teCLa :: Rivista #7

in questo numero contributi di Giacomo Pace Gravina, Giuseppe Giugno, Claudia Caruso, Valentina Raimondo, Giuseppe Cipolla, Simone Ferrari.

codice DOI:10.4413/RAIMONDO - codice ISSN: 2038-6133
numero di ruolo generale di iscrizione al Registro Stampa: 2583/2010 del 27/07/2010

DAL REALISMO ALL’ASTRATTISMO: LE SAMMARCOTE DI NINO FRANCHINA (1935-1949) di Valentina Raimondo

Le radici culturali e iconografiche di Nino Franchina  affondano profondamente nel territorio siciliano. Lungo l’intero arco della sua carriera si percepisce distintamente un continuo richiamo a valori artistici influenzati dalla cultura siciliana che lo scultore rielabora e che si manifestano come puro istinto cognitivo soprattutto nei suoi ultimi esiti scultorei[1]. Nonostante il costante compimento del proprio destino di ‘emigrante’, lontano dalla propria terra ma visceralmente legato ad essa, i primi e più rilevanti riferimenti di Franchina all’arte siciliana si possono cogliere soprattutto fra gli anni Trenta e Quaranta, durante la prima fase del suo percorso artistico, quando dalla sua scultura, di impronta realista, si percepisce un gusto dal forte sentore arcaico e primitivo. Questo profondo legame di tipo iconografico con la Sicilia resta constante nell’artista fino al momento della svolta definitiva della sua carriera e dell’acquisizione di un linguaggio formale astratto.

All’inizio degli anni Trenta il giovane Franchina, ancora allievo presso l’Accademia di Belle Arti di Palermo[2], si confronta con l’opera dei coetanei e amici[3]. La sua indole profondamente curiosa lo spinge a osservare l’immenso patrimonio artistico che la Sicilia offriva, determinando una ricerca di modelli di riferimento nell’arte classica con lo scopo di consolidare le nuove scelte formali. L’artista, che era membro e fondatore del Gruppo dei Quattro, aveva difatti intrapreso un percorso stilistico nettamente distinto negli esiti – ancora tendenzialmente ottocenteschi – da quelli di buona parte dell’arte accademica palermitana[4].

Insieme a Guttuso, Barbera e alla Pasqualino Noto, con i quali esporrà a Milano alla Galleria del Milione nel 1934[5], Franchina cerca di distinguersi nel panorama artistico nazionale dimostrando di conoscere le ricerche formali di altri artisti giovani come Renato Birolli, il Gruppo dei Sei, Lucio Fontana, Mario Mafai e Scipione. Egli si innesta in questo modo all’interno di un filone di percorsi stilistici e formali che, pur non disdegnando la tradizione classica italiana, osserva con grande ammirazione l’opera degli espressionisti francesi e tedeschi, di Van Gogh e Guaguin, di Picasso e Munch.

È partendo da questi presupposti che si può osservare con adeguata cognizione la serie di disegni che Franchina esegue scegliendo come soggetto il Grande Telamone della Valle dei Templi ad Agrigento. Con pochi tratti d’inchiostro di china lo scultore delinea su diversi fogli le forme maestose del Telamone lasciandone percepire a pieno la grazia delle forme. Questa capacità di esprimere in pochi tratti la possanza e la maestosità delle figure è una delle doti più interessanti di Franchina scultore e disegnatore. Ad essa si accompagna la ricerca di tematiche e soggetti che possano essere più volte ripetuti e adattati a diverse esigenze stilistiche. I punti di riferimento dello scultore non appartengono tuttavia unicamente al mondo dell’arte classica. Le ricerche su differenti tipologie di figure lo vedono impegnato, soprattutto nella prima parte della sua carriera, nel tentativo di trovare un tema che possa fungere da comune denominatore per i fattori precipui della sua espressività, e che gli permetta, attraverso una ripetitività di elementi, lo studio delle forme. In un primo momento Franchina cerca di individuare questo tipo/tema in figure legate al mondo popolare e contadino. Moltissimi infatti sono i disegni eseguiti fra il 1933 e il 1936 di boscaioli, contadine e pastori in cui si percepisce una lontana memoria dell’opera di Millet.

La scultura Pastore che dorme del 1933, in cui si possono leggere le influenze dell’opera di Martini e di Cuffaro, è una delle sue prime opere di maggiore importanza. La scultura, che fu esposta tra l’altro in occasione della mostra del 1934 presso la galleria del Milione a Milano[6], risulta emblematica di un accostamento di Franchina all’arte che, se da un lato promuove decise novità stilistiche, rimane ancora legata ad una scelta iconografica di stampo più tradizionale, intimamente connessa ad una visione della realtà siciliana quasi idilliaca e sognante.

La ricerca del simbolo tipologico, della figura dai caratteri ancestralmente connessi al mondo da cui lo scultore ambisce trarre ispirazione, trova soluzione nel momento in cui Franchina disegna per la prima volta la Sammarcota, ovvero la donna di San Marco d’Alunzio. Da un punto di vista tipologico la figura, rappresentata dall’artista con un sasso raccolto dal greto del fiume Furiano sulla testa, costituisce la giusta occasione per indirizzare le proprie ricerche formali verso un monumentalismo blando. Le Sammarcote, che l’artista disegna e scolpisce a partire dagli anni Trenta fino alla fine dei Quaranta, possiedono tutte una forte volumetria e presenza materica, mostrando nel contempo un carattere di particolare intimità che non esclude, ma incoraggia il confronto con le Pomone di Marino Marini. La Sammarcota, la donna che trasporta i sassi che servono per la costruzione degli edifici del paese siciliano, costituisce per l’artista, a livello ideale, la Ποτνια Ματερ, il simbolo arcaico dell’origine stessa della scultura. Piuttosto che scavare nella mitologia greca Franchina mitizza una figura dai caratteri fortemente antropologici per farne la madre della sua arte.

Tano Bonifacio, che ha studiato la produzione grafica dell’artista, ha sostenuto che Franchina scelse queste figure perché «esse esemplificano metaforicamente le condizioni storiche della gente di Sicilia, una vita vissuta fra sofferenza e fatica, eppure talmente piena di luce da risultare accattivante all’idea di uno schizzo a penna»[7].

Da un punto di vista artistico, osservando l’evoluzione formale della Sammarcota nella produzione grafica e scultorea dell’artista, è chiaro come la figura rappresenti l’elemento di maggiore importanza per individuare i passaggi fondamentali del suo percorso stilistico. Franchina infatti disegna Sammarcote per tutto l’arco della sua produzione figurativa. Lo studio delle forme di questa figura lo accompagna persino nel passaggio chiave dal realismo all’astrattismo.

La prima testimonianza della presenza della Sammarcota nella produzione dell’artista siciliano risale al 1935, in uno dei disegni attualmente conservati presso l’Archivio Severini-Franchina[8]. In quell’anno lo scultore, che aveva già avuto modo di esporre a Milano con il Gruppo dei Quattro e aveva ‘assaggiato’ la vivacità artistica della città lombarda e conosciuto i personaggi che gravitavano attorno alla Galleria del Milione[9], inizia a comprendere la necessità di un confronto più diretto con i giovani ambienti artistici nazionali[10].

