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in questo numero contributi di Diana Malignaggi, Roberta Cinà, Ivan Arlotta, Roberto Lai, Raffaella Picello, Francesco Paolo Campione.

codice DOI:10.4413/RIVISTA - codice ISSN: 2038-6133
numero di ruolo generale di iscrizione al Registro Stampa: 2583/2010 del 27/07/2010

«Sono ito come il cane dietro la traccia»: Paolo Giudice e la connoisseurship a Palermo nella prima metà dell’ Ottocento* di Roberta Cinà

«…Senza ch’io ne sapessi l’autore […] disegnavolo […]. A misura che l’andava individualmente esaminando pareami più chiaro scorgervi quello, che vidi lampeggiarvi al primo guardare, cioè un carattere deciso, ch’avea tutta la fisionomia delle opere di Antonio Gagini. Il nome di Gagini mi usciva di bocca»1.

Paolo Giudice2 si riferisce all’Arca di San Gandolfo3, da lui riscoperta, nel 1839, nella chiesa Madre di Polizzi Generosa. La sua intuizione di conoscitore trovò conferma nel documento di allogazione dell’opera a Domenico Gagini, prontamente pubblicato sulle “Effemeridi Scientifiche e Letterarie per la Sicilia”4; ma al di là dell’importanza del dato documentario, che consentiva di fissare un punto fermo nella ricostruzione del corpus dell’artista5, è degna di nota la modalità di approccio all’opera d’arte – peraltro supportata dalla pratica disegnativa, ausilio della migliore connoisseurship ottocentesca6 – che oggi potrebbe ricordare certi enunciati di Adolfo Venturi7.
Tornerò in seguito sugli studi di Paolo Giudice relativi all’opera gaginiana, e mi soffermo ora su uno dei tratti più interessanti, e ancora non del tutto indagati, del pensiero e della prassi di questo conoscitore, il quale in più di un’occasione fa riferimento a «un certo mio metodo a guardare i quadri»8, come di una pratica meditata e collaudata.
Esempio significativo è un articolo del 1837 dedicato al Trittico fiammingo, allora attribuito a Dürer9, custodito nella Chiesa Madre di Polizzi Generosa. Il venticinquenne autore, appassionato fautore dello stile ‘italiano’ che, in quegli anni, si individuava nella pittura raffaellesca10, intende «…facendo uso di giudicio puro italiano, […] determinare quei difetti, che o del tutto si tacciono, o troppo generalmente si accennano senza frutto alcuno degli uomini»11. Si tratta, insomma, di ridimensionare la fortuna critica del dipinto ‘tedesco’ – vedremo che, su questo argomento, Giudice tornerà in seguito – avvalendosi di solide argomentazioni, le quali poggiano, in prima istanza, proprio sull’accuratezza della valutazione dell’opera:

Pieno di meraviglia mi feci presso a quella pittura, e quantunque, dopo di avere usato un certo mio metodo a guardare i quadri, riputassi atto sacrilego a dubitare della totale bellezza di quella, che a primo guardo in me non fece profonda impressione; consideratala più accuratamente, e dopo alcuni giorni tornato a rimirarla e ritornatovi non poche altre volte dappoi, né potendovi conoscere per quanto io mi sforzassi quelle qualità, che col nome di Alberto mi stavano nella fantasia, vado ora superbo di tale artistico sacrilegio12.

La sicurezza di un giudizio in qualche modo controcorrente, comunque scomodo, perché sminuiva una gloria locale, poggia dunque sull’esame scrupoloso del manufatto, su un ‘vedere e rivedere’, a breve distanza di tempo13.
Sempre nel 1837, Paolo Giudice pubblica un articolo sul Sant’Isidoro Agricola di Mattia Stomer14. In questo caso dedica qualche notazione alla prassi della visione dell’opera d’arte, quale momento propedeutico alla valutazione critica15:

…pria che di ciascuna parte del quadro si cominci a trattare poniamoci in una cotale distanza, ove appena possono distintamente le figure ravvisarsi, consideriamolo, per così dire, come una massa colorita, e veggasi se l’occhio, che in ciò vuol essere il solo giudice, ne goda, o ne soffra. Il che fatto, affermo che il colorito di questo dipinto è una leggiadria, un incanto da lungi, fa bellissimo insieme16.

Non sorprende il richiamo a certe modalità dell’empirismo inglese17, anche perché sono noti gli stretti rapporti tra Sicilia e Gran Bretagna nei primi decenni dell’Ottocento18 e la ricettività isolana ad alcune tematiche appartenenti alla cultura anglosassone, dal costituzionalismo alla storiografia19, dalla filosofia alla letteratura artistica20: motivi, tutti, che il Nostro assimila negli anni giovanili21 e che informano il suo pensiero e la sua produzione, anche successiva22. È oltretutto lo stesso Giudice a dare notizia dei suoi precoci rapporti con l’editoria del Regno Unito, proprio in materia di critica d’arte23.
Ma torniamo all’articolo su Mattia Stomer, che si segnala non soltanto quale precoce contributo della critica siciliana sull’artista olandese24, ma anche per le notazioni relative alla «usanza dell’artefice dipinta a luce di giorno», che «ci farà dire alcuna cosa agli studiosi di qualche utilità, agli intendenti non discara»25:

Matteo Stommer, come è noto, fu uno di quei pochi pittori, che mettendosi per la via segnata dal tenebroso Caravaggio, dipinsero, e spesse fiate posta giù ogni ragione, fatti notturni […]. Tuttavia passandosi l’azione del quadro, del quale parliamo, nel più sereno giorno (che sarebbe stata sciocchezza pingere Isidoro lavorante di notte) dové il pittore, e si vede che il fece di mala voglia, colorire a luce di giorno. Ciò non ostante l’artista anche qui lumeggiò, ombrò, disegnò le figure con l’effetto che farebbe lo splendore di un fuoco. I lumi forti, il riverbero degli scuri a grandi masse gittati, tel dicono. Ciò diletta i falsi conoscitori, i quali veggono una maniera, che cotanto da natura non discorda, ma che naturale non è, ne traggono ammirazione, come suole avvenire di semi-letterati, che si piacciono di uno stile brillante, ma falso. Ma gli idioti, che alle volte riguardo ai colori sentono con più verità, perché il loro gusto è ancora vergine, ne approvan travaglio26. Gl’intelligenti che giudicano secondo i principi dell’arte non approvano un modo sifatto [sic]. Quello dunque che in Stommer diletta stimiamo essere di riprovazione degnissimo. […] risultandone un effetto alquanto bizzarro gli inesperti ne godono appunto perché è bizzarro. […] consistendo gran parte della pittorica bellezza del colorare, il giorno degli artisti è da preferirsi alla notte, la quale, come cantano i poeti, stendendo un bruno velo sull’universo, scolora le cose27.

Il passo risente di più suggestioni settecentesche, sia per il tipo di rimando al concetto di gusto28, sia per l’attenzione all’appropriatezza29 e alla verosimiglianza30, sia, ancora, per l’esigenza di criteri razionali in base ai quali formulare il giudizio sull’opera d’arte. è, questo, un tema, che si trova anche nell’articolo sul Trittico polizzano:

«Alberto Dürer […] regna più nella fantasia de’ popoli che nel loro intelletto, il quale, ove alla considerazione delle opere di lui venisse di rivolgersi, farebbe agli uomini mutar sentenza […] cioè ove delle opere di lui ragionasse il conoscitore filosofo e non cadessero […] nelle mani di qualche antiquario, che inforca un medesimo pajo d’occhiali ad osservare un vaso lacrimatojo o una ghianda inscritta, e un quadro, una statua»31.

Dunque, è il «conoscitore filosofo» che può «ragionare delle opere», grazie a competenze specifiche e non soltanto teoriche. Proseguendo la lettura dell’articolo su Stomer, appare infatti evidente come Giudice motivi il non apprezzamento di certi effetti luministici avvalendosi anche di qualche notazione tecnica:

È da sapersi inoltre che lo splendore di una fiaccola, di un fuoco qualunque ammaniera, se è lecito così dire, di una tinta rossastra, arancio-giallognola i colori. Imperciocchè è sentenza degli ottici, che guardato con un prisma il lume delle candele, tra sette raggi compositori della luce, il giallo si vede fiammeggiare maggiormente. Perciò ove tradir non si voglia, la verità di natura, e carni e panni, e oggetti di ogni sorta debbono di quella tinta partecipare. Il che quanto al bello effetto del colorare pregiudichi, non è mestieri, ch’io il dimostri più oltre32.

