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in questo numero contributi di Diana Malignaggi, Roberta Cinà, Ivan Arlotta, Roberto Lai, Raffaella Picello, Francesco Paolo Campione.

codice DOI:10.4413/RIVISTA - codice ISSN: 2038-6133
numero di ruolo generale di iscrizione al Registro Stampa: 2583/2010 del 27/07/2010

Antiporte e frontespizi incisi in Sicilia dal Barocco al Neoclassico di Diana Malignaggi

Le illustrazioni in antiporta s’inseriscono compiutamente nel processo artistico dell’epoca cui appartengono, possono costituire un genere a sé stante e, pur appartenendo alla produzione editoriale, essere giudicate autonomamente: «L’antiporta secentesca è dunque da considerare il più antico elemento che, prima del frontespizio, dà al lettore un’idea iconografica dell’opera, un’idea più tardi assolta da altri elementi che a quella si sostituirono»1.
Nel Seicento fu creato un modello di libro molto diverso rispetto alla tradizione rinascimentale; il fatto nuovo è la produzione editoriale di libri d’apparato con precisa funzione celebrativa. In generale è una tendenza europea e una precisa caratteristica che in Sicilia raggiunge la metà del XVIII secolo2. Il sistema culturale dell’età barocca è una complessa rete di relazioni, nelle quali le tecniche di ricezione prendono il sopravvento sui valori formali del testo. Diventano ricorrenti le figure stilistiche dell’antitesi, dell’ossimoro dell’anafora, e i paradossi retorici, che costituiscono un linguaggio comune dell’espressione figurativa e letteraria, così come entrano a far parte della formulazione dei titoli, come, ad esempio, L’oscurità luminosa paradosso retorico dell’orazione sacra.
Il pubblico viene emotivamente attratto, sia che debba assistere ad una commedia teatrale, sia che ammiri le pareti affrescate di un palazzo o di una chiesa, sia che apraun libro. Infatti la composizione del libro illustrato si attiene al principio del movere, ossia del controllo conseguito con la mozione degli effetti; come la scultura decorativa o la pittura sollecitano effetti violenti (sorpresa, commozione, stupore), così il libro introduce elementi aggiuntivi alla semplice ornamentazione, duplicando l’attesa e la curiosità circa il contenuto di un testo.
Nasce pertanto la consuetudine di porre una complessa illustrazione prima del frontespizio, cioè l’antiporta, che lo precede nel recto della prima carta. Nella produzione editoriale siciliana l’antiporta si afferma nella seconda metà del XVII secolo e nella prima metà del successivo. È una stampa a bulino o all’acquaforte che manifesta le caratteristiche della contemporanea arte barocca, carica di effetti enfatici. L’illustrazione dell’antiporta allude all’intero contenuto del testo e può essere differente dalle decorazioni miste al testo. Frontespizio e antiporta sono ideologicamente collegati e ambedue danno vita ad una creazione decorativa di grande effetto sul pubblico dei lettori. Nell’antiporta si annida anche certa volontà pubblicitaria nell’attrarre subito con una immagine il potenziale lettore, la breve legenda inserita nel corpo della tavola, come un motto, dà un sintetico risalto al contenuto ideologico del testo del libro. L’occhietto o “impresa” (cioè stemma con i motti), insieme alle figure allegoriche entro cartigli evidenziano l’iscrizione, ed i caratteri di stampa hanno collocazione e dimensioni molto diverse da un esemplare all’altro. I precedenti dell’antiporta sono nelle vignette cinquecentesche, che occupano la pagina del frontespizio a volte quasi per intero; il frontespizio spesso era inciso, si ricordino quelli del De feudis tractatus di Niccolò Intriglioli o le Rime spirituali di Francesco Del Pozzo. Da questi esempi, e anche dal frontespizio inciso dell’opera Breve raguaglio dell’inventione e feste de gloriosi martiri Placido e compagni (1591) di Filippo Gotho, il passaggio verso la composizione della tecnica è stato facile anche sotto il profilo della tecnica. È certo sintomo dell’ampliamento dell’uso delle stampe, ora prodotte in arte dalle botteghe locali, che in Sicilia si manifesta a partire da questo periodo. Le illustrazioni in antiporta si ispirano al contenuto e al genere del libro; ogni materia si prestava a essere interpretata sotto la forma dell’allegoria, per questo motivo gli incisori e gli artisti dell’epoca si sono avvicinati a questo prodotto editoriale.
È da notare che pur avendo un implicito riferimento al testo, la formulazione delle figure dell’antiporta è direttamente dipendente da modelli pittorici o comunque vicina alle tendenze espressive della ricerca pittorica. La produzione incisoria siciliana ebbe nella creazione dell’antiporta uno stimolo non indifferente; è infatti attraverso questo prodotto incisorio che si perviene alla conoscenza dell’uso e delle finalità di una attività artistica, verso la quale gli autori siciliani si erano interessati in misura eguale a quella delle stampe sciolte.
L’editoria messinese e palermitana ha prodotto la maggior parte delle illustrazioni in antiporta, con la partecipazione di pittori e di architetti, che spesso firmano le stampe insieme agli incisori. Emanuele d’Alfio nel 1640 ha firmato l’antiporta del volume Hortus messanensis di Pietro Castelli, in cui è stata rappresentata una figura allegorica, la Flora, che regge il cartiglio della legenda mentre dall’alto quattro putti versano fogli e fiori. La composizione, nell’accostamento di una formula accademica con attenzioni naturalistiche, risente le componenti culturali vicine ai pittori Domenico Marolì e Giovan Battista Quagliata, particolarmente nella maniera con la quale è stato assunto il soggetto iconografico. L’incisore, rispetto alla stampa del frontespizio di Hyaena odorifera del 1638 e alle illustrazioni nel volume del dotto gesuita Placido Samperi, dimostra di possedere migliori qualità di stile e di segno grafico.
Della produzione messinese segnaliamo la stampa in antiporta firmata Domenico Gallella3 nel volume di Giovan Battista Romano e Colonna Prima parte della congiura (1676); è un autore ancora poco noto, che, nell’impaginare la composizione (cavaliere con stendardo circondato da putti con simboli araldici e trofei militari) è vicino all’incisore Antonino Donia e a Placido Donia, del quale ricordiamo il frontespizio illustrato del volume di Placido Samperi, Iconologia della gloriosa Vergine, stampato da Giacomo Mattei nel 1644.
Antonino Donia4 è stato un incisore che nella prima metà del Seicento ha creato in Messina la tipologia decorativa del frontespizio illustrato, in questo senso un caposcuola per il figlio Placido e per gli allievi incisori, Pietro e Francesco Donia5.
Tra le prime interessanti antiporte dell’editoria palermitana annotiamo quelle incise da Paolo Amato, architetto del Senato e autore di una cospicua edilizia sacra; fu egli stesso incisore come testimonia la firma «Paulus Amato Pan. Delin. et sculp.» nel volume di Girolamo Matranga Le solennità lugubri e liete(Palermo, Andrea Colicchia, 1666). In questa incisione la qualità della composizione è partecipe della decorazione pittorica dell’area palermitana relativamente alla maniera con la quale sono state disegnate le due maestose figure allegoriche che sostengono in volo lo stemma di Spagna; la legenda è contenuta in un cartiglio arrotolato che si dipana, accentuando la profondità della scena. Il segno grafico s’incrocia a maglie fitte entro le pieghe delle vesti creando delle parti chiaroscurate con qualità espressive di tipo pittorico. Nel 1668 l’incisore lavorò all’antiporta del volume di Pietro Antonio Tornamira e Gotho, Idea congietturale della vita di S. Rosalia vergine palermitana (Palermo, Bua e Camagna) composto per la ricorrenza festiva in onore di S. Rosalia. L’iconografia con cui l’Amato compone l’immagine è quella della santa liberatrice dalla pestilenza, simboleggiata da un drago soggiogato ai suoi piedi; l’abito è quello dell’ordine delle benedettine, secondo un’iconografia che accese non poche dispute tra gli ordini monastici francescani, basiliani e benedettini, che rivendicavano l’appartenenza della santa al proprio ordine6.