Il disegno, realizzato con inchiostro di china nero, medium grafico particolarmente apprezzato da Franchina per tutti gli anni Trenta, rivela, nelle forme, un forte gusto per l’arcaico e una decisa predilezione per un tratto netto e ripetuto che consente di rimarcare l’aspetto materico dell’opera. Lo scultore non tenta in alcun modo di superare la bidimensionalità del foglio e non incornicia la figura, che si staglia nettamente sul bianco dello sfondo, senza alcuna forma di ambientazione paesaggistica. La presenza quasi monumentale della Sammarcota lascia, tuttavia, individuare i primi tentativi, ancora un po’ incerti, di mostrare anche nella grafica una ben precisa consistenza materica e di dare uno spessore volumetrico alla figura. Ai primordi della sua raffigurazione la Sammarcota appare semi-vestita, entrambe le mani reggono la pietra sul capo ed il tratto con cui è disegnata è marcato. Nessuna precisione anatomica è prevista dall’artista, che sembra piuttosto cercare degli effetti espressionistici, quasi astratti. La donna non mostra i segni di una ricerca estetica volta al bello, ma piuttosto al grottesco, al primitivo ed al caricaturale. La Sammarcota si innesta saldamente sul foglio per mezzo delle gambe cortecciose che simulano la matericità del legno.

Dal 1935 fino all’inizio dei Quaranta la figura della Sammarcota è spesso riproposta come protagonista dei disegni dello scultore, rappresentata interamente nuda o parzialmente vestita, con la pietra poggiata sulla testa, retta da una o da entrambe le braccia. In tutti i casi si nota la predilezione di Franchina per un tratto ripetuto e dal carattere quasi serpentinato, oltreché per una resa fortemente espressionistica dei dettagli.

La figura non è protagonista solo dei disegni che Franchina esegue in questa fase iniziale della sua carriera, ma è anche soggetto di alcune sculture, di cui sfortunatamente esistono oggi poche testimonianze documentarie e fotografiche.

Al 1936 risale la prima scultura documentata di Sammarcota, opera di cui non si conosce l’attuale ubicazione o sopravvivenza, ma verosimilmente realizzata prima del trasferimento di Franchina a Milano, avvenuto nell’ottobre dello stesso anno. Unica testimonianza della sua esistenza è una fotografia conservata presso l’Archivio Severini-Franchina; è di formato piccolo (cm 6x4) e, data la sua modesta dimensione, lascia appena intuire i caratteri precipui dell’opera. Si evince che Franchina realizzò la scultura in terracotta, adoperata e prediletta sia per il suo costo contenuto, sia per la sua grande malleabilità. Questo materiale consentiva inoltre un approccio al medium scultoreo più vicino all’esperienza di Martini, modello e punto di riferimento dello scultore siciliano, determinando nel contempo un approccio per modellazione, con partecipazione gestuale al processo artistico. La prima Sammarcota mostra già alcune differenze rispetto alle sculture precedenti dell’artista. Se infatti le prime opere di Franchina segnalavano ancora un forte legame con Martini, si intravede adesso una maggiore vicinanza al carattere espressionistico della pittura di Guttuso, Birolli o Mafai. Proseguendo con una modellazione che riproduce un carattere serpentinato, Franchina propone una scultura in cui la terracotta sembra essere stata lasciata volutamente sbozzata, imperfetta, rugosa, come se il processo di creazione fosse stato interrotto per αποσδόκετον. Una incompiutezza che lascia tuttavia intuire una ricerca espressiva dai caratteri forti ed emozionali e una conoscenza e riflessione sull’arte di Van Gogh, Cézanne e degli espressionisti francesi.

Nonostante le numerose rielaborazioni di tipo formale lo studio di Franchina trae origine dalla realtà. Poco tempo fa la scrivente ha difatti trovato in archivio un piccolo album composto da poco meno di una decina di foto in bianco e nero, scattate in data imprecisata che riprendono, con prospettiva dall’alto, piccoli gruppi di donne che trasportano sassi raccolti sul greto del fiume Furiano[11]. Le donne sono per lo più riprese di spalle, le foto sono un po’ sfocate e di non particolare qualità artistica. Non è improbabile che questi documenti siano stati realizzati dallo stesso artista in occasione di una visita a San Marco d’Alunzio e in seguito adoperate come spunto mnemonico per la rielaborazione del soggetto.

Dopo il ritorno dal soggiorno milanese, nei primi mesi del 1937, la permanenza di Franchina in Sicilia sarà piuttosto breve. Nel 1938 è già testimoniato il suo trasferimento a Roma e la sua conoscenza con Gina Severini, figlia del pittore futurista, che diventerà, un anno dopo, sua moglie. L’arrivo nella capitale costituirà per l’artista l’approdo alla meta definitiva. Fatta eccezione per brevi periodi trascorsi altrove, Franchina eleggerà Roma sua città ideale, sua patria. La maggior parte della sua produzione artistica troverà maturazione e compimento all’interno del suo studio-abitazione, in via Margutta[12]. Qui è conservata ancora l’ultima Sammarcota eseguita dall’artista nel 1947-48, che è nel contempo l’ultima opera del percorso figurativo dell’artista prima della totale adesione all’astrattismo.

Alla fine degli anni Trenta lo scultore manteneva ancora forti legami stilistici e formali con l’ambiente artistico milanese e con l’opera di Guttuso in particolare[13]. Tuttavia all’inizio dei Quaranta, con il trasferimento a Roma, si profila per lui una fase di transizione e di profondi mutamenti dettati anche da difficoltà lavorative e di salute che lo spingeranno a trasferirsi per un breve periodo di tempo a Collalbo, in provincia di Bolzano[14].

La solitudine e l’isolamento in Trentino spingono Franchina a rielaborare ulteriormente il proprio concetto di arte, i modelli di riferimento, e a riflettere sul percorso da intraprendere. Allontanatosi dalle tendenze espressionistiche della sua arte precedente, lo scultore volge adesso ad una figurazione più matura, ad un realismo di stampo più tradizionalistico e ad un’osservazione più diretta dell’arte francese, e di Maillol[15] e Despiau in particolare. Non è da escludere che il motivo di questo, seppur parziale, cambiamento di rotta sia dovuto ad una maggiore frequentazione del suocero Severini, oltre che ai fitti contatti con lo scultore Marino Mazzacurati.

Severini costituisce per Franchina il legame con il mondo artistico francese a cui lo scultore guarda da sempre con estremo interesse. La conoscenza del panorama artistico parigino è in gran parte dovuta alle lunghe chiacchierate con il suocero, con il quale Franchina aveva la consuetudine di lavorare in occasione delle sue visite a Collalbo[16].

