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in questo numero contributi di Stefano Colonna, Antonio Cuccia, Francesco Paolo Campione, Maria Chiara Bennici, Elvira D'Amico.

codice DOI:10.4413/RIVISTA - codice ISSN: 2038-6133
numero di ruolo generale di iscrizione al Registro Stampa: 2583/2010 del 27/07/2010

La via di Palermo. Una sconosciuta copia del Maratti dell’Oratorio di S. Cita nella chiesa della Madonna del SS. Rosario di Milazzo di Elvira D'Amico

Nella chiesa cinquecentesca del SS. Rosario di Milazzo, sita nel quartiere del Borgo, esiste, tra le varie opere d’arte antica che ancora vi si possono ammirare, una pala della Madonna del Rosario e Santi, evidente copia – mai rilevata – di quella realizzata dal pittore “romanizzato” Carlo Maratti per l’oratorio palermitano di S. Cita.
Generalmente attribuita al pittore seicentesco Filippo Jannelli,[1] la tela milazzese risulta dunque essere più tarda, essendo stata eseguita certo dopo l’arrivo dell’opera marattesca nel capoluogo siciliano, avvenuto nel 1695, anno che ne costituisce il sicuro terminus post quem. La pala di Palermo viene commissionata dalla Compagnia del SS. Rosario in S. Cita, una delle più prestigiose della città, composta da professori, mercanti ed architetti, che ricostruisce l’attuale sito nel 1678, affidandone la decorazione in stucco al più grande plasticatore del tempo, Giacomo Serpotta, e la pala dell’altar maggiore al più famoso pittore attivo a Roma.[2] Il Maratti, principe dell’Accademia di San Luca e pittore di Luigi XIV, coniuga qui un equilibrato schema classicheggiante – riprendendo pure alcune figure dai classici della pittura romana ed emiliana – con lo stile barocco fino ad allora imperante, dando il via a quel “classicismo barocco” che impronterà di sé la produzione pittorica siciliana del nuovo secolo XVIII. La pala marattesca, che si pone inevitabilmente in rapporto con l’altra di egual soggetto del Van Dyck del vicino oratorio del SS. Rosario in S. Domenico[3], è tuttavia molto variata rispetto a quella: la Vergine in trono tiene per il braccio il Bambino che porge il rosario a S. Caterina, mentre S. Domenico appare girato di spalle rispetto alla Vergine, distribuendo egli stesso i rosari agli astanti, nella fattispecie alla santa posta di spalle, identificabile con S. Rosalia (conoscenza dell’opera di Caravaggio per S. Domenico Maggiore ?). Sul fondo a destra si individua la figura di San Tommaso d’Aquino (ripresa dal Guercino), col sole in petto, simbolo del suo amore ardente e della sacra erudizione, che viene a sostituire il S. Vincenzo Ferrer della pala vandyckiana, mentre delle quattro sante palermitane, presenti nell’opera del fiammingo, il Maratti lascia solo la S. Oliva, col turbante in testa, riconoscibile dal ramoscello d’ulivo in terra, suo abituale attributo. Inoltre inserisce nella scena sacra una santa di fresca canonizzazione (1671), la domenicana S. Rosa da Lima, riconoscibile dall’attributo delle rose che reca in petto, amorevolmente rivolta verso la S. Oliva e indicante la corona del rosario che la giovane palermitana tiene in mano. L’accenno alla peste del 1624, presente nella pala vandyckiana, è ormai scomparso, come si nota dal putto e dal teschio in basso, pur ripresi da quella, l’uno diventato trionfante, l’altro ridotto a mero attributo della “Santuzza”.[4]
A tale opera all’avanguardia nel panorama culturale siciliano, si ispirano dunque i confrati della Compagnia del Rosario di Milazzo per la commissione della nuova pala da collocarsi sull’altare che possiedono nella chiesa dell’antica città demaniale. È lo storico locale padre Francesco Perdichizzi a informarci, nel suo Melazo Sacro (fine secolo XVII), che nella chiesa del convento di S. Domenico, «bella e ben adornata», «vi sono 8 cappelle oltre la Tribuna», dotate da nobili famiglie siciliane e spagnole, mentre «quella della Madonna del SS. Rosario è dei Confrati e Sorelle della Compagnia»[5]. Pure uno dei due oratori siti nel chiostro del convento è «della Compagnia del SS. Rosario che si mantiene con molto decoro per essere de’ Nobili».[6]
È da supporre dunque che i confrati milazzesi, oltre ad essere in stretto rapporto con quelli dell’omonima Compagnia di Messina, sita nel perduto convento di San Domenico, con i quali condividevano i compiti istituzionali,[7] fossero anche in contatto con i corrispettivi palermitani, almeno per quanto attiene alle novità artistiche da essi introdotte nel capoluogo siciliano.
Nella nuova pala d’altare (che forse ne sostituisce una vecchia, come avviene pure nel caso dell’Oratorio di S. Cita), che viene affidata a uno sconosciuto pittore locale, i confrati milazzesi effettuano però un’opera di correzione e riadattamento alla realtà locale, eliminandovi segni e attributi attinenti alla cultura palermitana, epurandola di particolari che non ritengono consoni alla solennità del tema trattato, e di contro aggiungendovi ed enfatizzandovi elementi pertinenti alla religione domenicana.
Così, nel registro inferiore, la S. Oliva, seduta sui gradini della chiesa, diviene una semplice popolana in preghiera, essendo privata dell’attributo del ramo d’ulivo, sostituito con due simboli generici della Vergine: la corona e la spada, e pure la S. Rosalia, inginocchiata di spalle, avendo perso l’attributo del teschio, diviene una ardente devota che riceve il dono del rosario da S. Domenico. Parimenti le figure sacre del registro superiore subiscono qualche modifica, come la Vergine, pudica con gli occhi bassi nella pala marattesca, che ora, con l’aggiunta di una aureola, riguarda verso lo spettatore, mentre il S. Tommaso non indica più la Vergine, ma ha in cambio il sole enfatizzato in petto, che diventa rosso fuoco, mentre i puttini ignudi – l’angioletto trionfante, in basso e quello reggi-drappo in alto – vengono pudicamente ricoperti da un panno rosso, con un intento censorio che ricorda ben altre operazioni consimili di ambito controriformistico.
Dal punto di vista stilistico-formale, la tela milazzese, che non è escluso sia stata ripresa da un’incisione relativa, traduce nella grazia del barocchetto settecentesco il pathos dei personaggi della Sacra rappresentazione di Palermo. Sparite le suggestive figure in penombra, il sapiente contrasto luce-ombra, il fervido luminismo dell’originale, la scena milazzese si ribalta tutta sul primo piano, in un gioco di corrispondenze lineari e cromatiche che parlano ormai il linguaggio gentile dell’arcadia.
I confrati milazzesi non si limitano però a fare effettuare la copia riveduta e corretta dell’originale, ma, forse in un secondo tempo, vi aggiungono del proprio, facendovi apporre all’intorno i quindici Misteri del Rosario, raffigurati in vivaci scenette, sulla scia della tradizione rinascimentale-manieristica siciliana. Così, entro ovali sormontati da cornici con fregi leziosi di gusto rocaille, si svolgono in un fluido racconto i Misteri gaudiosi (sul lato sinistro), i Misteri dolorosi (in alto), i Misteri gloriosi (sul lato destro).
La Madonna del Rosario e Santi di Milazzo dunque, databile verisimilmente alla prima metà del Settecento, si pone a metà tra innovazione e tradizione, configurandosi da un lato come omaggio alla cultura pittorica romana d’avanguardia, tramite la più vicina via di Palermo, dall’altro come un ossequio ai dettami della pittura controriformata, tarda ancora a morire nell’Isola.