Ricordo che Giudice fu anche pittore e che era ben inserito nell’ambito dell’Accademia di Belle Arti palermitana33, non stupisce quindi che le sue considerazioni sul disegno e sul colore, oltre ad essere molto puntuali, risentano dei canoni tipici di quel contesto:

…non è da negarsi che i seguitatori di simil genere34, qualora perfettamente si avvicinino al vero, comunicano ai dipinti cotal magia, che quasi occulta all’occhio altri più gravi difetti. Essi però quanto di vantaggio acquistano dal colorire, altrettanto, e forse più, ne perdono da altra parte della pittura. Che lo splendore d’una fiaccola, procedendo in modo assai stretto, deve moltissimo ingrandire le masse di ombra, le quali alterano, sformano i contorni, e per lo più svantaggiano il più grazioso sembianze. […] Però disperi di trovar la bella natura in queste pitture chiunque ha uso l’occhio sulle statue antiche, su Raffaele, e su i raffaelleschi, e su Guido35.

Ancora alla cultura accademica è da riferirsi l’occhio attento ed esercitato all’esame della struttura anatomica, che il Nostro manifesta con particolare evidenza nell’analisi delle sculture. Lo si nota nella sua recensione all’Esposizione palermitana di Belle Arti36 del 1838 (ma l’interesse per la scultura accademica sarà presente anche vent’anni dopo, nelle corrispondenze per la “Gazette des Beaux-Arts”37). L’articolo sull’Esposizione fu pubblicato, come i precedenti, sulle “Effemeridi”, per richiesta del direttore del periodico Ferdinando Malvica38, il quale intendeva coinvolgere Paolo Giudice anche in altre iniziative volte alla promozione degli artisti siciliani del suo tempo39.
Il Nostro, in un primo tempo restio a pronunciarsi sugli artisti suoi contemporanei40, affermò: «l’arte salutare della critica ha da esercitarsi soltanto intorno le opere degli uomini, che hanno un nome»41. Mosse quindi alcuni appunti alle opere di Villareale42, già pienamente affermato, e anche in questo caso, pur con una certa diplomazia, sottolineò l’obiettività dei suoi criteri di valutazione: «…benché le mie fossero ragioni, che han fisica certezza, perché sottoposte a oculari, e manuali misure, sempre dubitando di me, come opinioni le scrivo»43. Così si espresse sulla celebrata44 Baccante:

Nella Baccante danzatrice è viva l’espressione, vivissimo il movimento, la testa è parlante e graziosa, gli occhi sono tutti brio. Maestria nel panneggiare, varietà nelle pieghe, […] giustezza nel tocco. […] Ma in questa figura non è generalmente mantenuta l’armonia, […] perocchè la testa sa di moderno, il busto di antico (e considerata come torso è di perfetta bellezza) e le gambe son d’uomo. Le natiche sono scarne […]: difatti non è ben intesa la elevazione carnosa dei muscoli ascendenti e discendenti e della sommità dell’osso ilio per tutto il membranoso.

L’attenzione alle proporzioni anatomiche si trova anche nella lettura di altre opere, come l’Arianna di Villareale: «E posciaché l’autore dovrà ancor lavorarla, andiamo a consigliarlo, che la spolpi un poco, perché è senz’ossa, anzi è gonfia nelle membra, e così […] fatte manifeste le ossa, individuati i muscoli, variate le forme convesse, l’Arianna diventi però assai bella»45.
Canoni di giudizio di stampo neoclassico si uniscono spesso a questo interesse per l’anatomia; il Filottete di Pollet, ad esempio,

sente del nudo nel gusto greco […]. Non dimeno se [lo scultore] vuole, che il Filottete divenga più bello, allunghi il torso, che è notabilmente corto, tratti meglio i muscoli retti dell’addome, affinché il ventre tondeggi alquanto, (in cui quelle linee quadrate non potrebbero giustificarsi dalla più violenta contrazione) e si capisca meglio, l’unione del pube leghi più convenevolmente una delle coscie46.

Ancora, sul Paride di Nunzio Morello, il Nostro scrive con toni winckelmanniani47:

In generale il corpo è di belle forme, le quali stanno mezze tra l’ideale e il naturale; sono quel naturale ingentilito, e corretto di tutte le imperfezioni, addolciti i muscoli e meno sentiti di quello, che si vede sul vero, bene ondeggiati i contorni così che escano, e rientrino soavemente, le ossa non son rigidamente trattate, ma segnate, in modo che spuntando a dir così, gli angoli, si distinguono tutte specialmente nelle giunture, che hanno sveltezza ed espressione. Si osservino difatti le rotule del destro ginocchio, e del sinistro, le quali tuttoché, in diverso movimento, mantengono perfettamente il carattere48.

Anche nell’esame delle pitture si riscontrano reminiscenze settecentesche49 relative alla raffigurazione del brutto e alla scelta, da parte dell’artista, del momento migliore da rappresentare. Sul Prometeo legato di Andrea Martino scrive:

è una Academia che da parte del capo e del petto, si vede in iscorcio. […] dimostra come l’artista abbia saputo guardare alle opere insigni di Pietro Benvenuti […]. Alcuni sottili critici crederon d’aver trovata la ragione di biasimo dicendo che l’avvoltoio […] sfiora appena la pelle, né può giugner al fegato. Ma l’artista, credo, risponderebbe a questo modo. Le arti chiamansi Belle perché il loro oggetto unico, e principalissimo è il bello, dunque mostrare il brutto è ufficio totalmente a quello straniero, dunque cura primissima di professore deve essere di presentare il soggetto da quella parte donde il bello possa risultare. E il Martini considerando, che cosa schifosissima, e orrida era, dipingere un petto squarciato, e sanguinante, un fegato rosso, ha immaginato con lodevole accrgimento, che legato appena Prometeo, scende l’avvoltoio e gli conficca gli artigli nel petto, e già gli ha dati i primi colpi del becco. Dipinse, a dir tutto in breve, il primo atto della storia e così giustificò il moto, che ha la figura, il carattere anatomico, e il grado del colore, che parrebbono incompatibili in un corpo rifinito dall’estremo tormento50.

Rimandando ad altra sede ulteriori approfondimenti su Paolo Giudice critico dell’arte del suo tempo, qui sottolineo soltanto che la tematica del ‘momento pregnante’ ritorna anche nell’analisi di un dipinto di Salvatore Lo Forte51, suo amico e destinatario di diverse «Lettere artistiche» in cui gli argomenti legati alle arti figurative si accompagnano ad accenti fortemente patriottici.
In Sopra lo strumento daguerotipo52, sminuendo l’importanza del mezzo fotografico ai fini della rappresentazione artistica53, Giudice manifesta accenti nazionalistici54 che denunciano la sua appartenenza al cenacolo di Francesco Paolo Perez55, cui faceva capo l’intellighenzia palermitana56. Il dichiarato «misogallismo»57 di questi intellettuali tendeva a sminuire le opere francesi e straniere in genere, cui, relativamente alle arti figurative, si contrapponevano le produzioni italiane cinquecentesche, ritenute «della più bella epoca»58. È questo appunto lo spirito che informa l’altra Lettera artistica indirizzata nel 1840 a Lo Forte59, nella quale il Nostro ritorna sul trittico polizzano e sulla critica dell’arte «tedesca», cui egli riconosce i soli pregi del colore e della perizia nella resa dei dettagli, che però risulta fine a se stessa, perché non verosimile:

Così dipinge la natura, in quel modo, ordina e degrada le tinte degli oggetti, e per quella gradazione unicamente l’anima nostra per la via degli occhi sente la distanza de’ corpi […]: dunque ed egli [Dürer], e i quattrocentisti tutti, […] tenuti più vicini alla natura, ne sono, almeno a questo riguardo, lontanissimi: dunque essi sebbene mirassero alla natura scrupolosamente non ne conseguirono l’effetto pittorico, unico fine, – intendo de’ fini materiali – a cui tende la Pittura60.