Il legame con Mazzacurati, che sembra essere particolarmente vivo in questa fase della vita e della carriera di Franchina, è piuttosto significativo. È  infatti probabile che lo scultore emiliano rappresenti la liaison con l’ambiente artistico romano durante gli anni di Collalbo. I due artisti hanno in comune una grande passione per l’opera di Maillol[17], eppure differiscono nella produzione artistica. La scultura di Mazzacurati è più espressiva, più partecipata; più forte è in lui il legame con la statuaria classica, con Michelangelo[18]. Questo carattere invece tocca solo in parte Franchina. Lo scultore siciliano, che sappiamo per certo, conosce e studia le opere d’arte del passato, se ne lascia influenzare parzialmente. Le sue sculture di questi anni rivelano la ricerca di pacatezza compositiva, di maturità, elementi desiderati ardentemente e che, sino a quel momento, gli erano sembrati sfuggirgli. Mazzacurati scolpisce ritratti, ma anche lottatori, santi; Franchina invece si cimenta nel ritratto e nello studio di nudi femminili, scelta che dimostra la volontà di sperimentare la scultura nel segno di una morbidezza formale, e nel contempo l’incertezza di un mezzo o di uno stile che non sentiva ancora completamente suoi. Mazzacurati, con il quale Franchina mantiene un intenso rapporto epistolare[19], fornisce in questi anni all’artista siciliano il materiale con cui scolpire[20] e preziose indicazioni relative alla pratica della fusione del bronzo[21].

I disegni di Sammarcota che Franchina esegue in questo periodo risentono notevolmente del nuovo clima artistico all’interno del quale lo scultore sceglie di operare. Le sue figure sono disegnate con più calibrata maestria. Il tratto non è più marcato, ma accompagna le forme della Sammarcota mirando ad una definizione più precisa dell’immagine. L’aspetto, quasi materico, che caratterizzava l’esperienza grafica precedente, scompare del tutto per lasciare spazio ad una nuova percezione del volume.

Sfortunatamente anche la Sammarcota del 1942, opera eseguita in gesso, è andata perduta. Ne resta tuttavia testimonianza fotografica[22]. Facendo un rapido raffronto con l’opera del 1936 si percepisce un totale e netto distacco dalla produzione precedente. Se nella prima Sammarcota Franchina aveva volutamente lasciato la superficie sbozzata, in questo caso ci troviamo davanti ad un’opera dal carattere decisamente più compiuto. Il gioco e la maestria dello scultore non si basa più sulla sottrazione di superficie, ma sulla composizione di forme dalla volumetria perfecta sovrapposte l’una sull’altra fino a generare la figura. Ogni elemento della scultura, dal sasso alle singole parti del corpo della figura femminile, possiedono una propria autonomia formale e volumetrica. Ormai ben lontano da Martini, lo scultore siciliano guarda adesso a nuovi modelli.

 

Ho cominciato a stringere di più la superficie sebbene le forme fossero sempre agitate. Il mio credo era allora che una scultura dovesse presentarsi alla luce aperta e immediata nella sua superficie […] però sentivo che la mia natura ed il mio istinto recalcitrava e fu questo che mi rimise su una linea se non altro non rigidamente teorica. A ciò concorse un mio ritorno di innamoramento per Donatello […]. In lui vedevo chiarificati tanti miei dubbi e leggevo con animo di moderno. Comunque la mia scultura rimase ancora molto incerta, dovevo ancora digerire quel che avevo in corpo e tritare bene quel che avevo in bocca. […] Poi con l’aver guardato con occhi improvvisamente attenti delle cose specie di Maillol cominciai a sentirmi improvvisamente attratto verso quella scultura sebbene il tutto ancora risiedesse su un piano di gusto e non ancora di esigenza o di convinzione plastica. […] È singolare il processo per cui Maillol è arrivato alla chiarezza delle sue forme. È partito senza dubbio dal Renoir del nudo con pomo in mano […] svolgendo quel tema e investendolo in modo così totale da dare la sua sigla alla scultura più valida del nostro tempo[23].

 

Dopo il rientro a Roma, nel 1943, Franchina ha ormai maturato un proprio linguaggio che costituirà il punto di partenza per le ricerche artistiche che caratterizzeranno gli anni successivi e che determineranno quel passaggio fondamentale per la sua carriera, da figurativo ad astratto: le Sammarcote, mute compagne che fedelmente seguono lo scultore nelle sue peregrinazioni stilistiche e formali, ne rappresentano, nella seconda metà degli anni Quaranta, il simbolo e la chiave interpretativa principale.

Il 1946 e gli anni del dopoguerra segnano in effetti la rottura definitiva di Franchina con il passato che si sviluppa attraverso una rimeditazione sull’arte cubista e costruttivista. Le sculture e i disegni eseguiti dal 1946 fino alla fine degli anni Quaranta pur mantenendo una propria figuratività si presentano, nella forma, più pieni ed essenziali; i dettagli realistici scompaiono per lasciare spazio ad una modellazione più calibrata e sintetica della materia. Eseguite per lo più in gesso, le sculture che Franchina ci lascia di questo periodo si presentano come volumi imponenti che occupano e animano lo spazio. La stessa sintesi si riscontra nelle linee dei disegni dai quali si riesce a percepire anche l’acquisizione di una nuova e maggiore maturità espressiva, frutto di ulteriori meditazioni stilistiche. A Picasso – la cui opera Franchina guarda già dall’inizio degli anni Quaranta – si aggiungono come modelli di riferimento Constantin Brancusi, Henry Moore, André Adam, Henri Laurens, Jacques Lipschitz.

Fra gli avvenimenti che certamente influenzano il modo di guardare e produrre arte di Franchina sono le brevi ma continue residenze a Parigi fra il 1946 e il 1951. Il primo soggiorno parigino avviene nel 1946, insieme alla moglie Gina. Lo scultore, ospite presso la dimora di Madame Maritain a Meudon, è chiamato a partecipare al Salon d’Automne[24].

Nello stesso anno Franchina recupera il tema ormai caro e consueto della Sammarcota che conoscerà la sua evoluzione definitiva nel periodo a cavallo fra 1946 e 1947.

Una delle principali caratteristiche delle Sammarcote di questa fase è la tendenza verso una forma piena e una linea continua, che Franchina sembra trarre soprattutto dall’opera di Moore[25].

Le Sammarcote e le altre sculture di questo periodo si presentano come rielaborazione di forme geometriche connesse tra loro ma indipendenti l’una dall’altra. Gli studi grafici che accompagnano l’esecuzione di queste opere ne costituiscono una valida documentazione. Attraverso un insieme di cerchi, triangoli e ovali Franchina cerca di raggiungere la purezza e la sintesi della forma. Il volume, ancora nettamente protagonista della Sammarcota scultorea, tende nella grafica a scomporsi definitivamente per lasciare spazio ad un gioco di linee e contorni.