La legenda indicante chiaramente la santa Rosalia benedettina è posta sullo svolazzante stendardo sorretto dalla santa, che, nella piega interna, presenta la pianta della città delineata con un segno sottilissimo, secondo il disegno della città «quadrata». Interessante è l’inserto del paesaggio sul fondo con le montagne che circondano Palermo, il porto e monte Pellegrino. L’insieme di questi attributi figurativi sono della santa, la cui rappresentazione si costituì nel XVII secolo con la ripresa del culto. Il materiale bibliografico di carattere agiografico stampato in quel periodo, infatti, ripete con puntualità i nuovi attributi iconografici della santa penitente e taumaturga nella rappresentazione che la lega indissolubilmente a Palermo7; per esempio, si veda la vignetta nel frontespizio di Vincenzo Auria, Vita di S. Rosalia vergine romita palermitana (Palermo, Pietro dell’Isola), ove si ripete la vignetta con la pianta di Palermo in proiezione assonometrica come emblema e vessillo di S. Rosalia. La medesima allegoria è confermata nell’antiporta del volume di Francesco Angelo Strada Nuovo trionfo della vergine e romita palermitana Rosalia (1688), da una dilatata figura posta su trofei militari, bandiere e alabarde, che spiegano l’attributo “Trionfante”. Un incisore ignoto lavorò all’antiporta del volume di Giuseppe Maria Polini, Gli horti hesperidi (Palermo, Tommaso Romolo, 1690), in cui sono presentati i medesimi attributi iconografici e emblematici contenuti dalla stampa di Paolo Amato del 1668; il segno che costruisce le immagini è spezzato in piccole linee, rispetto al disegno dell’Amato; esso tende verso l’effetto decorativo di insieme che si allarga alla cornice con motivi ornamentali floreali.
Ancora un’idea compositiva simile alla stampa di Paolo Amato del 1666 è stata assunta da Antonino Grano nell’antiporta del volume di Francesco de Montalbo, Noticias funebres del 1689, in cui un grande stemma di Spagna qui è sorretto da due angeli in volo, al posto delle figure allegoriche: l’idea del paesaggio su cui poggia il cartiglio con il motto è ugualmente presente, così pure la firma per esteso, «Antonino Grano Inven. F.». La composizione nel suo complesso crea l’effetto di un movimento illusionistico rapido e accelerato, anche perché la lastra non ha, come in quella dell’Amato, le righe di fondo che chiudono la profondità spaziale della scena. Le abbondanti zone lasciate in bianco indicano una maggiore penetrazione luminosa e quindi una struttura grafica più leggera. La medesima qualità incisoria è nell’antiporta che il Grano disegnò per il volume di Michele Del Giudice, Palermo magnifico nel trionfo(Palermo, Tommaso Rummolo, 1686), in cui sono presenti tutti gli attributi iconografici della santa, che appare in cielo e sulle nubi al di sopra della figura del Genio di Palermo e della pianta della città in proiezione policonica. Gli studi e i disegni preparatori del Grano per le due citate opere, conservati nella Galleria regionale della Sicilia, fanno comprendere il percorso creativo del pittore nella stesura di queste composizioni di grande qualità decorativa «in cui la innegabile matrice gaulliana-marattesca è tradotta con fluidità quasi giordanesca affine particolarmente a soluzioni di Giacomo Del Po; ciò potrebbe suggerire anche una conoscenza dell’ambiente napoletano sulla trac­cia appunto di Del Po e dell’Aquila. L’incisione derivatane offre comunque il chiaro esempio di un tirocinio tecnico che mostra innegabili tangenze con alcune prove dell’Aquila, mentre il modo di rendere le pieghe come strizzate e percorse da fitta ondulazione è carattere spesso presente in alcuni dei disegni assegnati al Calandrucci. Inoltre se nella figura della Santa sono echi indubbi di quella eseguita da Melchiorre Caffà per la chiesa di S. Caterina a Magnanapoli, divenuta subito famosa dopo la sua esecuzione, nel modo di trattare le pieghe con effetti di morbido plasticismo la soluzione più prossima (indipendentemente da esempi pittorici) mi sembra rappresentata dalla statua della Fede eseguita in stucco da Simone Giorgini per S. Ignazio, in data di poco anteriore al 1686. Elemento anche questo – il Giorgini era per l’appunto siciliano – che può essere indizio di affinità di interessi e di scambi tra i siciliani residenti a Roma in quegli anni ed in altri che vi avevano compiuto brevi o intermittenti viaggi, tra i quali probabilmente il Serpotta»8.
Alcune composizioni grafiche del Grano furono incise da Nicolò Filippone e da Francesco Ciché: del primo ricordiamo l’antiporta nel libro di esercizi spirituali tenuti dalla Compagnia dei Bianchi, scritti da Ottavio Gravina, dal titolo Il conforto degli afflitti (Palermo, G.B. Aiccardo e F. Ciché, 1706). I disegni preparatori per questa composizione indicano una propensione del pittore verso formule compositive più allungate e flessuose che Filippone traduce con dei segni incrociati a maglia larga. La composizione presenta l’agnello mistico attorniato dalla gerarchia dei santi, il cartiglio con la legenda (contiene un refuso di stampa: la N è stampata invertita), è affiancato dalle allegorie della Carità e della Fede con i consueti attributi iconografici. La composizione è cronologicamente prossima alla decorazione pittorica del soffitto nella chiesa della Pietà, che Antonino. Grano realizzò sul progetto architettonico di Giacomo Amato e con le sculture ornamentali di Giacomo Serpotta. «Il soffitto della Pietà rappresenta dunque dal punto di vista pittorico l’esempio più significativo di conciliazione delle due tendenze: classicista e barocca, quale si era manifestato a Napoli e a Roma ad opera del Garzi...».9
Nelle composizioni di Grano del periodo più avanzato, insieme alla collaborazione con Filippo Tancredi e a certo influsso di Guglielmo Borremans, si manifesta un certo mutamento nelle tipologie e nelle dimensioni più allungate delle figure, che formano dei legami più dinamici nella composizione della scena. Tale caratteristica è contenuta nella stampa ad acquaforte di Francesco Cichè, su disegno di Grano, che costituisce l’antiporta al volume di Pietro Vitale, Le simpatie dell’allegrezza (1711). La qualità grafica del segno di Francesco Cichè, differentemente da Nicolò Filippone, traduce la composizione del Grano mediante dei contrasti luministici molto accentuati che indicano direttamente lo sviluppo prospettico, la profondità della scena e la plasticità delle figure. Il soggetto esprime in allegoria la vittoria militare di Filippo V di Spagna nella guerra di successione: infatti la Pace con il ramo d’ulivo è affiancata dalla raffigurazione allegorica della Castiglia e del Genio di Palermo. Il volume di oratoria sacra La miniera aperta di Giovan Battista Caroana (Palermo, nella nuova stamperia di Giovanni Napoli, 1710) contiene in antiporta la stampa disegnata dal Grano e incisa da N. Filippone che esprime con fine allegoria il titolo e la qualità del libro, una sorta di antologia di celebri brani di sacra scrittura, lodi di santi, fatti d’armi, concioni, invettive, elogi, epitaffi, ecc., ad uso dei predicatori. La scena comprende Mercurio che incide sulla roccia il motto, dei minatori che lavorano allo scavo di una miniera affiancati dai fabbri, che sull’incudine forgiano la scure, in basso è l’allegoria di un fiume.
Il Filippone incise per il sopracitato tipografo l’antiporta nel libro di Nicolò Alberti, La terra de’ viventi, 1709,con una maestosa figura allegorica simile alla precedente che simboleggiava un fiume; il disegno, che non appartiene al Grano, ha il tratto pesante e fortemente chiaroscurato. Una antiporta siglata «A.G.F.» è nel volume Li giorni d’oro di Palermo (Palermo, Pietro Coppola, 1694) che documenta il festino di S. Rosalia dell’anno precedente: l’immagine illustra visivamente l’allegoria della Conca d’orosu cui si riversano i fiumi e dalla quale sorgono le rose e i gigli, attributi di Rosa-Lia. L’antiporta, oltre che nei libri celebrativi e di apparato – vedi P. Maggio, Le guerre festive nelle reali nozze di Carlo II e Maria Luisa di Borbone del 1680 –èpresente anche in edizioni di piccolo formato, che documentavano le tesi filosofiche discusse nei Collegi della Compagnia di Gesù: per esempio le Assertionesstampate da Diego Bua e Pietro Camagna nel 1668 oppure la trattazione edita da P. Camagna nel 1671,antiporta riutilizzata da Pietro dell’Isola nel 1680 per la pubblicazione di un’altra tesi.
Pittore seguace di Antonino Grano e valente incisore di acqueforti fu Vincenzo Bongiovanni, autore dell’antiporta nel volume di Ippolito Falcone, Il Pindo sacro (Palermo, Carlo Adamo, 1691), opera in cui si descrivono i miracoli operati dall’arcangelo Michele raffigurato come un angelo giustiziere dalla spada fiammeggiante. A firma di «Onophrius Gramignani Neapolitanus Sculp.» è l’antiporta che illustra la storia della fondazione dei collegi della Compagnia di Gesù in Sicilia, istituzioni che, come dei frutti, nascono dalla pianta di S. Ignazio; il volume, Dell’Istoria della Compagnia di Giesù, fu scritto dal padre Domenico Stanislao Alberti (1702).