Ancora una volta si intuiscono i ‘referenti’ settecenteschi di Paolo Giudice, relativamente sia alle teorie della visione legate all’empirismo inglese, sia ai fini – morali e materiali – delle arti. Risulta inoltre palese, a una completa lettura dell’articolo61, l’avversione nei confronti delle «anime gelide, che invasa la nostra patria, [vogliono] annichilire le arti nostre […] spargendo il tristo seme del goticismo»62.
È, in effetti, questo il tema di fondo che affiora da tutti i contributi di Giudice e degli intellettuali suoi contemporanei: la volontà, cioè, di valorizzare la propria terra; a questo fine tendono sia gli scritti di critica che quelli di storiografia. Il Nostro, come è noto, si cimentò anche in un tentativo di redazione di una storia dell’arte siciliana e, a tal fine, cercò di riscoprire alcuni artisti la cui figura si presentava ancora piuttosto nebulosa.
È il caso dell’articolo Sopra lo Zoppo di Ganci e Vincenzo La Barbiera pittori siciliani63, del 1837, per la cui redazione egli effettuò laboriose ricognizioni:

Mancandomi […] materia a formarmi un […] giudizio di cotesti artefici, […] nella state scorsa feci una gita alle patrie loro nella speranza di trovar quivi molte opere, e le più pregevoli. Né andò deluso il mio desiderio, avendo del La Barbiera veduto dodici quadri e dello Zoppo di Gangi (che così soprannominavasi il Salerno) circa dugento. Di quali artefici conosciute le diverse maniere, che tennero nel dipingere e stabilite le differenti epoche, stimai che gran giovamento una relazione apportasse alla storia dell’arte dei quei tempi ne’ quali ebbero fama di primi64.

Ricordo che, a quella data, la personalità di Gaspare Bazzano e quella di Giuseppe Salerno erano confuse sotto questo unico pseudonimo65; sottolineo inoltre che l’attenzione all’evoluzione dello stile di un artista nel corso della vita è un tratto tipico del conoscitore66.
Questo contributo di Paolo Giudice risulta particolarmente significativo per la ricostruzione dell’opera di Vincenzo La Barbera, artista ancora oggi non documentato in modo soddisfacente67. Egli ne passa in rassegna alcuni dipinti: il San Giovanni Battista68; la «tela di S. Anna, che per ogni rispetto dee riputarsi il suo capolavoro»69; la Deposizione e lo Sposalizio della Vergine, dei quali evidenzia la derivazione dagli originali di Vincenzo da Pavia70. In ognuna di queste opere rileva una

strana mischianza di buono e di cattivo in una medesima pittura, [che] mi fa sospettare, ch’egli si facesse aiutare da qualche discepolo, osservandosi in certe parti del quadro suddetto un tocco di pennello (vera caratteristica a conoscere le opere di un autore) totalmente diverso da quello del Pittore terminese. Chi voglia far prova di tale considerazione, guardi la volta della Casa Comunale in Termini71, dove il buono accanto al cattivo chiaramente, con notabile differenza, si scorge72.

Interessante l’accenno al «tocco di pennello» quale indicatore della mano di un determinato artista: ancora un riferimento alla letteratura artistica dei secoli precedenti.
Più complesso il problema “Zoppo di Gangi”. Quello che maggiormente colpisce è la distinzione netta, ma inconsapevole, che egli riesce a effettuare tra le opere di Bazzano e quelle di Salerno: ignora che si tratta di due artisti diversi, e crede di trovarsi di fronte a due differenti ‘maniere’ di una medesima personalità, evolutasi nel tempo. Le sue preferenze vanno per Salerno, meno colto ma più sensibile alle influenze di Filippo Paladini: influenze che Giudice coglie e che sono confermate dalla critica più aggiornata73.
Vediamo come il Nostro articola la sua argomentazione:

[di Giuseppe Salerno] nissuno, per quanto io mi sappia, ha detto direttamente. Perciocchè avendo egli riempito di quadri molta parte dell’Isola, le migliori opere sue si vedono in certi oscuri villaggetti, ove difficilmente accorre il dotto viaggiatore, e rare volte dimora chi potrebbe conoscerle. Hanno perciò alcuni scrittori fatto menzione di quelle che sono in Palermo, che generalmente tra tutte le cose di lui degion reputarsi le men degne di nota74. Il che ci è stata cagione d’inganno, la quale ci ha fatto sinistramente sentire di quell’artista, finchè venuteci sott’occhio le produzioni, di che faremo discorso, abbiamo il disprezzo in rispetto ed ammirazione cangiato75.

Tra le opere ascritte dalle fonti precedenti allo Zoppo di Gangi era, ad esempio, il San Girolamo in Sant’Orsola, attualmente riferito a Bazzano76; tra le opere palermitane, che certamente Giudice conosceva perché collocate nella Chiesa di San Domenico, il San Domenico (1603)77 e il San Raimondo di Pennafort (1601)78, entrambe di Bazzano:

Le sue opere fatte nella prima gioventù senza alcun precetto di maestro hanno una maniera ben sua. La quale seguitando poco migliorò senza nulla mutare fino al 1606 circa, principio della sua seconda epoca. E più non è a dubitare, che la venuta di Filippo Paladini in Sicilia, […] avesse allo Zoppo fatti aprir gli occhi a nuove bellezze […] i quadri del suo novello stile sono affatto Palladineschi79.

È significativo che Giudice accosti la Madonna del Rosario nissena del Paladini a quella polizzana del Salerno 80
A proposito dell’analisi delle opere di Giuseppe Salerno, segnalo ancora una volta un elemento già evidenziato81, ma che in questa sede contribuisce a una più completa lettura della figura di un conoscitore interessante come Paolo Giudice: un tratto vagamente pre-morelliano a proposito dei «putti singolarissimi»82:

Finora nessuno […] notò, che il disegno de’ puttini è certissimo carattere per conoscere la pittura del Salerno. Conciossiachè egli aveva dalla natura ricevuta una particolare abilità nel farli […]. Io non ho visto quadro (e moltissimi ne ho visti) in cui non fossero putti. Anche dove il soggetto non gli richiede […] ei l’introduce, come se di forza gli uscissero dal pennello»83.

Avviandomi alla conclusione di questo contributo, pongo l’accento sulla ricognizione attenta del territorio, cui in effetti il Nostro deve la precisione e l’originalità dei suoi contributi. L’area madonita, in particolare, risulta indagata in modo, se non capillare, comunque puntuale. È evidente che egli si avvale di una rete costituita da diversi specialisti cui, di volta in volta, dedica i suoi scritti: nel caso di Termini Imerese, si tratta dell’erudito locale Baldassare Romano84; per Polizzi Generosa il riferimento è invece Francesco Saverio Cavallari85, poliedrico architetto e archeologo che, negli anni Venti e Trenta dell’Ottocento, aveva percorso la Sicilia collaborando alla redazione delle opere del Duca di Serradifalco86. È quasi un debito, quello di Giudice nei confronti di Cavallari:

Mio caro Cavallari, quando io mossi da Palermo alla volta di queste montagne, tu mi consigliavi ch’io, deposta la mia antica ingenita avversione alle minuzie, mi dessi, secondo che mi si porgesse l’occasione, a raccorre notizie artistiche. Spinto più dal tuo avviso che dal mio volere sono ito come il cane dietro alla traccia ove pur fosse segno di alcuna cosa sul proposito. E mi accorgo ch’io non debba dolermi di questo novello modo, dacché il mio andare si è fatto più istruttivo, e proficuo che non fu tre anni addietro87.