Pur restando ancorato alla realtà oggettiva, lo scultore comincia a trasfigurare gli elementi che connettono le sue opere ad una figurazione completa. Sia nei disegni che nelle sculture i dettagli descrittivi scompaiono per lasciare spazio ad una nuova ricerca espressiva. Nelle opere in gesso e in bronzo, in particolare, l’artista sviluppa giochi volumetrici di materia secondo forme piene e linee che si arcuano e che sdrammatizzano l’effetto statico della scultura.

Come espresso da Carandente nel 1968 lo scultore rivela in questa fase della sua carriera:

un indirizzo preciso, diretto alla conquista di un linguaggio autonomo e implicitamente controcorrente rispetto al tradizionale plasticare o al far monumenti [corsivo nel testo, ndr]. La ‘Sammarcota’, la ‘Figura sdraiata’, il ‘Busto femminile’, del 1946-’47, furono le prime opere di quella serie giovanile a rivelare, sia pure ancora timidamente, un’apertura verso una nuova libertà espressiva [26].

Le opere di questo periodo, esposte in occasione di una mostra personale alla Galleria dello Zodiaco[27], riscuotono un grande successo di critica[28] e si collocano, in linea con la scultura di Moore o di Laurens, sulla scia di una rivisitazione del postcubismo alla luce di una ricerca espressiva nuova. La Sammarcota costituisce una delle sue prove migliori: figura solida, non priva di una propria leggiadria, composta da masse volumetriche connesse tra loro in un equilibrio compositivo calibrato.

Con il bozzetto della Sammarcota Franchina partecipa anche alla prima mostra del Fronte Nuovo delle Arti alla Galleria della Spiga[29]. Nonostante lo scultore non sia uno dei firmatari del manifesto che aveva sancito la nascita del gruppo – fra i quali figurano invece gli amici Guttuso[30] e Birolli – egli rivendica una comunanza d’intenti tale da essere coinvolto ad esporre col Fronte anche in occasione della Biennale di Venezia del 1948[31].

Evoluzione finale della Sammarcota e di questo processo di inesorabile scomposizione delle forme e dei volumi in chiave costruttivista sono le opere Immagine dell’uomo e Forma, realizzate in pietra fluviale, in cui si coglie una forte vicinanza alle ricerche formali brancusiane seppur riproposte attraverso l’uso di una materia che non risulta mai, nella produzione di Franchina, totalmente levigata. L’artista siciliano sembra adesso rimeditare sul concetto stesso di scultura. Viene meno l’esigenza alla monumentalità che era stata una delle caratteristiche delle opere eseguite fra il 1946 e il 1947, che lascia spazio ad una scultura dalla forte valenza simbolica. In particolare Forma come dice bene Marchiori:

rappresenta una prima scelta, molto importante per Franchina, lungo quel processo di eliminazione che ogni artista compie per riconoscere e affermare la propria personalità. L’idea di ridurre una pietra di fiume, levigata dal corso delle acque, in una forma esteticamente valida è già ben lontana dalla riflessione sull’antico, sull’insegnamento dei mezzi accademici di un nuovo manierismo. […] La «Forma» di Franchina ha un precedente nelle proposte brancusiane di un arcaismo senza particolari descrittivi, che ne alterino il carattere elementare. La pietra ha un volume esatto, che prepara ad altre soluzioni di transizione, fino a esaurire la fase arcaico-primitiva, nella quale troppi scultori si sono attardati, senza poter risolvere quei problemi spaziali, che assillano gli scultori lontani dal ‘realismo’ di Picasso e dall’oggetto-trovato dei surrealisti [32].

Nello stesso anno in cui esegue le sculture appena citate, Franchina varca definitivamente la soglia dell’astrazione arrivando a individuare alcuni motivi formali che, soprattutto nella produzione grafica, si ripetono ossessivamente fino all’inizio degli anni Cinquanta, e che trovano sublimazione esecutiva fra il 1948 e il 1950. Il cambiamento di linguaggio è evidente e netto; anche da un punto di vista materico si osserva un quasi totale abbandono del gesso e della pietra che lasciano il posto al bronzo. Da questo momento in poi sarà il metallo la materia prediletta dallo scultore.

Nello stesso anno in cui Franchina concepisce il suo nuovo linguaggio scultoreo, egli conosce la consacrazione internazionale mediante il coinvolgimento in esposizioni di rilievo come il Salon de la Jeune Sculpture o al Salon des Réalités Nouvelles[33] e soprattutto grazie all’organizzazione della sua terza personale presso la Galerie Pierre a Parigi. Nel 1949 e durante buona parte dell’anno successivo l’artista siciliano lavora molto in Francia, grazie anche all’ottenimento di una borsa di studio che gli consente di trascorrere diversi mesi presso il capoluogo francese[34].

La mostra alla Galerie Pierre[35] rappresenta un evento di grande importanza per la carriera e la vita dell’artista che intravede per la prima volta la possibilità di far conoscere la propria opera a Parigi e di entrare in contatto con il circolo culturale e artistico all’interno del quale avrebbe voluto da sempre inserirsi. In quest’occasione il giovane Franchina ha modo di conoscere personalmente gli scultori Giacometti, Adam, Arp che, come indicato in una lettera scritta a Marchiori qualche mese dopo la mostra, apprezzeranno molto le sue opere[36]. Franchina stesso e la moglie Gina vivono l’evento con particolare gioia, come il primo vero successo dell’artista[37].

La personale parigina è inaugurata il 20 aprile e resta aperta fino al 5 maggio 1949. Nella scelta delle opere da esporre Franchina, rifiutando totalmente gli esiti della produzione figurativa, propone un nucleo di sculture eseguite fra il 1947 e il 1949 fra le quali la Sammarcota accompagnata anche da un Telamone gigante in gesso, Immagine dell’uomo, una Trinacria di cui non si possiede ulteriore testimonianza e Vittoria avanzante, scultura astratta dal forte impatto visivo che l’artista esporrà anche in occasione delle altre due mostre a cui parteciperà a Parigi nel ’49[38]. Particolarmente bella, la presentazione in catalogo di Denys Chevalier si sofferma in modo particolare sulle opere che, secondo il critico, più chiaramente legano Franchina alla terra di origine: la Sammarcota, il Telamone e naturalmente Immagine dell’uomo. L’originalità dello scultore viene colta proprio in quella capacità che il critico francese gli identificava di partire dalla conoscenza della cultura classica che, privata di elementi arcaici, è rivisitata attraverso un occhio e una mentalità moderni.