Nelle illustrazioni delle antiporte si può notare il passaggio stilistico dalla grandiosa e magniloquente composizione barocca alla scena disegnata con linee sensibili verso il gusto arcadico e rocaille: un esempio che appartiene all’editoria messinese è nella composizione con il gruppo dei pastori in cammino verso Betlemme in antiporta al volume di Giuseppe Maria Trainiti De pastoribus vocatis per angelum del 1722. L’antiporta è costruita e incorniciata come un dipinto da cui traeva probabile ispirazione; in basso a destra è scritto «Si vendono alla Botega del Gramignani»; con probabilità, quindi, l’immagine fu venduta anche come stampa sciolta. Unitamente alle antiporte la grafica d’invenzione barocca ha trovato espressione nelle illustrazioni dei pieghevoli fuori testo e nelle grandi stampe che documentano gli apparati festivi; la loro progettazione è stato un terreno sperimentale per gli architetti e per i pittori e decoratori siciliani.
Giacomo Amato è l’autore del progetto dell’apparato costruito nella Cattedrale per la festa in onore di S. Rosalia del 1686, che la stampa nel volume di Michele Del Giudice, Palermo magnifico,ha tramandato nella sua imponente bellezza. L’uso della colonna tortile, che appare in quel periodo negli apparati, fu ripetuto per un altro apparato in onore della Santa, riprodotto nel volume, già citato, Li giorni d’oro di Palermo del 1694. Anche la stampa che rappresenta una macchina pirotecnica può diventare pretesto per una raffigurazione incisoria dal segno elegante e curato, come anche i carri processionali, che annualmente mutavano il corredo iconografico in sintonia con il programma ideologico che celebrava le molteplici qualità e virtù della Santa. Anche negli apparati effimeri, come nelle antiporte, era ripetuto il binomio S. Rosalia e Palermo, rappresentata in pianta con proiezione assonometrica.
Paolo Amato progettò delle macchine pirotecniche che imitavano la struttura stabile dei monumentali piedistalli destinati ad accogliere le statue dei sovrani10; in questa macchina di fuoco la statua è quella di Ercole in sintonia con il programma della festa del 1701, Le guerriere conquiste di merito, e di gloria della palermitana eroina S. Rosalia (Palermo, Agostino Epiro stampatore camerale). La collaborazione fra gli artisti alla creazione di questa produzione fu intensa, Paolo Amato collaborò con Gaetano Lazzara, Antonino Grano con Giacomo Amato; il Grano forni molti disegni di apparato che sono stati incisi all’acquaforte da Francesco Ciché, vedi ad esempio il volume Le simpatie dell’allegrezzadel 1711. Nel primo ventennio del Settecento progetta degli apparati anche Andrea Palma, come testimonia il volume L’armeria e la galleria dell’augustissima casa d’Austria (Palermo, regia stamperia di Antonino Epiro, 1721).
Nel Settecento l’effimero è il campo dello sperimentalismo per l’architettura, l’arredamento privato e l’arredo urbano, in analogia con le condizioni culturali delle capitali europee. La costruzione effimera è come una grammatica dalla complessa imagerie,che si serve della retorica per rispecchiare emblematicamente la realtà e offrirla con una visione esasperata tramite l’iperbole. Dal progetto culturale della festa alla organizzazione e realizzazione di spettacoli e apparati intervengono varie personalità e sono coinvolte diverse maestranze11.
È un processo dialettico che coinvolge i letterati, che scrivono il programma ideologico della festa o dell’apparato, e vede impegnati pittori, scultori, architetti e artigiani. Non ultimi gli incisori che affiancano e qualificano la produzione editoriale principalmente a Palermo che si distingue, a confronto di Messina, per varietà e ricchezza di soluzioni grafiche. La produzione messinese di libri d’apparato viene datata al 1701 con i volumi di Niccolò Maria Sclavo, Amore e ossequio di Messina in solennizzare l’acclamazione di Filippo V e, di Giuseppe D’Ambrosio, Le Gare degli Ossequi nei trionfi festivi esposti dalla nobile città di Messina,rispettivamente stampati dai tipografi Vincenzo D’Amico e Antonio Arena. La produzione editoriale risorgeva dopo la stasi della fine del secolo pre­cedente, e l’occasione della salita al trono di Filippo V di Borbone fornì la spinta necessaria a creare feste e libri che dovevano perpetuarne la memoria.
In generale l’età del Barocco viveva questa contraddizione: «Il carattere di festa che presenta il Barocco non elimina il fondo di acredine e di malinconia, di pessimismo e disinganno, come dimostra l’opera di Calderon. Ma pur muovendo dall’esperienza dolorosa di uno stato di crisi, come si ègià detto, che il Barocco riflette, non è meno necessario, onde attrarre le stanche masse e spingerle ad aderire a quei valori e personaggi che vengono loro segnalati, coltivare anche gli altri aspetti splendenti e trionfalistici»12.
Nel libro illustrato dell’età barocca il rapporto tra il testo e l’immagine è per così dire di antagonismo, le illustrazioni non integrano né commentano esclusivamente la composizione scritta, bensì rispondono ad una logica estetica più complessa in cui il rimando tra figura e testo è legato a implicazioni di natura psicologica o emotiva, tipiche nella cultura diimpronta retorica. Nel secolo precedente il corredo iconografico integrava il testo senza prevaricare la partizione editoriale, adesso s’impone subito all’apertura del libro con una stampa che costituisce l’antiporta. La ricca borghesia insieme all’aristocrazia privilegiano un mercato librario in cui il corredo figurativo vada all’unisono con l’espressività della produzione artistica; il corredo iconografico risulta altresì necessario nella preparazione dei testi scientifici, per esempio dimostra di essere stato un insostituibile elemento per lo sviluppo degli studi di botanica, di anatomia, di astronomia e di fisica sperimentale.
Nel Seicento la produzione libraria tende a formare una individualità organica con l’arte e con le espressioni della ricerca scientifica, tuttavia la progressiva industrializzazione delle botteghe non favorì uno sviluppo continuato del libro, che in generale comprende sia edizioni di pregio, adorne di illustrazioni che riflettono l’arte barocca, sia edizioni più scadenti nella carta e nei caratteri.
La tipografia secentesca europea propende progressivamente a uniformare il disegno dei caratteri, influenzata dalla composizione della lettera moderna di Claude Garamond e dai frequenti scambi commerciali tra tipografi e librai; la produzione tipografica si lega alla fortuna delle aziende, delle quali alcune si specializzano in settori particolari, vedi le edizioni di opere musicali.
Di preferenza i testi stampati durante il secolo trattano argomenti di storia, di religione, di carattere letterario, sono presenti in misura maggiore le edizioni di carattere scientifico, tra cui gli atlanti, gli erbari, gli studi di anatomia e botanica. Hanno successo anche altri settori editoriali come quello delle stampe popolari, degli almanacchi, dei libretti per ricorrenze occasionali, più in generale i generi di produzione si allargano a molteplici interessi. A confronto con il precedente secolo la stampa s’interessa anche del presente, infatti in questo periodo avviene la nascita degli «avvisi» e delle gazzette.
Le ricerche diGiuseppe Maria Mira13 e di Niccolò Domenico Evola14 sulla tipografia siciliana forniscono elenchi e notizie relative ai tipografi, più numerosi rispetto al XVI secolo, che troviamo riuniti in botteghe familiari e in corporazioni; a questi studi ci riferiamo principalmente per le notizie relative al settore bibliografico. Anche Agostino Gallo ha lasciato tra i suoi manoscritti un indice biografico degli incisori siciliani che lavorarono alla illustrazione libraria; tale redazione, non completa, ma indicativa delle conoscenze bibliografiche dell’autore, è riassuntiva nella parte relativa al Cinque-Seicento, più definita per gli incisori del Settecento e dei primi dell’Ottocento15. Anche in Sicilia appaiono le tipografie ufficiali, che fanno capo al Senato messinese e palermitano o alle istituzioni ecclesiastiche (Gesuiti, Arcivescovado). Sostanziali elementi che intervengono nella confezione del libro sono i controlli sullaproduzione e la censura preventiva sulla stampa, per questioni amministrative e non soltanto ideologiche16.
L’attività tipografica continua nelle città maggiori, Messina e Palermo; in altre località lo sviluppo dell’editoria fu irregolare o comunque legato ad episodi di mecenatismo. A Catania, Trapani e Siracusa si iniziò a produrre stabilmente nella seconda metà del secolo e nel successivo.
Gli stampatori si spostavano con facilità se le condizioni della committenza erano favorevoli alla produzione editoriale, si veda il caso di Mazzarino con il principe di Butera Carlo Carafa Branciforte (Fig. 1).
I centri minori diedero vita a una produzione editoriale legata a contingenti situazioni storiche. Monreale produsse dei testi di carattere sacro e le costituzioni sinodali, che gli stampatori Pietro dell’Isola e Decio Cirillo realizzarono trasferendosi temporaneamente sul posto nel 1648 e nel 165317.
Nella seconda metà del secolo si ebbe una stasi in rapporto alle difficoltà in cui si trovò l’arcivescovado prima dell’avvento dell’arcivescovo Francesco Testa (1754-73).
Il centro di Militello in Val di Catania, feudo di Francesco Branciforti, vide funzionare una tipografia dal 1617 al 1625 per il mecenatismo del marchese, così pure Mazzarino, feudo di Carlo Carafa, che impiantò nel suo palazzo una tipografia sotto la cura del palermitano Giuseppe La Barbera dal 1687 al 1689. Dal 1690 al 1692 il Carafa chiamò il tipografo fiammingo Giovanni Van Berg, che recò un materiale tipografico di buona qualità. Infatti il volume dello stesso Carafa, L’ambasciatore politico-cristiano del 1692 contiene numerose illustrazioni, tra cui quelle di Giacomo del Po si segnalano per la qualità incisoria e per la composizione delle scene che rispecchiano la qualità e la maestria del pittore e incisore.
Dall’attività editoriale dei centri minori soltanto Mazzarino si segnala per la produzione di libri illustrati; Cefalù, Caltagirone, Acireale e Siracusa ebbero delle tipografie dal XVIII secolo, ma la stampa di libri figurati ebbe scarsa diffusione18.