Emergono dunque un interesse per le aree interne dell’isola che, negli anni, si mantiene costante e anzi si accresce; una metodologia di ricerca sul campo che si evolve nel tempo alla luce di suggestioni e suggerimenti provenienti da ambiti disciplinari non strettamente storico-artistici, ma legati maggiormente all’archeologia e allo studio del territorio88.
La figura di Cavallari è ‘anello di congiunzione’ esemplare: tra gli anni Trenta e Quaranta collabora con Waltershausen ai rilievi della Carta topografica e geologica dell’Etna89; viaggia nell’Italia meridionale con Schulz per redigere una raccolta di monumenti inediti90.
Concludo citando proprio una recensione di Paolo Giudice a un’opera di Schulz91, che peraltro aveva effettuato diversi viaggi in Sicilia e, nel 1840, si sarebbe recato  a Polizzi, anch’egli dietro suggerimento di Cavallari92.
L’articolo di Giudice viene pubblicato nel 1838 sia sulle “Effemeridi” che sul “Passatempo per le Dame” e si intitola Annunzio di un’opera che sarà pubblicata in Germania intorno alle Belle Arti siciliane cominciando dai primi secoli fino all’epoca di Michelangelo e Raffaello del Dr. Guglielmo Enrico Schultz sassone: «E comechè quell’opera ci sarà quasi testimonio di rimproveri acerbissimi alla nostra, non so se debba dirla viltà, o scioperataggine nel lasciare coltivare i nostri terreni da braccia straniere, bramiamo che presto si stampi»93. Si avvertiva, allora, la mancanza di una Storia dell’Arte siciliana e si sarebbe dovuto attendere un ventennio prima della redazione del Delle Belle Arti di Gioacchino Di Marzo94.
Ma Giudice avverte: «l’ultima epoca» trattata da Schulz, cioè il Cinquecento, «con quelle che succedono fino ai presenti giorni, è argomento della Storia della Siciliana Pittura da noi per addietro promessa. Il nostro lavoro è compiuto: e ci è mestieri soltanto una gita a Messina a scioglimento di pochissimi dubbi»95. È, tuttavia, consapevole che l’angolazione del suo lavoro sarà differente da quella del viaggiatore tedesco: «Noi, e l’amico nostro correremo arringo diverso: egli scriverà più archeologicamente, noi ci terremo quasi unicamente alla parte artistica e politica; cioè nella storia civile della Nazione cercheremo le cause, che levarono, e depressero le arti»96.
Si preannuncia qui, almeno negli intenti, il Paolo Emiliani Giudici degli anni successivi. Nessuna delle opere da lui preannunziate furono edite, e attualmente, nonostante diversi tentativi, non ne sono stati rintracciati i materiali preparatori97. La ricerca, dunque, è aperta.

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* Per la concessione del materiale fotografico ringrazio il Dott. Enzo Brai.

1 P. Giudice, Sulla vera patria di Domenico Gagini padre del celebre Antonio. Lettera di Paolo Giudice all’egregio artista Saverio Cavallari, in “Effemeridi Scientifiche e Letterarie per la Sicilia” (da qui ESLS), VIII, 74, 1839, pp. 121-130: p. 122.

2 Numerosi gli studi su Paolo Giudice (1812-1872), il cui cognome poi mutò in Emiliani Giudici in seguito all’adozione da parte di Annibale Emiliani. Nota e studiata la sua produzione di letteratura e storiografia letteraria; ancora non del tutto indagata quella relativa alla storiografia artistica e alla critica d’arte. Tra i contributi più recenti su questo tema, ai quali rimando per la precedente bibliografia, cfr. P. Emiliani Giudici, Scritti sull’Arte in Sicilia, a cura e con prefazione di P. Giudici e G. Giudici, Krinon, Caltanissetta 1988; I. Filippi, Paolo Emiliani Giudici, in La cultura estetica in Sicilia fra Ottocento e Novecento, a cura di L. Russo, Palermo 1999, pp. 53-77; La formazione professionale dell’Artista. Neoclassicismo e aspetti accademici, a cura di D. Malignaggi, Palermo 2002; D. Malignaggi, Paolo Emiliani Giudici critico d’arte, in La polvere e la memoria. Due scrittori siciliani: Paolo Giudici e Paolo Emiliani Giudici, Atti del Convegno La figura e l’opera di Paolo Giudici e Paolo Emiliani Giudici (Mussomeli 15-16 maggio 1998), a cura di M. Sacco Messineo, “Annali della Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Palermo - Studi e Ricerche”, n. 36, Palermo 2003, pp. 179-192; R. Cinà, Paolo Emiliani Giudici corrispondente della “Gazette des Beux-Arts” (1859-1862), in “Annali di Critica d’Arte”, 3, 2007, pp. 149-174; R. Cinà, Paolo Emilani Giudici pubblicista e conoscitore «di giudicio puro italiano», in Paolo Emiliani Giudici «un’anima lealmente italiana» nel secondo centenario della nascita, Atti del Convegno Nazionale di Studi (Mussomeli 8-9 giugno 2012), a cura di A. Vitellaro in “Archivio Nisseno”, a. VI, n. 10, gennaio-giugno 2012, pp. 64-75.

3 Cfr. H.W. Kruft, Domenico Gagini und seine Werkstatt, München 1972; V. Abbate, Polizzi. I grandi momenti dell’arte, Associazione culturale Naftolia, Polizzi Generosa 1997, pp. 25-29.

4 P. Giudice, Sulla vera patria di Domenico Gagini padre del celebre Antonio. Lettera di Paolo Giudice all’egregio artista Saverio Cavallari, in ESLS, VIII, 74, 1839, pp. 121-130; P. Giudice, Sopra Domenico Gagini scultore siciliano. Lettera 2a di P. G. a Saverio Cavallari, in ESLS, IX, 84, 1840, pp. 19-23. Le “Effemeridi Scientifiche e Letterarie per la Sicilia” costituiscono una delle più importanti pubblicazioni periodiche del primo Ottocento palermitano, in particolare relativamente ai contributi di storiografia artistica. Cfr. S. La Barbera, La stampa periodica a Palermo nella prima metà dell’Ottocento, in Interventi sulla “questione meridionale”, a cura di F. Abbate, Donzelli, Roma 2005, pp. 379-385; S. La Barbera, Aspetti della critica d’arte nella stampa periodica siciliana dell’Ottocento, in La pittura dell’Ottocento in Sicilia, a cura di M.C. Di Natale, Palermo 2005, pp. 37-62; S. La Barbera, Linee e temi della stampa periodica palermitana dell’Ottocento, in Percorsi di Critica: un archivio per le riviste d’arte in Italia dell’Ottocento e del Novecento, Atti del Convegno (Milano 30 novembre-1 dicembre 2006) a cura di R. Cioffi, A. Rovetta, Vita e Pensiero, Milano 2007, pp. 87-121; Pagine di critica d’arte nei periodici palermitani dell’Ottocento della Biblioteca Centrale della Regione Siciliana, dvd edito nell’ambito della convenzione tra la Biblioteca Centrale della Regione Siciliana “A. Bombace” e l’Università degli Studi di Palermo, Facoltà di Lettere e Filosofia, Cattedra di Storia della Critica d’Arte, Palermo 2007.

5 Giudice interpretò erroneamente la lezione «Dominicus de Gagini Panormitanus», credendo che potesse affermare le origini siciliane dello scultore (bissonese), capostipite della grande scuola gaginiana, rivendicando quindi alla Sicilia una gloria autoctona, non importata dal Continente. Il tema fu a lungo dibattuto nella letteratura artistica siciliana: cfr. R. Cinà, La scultura siciliana del Rinascimento negli scritti di Enrico Mauceri, in Enrico Mauceri (1869-1966). Storico dell’Arte tra connoisseurship e conservazione, atti del convegno internazionale (Palermo 27-29 settembre 2007) a cura di S. La Barbera, Flaccovio Editore, Palermo 2009, pp. 277-287. Sottolineo, però, che Paolo Giudice supera in qualche modo i campanilismi (Palermo e Messina si contendevano da tempo i natali dei Gagini, che peraltro Vasari riteneva di origine carrarese) asserendo: «Tuttoché a noi […] bastasse ch’ei fosse italiano». P. Giudice, Sulla vera patria…, p. 122.

6 Mi riferisco in particolare a Giovan Battista Cavalcaselle, per cui rimando a D. Levi, G. B. Cavalcaselle. Il pioniere della conservazione dell’arte italiana, Torino 1998.

7 Così scriveva Adolfo Venturi: «Avendo chiara negli occhi la fisonomia d’un antico artista, voi lo vedrete […] come […] un famigliare […] anche di lontano […]. Ma perché tanta famigliarità si stringa con gli antichi maestri fa d’uopo di prendere in esame ogni loro forma, ogni particolarità del segno...». La citazione è tratta da A. Gargiulo, Rivista Bibliografica. Adolfo Venturi – Storia dell’Arte Italiana, in “La Critica. Rivista di Letteratura, Storia e Filosofia diretta da B. Croce”, 4, 1906, p. 362.

8 P. Giudice, Sopra un dipinto di Alberto Durer che si osserva nella chiesa di S. Maria di Gesù a Polizzi, in ESLS, a. VI, n. 46, 1837, pp. 93-100: p. 94.

9 Per le questioni attributive e la bibliografia relativa al Trittico rimando a V. Abbate, Polizzi. I grandi momenti…, pp. 31-37; C. Valenziano, La gran signora nel trittico fiammingo di Polizzi Generosa, Palombo, Roma 2001.