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1 F. Campagna Cicala, La pittura a Milazzo dal XV al XVII secolo, in Milazzo. Il porto e l’arte, a cura di F. Chillemi, GBM, Messina 2008, pp. 101-102.

2 G. Mendola, L’oratorio del Rosario in S. Cita, in Giacomo Serpotta. L’oratorio del Rosario in Santa Cita a Palermo, a cura di S. Grasso, G. Mendola, C. Scordato, V. Viola, foto di R. Sanguedolce, Facoltà teologica di Sicilia, Palermo 2015, pp. 25-26.

3 P. Palazzotto, Carlo Maratti, Madonna del Rosario e i Santi Domenico, Caterina da Siena, Vincenzo Ferrer, Rosalia e Oliva, scheda n. 14, in Sante e Patrone nelle chiese di Palermo, Associazione Amici dei Musei Siciliani, Bagheria 2005.

4 Ibidem.

5 P. Francesco Perdichizzi da Milazzo, Melazzo Sacro (ms. fine sec. XVII), ed. a cura di A. Bravi, Milazzo, 1996, p. 88.

6 Ivi, p. 89.

7 Nota anche come Arciconfraternita dei Bianchi, cfr. A. Micale, F. Petrungaro, Milazzo. Ritratto di una città. I luoghi, le memorie, l’arte, La nuova provincia, Milazzo 1996, p. 129.

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Temi di Critica - numero 14

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