Inizia a essere dissociata l’attività del tipografo da quella del libraio, anche se in altri centri eu­ropei tale condizione era già in atto dal XVI secolo. Si legano maggiormente, invece, i rapporti con gli artisti in quanto ideatori del disegno delle illustrazioni; vengono interessati particolarmente gli artisti locali che operavano a Palermo e a Messina: per alcuni di essi la creazione inerente alla stampa costituisce una parte considerevole della produzione.
Appaiono i nomi degli incisori, che firmano con frequenza le illustrazioni delle antiporte e dei frontespizi; alcune stampe contengono la firma dell’inventore del disegno associata a quella dell’incisore, oppure quella dell’architetto progettista e del disegnatore, vedi la stampa dell’imponente arco trionfale per l’Almirante di Castiglia firmata da Pietro Novelli e da Pietro del Po, segno che caratterizza l’avvenuta scissione nella prassi e nella mentalità siciliana tra l’artista intellettuale e l’esecutore manuale (Fig. 2). Il libro assume nuove dimensioni di segno opposto: si tende a ridurre e a preferire il formato in 8° medio o piccolo ma anche il formato in 4° illustrato dall’antiporta; fu creato il formato oblungo che permette di includere una serie continua di stampe in tavole fuori testo, che cominciano ad apparire ripiegate. La varietà dei formati si lega al gusto estetico barocco che esalta la parte esteriore del libro, cioè l’antiporta e il titolo.
Il libro, di qualsiasi formato, acquista una tendenza a monumentalizzarsi o con le illustrazioni oppure con blocchi di caratteri tipografici, che nel frontespizio si distendono lungo tutta la pagina a modo di epigrafi. Nel titolo e nel testo sono adoperati corpi e caratteri diversi di lettere, attraverso cui si formulano, distinguendole, le notizie relative all’autore, alle sue cariche onorifiche, alle finalità del libro, alla insegna del tipografo, alla titolazione dei capitoli e dei paragrafi interni. Il libro anche sotto il profilo visivo doveva evidenziare la distinzione delle sue componenti. Anche la scrittura, quindi, è utilizzata come elemento che accentua l’espressività dei segni mediante la varietà delle forme (Fig. 3)19.
Abbandonando la struttura decorativo-compositiva del libro cinquecentesco, il gusto estetico seicentesco innova sostanzialmente il frontespizio. Sono tipici di questo periodo i titoli prolissi ed enfaticamente adulatori verso i committenti e il dedicatario; in questo caso i nomi sono composti in rilievo tipografico, cui poteva essere aggiunto il ritratto o lo stemma20; anche l’autore dell’opera veniva citato con un elenco dei titoli onorifici con retorica prolissità. Ne sono esempio i Raguagli delli ritratti della Santissima Vergine nostra Signora più celebri, che si riveriscono in varie chiese nell’isola di Sicilia di Ottavio Gaetani (Palermo, Andrea Colicchia, 1664); il Discorso dell’origine ed antichità di Palermo di Mariano Valguarnera (Palermo, G.B. Maringo, 1614); le Pompe festive celebrate dalla nobile città di Messina nella solennità della Sagratissima Lettera di Domenico Argananzio (Messina, eredi di Pietro Brea, 1659) (Figg. 4, 5).
I frontespizi tipografici tendono a costituire una armonia ideologica di righe sciolte, talvolta blocchi di righe, con una varietà di lettere maiuscole e minuscole, tonde e corsive; non infrequente è la varietà dei caratteri, come appare ne Le solennità lugubri e liete del Matranga (1666). Modesto è stato l’uso dei caratteri rubricati, come nel secolo precedente il loro impiego è concepito in funzione estetica e con giusto criterio per dare evidenza a determinate parole.
Appartiene all’architettura del titolo la marca, che è sempre indicativa di un determinato tipografo; molto spesso sono delle piccole vignette emblematiche, si veda quella di Erasmo de Simone, rappresentata da un’incudine con sopra un nastro col motto “durabo”21. In relazione alla marca è lo stemma, collocato anch’esso tra titolo e sottoscrizione; appartiene al personaggio al quale la pubblicazione è dedicata, oppure per conto della quale è stata realizzata (Figg. 6, 7). Sono ancora presenti le vignette, i capilettera e le cornici silografiche, anche se il loro uso progressivamente si attenua verso la fine del secolo per la presenza dell’antiporta.
Altra caratteristica sono i frontespizi incisi e figurati, che hanno una coerenza estetica notevole e, di fatto, sono stati realizzati nello spirito dell’antiporta, di cui si distinguono per il titolo e la sottoscrizione: si veda Sylva terminorum (Palermo, C. de Anselmo, 1661)22 oppure l’opera scientifica di Pietro Castelli, Balsamum examinatum del 1640 (Figg. 8, 9). Altro frontespizio inciso, firmato «Joseph Caruso catinensis» è nell’opera storico-geografica Siciliae et Bruttiorum antiquae tabulae di Giorgio Gualtieri (Messina, Pietro Brea, 1624); è composto come un apparato di architettura mista a statue, mentre nel centro il titolo simula una lapide con dei caratteri che si ispirano all’epigrafia antica, ricca di abbreviazioni (Fig. 10). Nel frontespizio della nota opera storica di Giacomo Bonanni, L’antica Siracusa illustrata,coeva della precedente, sono rappresentate le figure allegoriche dei fiumi e della fonte siracusana Aretusa, con una piccola veduta di Ortigia (Fig. 11). In merito alla qualità incisoria delle illustrazione sopramenzionate è da rilevare l’uso del segno grafico molto sottile, evidenziato dalla tecnica di riproduzione all’acquaforte.
La raffigurazione di uno stemma può essere il pretesto per formulare una stampa dalle elevate qualità decorative, così come nel frontespizio del libro di G. Castiglione stampato nel 1692 a Palermo da Domenico Anglese e Francesco de Leone. La vignetta con l’emblema di Palermo (Fig. 12) non poteva mancare nel De maiestate panormitana Di Francesco Baronio (1630), libro che all’interno è ricco di illustrazioni araldiche, alcune non completate (Fig. 13), create e incise da Francesco Negro, il noto autore dell’atlante in pianta zenitale delle fortificazioni siciliane, consegnato nel 1640 al committente Filippo II. Il Negro23 incise a bulino le numerose stampe che illustrano gli archi trionfali nel volume di Onofrio Paruta, Relatione delle feste in Palermo nel mdcxxv per lo trionfo delle gloriose reliquie di S. Rosalia (Palermo, Pietro Coppola 1651); le tavole furono disegnate dal pittore Gerardo Astorino.
I frontespizi illustrati da una composizione architettonica frequentemente sono completati dalla rappresentazione sacra: di un certo interesse, in quanto testimonianza dell’impegno ideologico volto a rinsaldare il culto dei santi locali, è quello della Sicilia sacra di Rocco Pirri, con le figure dei papi e dei santi di origine siciliana (Fig. 14). Una partizione architettonica d’ispirazione manierista è nel frontespizio degli annali della chiesa messinese di Carlo Morabito (Messina, Giuseppe Bisagni, 1669) (Fig. 15).
Alcune antiporte sono illustrate all’interno da soggetti araldici, di qualità e dieffetto pittorico è lo stemma inserito nel testo di Placido Reina, Ragioni apologetiche del Senato (1630) disegnato da Antonino Donia; viceversa un disegno inciso a contorno, molto semplicemente, illustra le tavole con gli stemmi delle famiglie aristocratiche che hanno avuto riferimento con la città di Caccamo, definita pomposamente La Cartagine siciliana24.
Il periodo della Controriforma, intendendo per esso gli anni seguenti alla precettistica emanata dal Concilio di Trento in materia dirappresentazione artistica, è stato di grande fervore nel settore della produzione libraria anche per la Sicilia. Le motivazioni interne allo svolgimento della cultura artistica del tempo, con sfaccettature di modi e di momenti, si riflettono nella illustrazione libraria e nella stesura di taluni progetti editoriali, realizzati intorno alla metà del secolo diciassettesimo. Aumentano gli scritti di apologetico contenuto religioso, le vite dei santi, le iconografie di Cristo e della Madonna (Figg. 16, 17). Un ruolo di primaria importanza è interpretato dalla Compagnia di Gesù, il cui obiettivo è stato quello della formazione intellettuale con il controllo delle istituzioni educative da cui dovevano venire fuori le gerarchie sociali ecclesiastiche e politiche25. È stato costante anche l’interesse della Compagnia per i problemi della trasmissione della cultura nei settori filosofico, scientifico e storico, a cui era unita la produzione di opere di devozione con il compito di favorire lo spirito religioso. Alla diffusione di svariati modelli figurativi di religiosità verso la Madonna hanno contribuito principalmente due progetti editoriali realizzati rispettivamente a Messina, da Placido Samperi con l’opera Iconologia (1644), e a Palermo da Ottavio Gaetani con il libro dei Raguagli(1664).
Un’azione di penetrazione spirituale è operata da Samperi, unitamente all’indagine storica sulle chiese messinesi che accoglievano dipinti di soggetto mariano. È ovvio che a noi il libro si presenta anche come una importante fonte di notizie e di iconografie di dipinti, spesso perduti. Il volume è ornato anche dall’antiporta, ove è raffigurato Orione26, il mitico fondatore di Messina, incisa da Placido Donia; la stampa fu riprodotta con alcune varianti nel 1659nella già ricordata opera di Domenico Argananzio. Insieme a Placido Donia hanno collaborato altri incisori: Emanuele d’Alfio, e i poco noti Grego di Domenico e Petrini, sicuramente sotto la guida del Donia, artista affermato. Sfogliando le pagine dell’Iconologia27 si trovano riprodotti i dipinti più noti del Cinquecento e Seicento messinese: l’Andata al Calvario di Polidoro da Caravaggio (già riprodotta nel libretto dell’Alibrando), l’Adorazione dei Magi di Cesare da Sesto ora a Capodimonte; un’opera perduta di Polidoro, la Deposizione nella chiesa della Candelora (Fig. 18), e la Natività di Caravaggio per i Cappuccini (Fig. 19). Le stampe firmate da Emanuele d’Alfio a confronto con quelle del Donia presentano numerosi tratti incrociati con un’accentuazione dei valori chiaroscurali.