10 Cfr. L. Venturi, Il gusto dei primitivi, (1926), ed. cons. Einaudi, Torino 1972, pp. 102 e segg.;  P. Barocchi, Storia moderna dell’arte in Italia. Manifesti polemiche documenti. Volume primo. Dai Neoclassici ai Puristi 1780-1861, Einaudi, Torino 1998, pp. 446 e segg.; S. Bordini, L’Ottocento, Carocci, Roma 2002, pp. 41-47. Per la diffusione di questi temi tra Palermo e Firenze cfr. R. Cinà, Giuseppe Meli e la cultura dei conoscitori nell’Ottocento, Prefazione di S. La Barbera, Università degli Studi di Palermo, Palermo 2010, DOI 10.4413/978-88-904738-2-1, url http://www.unipa.it/tecla/articoli_noreg/temicritica1_noreg/art_cina1_noreg.php.

11 P. Giudice, Sopra un dipinto di Alberto Durer…, p. 94.

12 P. Giudice, Sopra  un dipinto di Alberto Dürer…, pp. 94-95.

13 «Nulla di più arduo che comprendere semplicemente ciò che è bello da ciò che non lo è, penetrare nell’anima di un’opera d’arte. A poco a poco, vedendo e rivedendo, confrontando e analizzando, si arriva a riconoscere lo stento di una copia, la sicurezza di un capolavoro, il maestro e i seguaci, ma si giunge a fatica a determinare la scala della bellezza, a radunare le proprie impressioni, a veder bene». A. Venturi, Per l’arte, in “Nuova Antologia”, n. 121, 1 gennaio 1892, p. 45, ripubblicato in A. Venturi, Vedere e rivedere. Pagine sulla storia dell’arte 1892-1927, Il Segnalibro, Torino 1990.

14 Sull’opera cfr. G. Davì, Mattia Stomer, Il Miracolo di S. Isidoro Agricola, scheda n. 21, in Caravaggio in Sicilia, il suo tempo, il suo influsso, catalogo della mostra (Siracusa, Museo regionale di Palazzo Bellomo, 10 dicembre 1984 - 28 febbraio 1985), Sellerio, Palermo 1982, pp. 235-239.

15 Che egli effettuerà in base alle categorie di giudizio da secoli consolidate nella letteratura artistica: «Espressione», «Disegno», «Disposizione», «Composizione» e così via.

16 P. Giudice, Sopra un quadro di Matteo Stommer, in ESLS, VI, 48, 1837, pp. 52-59: p. 54. Vincenzo Mortillaro, importante figura nel panorama culturale e editoriale palermitano di quegli anni (diresse, tra l’altro, il “Giornale di Scienze, Lettere ed Arti per la Sicilia”) riferisce che l’articolo fu scritto dopo la sua pubblicazione di una Lettera al Cavaliere Giuseppe Patania, in cui lamentava la generale scarsa conoscenza di opere di Stomer. Opere del Barone Vincenzo Mortillaro, vol. I, Opuscoli di vario genere del barone Vincenzo Mortillaro, Tipografia del Giornale Letterario, Palermo 1836, pp. 259-260.

17 Simile il passo di Richardson: «Prima di approcciarsi ad un quadro che si vuole esaminare, occorrerebbe guardarlo inizialmente ad una certa distanza lontana, da cui si possa soltanto, a poco a poco, riconoscere quale ne sia il soggetto, e riconoscere, in questa situazione, l’insieme delle masse […]; non sarà male esaminare anche, alla stessa distanza, il colore in generale, se è gradevole o se fa pena alla vista. Bisogna poi vedere più da vicino la composizione…». J. Richardson, Saggio sull’Arte della Critica in materia di Pittura, Traduzione e commento critico a cura di R. Cinà, Università degli Studi di Palermo - Dipartimento di Studi storici ed artistici con contributo di ricerca per scambi culturali - Progetto Giovani Ricercatori - Anno 2000 - Comitato 10, Referente Scientifico S. La Barbera, Palermo 2004, p. 69.

18 Relativamente alla cospicua presenza inglese, legata agli interessi economici in Sicilia, cfr. O. Cancila, I Florio. Storia di una dinastia imprenditoriale, Bompiani, Milano 2008. Numerosi anche i travellers inglesi, che intraprendevano viaggi di volta in volta “pittorici” (cfr. g.c. sciolla, Il viaggio pittorico: l’immagine della Sicilia negli artisti stranieri dei secoli XVII-XIX, in La Sicilia dei grandi viaggiatori, a cura di F. Paloscia, Edizioni Abete, Roma 1988, pp. 153-169) o iniziatici (f.p. campione, La cultura estetica in Sicilia nel Settecento, “Annali del Dipartimento di Filosofia Storia e Critica dei Saperi FIERI”, Università degli Studi di Palermo, 2, giugno 2005).

19 c.r. ricotti,  Anglomania e costituzionalismo settecentesco, in Alla ricerca dell’età liberale. Ricordo di Alberto Aquarone, Atti del convegno (Roma, 22-23 maggio 1995) a cura di S. Notari, Giuffrè, Milano 1999, pp. 13-26; c. laudani, Influssi massonici nella Costituzione siciliana del 1812, in Studi in memoria di Enzo Sciacca. Sovranità, democrazia, costituzionalismo, Atti del Convegno (Catania, 22-24 febbraio 2007) a cura di F. Biondi Nalis vol. I, A. Giuffrè, Milano 2008, pp. 483-490; La Sicilia e l’Unità d’Italia, a cura di G. Gullo, Rubbettino editore, Soveria Mannelli (CZ) 2012.

20 Cfr. R. Cinà, «Non sentenze di sapiente conoscitore…». Giuseppe Turturici legge Valerio Villareale, c.d.s. nel volume di saggi in onore di Franco Bernabei, Canova Editore, Padova. Le teorie artistiche nella Sicilia di quegli anni risentirono anche di certi influssi latomistici, sui quali cfr. g. giarrizzo, Massoneria e Illuminismo nell’Europa del Settecento, Marsilio, Venezia 1994; r. cioffi, Riscoperta dell’antico e ideologia massonica, in Ferdinando Fuga: 1699-1999 Roma, Napoli, Palermo, a cura di A. Gambardella, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli 2001, pp. 23-34.

21 Nel 1858 sarà lo stesso Paolo (ormai Emiliani Giudici) a ricordare il proprio debito nei confronti delle Lectures on Rethoric and Belles Lettres (Hugh Balir, 1783): «rettorica da noi tutti, essendo giovanetti, studiata nelle scuole»; testo che si richiama esplicitamente a Hume e in cui è costante il parallelismo tra arti figurative e letteratura, che impronta tutta l’opera del Nostro. La citazione è tratta da C. Recca, Influenze settecentesche sulle riflessioni di Paolo Emiliani Giudici sui ruoli femminili, in Paolo Emiliani Giudici «un’anima lealmente italiana»…, pp. 31-40: p. 39.

22 Le pulsioni indipendentiste sempre presenti in Sicilia, che avevano trovato formulazione nella Costituzione del 1812, ispirata appunto al modello anglosassone, furono tenute presenti da Emiliani Giudici che, in una sorta di programma politico risalente probabilmente al 1865, parlò proprio di «Discentramento amministrativo». Cfr. G. Canalella, Rapporti tra Paolo Emiliani Giudici e Nicola Gaetani Tamburini, in Paolo Emiliani Giudici «un’anima lealmente italiana»…, pp. 41-46: p. 46. Sono peraltro note la corrispondenza di Emiliani Giudici per diversi periodici inglesi e la sua traduzione, dopo i moti del ’48, della Storia d’Inghilterra di Macaulay.

23 L’autore cita due opere, allo stato attuale della ricerca non ancora rintracciate: Essay on Sicilian Painters, Londra 1834 (citato in P. Giudice, Sopra lo Zoppo di Ganci e Vincenzo La Barbiera pittori siciliani, in ESLS, V, 44, luglio-dicembre 1836, pp. 106-115: p. 106) e Letter to Samuel Nightland on the picture of the Night by Riolo, Edimburgo 1832 (citata in P. Giudice, Vita del Cavalier Vincenzo Riolo Direttore dell’Accademia del Nudo nella Regia Università degli Studi di Palermo, in P. Emiliani Giudici, Scritti sull’Arte…, pp. 53-84, in part. p. 78).

