicati sul collegio della Compagnia di Gesù a Caltanissetta (G. Giugno, La cappella di Sant’Ignazio di Loyola nella chiesa di S. Agata a Caltanissetta. Il ruolo dei marmorari messinesi e di Francesco Juvarra nella progettazione dell’opera, in “Archivio Nisseno”, a. III, f. 7, 2010, pp. 40-48), in questa sede ampliati alla luce di nuove acquisizioni documentarie relative al progetto di trasformazione architettonica dello spazio absidale della chiesa di S. Agata eseguito da Giovanni Battista Marino e Domenico Battaglia. Per il repertorio fotografico si ringrazia Lillo Miccichè


[1]          L’apertura dello Stradone, nata dalla necessità di offrire al collegio un sito piuttosto centrale all’interno della città, avviene secondo il modello della strada diritta con fondale tipico della moderna cultura urbanistica. Sulla chiesa di S. Agata si veda F. Pulci, Storia ecclesiastica di Caltanissetta, Ed. del Seminario, Caltanissetta 1977, pp. 398-406; A.I. Lima, Architettura e Urbanistica della Compagnia di Gesù in Sicilia, Novecento, Palermo 2001, pp. 173-181. Per un approfondimento sul progetto del collegio gesuitico e sul suo ruolo nel riordino urbanistico di Caltanissetta si veda il volume in corso di stampa di G. Giugno, Caltanissetta: i Moncada e il progetto di città moderna, Lussografica, Caltanissetta 2012.

[2]          Sulla figura dell’architetto gesuita Alfio Vinci di estrema importanza è il contributo di N. Aricò, Libro di Architettura. Da L.B. Alberti ad anonimo gesuita siciliano del tardo secolo XVI, vol. I, GBM, Messina 2005.

[3]          Giacomo Frini nasce a Messina nel 1543. Divenuto architetto lavora a Palermo come coadiutore di Natale Masucci per la chiesa del Gesù. Cfr. L. Sarullo, Dizionario degli artisti siciliani. Architettura, vol. I, a cura di M.C. Ruggieri Tricoli, Novecento, Palermo 1993, p. 186; A.I. Lima, Architettura e Urbanistica…, p. XXXII.

[4]          Sulla figura di Natale Masucci si veda ibid., pp. XXII-XXIII.

[5]          Sulla figura di Tommaso Blandino si veda ibid., pp. XXII-XXIII.

[6]          Sul ruolo di fra’ Pietro da Genova nel cantiere gesuitico si veda D. Vullo, Palazzo Moncada a Caltanissetta, in La Sicilia dei Moncada. Le corti, l’arte e la cultura nei secoli XVI-XVI, a cura di L. Scalisi, Domenico Sanfilippo Editore, Catania 2006, p. 295. 

[7]          Tra le donazioni stabilite per riformare l’immagine architettonica della chiesa ricordiamo quella di 400 onze nel 1625 voluta da Francesco Moncada, fratello del futuro principe di Paternò Luigi Guglielmo. Archivio di Stato di Caltanissetta (d’ora in poi ASCl), Not. F. Volo, vol. 1035, f. 663 r. Alla donazione di Francesco Moncada nel 1625 farà seguito quella dell’abate di Santo Spirito Gaspare Romano nel 1636, la cui volontà di trovare sepoltura nella cappella di S. Ignazio è accompagnata dall’offerta al collegio di un «crucifisso di ramo supra dorato integro come sta una con lo supradicto / quatretto della Madonna et santo Dominico con li cornici di ramo dorato supra expressato nella cappella di esso testatori et lo suo messali grandi novo» (ASCl, Corporazioni religiose soppresse, vol. 36, f. 260 r).

[8]          Sulla cappella di S. Ignazio di Loyola nella chiesa di S. Agata si veda F. Pulci, Lavori sulla…, pp. 398-406; M.R. Basta, Natura ed esotismo nei paliotti a marmi mischi della chiesa di Sant’Agata al collegio gesuitico di Caltanisetta, in Sicilia barocca. Maestri, officine, cantieri, a cura di F. Maurici, G.E. Viola, “Quaderni Lumsa”, 25, Roma 2005, pp. 73-85; S. Piazza, I colori del Barocco. Architettura e decorazione in marmi policromi nella Sicilia del Seicento, Flaccovio, Palermo 2007, pp. 57-59; G. Giugno, La cappella di Sant’Ignazio di Loyola…, pp. 40-48.

[9]          Il riordino della cappella di S. Ignazio avviato dopo la morte nel 1688 dell’abate Giuseppe Sbernia è diretto da padre Geronimo Sbernia, nominato dall’ecclesiastico amministratore dei suoi beni (ASCl, Not. G. Falci, vol. 886, f. 5 r; ASCl, Corporazioni religiose soppresse, vol. 30, s.n.). Un codicillo testamentario dell’abate afferma che qualora non fosse stata concessa a Sbernia sepoltura nella chiesa di S. Agata, bisognava in tal caso devolvere l’intera somma di denaro prevista per la trasformazione della cappella alla chiesa di San Sebastiano, «ad effetto in quella fondarsi l’oratorio della congregazione di san Philippo Neri delli padri dell’Olivella» (ASCl, Corporazioni religiose soppresse, vol. 30, s.n.).

[10]        Cfr. infra Doc. 1.