Il libro ha un indubbio fascino, tra l’altro legato al fatto di costituire un primo esempio di testo siciliano che riproduce e «traduce» delle composizioni pittoriche, sintomo di una consapevolezza dell’importanza e dell’autonomia del prodotto incisorio, come già appariva di riflesso nella trattatistica sull’arte. Giovanni Baglione28, ad esempio, inserì un intero capitolo dedicato agli intagliatori, definendoli «intendenti di disegno i buoni intagliatori d’acqua forte, o di bulino; e però tra i dipintori possono havere il luogo; poiché con le loro carte fanno perpetue l’opere de’ più famosi maestri benché le fatiche loro al cospetto del pubblico non sieno stabili e si mirino, pure non si può negare che li lor fogli non nobilitino, e arricchiscono le città del mondo».
Nel libro del 1663 di Ottavio Gaetani29 sui ritratti della Vergine sono stati schedati dipinti e sculture esistenti nell’intera isola, è un’opera più completa, sotto questo profilo, di quella del Samperi. Ogni capitolo, corredato dalla stampa del dipinto, presenta una ricerca storica sull’evento miracoloso, che diede origine alla venerazione per l’immagine.
Johann Friedrich Greuter incise le numerosissime tavole e l’interessante antiporta, che presenta la Vergine, attorniata da santi e dalle gerarchie ecclesiastiche, posta sopra la rappresentazione geografica della Sicilia (Fig. 20). Figlio di Matthäus, incisore tedesco che lavorò a Roma, Johann Friedrich ha lavorato molto per l’editoria romana collaborando con molti pittori, fra cui Pietro da Cortona, Lanfranco, Andrea Sacchi, Guido Reni. Il Baglione30 scrisse su di lui «egregiamente si porta nell’intaglio a bulino, e di gran lunga ha passato il padre, e si fa honore con nobili conclusioni, e con bellissime carte (si come la città scorgesi) con buona maniera, e con gran gusto fatte, e si sperano di lui esquisitissime opere, le quali arricchiranno, non solo questa mia patria, ma tutte le parti del mondo, e darà fama immortale a diversi valent’huomini pittori, che gli vanno facendo bellissimi disegni, e vaghi capricci, si come si sono veduti, e tuttavia se ne mirano per honor suo, et a gloria della virtù».
L’intervento di Johann Friedrich Greuter nella preparazione delle stampe è certamente da mettere in relazione con la dinamica attività del Gaetani nell’ambito della Compagnia di Gesù; con questa l’incisore ebbe dei rapporti di lavoro, tra l’altro incise le allegorie nell’opera del gesuita Giovan Battista Ferrari, Hesperides sive malorum aureorum cultura et usus,Roma 1646.
L’operazione incisoria di Greuter presuppone l’intervento di uno o più disegnatori che trasmisero all’artista i modelli; con probabilità sono da ricercare nei rapporti che la Compagnia aveva nelle tre valli siciliane, dove erano già costituite le sedi dei Collegi. La seconda firma che si legge sulle stampe dell’opera del Gaetani è di Joseph Lentini che incide particolarmente le opere collocate in zone lontane dai centri di insediamento dei Gesuiti, come le stampe dei dipinti di Sortino e di Raccuia. Le stampe incise da Giuseppe Lentini, anche se di indubbio valore documentario, denotano una scarsa qualità interpretativa del modello, sono costruite da segni grafici molto chiaroscurati e dalla linea pesante.
Un certo ispessimento della linea grafica appare anche nelle stampe firmate da Greuter, provocata indubbiamente dalla trasmissione del modello, disegnato ma non personalmente visto e interpretato; a questa condizione è da attribuire l’uniformità dello stile e delle fisionomie: pertanto, ad esempio, la medievale Madonna di Trapani risulta assai simile a un prodotto artistico del Cinque-Seicento.
Questa operazione incisoria del Greuter non si può intendere come un lavoro di “traduzione” dall’originale, ma una interpretazione iconografica, molto esatta, dell’originale, mediata attraverso la copia e lo stile individuale del disegnatore, che fornì il modello a Greuter.
Prodotti facilmente smerciabili furono i testi di devozione, tra cui le pubblicazioni edite in occasione delle celebrazioni della festività della Madonna della Lettera in Messina (ad opera di Pietro Brea), e in Palermo per il festino di S. Rosalia celebrato annualmente dal 1625. Delle numerose pubblicazioni riferiamo per Messina, il testo Gloria messanensium del 1647, scritto dal gesuita Paolo Belli31, che contiene una illustrazione che visualizza il miracoloso evento epistolare recato da un’aquila in volo sulla rappresentazione dello stretto di Messina.
La produzione editoriale sulle feste celebrate in onore della santa palermitana è notevole (Fig. 21). Tra il Seicento e il Settecento32 si stamparono degli opuscoli annuali che illustravano gli apparati realizzati per conto delle componenti sociali della città; senato, «nazioni» (genovese, fiorentina ecc.), compagnie, confraternite, ordini religiosi. La qualità editoriale e i formati sono diversi, dall’opera nota del P. Cascini, con fine illustrazione nel frontespizio, alla Relatione delle feste fatte in Palermo nel 1625 dal Parcata (1651), con un’illustrazione a bulino della santa tra nubi siglata F.N., cioè Francesco Negro, incisore già citato (Fig. 22).
A Roma e a Palermo nel 1672 da Pietro Camagna fu edito il Breve compendio della vita, invenzione, e miracoli di S. Rosalia,con una stampa a bulino rappresentante la santa in volo, come protettrice nei riguardi della peste (simboleggiata dall’angelo che sguaina la spada), sulla veduta del porto e della città “quadrata” (Fig. 23). Testi apologetici sulla santa furono stampati anche in lingua spagnola; nel 1692 e dedicato al viceré Uzeda, Nicolas Nino de Guevara scrisse La concha de oro Palermo por reina de Trinacria coronarla(in Palermo por Pedro Coppula y Carlos Adamo). La piccola antiporta rappresenta il busto della santa entro una cornice ottagonale.
Nell’editoria siciliana non sono mancati i libri contenenti le illustrazioni legate all’insegnamento della matematica e della geometria: per esempio venne ripubblicata l’opera di Francesco Maurolico, Emendatio et restitutio conicorum (eredi di Pietro Brea, Messina 1654).
Le opere di carattere scientifico sono stampate anche in folio come il trattato Miscellaneorum medicinalium decades del 1625 scritto da Giovan Battista Cortesi e dedicato al Senato messinese, così come l’altro in foliodi Cortesi stampato dal Brea nel 1629 la Pharmacopoeia seu antidotarium Messanense. Pietro Brea si distinse, con le precedenti e con altre opere del medico Cortesi33, per la produzione ditesti scientifici illustrati, tra i primi dell’editoria siciliana. Si vedano per esempio le tavole anatomiche del Tractatus de vulneribus capitis del 1632. Sono opere che riflettono gli studi scientifici degli attivi scienziati operanti nella società messinese. «La diffusione e distribuzione di tali opere varca senza dubbio i confini del mercato provinciale e contribuisce a creare a Messina una circolazione di idee e condizioni di vita scientifica privilegiata nel Meridione d’Italia»34.
Sempre in Messina furono pubblicate le opere di botanica di Pietro Castelli da Giovan Francesco Bianco tra il 1637 e il 164835. Del Castelli, che ebbe pubblicati dei libri anche a Roma, ricordiamo il pregevole Hortus messanensis del 1640 ove è descritta la costituzione dell’orto dei semplici in Messina, il primo in Sicilia e tra i più importanti d’Italia; la pubblicazione è arricchita dalle tavole che illustrano la disposizione delle colture36. I libri del Castelli sono altresì fregiati da pregevoli antiporte, che esamineremo a parte. I libri scientifici editi dal Brea e dal Bianco costituirono un mercato più avanzato verso la produzione e circolazione europea del libro, ma anche interessato verso l’utenza siciliana, che richiedeva dei testi specialistici. Delle edizioni scientifiche illustrate edite dalle tipografie palermitane ricordiamo tra le pregevoli: l’opera di Giovan Battista Odierna ricca di tavole astronomiche, e ivolumi del naturalista Andrea Cirino, De natura et solertia canum liber singularis, e De natura piscium, stampati da Giuseppe Bisagni nel 1653 (Fig. 24). Ricca di incisioni è anche La scherma illustrata del 1670-73, stampata dalla tipografia di Domenico d’Anselmo.
Anche le biografie dei filosofi furono decorate da vignette con funzione di antiporta intercalate e ripetute nel testo; interessanti sono quelle nel libro Il nuovo Laertio del Sig. D. D. Filadelfo Mugnos (Palermo, Domenico d’Anselmo, 1654). Nelle figurette sono rappresentate un maestro con i discepoli e la riproduzione del gruppo antico del Laocoonte, probabilmente di provenienza non siciliana; la vignetta è molto simile alle illustrazioni apparse negli itinerari e guide di Roma edite tra Cinque e Seicento (Fig. 25).