24 Giudice valuta con una certa padronanza: «Il quadro […] non è opera di mano giovanile, le cui timidità, o intemperanza chiaramente si conoscerebbono. Qui si vede un pieno possesso di pennello, un fare libero, […] una pratica grande di colorire, che ti fan certo avere la sua mano lungamente lavorata». P. Giudice, Sopra un quadro di Matteo Stommer…, p. 59. Per la bibliografia relativa al soggiorno siciliano di Stomer e alla fortuna delle opere fiamminghe in Sicilia, rimando a N. Di Bella, Guglielmo Borremans di Anversa Pittore fiammingo in Sicilia nel secolo XVIII (1912) di Gioacchino Di Marzo. Aggiornamento critico-bibliografico. Un progetto multimediale,tesi di Dottorato di in Storia dell’arte medievale, moderna e contemporanea in Sicilia, XXIII ciclo, Università degli Studi di Palermo, discussa nell’a.a. 2011/2012, tutor Prof. Simonetta La Barbera., in teCLa, aggiornamento critico-bibliografico del Guglielmo Borremans di Anversa di Gioacchino Di Marzo (1912). Cfr. inoltre A. Zalapì, Il soggiorno siciliano di Mathias Stom tra neostoicismo e “dissenso”. Nuove acquisizioni documentarie sull’ambiente artistico straniero a Palermo, in Porto di Mare 1570-1670 – Pittori e pittura a Palermo tra Memoria e Recupero, catalogo della mostra (Palermo 30 maggio - 31 ottobre 1999, Roma 10 dicembre 1999 - 20 febbraio 2000) a cura di V. Abbate, Electa Napoli, Napoli 1999, pp. 147-157.

25 P. Giudice, Sopra un quadro di Matteo Stommer…, p. 52.

26 Segue, a questo punto, una lunga nota (pp. 54-55): «Osservando il quadro di Caccamo tenni un dialogo con un contadino, che forse m’istruì più di mille teorie dell’arte. Mentre egli narrava la storietta, che ti pare – gli dissi – di quelle figure? – risposemi: son uomini posti lì nella tela. E, mostrandomi il paese: la campagna, – mi disse, – e il Cielo non mi piacciono – perché non ti piacciono? – non mi piacciono. –  Ma dimmi un po’, è giorno o notte nel quadro? – Sì signore è giorno, chiunque se ne accorge – Ma mi par di veder lume – C’è lume certamente – Ma dov’è la candela, dove la fiaccola, che illumina? – Io non so né di lume, né di fiaccola, è certo che vedo lume, e non so donde viene – Dio buono! Tu non dì bene, se fosse notte ci sarebbe più oscurità, se fosse giorno il lume anche di venti fiaccole non sarebbe così vivo, perocché la luce del sole non fa splendere le candele: dunque io dico che non è né notte né giorno – Voi siete troppo sottile e potreste anco parlare un mese, io dirò sempre: che non c’è lume ed è giorno. – Il contadino ragionò più d’un filosofo, che dietro a principi astratti dell’arte non avrebbero detto né una di tante cose verissime intorno al colorire di Stommer». P. Giudice, Sopra un quadro di Matteo Stommer…, p. 54.

27 P. Giudice, Sopra un quadro di Matteo Stommer…, p. 54.

28 Cfr.G. Morpurgo Tagliabue, Il Gusto nell’estetica del Settecento, a cura di L. Russo, G. Sertoli, “Supplementa”, 11, agosto 2002, Centro Internazionale Studi di Estetica.

29 Di vago stampo lessinghiano e, comunque, pur se accennato, già presente nelle fonti siciliane precedenti, ad esempio Padre Fedele da San Biagio (1788). Cfr. N. Di Bella, I "Dialoghi familiari sopra la pittura difesa ed esaltata..." di Padre Fedele da San Biagio. Aggiornamento critico-bibliografico (1788-2008), in “TeCLa. Repertorio di Critica d’Arte”, http://www.unipa.it/tecla/repertorio/dialoghi_pfed.php. Ricordo che anche Agostino Gallo rimaneva perplesso di fronte alla scarsa verosimiglianza del luminismo caravaggesco. Cfr. A. Gallo, Elogio storico di Pietro Novelli pittore ed architetto palermitano, scritto da Agostino Gallo (Art. V), in “Giornale di Scienze, Lettere ed Arti per la Sicilia”, tomo XIV, a. IV, aprile-maggio-giugno 1826, pp. 313-324: p. 322, in cui il «partito della luce» caravaggesco, sebbene volto all’«effetto pittorico», «mostra nulle di manco un artifizio di maniera in veruna guisa conforme a quella naturale, sicché sovente mal si può distinguere se i suoi quadri siano dipinti a luce diurna o notturna».

30 Cfr. J.B. Du Bos, Riflessioni critiche sulla poesia e sulla pittura, a cura di M. Mazzocut-Mis, P. Vincenzi, prefazione di E. Franzini, Aesthetica, Palermo 2005; Jean-Baptiste Du Bos e l’estetica dello spettatore, a cura di L. Russo, Aesthetica, Palermo 2005.

31 P. Giudice, Sopra un dipinto di Alberto Dürer…, p. 94.

32 P. Giudice, Sopra un quadro di Matteo Stommer…, p. 55.

33 Cfr. La formazione professionale dell’Artista….

34 Il riferimento è a Stomer.

35 P. Giudice, Sopra un quadro di Matteo Stommer…, p. 55.

36 P. Giudice, Delle opere di Belle Arti del disegno esposte nella R. Università di Palermo il dì 30 maggio 1838, in ESLS, VII, 58, 1838, pp. 29-48. Ancora di arte del suo tempo si occupò in Sopra l’Accademia del nudo nella R. Università degli Studi, in “Il Siciliano”, II, 1, 1838.

37 Questa serie di articoli risale agli anni 1859-1862. Cfr. R. Cinà, Paolo Emiliani Giudici corrispondente….

38 Giudice riporta che Malvica lo aveva persuaso che le opere esposte erano «cominciamenti […] comechè lievi» e, in quanto tali, «degnissimi di encomio» e la storia doveva «ne’ suoi fasti notarli». P. Giudice, Delle opere di Belle Arti…, p. 85. Su Malvica, interessante e poliedrica figura di intellettuale illuminato, corrispondente di Vieusseux e fondatore delle “Effemeridi”, cfr. Dizionario Biografico degli Italiani, vol. 68, 2007, ad vocem a cura di A. Carrannante. Analogamente a quanto fece Emiliani Giudici, anche Malvica, entrato in politica negli anni postunitari, avrebbe proposto un modello federale e il rispetto delle «singole autonomie».

39 F. Malvica, Proemio, in ESLS, 45, gennaio 1837, pp. III-VI: p. IV: «…siam venuti in pensiero, onde rendere un novello servigio al nostro paese, di compilare in questi fogli periodici un prospetto delle scienze e della letteratura del secolo XIX in Sicilia cominciando dal gennaio del 1800 fino al dicembre del 1836; dimanierachè […] potessimo presentare ai nazionali e agli stranieri […] uno dei più importanti e luminosi periodi della civiltà siciliana». Il piano dell’opera prevedeva ventidue capitoli, ognuno dei quali dedicato a un argomento: agricoltura, giurisprudenza e così via; il decimo ottavo, “Belle Arti”, sarebbe stato affidato a Paolo Giudice. Il progetto non fu portato a compimento, anche in seguito alla chiusura del giornale nel 1840.

40 Si occupò, comunque, anche dell’arte del suo tempo, con una serie di saggi che qui elenco e che sono attualmente allo studio: P. Giudice, Vita del Cavalier Vincenzo Riolo direttore dell’Accademia del nudo nella regia Università degli Studi di Palermo, articolo I, in ESLS, VII, 55, 1838, pp. 22-37; P. Giudice, Vita del Cavalier Vincenzo Riolo direttore dell’Accademia del nudo nella regia Università degli Studi di Palermo, articolo II, ivi, VII, 56, 1838, pp. 79-98; P. Giudice, Annunzio di alcune nuove incisioni di Tommaso Aloisjo, in ESLS, VII, 62, 1838, pp. 113-115; P. Giudice, Sopra il quadro del B. Sebastiano Valfrè dipinto da Salvatore Lo Forte nella Chiesa dei R. R. P. P. dell’Oratorio, in ESLS VI, 49, 1837, pp. 97-112; P. Giudice, Elenco di opere pubblicate nel 1836-37 da Salvatore Lo Forte, in “Passatempo per le Dame”, VI, 4, 27 gennaio 1838, pp. 25-26

41 P. Giudice, Delle opere di Belle Arti del disegno…, p. 88.

42 Cfr. D. Malignaggi, D. Favatella, Valerio Villareale, Prefazione di M. Calvesi, “Quaderni dell’A.F.R.A.S” (Scultura) n. 1,  A.F.R.A.S, Palermo 1976; i. bruno, Valerio Villareale un Canova meridionale, allegato a “Kalós - arte in Sicilia”, anno XII, n. 1, gennaio-marzo 2000.