 

On ne peut séparer Nino Franchina de sa Sicile natale. Ainsi à travers les influences que firent naître chez le sculpteur, les contacts qu’il établit avec les artistes romains et ceux de l’École de Paris, on perçoit constamment le souvenir d’un folklore familier et la survivance d’une antiquité toujours présente. Le thème de "Porteuses des pierres" [grassetto nel testo, ndr], par exemple, est tiré de la plus quotidienne des réalités siciliennes. […] Pendant quinze ans Nino Franchina s’est servi des ces modèles bénévoles et s’est attaché à en tirer la signification plastique en en éliminant de plus en plus la signification anecdotique. Dans sa grande "Porteuse des pierres", l’artiste à réalisé le maximum des possibilités que lui offraient ces conceptions. Cette sculpture, malgré quelques réminiscences archaïque et grâce à son austère construction architecturale, constitue dans production de Nino Franchina, un sommet, une sorte de ligne de partage de chaque côté de laquelle deux tendances, deux courants se dessinent et se manifestent. La "Porteuse des pierres", marque à la fois un dénouement et un commencement, elle est un point de rupture et un lien. C’est d’elle que descendent en filiation directe ces "images de l’homme" qui sont chez Nino Franchina, ses premières véritables tentatives vers la non-figuration. […] Dédaigneux des subterfuges et des compromis, Nino Franchina refuse les facilités de l’imitation ou de la copie d’ancien. Conçues et réalisées en plein air dans un respect quasi géologique de la matière et de ses exigences, ces "images de l’homme", ne présentent rien de gratuit ni de fortuit. […] A cette période que, dans l’œuvre de Nino Franchina on pourrait qualifier de transitoire, succède par un processus logique les dernières sculptures de l’artiste, concrètement non figuratives mais conceptuellement proches de celles qui les ont précédées, c’est-à-dire issues des mêmes mythes siciliens. Avec un sens aigu des exigences de la sensibilité moderne et une claire conscience de l’obéissance due aux lois éternelles de la plastique, Nino Franchina s’est inspiré des gigantesques cariatides (télamoni) abattues parmi les débris de l’immense temple de Giove dans la vallée des temples d’Agrigento. Admirateur de la statuaire grecque, l’artiste n’a pas cherché dans celle-ci un enseignement étroitement formel, il s’est acharné le sens profond, le message, et à en comprendre la mission. C’est parce qu’il a su remonter jusqu’aux premiers principes de la nature et de la fonction de son art, que Nino Franchina n’à pas fait œuvre de restaurateur ou d’amateur de reconstitution, et qu’il mérite d’être reconnu come un grec selon l’esprit[39].

 

È dunque ancora una volta grazie alla Sammarcota che è possibile cogliere in modo inequivocabile i passi compiuti dall’artista. La donna portatrice di pietre, il simbolo stesso dell’origine della vita e della scultura, veglia su Franchina costituendo la radice stessa dell’arte e il mezzo attraverso cui sviluppare nuove tendenze formali.

Uno degli ultimi dichiarati riferimenti e omaggi alla figura femminile e al suo simbolismo, un vero commiato, compare in uno scritto del 1953 paradigmaticamente intitolato dallo stesso Franchina ‘Nascita di una scultura’. Il brano è, a tutti gli effetti, il racconto mitologico della genesi della sua arte. La narrazione dell’evento poietico si traduce nel resoconto di quel processo di fusione fra pietra e macchina che caratterizzerà la produzione futura dell’artista.

 

La Macchina era ferma e la Pietra acquattata la guardava fissa. Quel lungo processo che aveva fatto divenire funzionanti e lucide le parti metalliche prima inerti gliela rendeva ancora più astrusa e incomprensibile. La Pietra era ancora là da secoli, vicina al ciglio della strada che tagliava i margini del grande estuario del Furiano – ancora non era stata strappata al greto dalle possenti braccia delle Sammarcote e issata sui capitelli dorici che sono le loro teste, per essere portata sino ai carri e divenire anch’essa elemento funzionante di una casa, un muro, un ponte. La Macchina era sempre ferma sul margine della strada, ma qualcosa avveniva in essa. Cominciava lentamente a scomporsi – invisibili mani la riordinavano in un disegno nuovo – lo spazio cominciava a intrecciarsi con le sue parti metalliche – la luce batteva e penetrava in essa in giochi fantasiosi. La Pietra cominciava a sentirsi attratta da questo movimento, da questa rigenerazione. Ecco, adesso fra le due branche metalliche che si erano fermate a sostegno di un’architettura armoniosa di forme, librata nel cielo, si creava un vuoto, uno spazio. Questo spazio a poco a poco prendeva la forma concava di un bacino materno e tutta la Scultura vibrava e attendeva di essere compiaciuta. Le possenti braccia della Sammarcota sollevarono la Pietra ma indugiarono a mezz’aria: essa era troppo rotonda, remota, non era abbastanza squadrata per essere utile al muro. E allora l’adagiarono dolcemente in quel cavo materno che l’attendeva e l’Opera fu così compiuta[40].



[1] L’appartenenza culturale di Franchina alla terra siciliana è da considerarsi sotto un duplice punto di vista: tematico e visuale-iconografico. Tematico perchè dal magma pulsante di stimoli culturali lo scultore carpisce continuamente soggetti e tradizioni da rappresentare: ci si riferisce in particolare alla serie di sculture dei Paladini, opere eseguite all’inizio degli anni Settanta che ripercorrevano il tema della Chanson des gestes e dell’interpretazione che di essa veniva fatta attraverso gli spettacoli dei pupi siciliani. Visuale e iconografico è uno dei modi attraverso cui è possibile comprendere il vero rapporto che Franchina aveva con la sua Sicilia: in opere come Pagina sgualcita (1985) o Oro del ferro (1986) nonostante il chiaro riferimento al tema del libro e del foglio di carta, l’aspetto dell’opera con la sua base stretta  che man mano salendo si allarga proponendo un’esplosione di metallo ricorda uno zampillo di lava. Lo studio storico e scientifico del percorso compiuto da Franchina durante l’arco della sua carriera d’artista è stato argomento della tesi di dottorato della scrivente, discussa con il Prof. Antonello Negri il 27 marzo 2012 presso l’Università degli Studi di Milano, consultabile online sul sito internet dell’Ateneo a partire dal mese di aprile 2013. Per un ulteriore approfondimento bibliografico della figura dello scultore siciliano si veda: G. Marchiori, Nino Franchina, De Luca Editore, Roma 1954; G. Carandente, Nino Franchina, Officina Edizioni, Roma 1968; Nino Franchina. Disegni Sculture 1935-1987, catalogo della mostra (Bolzano, Museo d’Arte Moderna 9 marzo – 28 aprile 1990), Mari Arti Grafiche, Todi 1990; Nino Franchina Antologica, catalogo della mostra (Palermo, Chiesa di S. Maria dello Spasimo 12 settembre – 12 ottobre 1997) a cura di T. Bonifacio, A. Franchina, Sellerio editore, Palermo 1997.

[2] Nel 1930 Nino Franchina si iscrive alla Regia Accademia di Belle Arti di Palermo dove frequenta i corsi dello scultore Antonio Ugo con il quale si diploma nel 1934. Cfr. Archivio Severini-Franchina, sezione Franchina, fondo documenti, Tessera della R. Accademia di Belle Arti di Palermo di Nino Franchina, 1930, n. 0488; A. Franchina, Tutta la vita di uno scultore, inNino Franchina..., 1997, pp. 99-130. Gli esordi della carriera dell’artista, dalla sua iscrizione all’Accademia fino al suo soggiorno milanese (1936-37) sono stati oggetto di tesi di specializzazione della scrivente svolta presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano sotto la guida del Prof. Luciano Caramel e discussa nel 2005.