Mentre la produzione editoriale palermitana intensifica la sua presenza nel mercato librario dell’ultimo quarto del Seicento, le stamperie messinesi sono coinvolte dalla crisi economica e sociale generata dalla rivolta antispagnola del 1674-’78. Messina era stata la città siciliana che aveva posseduto l’emporio commerciale tra i più importanti del Mediterraneo; nell’economia cittadina il commercio della seta era d’importanza essenziale, la sua chiusura e la sconfitta politica e morale, seguita alla ribellione verso la Spagna, ebbero un peso notevole sul piano sociale e culturale. La crisi economica colpisce i tipografi, che si riuniscono in società e hanno frequenti scambi di sede: la famiglia dei tipografi Bisagni, per esempio, si sposta da Messina fino a Catania e a Palermo37.
L’attività editoriale di Catania fu promossa dal Senato cittadino che nel 1623 concesse dei locali nel palazzo senatorio per impiantare una tipografia al trentino Giovanni Rossi in società con Francesco Petronio38. Il Rossi pubblicò le opere dello storico Pietro Carrera, primo storiografo di Catania, che hanno «nei frontespizi e nel testo incisioni poco nitide» secondo il giudizio dell’Evola39. Frontespizio e pagine con cornice tipografica presenta l’opera di Giovan Battista Guarnieri, Le zolle historiche catanee, una delle migliori edizioni del Rossi40, con una vignetta dello stemma di Catania che adorna il frontespizio.
Lo stesso Rossi nel 1641 ornò il frontespizio Delle memorie historiche della città di Catania spiegate da Don Pietro Carrera con una vignetta che riproduce il fercolo processionale di S. Agata, ripetuto nella Agatha Catanensis di Giovan Battista De Grossis del 1656.
Delle varie ristampe e traduzioni in cui si distinse l’editoria siciliana annotiamo la traduzione, compilata dal P. Remigio Fiorentino, dell’opera di Tommaso Fazello, Le due deche dell’Historia di Sicilia,la cui prima edizione (Palermo, G.M. Maida e F. Carrara, 1558) fu il primo testo che raccolse la storia documentata dell’isola. Fu stampata nel 1628 da Decio Cirillo, la cui produzione tipografica è stata giudicata da Niccolò Domenico Evola la migliore del Seicento siciliano, «nitida, accurata e, spesso, a largo interlineo» tali caratteristiche sono evidenti nel frontespizio tipografico, che ha corpi di righe differenti con caratteri tondi e corsivi; decora il frontespizio una vignetta, posta prima della sottoscrizione. È da notare che accanto al luogo di stampa41 è indicato il libraio Francesco Ciotti, un veneto che si era trasferito in Palermo per esercitare la sua attività e che per un breve periodo si occupò anche di imprese editoriali42. In merito alle illustrazioni questa edizione del Fazello si distingue per la stampa di epigrafi arabe mediante caratteri epigrafici appositamente creati, i primi apparsi nell’editoria siciliana.
Nel transito alla cultura neoclassica l’editoria muta carattere e forma della parte illustrata, la funzione dell’antiporta si manifesta anche sul frontespizio che spesso è adornato da immagini congruenti al tema proposto dal volume. Si editano libri di zoologia, paleontologia, vulcanologia, anche medicina chirurgica, con illustrazioni calcografiche e litografiche. La cultura cambia carattere ed esprime una società più versata verso la cultura scientifica e le scienze, e non più solo verso l’antichità classica propria del periodo. I libri cambiano formato, appare quello oblungo o album, ma continuano a essere stampati i monumentali in folio come accadde per i volumi del Real Museo Borbonico. In quest’occasione è spesso lo stesso reperto archeologico che appare in antiporta o in frontespizio a indicare la novità e l’interesse scientifico della pubblicazione cui appartiene. I soggetti del periodo privilegiano i temi della letteratura e della mitologia classica, continuando così, fino ai primi anni dell’Ottocento, una situazione che è stata affrontata da tutte le correnti stilistiche europee e italiane.
Abbiamo osservato che i differenti modi di interpretare le testimonianze visive dell’antico hanno segnato il passaggio dal Barocco al primo Settecento e alle successive tendenze neoclassiche. Idee e nuove esigenze distinguono l’accentuata tendenza alla preziosità dei materiali librari con la formulazione di dati utili alla migliore revisione della materia al suo interno. Nel Meridione offrono un importante documento le illustrazioni incise delle antichità vesuviane e l’edizione di libri completamente illustrati; si avvalgono ancora dell’antiporta, ma non è l’unica illustrazione, si vedano i volumi delle Antichità di Ercolano esposte (1757-1792). In questa veste editoriale gli otto volumi con cospicuo numero di figure realizzate all’acquaforte sono stati eseguiti da artisti dell’accademica Scuola di Portici, in un complesso intreccio fra apparato testuale e iconografico. Il piano dell’opera affidato ai letterati ricevette la veste editoriale degna della committenza del sovrano, Carlo III43, che donava l’opera a studiosi aristocratici, presso i quali voleva accrescere il prestigio di un sovrano illuminato che soddisfaceva il mondo culturale europeo. In questa occasione l’attività di incisori e disegnatori fu guidata dall’Accademia di Belle Arti di Napoli che aveva identificato una precisa definizione dei compiti. Un gruppo di artisti si specializzò nella riproduzione della stampa antiquaria per eseguire le illustrazioni che esercitarono molte suggestioni per l’arte neoclassica, non soltanto meridionale bensì europea. Citiamo le stampe che traducono il motivo iconografico delle menadi o danzatrici riproducenti i fregi a encausto tratti dagli scavi pompeiani oggi conservati al Museo Nazionale di Napoli. Il soggetto è stato molto utilizzato dalla decorazione neoclassica, sia da artisti meridionali e siciliani, sia dal sommo rappresentante del neoclassicismo Antonio Canova, vedi le Danzatrici del Museo di Bassano. I disegnatori operanti nella Scuola di Portici, incaricati nelle riproduzioni della antichità di Ercolano e Pompei, nell’eseguire la stampa riproduttiva diedero vita a un nuovo metodo stilistico, in equilibrio tra la copia e l’interpretazione, cioè la traduzione da altra opera, ma conservandone intatta la funzione documentaria.
Figurazioni mitologiche e sacre, cultura artistica antiquaria s’intrecciano a formare la produzione disegnativa e incisoria degli anni fra i due secoli, opere che nell’insieme partecipano delle istanze più generali manifestate dalla cultura europea. Ricordiamo, in proposito, l’innovazione della tecnica a linee graffite col bulino, realizzata dall’incisore trapanese Giuseppe Vitta44, per la raffigurazione dell’Anfora vulcente di Exekias, contenuta assieme a illustrazioni dello stesso e di altri artisti nei due volumi in folio Musei Etrusci quod Gregorius XVI Pont. Max. in aedibus Vaticanis constituit monimenta, opera del 1842. Questo museo, all’interno dei Musei Vaticani, era di recente fondazione e all’allestimento avevano lavorato fra gli altri Vincenzo Camuccini, Bertel Thorvaldsen e Giuseppe Valadier nel 1837. L’incisore Vitta si segnalava per illustrazioni eseguite per l’editoria romana, per la rivista “L’Ape italiana” e per la collaborazione con la Calcografia Camerale. Ricordiamo anche il più giovane siciliano Antonio Licata45 che partecipò alle illustrazioni raffiguranti l’Allattamento di Telefo e Teseo e il Minotauro46 nei volumi del Real Museo Borbonico47.
Mario Praz ha spiegato in Gusto neoclassico48 che il gusto settecentesco aveva ritrovato se stesso nelle pitture già esposte nel Museo di Portici. È vero che questo gusto si è prolungato fino agli inizi dell’Ottocento in provincia: nelle ornamentazioni dipinte nella “Camera della Regina” del Palazzo Reale di Palermo49, eseguite da Giuseppe Patania, appunto con soggetti copiati da Ercolano, quali gli amorini che guidano dei cocchi o dei cigni, i genietti alati che si esprimevano in giochi puerili o si esercitavano nella pesca o nella caccia, o recavano strumenti e simboli, quali la gabbia, l’arco o la fiaccola. Questi temi sono continuati nella più tarda decorazione neoclassica, come alimento di una moda che divenne europea e quasi d’accademia per le corti e nei salotti inglesi e irlandesi neo-etruschi, neo-greci, neo-pompeiani.
È evidente,infine,quanto la derivazione dei motivi figurativi diffusi dalle Antichità di Ercolano e dal Real Museo Borbonico ebbe tanto successo fino al Secondo Impero.