43 P. Giudice, Delle opere di Belle Arti del disegno…, p. 88.

44 Per la fortuna dell’opera negli anni trenta dell’Ottocento cfr. R. Cinà, «Non sentenze di sapiente conoscitore»….

45 P. Giudice, Delle opere di Belle Arti del disegno…, p. 90.

46 Ibid.

47 Celebre il passo di Winckelmann sull’Apollo del Belvedere; J.J. Winckelmann, Storia dell’Arte nell’Antichità, trad. M.L. Pampaloni, Arnoldo Mondadori Editore, Milano 1993, p. 279.

48 P. Giudice, Delle opere di Belle Arti del disegno…, p. 90.

49 In particolare di stampo lessinghiano (cfr. g.e. lessing, Laocoonte, [1766], ed. cons. a cura di M. Cometa, Aesthetica Edizioni, Palermo 1991) relativamente alla scelta, da parte dell’artista, del momento da rappresentare. Questa tematica è presente, con rimandi a Boileau, anche nell’analisi del Sant’Isidoro Agricola di Mattia Stomer (P. Giudice, Sopra un quadro di Matteo Stommer…, p. 58): «…non potendo il pittore mostrare agli occhi che un punto solo di storia, peccherebbe contro l’unità di tempo (la quale, sebbene in modo alquanto diverso dalla poesia dee conservarsi in pittura) se altro fatto, od altra parte del fatto medesimo volesse sporre al guardo degli spettatori». Tutta l’opera di Paolo Giudice è costellata dal paragone tra pittura e poesia, come è stato più volte notato da diversi studiosi; mi limito a citare F. Danelon, Paolo Emiliani Giudici storico della letteratura italiana, in Siciliani Illustri, vol. III, fasc. III, Accademia Nazionale di Scienze, Lettere ed Arti di Palermo, Palermo 1995.

50 P. Giudice, Delle opere di Belle Arti del disegno…, pp. 91-92.

51 P. Giudice, Sopra il quadro del B. Sebastiano Valfrè…: «…ove al pittore si tolga l’ufficio del poeta, cioè quello di presentare alla vistadegli spettatori il punto, come suol dirsi, di maggiore interesse, ei non ottiene il fine dell’arte». Su lo Forte cfr. R. Sinagra, Salvatore Lo Forte nell’Ottocento Siciliano. Catalogo dei dipinti e dei disegni, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli 1998.

52 P. Giudice, Sopra lo strumento daguerotipo, ossia la pittura fotogenica - Lettera di Paolo Giudice al professore Salvatore Loforte, in “L’Occhio. Giornale di scienze, amena letteratura, e belle arti”, I, 12, 1839, pp. 89-91.

53 Con notevole anticipo rispetto alle più note posizioni che Baudelaire avrebbe assunto nel ’59 (C. Baudelaire, Le public moderne et la photographie, [1859], in Œuvres complètes de Charles Baudelaire, vol. II, Michel Lévy Frères Libraires éditeurs, Paris 1868, pp. 254-263).

54 «S’inventino pure centomila strumenti daguerotipi, se ne contendano il ritrovato le nordiche accademie, se ne glorino quei fortunati popoli, ma non penetrino in Italia […] e noi Italiani faremo dunque così poco conto di ciò che il cielo ci ha largamente conceduto, e che l’inesorabile destino non ha potuto estinguere? […] Ci basterà dire, che una cosa è venuta di là da monti per correre tutti quanti come gli stolti dietro a ciarlatani? Un popolo che abbia perdute le proprie native opinioni ha fatta l’ultima caduta. L’Italia, mio caro Loforte, più non ha proprie opinioni: io la veggio strascinata da una sciagurata persuasione ammirare alcune genti, cui ride la fortuna, la veggio invidiare e studiare in esse ciò che non hanno se non per la prepotenza delle loro usurpazioni». P. Giudice, Sopra lo strumento daguerotipo…, pp. 90-91.

55 Cfr. F.L. Oddo, Il Tavolino del Perez - Largo Casa Professa. Una scuola letteraria del Risorgimento siciliano, “Rassegna Storica del Risorgimento italiano”, a. LXII, fascicolo  III, luglio-settembre1975, pp. 316-345.

56 E che, nell’ambito della critica d’arte, vantava anche altri nomi prestigiosi tra cui Benedetto Castiglia e, soprattutto, Giuseppe Meli (cfr. R. Cinà, Giuseppe Meli e la cultura dei conoscitori…).

57 Cfr. G. Meli, Lettera a F.P. Perez, (Palermo, 24 giugno 1832), ms. della Biblioteca Comunale di Palermo ai segni 5QqD150 n. 3 (20).

58 Cfr. G. Di Marzo, Delle Belle Arti in Sicilia, dai Normanni alla fine del secolo XVI, 3 voll., Palermo 1858-1864, vol. I, 1858, p. 59.

59 P. Giudice, Lettera artistica di Paolo Giudice al Professor Salvatore Lo Forte, in “L’Imparziale. Giornale di Scienze ed amena Letteratura”, IV, 1840, n. 1, ivi, n. 6 (l’articolo continua, ma a causa delle condizioni lacunose di questo raro periodico non risulta possibile, allo stato attuale della ricerca, verificare in quale numero).

60 P. Giudice, Lettera artistica di Paolo Giudice al Professor Salvatore Lo Forte…, p. 43.

61 L’articolo è suddiviso in almeno tre puntate; quella da me consultata è la seconda e, allo stato attuale della ricerca, non è stato possibile reperire né la prima (che sembra sia stata pubblicata sul numero 1 del periodico), né quella successiva, ammesso che sia stata pubblicata. È presumibile che fosse comunque stata redatta, perché l’articolo pubblicato sul numero 6 è incompleto e si preannuncia che sarà continuato.

62 P. Giudice, Lettera artistica di Paolo Giudice al Professor Salvatore Lo Forte…, p. 44.

63 P. Giudice, Sopra lo Zoppo di Ganci e Vincenzo La Barbiera pittori siciliani, in ESLS, V, 44, luglio-dicembre 1836, pp. 106-115. Di questi artisti, a quella data, aveva succintamente trattato A. Gallo, Elogio storico di Pietro Novelli, R. Tipografia, Palermo 1828. L’opera di Gallo era già stata pubblicata a puntate, tra il 1824 e il 1826, sul “Giornale di Scienze, Lettere ed Arti per la Sicilia”.

64 P. Giudice, Sopra lo Zoppo di Ganci…, pp. 31-32.

65 Cfr. M.R. Chiarello, Lo Zoppo di Gangi, Presentazione di M. Calvesi, Saggio introduttivo di T. Viscuso, I.L.A. Palma, Palermo 1975; Vulgo dicto lu Zoppo di Gangi, a cura di T. Viscuso, Banca di Credito Cooperativo “Mutuo Soccorso”, Gangi 1997.

66 Il motivo, che sarà presente anche in Venturi, si trovava nella letteratura artistica dei secoli precedenti. Cfr. R. Cinà, Presentazione, in J. Richardson, Discorso sulla Scienza di un Conoscitore, Traduzione e commento critico a cura di R. Cinà, Palermo 2003, Ricerca pubblicata dall’Università degli Studi di Palermo-Dipartimento di Studi storici ed artistici con contributo di ricerca per scambi culturali-Progetto Giovani Ricercatori, Responsabile della Ricerca Simonetta La Barbera, pp. 5-35.

67 Per la bibliografia relativa all’artista rimando a V. Abbate, La Cammara picta del Magistrato e l’«Umanesimo» termitano agli inizi del Seicento, in “Storia dell’arte”, 68, 1990, pp. 36-70.

68 «Che forse è la sua migliore opera tra tutte le esistenti in Termini, è così ben composta, e nobilmente colorita, quegli angioletti così leggieri e vezzosi P. Giudice, Sopra lo Zoppo di Ganci…, p. 108.