[3] Gli amici a cui ci si riferisce sono Renato Guttuso, Lia Pasqualino Noto e Giovanni Barbera con cui lo scultore aveva fondato il Gruppo dei Quattro nel 1932. A loro si aggiungono, fra gli altri, Topazia Alliata e Basilio Franchina, fratello dello scultore che condivise con lui, in quegli anni, l’amore per l’arte e soprattutto per il cinema, la sua grande passione, che sarebbe diventato presto la sua professione. Non esistono studi sulla sua attività di sceneggiatore, ma tra i film a cui lavorò è certamente da menzionare Riso amaro di Giuseppe De Santis. Per un approfondimento particolare sul Gruppo dei Quattro si veda Il gruppo dei Quattro: Renato Guttuso, Lia Pasqualino Noto, Nino Franchina, Giovanni Barbera: una situazione dell’arte italiana degli anni ’30, catalogo della mostra (Palermo, Palazzo Ziino, 11 dicembre 1999 – 11 febbraio 2000) a cura di S. Troisi, ed. Comune, Palermo 1999; Renato Guttuso. Gli anni della formazione 1925-1940, catalogo della mostra (Catania, Galleria d’Arte Moderna “Le Ciminiere” 6 aprile – 27 maggio 2001) a cura di E. Crispolti, A. M. Ruta, Silvana Editoriale, Cinisello Balsamo 2001.

[4] Per un’adeguata valutazione della situazione artistica siciliana di questo periodo si veda Arte in Sicilia negli anni Trenta, catalogo della mostra (Marsala, Ex Convento del Carmine 13 luglio – 15 settembre 1996) a cura di S. Troisi, Electa, Napoli 1996; Futurismo in Sicilia, catalogo della mostra (Taormina, Chiesa del Carmine 27 maggio – 16 ottobre 2005) a cura di A. M. Ruta, Silvana Editoriale, Cinisello Balsamo 2005; G. De Marco, “L’Ora”. La cultura in Italia dalle pagine del quotidiano palermitano (1918-1930), Silvana Editoriale, Cinisello Balsamo 2007; Annti Trenta. Arti in Italia oltre il fascismo, catalogo della mostra (Firenze, Palazzo Strozzi 22 settembre 2012 – 27 gennaio 2013) a cura di A. Negri, Giunti Editore, Firenze 2012.

[5] La mostra presso la Galleria del Milione di per sè è dimostrazione di uno schieramento dei quattro nel gruppo di coloro che, lontani da canonizzazioni artistiche che non spiacevano al regime, si muovevano su un terreno del tutto nuovo in Italia cogliendo, ad esempio, l’importanza dello sviluppo dell’arte astratta. Cfr. P. Mignosi, 2 pittori e 2 scultori siciliani, in “Bollettino della Galleria del Milione”, n. 29, 26 maggio – 12 giugno 1934. La mostra fu inoltre recensita su alcuni giornali: L. Sinisgalli, Mostre milanesi. Quattro siciliani al “Milione”, in “L’Italia Letteraria”, anno X n. 23, 9 giugno 1934; C. Carra’, Mostre d’arte. I Siciliani (Galleria del Milione), in “L’Ambrosiano”, 15 giugno 1934.

[6] Ibidem.

[7] T. Bonifacio, I segni della scultura, in Nino Franchina…, 1997, p. 35.

[8] L’archivio ha attualmente sede a Roma, in via Margutta, presso il vecchio atelier d’artista di Franchina. Lo studio, dopo la morte dell’artista, è stato conservato dagli eredi che lo hanno adoperato come luogo atto a conservare i materiali documentari relativi a Nino Franchina e al suocero Gino Severini. Attualmente la sede è inagibile, in attesa dei restauri necessari affinché possa diventare luogo di studio e di valorizzazione dell’opera dei due artisti. L’archivio è diretto da Alessandra Franchina, nipote dell’artista a cui vanno i ringraziamenti della scrivente che da molti anni prosegue, presso questa sede, i propri studi sulla figura dello scultore.

[9] Come ebbe modo di raccontare Lia Pasqualino Noto «Durante il periodo della mostra parlammo lungamente di pittura con i Ghiringhelli e con i loro amici. La galleria aveva già preso l’indirizzo astrattista che poi mantenne. Gino Ghiringhelli era pittore astratto e con lui abbiamo conosciuto quelli del suo gruppo: Bogliardi e Soldati. […] Vidi e trovai molto interessanti le statue di ceramica di Lucio Fontana che allora erano delle figure di donne molto suggestive e colorate. […] Il pittore Gabriele Mucchi e la moglie Genni, scultrice, ci invitarono a casa loro in via Rugabella, […] ebbi così l’occasione di incontrare Cassinari e Birolli. […] Incontrammo Ernesto Treccani, il poeta Alfonso Gatto, lo scultore Martini, Fiorenzo Tomea, Cantatore, Santomaso ed altri. Fra i giovani scrittori, conobbi Leonardo Sinisgalli e Beniamino Joppolo». Cfr. L. Pasqualino Noto, Una testimonianza autobiografica, in Lia Pasqualino Noto: a Palermo dagli anni ’30 a oggi, catalogo della mostra (Palermo dicembre 1984 – gennaio 1985) a cura di E. Di Stefano, ed. Mazzotta, Milano 1984, p. 40.

[10] Tale necessità lo condurrà nel 1936 a trasferirsi a Milano per un periodo di sette mesi durante i quali sarà ospite dapprima presso lo studio di Renato Birolli, in seguito presso quello di Aligi Sassu. Per una ricostruzione puntuale della sua esperienza lombarda si veda V. Raimondo, Nino Franchina a Milano (1936-1937), in “L’Uomo Nero”, a. V, n. 6, 2008 pp. 400-411.

[11] L’album è composto da otto fotografie di diverso formato, verosimilmente scattate tutte nello stesso momento. L’oggetto non è stato ancora catalogato e non presenta pertanto ancora una numerazione propria.

[12] Vedi nota 7.

[13] Il rapporto con Milano è attestato soprattutto dalla partecipazione di Franchina alla seconda mostra di Corrente. Sebbene egli non sia da annoverare fra gli artisti promotori del movimento, lo scultore condivide alcune delle istanze, fre le quali l’espressionismo lirico, che caratterizza l’opera di molti degli autori che direttamente afferiscono a Corrente. Per ulteriore approfondimento si veda: R. Guttuso, Nino Franchina, in “Corrente”, a. II, 15 dicembre 1939; Nino Franchina. Disegni 1943-1945, catalogo della mostra (Milano, Fondazione Corrente 11 maggio – 24 giugno 2011) catalogo della mostra a cura di V. Raimondo, Scalpendi Editore, Milano 2011.