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* L’articolo viene ripubblicato dal catalogo Immagine e testo del 1988 a cura di Diana Malignaggi.

1 F. Barberi, Il libro italiano del Seicento, Gela Reprints, Roma 1985, p. 70.

2 D. Malignaggi(a cura di), Immagine e testo. Mostra storica dell’editoria siciliana dal Quattrocento agli inizi dell’Ottocento, Assessorato regionale BB.CC.AA. e P.I., Palermo 1988.

3 G. Barbera, Il libro illustrato a Messina dal Quattro all’Ottocento, in Cinque secoli di stampa a Messina, a cura di G. Molonia, G.B.M., Messina 1987, p. 433 e sgg.

4 D. Malignaggi, Il disegno siciliano nel Settecento: forma, simboli, significati, in Il Settecento e il suo doppio. Rococò e Neoclassicismo, stili e tendenze europee nella Sicilia dei viceré, atti del convegno internazionale di studi (Palermo 10-12 novembre 2005) a cura di M. Guttilla, Kalós, Palermo 2008, p. 167 e sgg.

5 Per i Donia cfr. Dizionario Biografico degli Italiani, ad vocem a cura di G. Barbera, Roma 1992, pp. .

6 P. Colllura, S. Rosalia nella storia e nell’arte, s.n., Palermo 1977. Si veda anche L’Angelo del Monte Pellegrino. Saggio bibliografico sulla “Santuzza”, a cura di C. Pastena, A. Perniciaro, E. Zacco, Biblioteca centrale della Regione siciliana, Palermo 1997.

7 D. Malignaggi, V. Abbate, Immagine di S. Rosalia, Galleria Nazionale della Sicilia, Comitato per il festino, Palermo 1977. Sulla figura culturale della santa cfr. i saggi in La Rosa dell’Ercta 1196-1991, Rosalia Sinibaldi: sacralità, linguaggi e rappresentazione, a cura di A. Gerbino, Dorica, Palermo 1991.

8 M.G. Paolini, Aggiunte al Grano e altre precisazioni palermitana tra Sei-Settecento, in Scritti in onore di Ottavio Morisani, Università degli Studi, Catania 1982, p. 319.

9 Cfr. M.G. Paolini, Aggiunte al Grano..., p. 349 e sgg.; D. Malignaggi, Gli apparati di Giacomo Amato, in Barocco romano e Barocco italiano, il teatro, l’effimero, l’allegoria, a cura di M. Fagiolo, M.L. Madonna, Gangemi, Roma 1985, pp. 263-292.

10 D. Malignaggi, L’effimero barocco negli studi, rilievi e progetti di Giacomo Amato conservati nella Galleria Regionale di Sicilia, in “B.C.A. Sicilia”, nn. 3-4, 1981, pp. 27-42; Roma Sancta, la città delle basiliche, a cura di M. Fagiolo e M.L. Madonna,Gangemi, Roma 1985.

11 La scenografia barocca, atti del XXIV Congresso C.I.H.A., a cura di A. Schnapper, CLUEB, Bologna 1982.

12 Lo studio di J.A. Maravall, La cultura del Barocco. Analisi di una struttura storica, Il Mulino, Bologna 1985 è un panorama organico sul periodo in Europa.

13 G.M. Mira, Bibliografia siciliana ovvero Gran Dizionario Bibliografico delle opere edite, antiche e moderne di autori siciliani o di argomento siciliano stampate in Sicilia e fuori,2 voll., Gaudiano, Palermo 1875-1881.

14       Lo studio circostanziato sull’attività delle tipografie del Sei-Settecento è quello di N.D. Evola, L’arte della stampa in Messina, dei tipografi e delle tipografie messinesi e dei loro più importanti prodotti librari, in “Archivio Storico Messinese”, I, 1900, pp. 1-46, 186-208; II, 1901, pp. 1-32; M.T. Rodriguez, Il Seicento, in Cinque secoli di stampa a Messina…, con bibliografia precedente; G. Barbera, Il libro illustrato a Messina dal Quattrocento all’Ottocento, in Cinque secoli di stampa a Messina…, particolarmente le pp. 418-440. Per i riferimenti alla produzione letteraria si veda A. Narbone, Istoria della letteratura siciliana, Carini, Palermo 1852.

15 Il manoscritto di Agostino Gallo è conservato nella Biblioteca Centrale della Regione, ai segni XV. H. 16. Segnalo l’edizione critica A. Gallo, Notizie de’ figularj degli scultori e fonditori e cisellatori siciliani ed esteri che son fioriti in Sicilia da più antichi tempi fino al 1846 raccolte con diligenza da Agostino Gallo da Palermo (ms. XV. H. 16, cc. 1r-25r; ms. XV. H. 15, cc. 62r-884r), ed. a cura di A. Anselmo, M.C. Zimmardi, Biblioteca centrale della Regione siciliana di Palermo, Palermo 2004.