69 Ibid.: «Sta la Vergine assisa in ricco seggio, ai cui piedi per tutto il pavimento è disteso un bel tappeto: nel suo grembo posa il bambino Gesù, che volge amorosamente il capolino a S. Anna, la quale sta insieme al suo vecchio marito a destra, ove è un gruppo di tre vaghissimi angioli […] Ciò che in questo dipinto è degno di considerazione, e procaccia al La Barbiera il nome di Pittore (della qual voce io mi servo nel senso che in Italia si usa il nome di Poeta) è […] la disposizione […] delle figure, che nell’insieme considerate fanno un bel tutto, e l’azione di ognuna di esse, che poco lascia a desiderare, perché si dicesse perfetta. […] Malgrado questi […] pregi […] hannovi non poche mende […]: certa timidezza di pennello, colorire debole, contorni un po’ trascurati, pieghe troppo minute […] fusione di colori spiacenti. Le quali cose in tutte le sue opere appaiono […] il che io vidi nello Sposalizio».

70 L’opera di Vincenzo da Pavia è custodita presso la Chiesa di Santa Maria degli Angeli (della Gancia) di Palermo. Cfr. Vincenzo degli Azani da Pavia e la cultura figurativa in Sicilia nell’età di Carlo V, catalogo della Mostra (Palermo 1999) a cura di T. Viscuso, Ediprint, Siracusa 1999.

71 V. Abbate, La Cammara picta del Magistrato e l’«Umanesimo» termitano agli inizi del Seicento, in “Storia dell’arte”, 68, 1990, pp. 36-70.

72 P. Giudice, Sopra lo Zoppo di Ganci…, p. 109.

73 Cfr. Vulgo dicto…; Mostra di Filippo Paladini, catalogo della Mostra (Maggio-settembre 1967) a cura di M.G. Paolini, D. Bernini, Introduzione di C. Brandi, Palermo 1967; S. Troisi, Filippo Paladini, un manierista fiorentino in Sicilia, Ariete, Palermo 1997.

74 Il riferimento più probabile è a A. Gallo, Elogio storico di Pietro Novelli…, p. 11.

75 P. Giudice, Sopra lo Zoppo di Ganci…,p. 111.

76 Cfr. Vulgo dicto…, p. 144.

77 Cfr. Vulgo dicto…, pp. 150-151.

78 Cfr. Vulgo dicto…, pp. 152-154.

79 P. Giudice, Sopra lo Zoppo di Ganci…, p. 112.

80 Ibid.

81 R. Cinà, “La Sicilia Artistica e Archeologica” (Palermo 1887-1889), in Percorsi di Critica: un archivio per le riviste d’arte in Italia dell’Ottocento e del Novecento, Atti del Convegno (Milano 30 novembre-1 dicembre 2006) a cura di R. Cioffi, A. Rovetta, Vita e Pensiero, Milano 2007, pp. 231-257.

82 Sull’artista cfr. Vulgo dicto lu Zoppo di Gangi, a cura di T. Viscuso, Gangi 1997.

83 P. Giudice, Sopra lo Zoppo di Ganci…, in P. Emiliani Giudici, Scritti…, p. 36. Giudice prosegue: «Tanto è certo che il pendio naturale mal si affrena se uno sforzo di ragione non vi osti. Se vuol dipingere una Maddalena, che più filosoficamente da’ maestri vien figurata in erma campagna, tutta meditabonda e solinga senza che anima vivente turbi la sua penitenza, lo Zoppo le pone da costa un angioletto che sostiene il vaso d’argento, un altro che guarda il teschio e sorride; s’ei vuol presentare una vergine addolorata, un putto pur esso piangente le sta d’appresso con vari strumenti di passione; s’egli vuol fare un martire, un drappello di questi vivaci genietti muovesi per aria, chi intento ad accoglierne i sospiri, chi in atto di confortarlo, questi spaventato guarda i carnefici, quegli alieno dell’azione e mille altri [sic] simiglianti cose. Come la maniera di disegnarli è originale, così è il suo modo di disporli. Sebbene qualche fiata per troppa voglia di farli espressivi ce li ponga in caricatura, nondimeno quegli angioletti intorno a una Vergine, che vola al Cielo, festeggiano, carolano, tripudiano, sono animati di foco vivissimo; lo spettatore tende l’orecchio per risentire le loro voci, e il batter d’ali, e li pinge così leggieri nell’aere che paiono saltar fuori dalla tela». Ibid., pp. 36-37. A proposito dei «gesti inconsapevoli» dell’artista nella critica morelliana, cfr. C. Ginbzburg, Spie. Radici…, pp. 159 segg., nonché a Giovanni Morelli e la cultura…. L’intuizione di Giudice sarebbe stata ripresa, pressoché testualmente, dalla critica successiva: G. Taormina, La Galatea dell’Albani ed il suo restauratore siciliano, in “La Sicilia Artistica e Archeologica”, II, 11-12, 1888, pp. 73-78, in part. p. 77; cfr. R. Cinà, “La Sicilia Artistica e Archeologica”….

84 Cfr. G. Ugdulena, Intorno alla vita ed agli scritti del professore Baldassare Romano, Stab. tip. di F. Lao, Palermo 1858.

85 E. Mistretta Buttitta, La vita e le opere di Francesco Saverio Cavallari, in “Archivio Storico Siciliano”, N. S. I, anno 50, 1930, pp. 308-344; G. Cianciolo Cosentino, Francesco Saverio Cavallari (1810-1896). Architetto senza frontiere tra Sicilia Germania e Messico, prefazione di F. Mangone, Caracol, Palermo 2007.

86 D. Lo Faso Pietrasanta duca di Serradifalco, Le antichità della Sicilia esposte ed illustrate per Domenico Lo Faso Pietrasanta, Palermo 1834-1842; D. Lo Faso Pietrasanta duca di Serradifalco, Del Duomo di Monreale e di altre chiese siculo normanne ragionamenti tre, Palermo 1838.

87 P. Giudice, Sulla vera patria di Domenico Gagini…, p. 127. Il primo testo che Giudice aveva pubblicato sul trittico polizzano risaliva al 1837.

88 Sulla maturazione di questi temi tra Otto e Novecento cfr. D. Levi, I luoghi e l’ombra incerta del tempo. Enrico Mauceri e due suoi mentori, Corrado Ricci e Paolo Orsi, in Enrico Mauceri (1869-1966). Storico dell’arte tra connoisseurship e conservazione, atti del convegno internazionale (Palermo 27-29 settembre 2007) a cura di S. La Barbera, Palermo 2009, pp. 77-85; per la situazione siciliana cfr. R. Cinà, «Tutto Egli raccoglieva e accoglieva nel museo…». Aspetti dell’attività di Antonino Salinas, in corso di stampa negli atti del convegno “Francesco Malaguzzi Valeri (1867-1928). Tra storiografia artistica, museo e tutela” (Milano-Bologna 19-21 ottobre 2011), a cura di A. Rovetta in “Arte Lombarda”.

89 W. Sartorius von Walterschausen, Atlas des Aetna  von W. Sartorius von Waltershausen mit Beihülfe von S. Cavallari, C.F. Peters und C. Roos, Göttingen 1844.

90 M. Cometa, Il romanzo dell’architettura. La Sicilia e il Grand Tour nell’età di Goethe, Editori Laterza, Bari 1999; G. Cianciolo Cosentino, Francesco Saverio Cavallari…, pp. 23-50.

91 P. Giudice, Annunzio di un’opera che sarà pubblicata in Germania intorno alle Belle Arti siciliane cominciando dai primi secoli fino all’epoca di Michelangelo e Raffaello del Dr. Guglielmo Enrico Schultz sassone, in “Passatempo per le Dame”, VI, 17, 28 aprile 1838, pp. 130-131 (questa recensione era stata pubblicata anche in ESLS, VII, 53, febbraio 1838, pp. 120-121).

92 M. Cometa, Il romanzo….

93 P. Giudice, Annunzio di un’opera….

94 G. Di Marzo, Delle Belle Arti in Sicilia, dai Normanni alla fine del secolo XVI, 3 voll., Palermo 1858-1864; cfr. S. La Barbera, Gioacchino Di Marzo e la nascita della critica d’arte in Sicilia, in La critica d’arte in Sicilia nell’Ottocento, a cura di S. La Barbera, Flaccovio, Palermo 2003, pp. 31-82.

95 P. Giudice, Annunzio di un’opera….

96 P. Giudice, Annunzio di un’opera….

97 P. Giudici, Prefazione, in P. Emiliani Giudici, Scritti sull’arte…; M. Cometa, Il romanzo….

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Temi di Critica - numero 6

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