[14] Nel 1940 Franchina si ammala di una grave forma di pleurite in seguito alla quale viene ricoverato presso l’Ospedale Forlanini di Roma dove resta per alcuni mesi. In seguito alla malattia i dottori gli consiglieranno di trascorrere del tempo presso località più salubri. All’inizio del 1941 la famiglia Franchina, composta da Nino, Gina e dal piccolo Sandro nato nel 1939, si trasferirà in Trentino, dove resterà fino al 1943, anno in cui riuscirà a ristabilirsi a Roma.

[15] L’attenzione nei confronti della scultura di Maillol, che caratterizza l’opera di Franchina nella prima metà degli anni Quaranta, dipende probabilmente dalla capacità che lo scultore siciliano riconosceva in quello francese di trarre ispirazione dalla tradizione artistica senza tuttavia produrre alcuna forma di plagio. «Cette vision lucide et sensuelle des formes, guidée par une tecnique parfaite dans la voie de la tradition, tel est le Maillol de la Nuit, de Pomone, de la Pensée, de la Femme à l’Echarpe, de la Vénus au Collier [corsivo nel testo, ndr]. […] Ce qui fait de Maillol un trés grand sculpteur, c’est qu’il a retrouvé dans sa plastique le mystère de la construction des belles proportions; et par ce, ses créations ne sont pas un démarquage de la statuaire antique, mais un œuvre de solide architecture». J. Girou, Sculpteurs du midi, Librairie Floury, Parigi 1938, p. 51.

[16] «Qui con Gino viviamo una armoniosa vita di artisti. La mattina ci chiudiamo ciascuno nel nostro studio e si lavora forte. Gino ha già fatto tre quadri e io accumulo nuove sculture», Archivio Severini-Franchina, sezione Franchina, lettera manoscritta di N. F. a Basilio Franchina, 5 luglio 1942, il documento non è stato catalogato, pertanto non possiede ancora numerazione propria.

[17] «J’ai toujours considéré Maillol comme un patriarche». M. Mazzacurati, Des jeunes sculteurs parlent, in “Presence”, 26 novembre 1944.

[18] Si veda a tal proposito: Marino Mazzacurati. Mostra antologica, catalogo della mostra (Bologna, Galleria La Casa dell’Arte 16 marzo – 30 aprile 1978) a cura di G. C. Argan, Bologna 1978; R. Ruscio, L’archivio Renato Marino Mazzacurati nei Musei Civici di Reggio Emilia, Diabasis, Reggio Emilia 1998.

[19] Nonostante siano poche le lettere dello scultore emiliano conservate presso l’Archivio Severini-Franchina, si desume una frequentazione piuttosto intensa fra i due artisti da alcune indicazioni trovate sulle lettere che Franchina invia al fratello Basilio. Mazzacurati, oltre che amico, fu un punto di riferimento per lo scultore siciliano per i suoi consigli e perché gli procurava la materia (prevalentemente cera) con cui lavorare. «Io sono arrivato alla mia diciottesima scultura. Le ultime tre le ho fatte con la cera di Mazzacurati e questa materia mi ha dato una grande voglia di farne altre cosicché ho scritto a Mazzacurati di farmene avere», Archivio Severini-Franchina, sezione Franchina, lettera manoscritta di Marino Mazzacurati, 7 novembre 1941, il documento non è stato catalogato, pertanto non possiede ancora numerazione propria. E ancora: «A Roma Mazzacurati si sta occupando per la fusione in bronzo (la prima a 30 anni!) di una testina fatta a Sant’Agata. L’ho pregato di farmela fotografare bene», Archivio Severini-Franchina, sezione Franchina, lettera manoscritta di N. F. a Basilio Franchina, 5 luglio 1942, il documento non è stato catalogato, pertanto non possiede ancora numerazione propria.

[20] È grazie a Mazzacurati che Franchina inizia ad adoperare la cera, il gesso e il bronzo per le sue sculture.

[21] Per la prima volta, nel 1942, Franchina eseguirà una piccola scultura in bronzo, una Testa di ragazzo. Presso l’Archivio Severini-Franchina è conservata una lettera di Mazzacurati con spiegazioni dettagliate sui modi con cui eseguire la fusione del metallo. Cfr. Archivio Severini-Franchina, sezione Franchina, lettera manoscritta di Marino Mazzacurati, 16 giugno 1942 [data timbro postale], il documento non è stato catalogato, pertanto non possiede ancora numerazione propria.

[22] Anche questo documento (fotografia in bianco e nero, formato 10x6 cm) è conservato all’interno dell’Archivio Severini Franchina, sebbene ancora non catalogato e non dotato pertanto di numerazione propria.

[23] Archivio Severini-Franchina, sezione Franchina, quaderno manoscritto di Nino Franchina [Collalbo], 1942, n. 1244-45.

[24] La notizia è desunta da un’indicazione autografa di Franchina conservata in archivio. Si tratta di un elenco delle mostre a cui aveva partecipato nell’arco della sua carriera redatto dallo scultore intorno alla metà degli anni Ottanta. ASF, sezione Franchina, doc manoscritto “Autobiografia”, s.d., n. 1259.

[25] Tra le diverse versioni della scultura ve ne sono due in gesso (Testa di Sammarcota, Busto di Sammarcota), due in bronzo (Piccola Sammarcota, Sammarcota). Le dimensioni variano dai 47 cm della Piccola Sammarcota (1947) conservata presso la GNAM di Roma, ai 180 cm della Sammarcota (1947) che lo scultore aveva tenuto con sé, all’interno del suo studio dove ancora oggi si trova la scultura. La prima versione della scultura grande era anch’essa modellata in gesso ed era disposta nel giardino di fronte allo studio di Franchina. Venne fusa successivamente in bronzo quando, a causa delle intemperie a cui l’opera era sottoposta stando all’aperto, aveva cominciato a deteriorarsi. Non sono ancora stati trovati documenti che attestino esattamente in che data Franchina ordinò la fusione della scultura.

[26] G. Carandente, Nino... ,1968 pp. 6-7.

[27] La mostra dal titolo Nino Franchina ebbe luogo presso la Galleria dello Zodiaco di Roma dal 19 aprile al mese di maggio 1947.

[28] L’esposizione ebbe diverse recensioni positive comparse su alcuni dei principali giornali italiani, cfr. R. Musatti, Franchina allo «Zodiaco», in “La Repubblica”, 23 aprile 1947; N. Ciarletta, Franchina allo “Zodiaco”, in “L’Espresso”, 29 aprile 1947; E. Galluppi, Franchina, in “Fiera letteraria”, 1 maggio 1947; G. Peirce, Lo scultore Franchina allo «Zodiaco», in “L’Unità”, 1 maggio 1947; V. Guzzi, Neocubismo espressionismo ed altro, in “L’Illustrazione italiana”, 25 maggio 1947. Particolarmente interessante, l’articolo di Peirce, costituisce una prova della chiarezza d’intenti che l’opera di Franchina emanava: «Chi vuole mantenersi attento alle manifestazioni nuove, ai nuovi sintomi e alle nuove strade dell’arte moderna romana deve necessariamente considerare (a parte ogni intrinseca valutazione artistica) l’attuale Mostra delle sculture di Nino Franchina (‘Galleria dello Zodiaco’) forse come uno degli avvenimenti artistici più importanti della presente stagione. […] Le ricerche di Franchina si realizzano sulla medesima linea che in Francia perseguono Laurens ed altri (che del resto Franchina conosce e cita). Questo vuol dire che esiste oggi, in Europa, uno sforzo comune e un fronte comune: il fronte della poesia. In questo fronte il nostro Franchina porta il suo contributo di ricerche e di coraggio, realizzando, a mio parere, talune eccellenti cose».