16 Il regime del libro anche in Francia, per esempio, non era libero, ogni pubblicazione era severamente sorvegliata con una triplice regolamentazione: religiosa, reale e corporativa; vedi J. Duportal, Etude sur les livres à figures édités en France de 1601 à 1660, Champion, Paris 1914. In Sicilia l’Inquisizione e l’Indice dei libri proibiti hanno costituito delle strutture di controllo molto evidenti, cfr. M.T. Rodriguez, Il Seicento…, p. 138.

17 Cfr. N.D. Evola, Ricerche storiche…, p. 215 e sgg.

18 Ivi, p. 200 e sgg.

19 G. Boffito, Frontespizi incisi nel libro italiano del Seicento, Libreria Internazionale Succ. Seeber, Firenze 1922; F. Barberi, Il libro italiano…;A. Petrucci, La scrittura tra ideologia e rappresentazione,in Storia dell’arte italiana, parte III, Situazioni momenti indagini, vol. II, Grafica e immagine, I. Scrittura Miniatura Disegno, Einaudi, Torino 1980, in particolare pp. 46-54; Roma fra ’600 e ’700 fu il centro maggiore dell’epigrafia libraria lapidaria.

20 F. Barberi, Titoli di libri italiani nell’età barocca,in Per una storia del libro. Profili. Note. Ricerche, Bulzoni, Roma 1981.

21 Anche la marca del Maringo è simile a un emblema. Una vignetta spesso adoperata da Decio Cirillo è quella contenente una aquila vista di profilo che guarda il sole con il motto “Semper eadem”, entro una cornice con cartocci e mascheroni, si veda V. Auria, Dell’origine ed antichità di Cefalù città piacentissima in Sicilia, Per i Cirilli, Palermo1656. La vignetta adoperata alla fine del secolo precedente dal De Franceschi, rappresentante lo stemma di Palermo con ai quattro lati gli emblemi degli antichi quartieri della città, fu riutilizzata da Decio Cirillo varie volte, per esempio nel 1641 nel frontespizio Mercurio panormeo ò vero l’Almirante in Palermo ricevuto, opera dedicata da Giuseppe Ciaccon al Senato.

22 Il libro è F. Castiglione, Cursus Philosophicus; l’autore fu professore di filosofia e di teologia presso il Collegio dei Gesuiti di Palermo, l’opera era stata pubblicata per la prima volta a Venezia nel 1690; vedi A. Mongitore, Bibliotheca Sicula, sive de scriptoribus siculis, Didaci-Bua, Palermo 1707-1714.

23 Abitare a Palermo. Due palazzi e la loro storia tra Cinquecento e Ottocento, introduzione di A.M. Romanini, Istituto dell’Enciclopedia Italiana, Roma 1983: il Negro fu il probabile autore del primo rilievo ortogonale di Palermo.

24 Il libro stampato da S. Bisagni nel 1651 fu scritto da Agostino Inveges sacerdote saccense, autore della nota opera Annali della felice Città di Palermo stampati da Pietro dell’Isola dal 1649 al 1651. Gli annali (divisi in tre parti: Palermo antico, Palermo sacro e Palermo nobile), costituiscono uno studio monografico sulla città, sono illustrati da figure araldiche, epigrafi.

25 Poemi sacri, dialoghi in versi, orazioni, epistole didascaliche, rime degli accademici, sono soltanto alcuni dei generi letterari che sono stati oggetto di una feconda attività editoriale messinese e palermitana; gli autori furono in massima parte i religiosi degli ordini minori, dell’ordine dei predicatori e della Compagnia di Gesù.

26 Per il significato del mito di Orione nella cultura artistica messinese vedi S. La Barbera, Il restauro dell’antico in Montorsoli e la Fontana di Orione,in “Argomenti di Storia dell’Arte”, I, 1983, particolarmente p. 85 e sgg.

27 L’opera fu ristampata nel 1739 da Placido Grillo, tipografo della camera vescovile messinese.

28 G. Baglione, Le vite de’ pittori scultori et architetti dal Pontificato di Gregorio XIII del 1572 in fino a’ tempi di Papa UrbanoOttavo nel 1642, Stamperia d’Andrea Fei, Roma 1642.

29 La prima edizione fu stilata in latino e stampata a Palermo da Pietro dell’Isola nel 1663, venne tradotta da Tommaso Tamburino e stampata sempre a Palermo da Andrea Colicchia nel 1664: vedi A. Mongitore, Bibliotheca sicula..., pp. 110-111; N.D. Evola, Ricerche storiche..., p. 60 e sgg.

30 G. Baglione, Le vite..., p. 399; Thieme-Becker, Allgemeines Lexikon der bildenden Künstler,vol. XV, Leipzig 1922, ad vocem, p. 6; A. Petrucci, La scrittura fra ideologia e rappresentazione…, p. 46 e sgg.

31 Gloria messanensium sive de epistola deiparae virginis scripta ad messanenses, Typis Haeredum Petri Breae, Messanae 1647. Il libro contiene sul frontespizio una vignetta con lo stemma di Messina sorretto da due putti, oltre alla citata illustrazione segue la figura della Vergine rappresentata in atto di scrivere la lettera.

32 Per l’Ottocento si vedano i saggi in Immaginario e Tradizione. Carri trionfali e teatri pirotecnici nella Palermo dell’Ottocento, catalogo della mostra, Novecento, Palermo 1993.

33 G.B. Cortesi, Miscellanorum medicinalium decades denae, Pietro Brea, Messina 1625 presenta una diretta rispondenza tra il testo e le illustrazioni, («Figura aperte demonstrat»), la discussione dei problemi dichirurgia è evidenziata da modelli virili. Il frontespizio inciso è decorato dalle figure allegoriche della Ratio e dell’Experientia, le virtù attinenti alla teoria e alla pratica medica; cfr. M.T. Rodriguez, Il Seicento…, pp. 136-145. Un altro frontespizio inciso in cui la composizione è strutturata sulla presenza delle figure allegoriche è in G. Pilata, lnstitutionum decisiones pontificati, Paolo Bonacota, Messina 1664. Sulla tipografia del Bonacota cfr. M.T. Rodriguez, Il Seicento…, p. 171.

34 Cfr. ivi, p. 153.

35 Sul tipografo G.F. Bianco vedi N.D. Evola, Ricerche storiche…, p. 168 e sgg.; M.T. Rodriguez, Il Seicento…, pp. 161-162.

36 Le quindici stampe propongono le varie soluzioni adottate nella messa a dimora delle piante; la struttura figura­tiva e la composizione delle stampe hanno riferimento con il libro del Castelli sull’orto botanico del Cardinale Odoardo Farnese, edito a Roma.

37 Cfr. N.D. Evola, Ricerche storiche…, p. 173 e sgg.; M.T. Rodriguez, Il Seicento…, p. 170 e sgg.; G. Barbera, Il libro illustrato a Messina…, pp. 433-437.

38 Cfr. N.D. Evola, Ricerche storiche…, p. 190 e sgg.

39 Cfr. ivi, p. 193.

40 Le pagine del testo sono entro cornice, alla p. 157 è una stampa che raffigura due personaggi virili con arco e frecce.

41 In Palermo. Dal Ciotti / Nella stamperia di Decio Cyrillo M.DC.XXVIII.

42Cfr. N.D. Evola, Ricerche storiche…, p. 192 e sgg.

43 I Borbone di Napoli e il Borbone di Spagna, a cura di M. Di Pinto, Guida, Napoli 1985, p. 214 e sgg.

44 D. Malignaggi, Disegnatori e incisori in età neoclassica, in Neoclassicismo e aspetti accademici. Disegnatori e incisori siciliani, a cura di D. Malignaggi, Università degli Studi di Palermo, Palermo 2004, pp. 7-43.

45 D. Malignaggi, Il disegno nell’esperienza formativa degli artisti siciliani dell’Ottocento, in Poliorama Pittoresco. Dipinti e disegni dell’Ottocento siciliano, catalogo della mostra (Agrigento 2007-2008) a cura di G. Barbera, Silvana Editoriale, Cinisello Balsamo 2007, pp. 28-37.

46 Questi due soggetti erano già noti attraverso gli schizzi approssimativi che avevano accompagnato la Lettre sur le peintures d’Herculanum, aujourd’hui Portici di Charles Nicolas Cochin (1751).

47 Cfr. infra.

48 M. Praz, Gusto neoclassico, ed. cons. BUR, Milano 1990, p. 75 e sgg.

49 D. Malignaggi, Le collezioni d’arte, in Palazzo dei Normanni, Novecento, Palermo 1991, p. 169.

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Temi di Critica - numero 6

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