[11]        Sulla collaborazione artistica tra Francesco Natale Juvarra e Francesco Lo Judice si veda G. Musolino, Argentieri messinesi tra XVII e XVIII secolo, Di Nicolò, Messina 2001, pp. 139-153; G. Musolino, L’ostensorio della chiesa di San Giorgio a Modica e l’attività “eccellentissima” di Francesco Lo Judice e Francesco Natale Juvarra. Proposte ed ipotesi, in Il Tesoro dell’Isola. Capolavori siciliani in argento e corallo dal XV al XVIII secolo, a cura di S. Rizzo, vol. I, Giuseppe Maimone, Catania 2008, pp. 191-205. Sul rapporto con Giacomo Amato si veda D. Malignaggi, L’effimero barocco negli studi, rilievi e progetti di Giacomo Amato conservati alla galleria regionale di Sicilia, in “BCA Sicilia”, a. II, ff. 3-4, Palermo 1981, pp. 27-41, nota 18.

[12]        Pasquale Amato o d’Amato, scultore messinese, pare sia l’ideatore del monumento funebre dell’arcivescovo Migliaccio nel duomo di Messina, realizzato con i fratelli Antonio e Biagio nel 1728. Cfr. S. Bottari, Il Duomo di Messina, La Sicilia, Messina 1929.

[13]        Cfr. infra Doc. 2.

[14]        A causa della mancata esecuzione del progetto juvarriano verrà chiesto ai «marmorari» di costruire un nuovo paliotto in un’unica tavola marmorea con l’uso di pietre dure «ut vulgo dicitur nuovo turchino, novo corallo, nova venturina e novo lapislazoli» (ASCl, Corporazioni religiose soppresse, vol. 188, f. 354 r).

[15]        Dopo la trasformazione della cappella di S. Ignazio la Compagnia intende tradurre in chiave monumentale anche la prospiciente cappella di San Francesco Saverio, con un progetto architettonico e decorativo del tutto simile a quello juvarriano. Ciò viene documentato nel 1730 dal testamento di Ludovico Morillo, che dispone il pagamento di 100 onze per «abbellire la ditta venerabile cappella, con colonne e statue marmorie come quella in frontispitio di Sant’Ignazio Lojola […] che deve essere marmoria rabiscata con statue e metterci li miei armi» (ASCl, Corporazioni religiose soppresse, vol. 58, f. 79 r). Un nuovo legato giunge alla cappella nel 1738, con l’ingresso nella Compagnia del barone Michele Calafato, «pro donazione di ditta chiesa in edificio di marmo o pure d’argento per servigio di ditta cappella». (ASCl, Corporazioni religiose soppresse, vol. 39, f. 566 r).

[16]        ASCl, Corporazioni religiose soppresse, vol. 188, f. 526 r.

[17]        ASCl, Corporazioni religiose soppresse, vol. 186, f. 500 r.

[18]        ASCl, Corporazioni religiose soppresse, vol. 186, f. 431 r.

[19]        ASCl, Corporazioni religiose soppresse, vol. 188, f. 347 r.

[20]        ASCl, Corporazioni religiose soppresse, vol. 48, ff. 215 r-215 v.

[21]        Giovanni Battista Marino è probabilmente figlio dello scultore Giuseppe Marino, autore dell’arcangelo Raffaele posto ai piedi della statua dell’Immacolata Concezione nella piazza S. Domenico a Palermo. Assai proficuo risulta il suo operato soprattutto nella parte orientale della Sicilia. Tra le sue opere ricordiamo in particolare le statue per la balaustrata antistante la chiesa di S. Sebastiano ad Acireale realizzate nel 1754 su disegno del pittore Paolo Vasta. Cfr. U. Thieme, F. Becker, Allgemaines Lexikon der Bildenden Künstler, vol. XXIV, Verlag von E.A. Seemann, Leipzig 1930, p. 108.

[22]        Sullo scultore Francesco Ignazio Marabitti si veda D. Malignaggi, Ignazio Marabitti, in “Storia dell’Arte”, n. 17, 1974, pp. 1-61. Sulla realizzazione dell’altorilievo per l’altare di S. Ignazio di Loyola nella chiesa dei Gesuiti di Caltanisetta si rimanda a D. Malignaggi, La scultura della seconda metà del Seicento e del Settecento, in Storia della Sicilia, vol. X, Società editrice Storia di Napoli e della Sicilia, Palermo 1981, p. 102.

[23]        La lavorazione dei manufatti marmorei per l’abside della chiesa avviene nella bottega dei maestri marmorari a Catania. Solo successivamente l’opera è trasferita a Caltanissetta. Cfr. infra Doc. 3.

[24]        Nonostante l’espulsione dei Gesuiti dall’isola nel 1767, non verrà meno l’attenzione per il decoro interno della chiesa di S. Agata. Infatti, nel tempo in cui il collegio diviene monastero delle Benedettine di Santa Croce, alcuni provvedimenti vicereali come quello del 1781 della Real Segreteria dispongono a favore della chiesa così come accade per i collegi di Trapani e Casa Professa di Palermo la somma di 466.27.15 onze, da impiegare «per le fabbriche, marmii, giogali ed arredi sacri» del tempio (ASCl, Archivio storico comunale, vol. 90, f. 165 r).



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Temi di Critica - numero 5

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