[29] La mostra, svoltasi fra il 12 giugno e il 12 luglio del 1947, fu organizzata da Stefano Cairola e da Giuseppe Marchiori a cui si deve anche l’introduzione in catalogo dove il critico definisce le opere dello scultore «sensibili e colte prove stilistiche», cfr. G. Marchiori, Introduzione alla Mostra, in Prima Mostra del Fronte Nuovo delle Arti catalogo della mostra (Milano, Galleria della Spiga 12 giugno – 12 luglio 1947) a cura di G. Marchiori, Milano 1947, p. 10. La presentazione di Franchina in catalogo è di Corrado Maltese che ricostruisce il percorso artistico dello scultore dagli inizi palermitani fino alle ultime esperienze e definisce le ultime sue opere  come prodotto di una intensa ricerca espressiva, «Il mondo di travaglio che in esse è racchiuso è veramente importante. In esse è sintesi volumetrica, volontà di chiarezza costruttiva e di precisione». Maltese individua anche i limiti ancora non superati dall’artista nella tendenza ancora non sopita verso un arcaismo che contrasta con la chiarezza ricercata dallo scultore e conclude sostenendo «è certo che le contraddizioni della sua scultura saranno eliminate e ‘l’idea’ interiore portata a compimento». C. Maltese, Nino Franchina, in Prima Mostra… 1947, pp. 27-28. Per un’ulteriore valutazione e analisi bibliografica sul Fronte Nuovo delle Arti e sulla partecipazione di Franchina si veda: Fronte Nuovo delle Arti. Nascita di un’avanguardia, catalogo della mostra (Vicenza, Basilica Palladiana, 13 settembre – 16 novembre 1997) a cura di L. M. Barbero, L. Caramel, E. Crispolti, Neri Pozza Editore, Vicenza 1997.

[30] Come è affermato da Marchiori, fu proprio Renato Guttuso a coinvolgere Franchina nella mostra di Milano e nell’attività del gruppo. Cfr. G. Marchiori, Il Fronte Nuovo delle Arti, Giorgio Tacchini Editore, Vercelli 1978, p. 50.

[31] C. Maltese, Nino Franchina..., 1947.

[32] G. Marchiori, Nino..., 1954, p. 15.

[33]Premier Salon de la Jeune Sculpture, catalogo della mostra (Parigi, Museo Rodin 14 maggio – 9 giugno 1949), Paris 1949; Salon des Réalités Nouvelles, Paris 1949.

[34] «Lavora dapprima nel garage della casa che Gino Severini aveva preso in affitto a Meudon e nella quale aveva abitato Jacques Maritain, poi nello studio che gli cede in Rue Rousselot Henriette Nieps, la pittrice-gallerista che è sposata con Gillo Pontecorvo ed è amica di Simone de Beauvoir e Jean-Paul Sartre. Conosce Arp, Zadkine, Lipchitz, Magnelli, Fougeron, Jacobsen, Adam, Giacometti, Picasso, Brancusi, di molti dei quali frequenta lo studio». Cfr. C. Costantini, E Guttuso si fece prestare lo smoking, in “Il Messaggero”, 15 aprile 1985.

[35] La mostra, dal titolo Nino Franchina. Sculptures ebbe luogo presso la Galerie Pierre di Parigi dal 20 aprile al 5 maggio 1949. Oltre ad una recensione scritta dallo stesso Chevalier e comparsa su “Arts” il 29 aprile 1949 si segnalano gli articoli: J. Marabini, Nino Franchina homme de la Sicile, in “Combat”, 9 maggio 1949; Sammaria, “Sculture e disegni” di Nino Franchina, in “La voce d’Italia”, 26 aprile 1949.

[36] Scritta una volta tornato a Roma, la lettera a Marchiori aveva lo scopo di convincere il critico a perorare il coinvolgimento di Franchina nella Biennale di Venezia del 1950 all’interno della sezione dedicata alla scultura astratta italiana. «Tu non conosci il mio lavoro di questi ultimi anni (le opere della Biennale [si riferisce a quella del 1948, ndr] erano del 46 e 47) ma come avrai visto dal catalogo della mia personale da Pierre a Parigi che ti ho spedito e forse da quello del Salon des Réalités Nuovelles la mia scultura ha evoluto su posizioni astratte. Penso che per i riconoscimenti e consensi che ho avuto a Parigi (da Arp a Giacometti a Adam) e per il lavoro accanito nel quale mi sono tuffato dal mio ritorno a Roma merito di non essere escluso da quella rassegna». Archivio Giuseppe Marchiori, lettera manoscritta, 8 novembre 1949, pubblicata in Fronte Nuovo... 1997, p. 300.

[37] «Ninuzzo caro uscendo per impostare la lettera ho trovato la tua  voglio subito dirti quanto io sia felice della notizia della tua mostra, è una cosa bellissima, da Pierre, è quasi una garanzia di successo se tu puoi lavorare bene. Sono certa che una mostra con le sole cose che hai qua e là sarebbe già a Parigi di grande interesse, ma d’altra parte come fare per il trasporto. E per te stare a Parigi è già molto avere lo studio, certo è un peccato che non ci siano i miei, almeno con loro hai il vitto assicurato. Ma basta, tanto riusciamo sempre presso a poco a fare quello che vogliamo ed è per questo d’altronde che si continua a vivere anche se tante volte è stancante. Ma questa è un’occasione caro che non possiamo perdere, crolli il mondo. Sono così certa delle tue opere, anche se talvolta dico il contrario, eppure quando lo dico forse ho avuto ragione. Ho ugualmente molta fiducia in te come scultore». ASF, sezione Franchina, lettera manoscritta di Gina Severini, s.d. [1949], n. 1241.

[38] Vedi nota 31.

[39] D. Chevalier, Nino Franchina. Sculptures, brochure della mostra Nino Franchina. Sculptures (Parigi, Galerie Pierre 20 aprile – 5 maggio 1949) a cura di D. Chevalier, Imprimerie du Point-du-Jour, Auteuil 1949.

[40] ASF, sezione Franchina, doc. dattiloscritto di N. F., ottobre 1953, n. 0099. Il testo fu scritto da Franchina come corredo di un disegno pubblicato su L. Sinisgalli, Pittori che scrivono: antologia di scritti e disegni, Edizioni della Meridiana, Milano 1954, pp. 121-124.

 

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Temi di Critica - numero 7

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